INTRODUZIONE
Lo sviluppo sostenibile racchiude in sé l’idea che si possa guardare al futuro in
maniera concreta e positiva circa la realtà che ci circonda: esso costituisce un
principio ed anche un obiettivo di livello internazionale che abbraccia in modo
trasversale le più svariate materie, dall’economia all’ambiente al sociale. Si
tratta di un’idea di condivisione di concetti ed ambiti che a primo impatto
potrebbero apparire distanti fra loro, per non dire discordanti. Lo sviluppo
sostenibile è infatti un nuovo modo di guardare allo sviluppo ed alla crescita
senza supporre che la sfera economica, sociale ed ambientale siano fra di loro
escludibili. Tale processo lega quindi, in un rapporto di interdipendenza la
tutela e la valorizzazione delle risorse naturali alla dimensione economica,
sociale ed istituzionale.
Nella mia tesi dopo aver elaborato un discorso teorico di sintesi intorno al
concetto dello sviluppo sostenibile e dopo aver rimarcato le tappe storiche che
hanno portato e porteranno in futuro a porre sempre più l’attenzione su tale
tema, focalizzo l’attenzione sul contenuto dell’edilizia sostenibile, un
argomento quanto mai attuale nel quale i tre rami sopra enunciati, ovvero
economia, sociale e ambiente, tendono a coincidere ed a integrarsi l’un l’altro.
In particolar modo nel secondo capitolo tratterò un’applicazione pratica
sviluppata nella Regione Umbria in riferimento al Piano Casa nazionale ed al
tema della certificazione di sostenibilità ambientale degli edifici.
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CAPITOLO I
LO SVILUPPO SOSTENIBILE.
UN’INTRODUZIONE STORICO-TEORICA
1.1 Premessa
I primi ripensamenti su un concetto di sviluppo che mettesse in relazione le
questioni economiche e lo sfruttamento delle risorse naturali (considerato fino
ad allora illimitato ed indiscriminato) iniziano a materializzarsi a livello
internazionale negli anni ’70 e ’80 del XX secolo. Tali riflessioni portano alla
sottoscrizione dei primi specifici impegni ed all’approvazione di diverse azioni
negli anni ’90 e successivi fino ad arrivare ai giorni d’oggi. Le tematiche
ambientali hanno seguito percorsi non sempre agevoli, e si sono spesso
utilizzate strategie diverse per l’approfondimento dei vari problemi. Tra le
altre, l’idea più accreditata nel passato era quella di una centralizzazione dei
processi decisionali a causa di un numero elevato di questioni che
oltrepassavano i confini nazionali e che quindi per essere risolte
presupponevano un’uniformazione della disciplina.
Con il passare del tempo le logiche decisionali che conducono all’elaborazione
delle politiche pubbliche hanno conosciuto un radicale mutamento sull’onda di
una “rivoluzione concertativa” passando dal modello del government a quello
della governance
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.Tale modello fa perno su dei principi come la responsabilità,
l’informazione, la trasparenza, la partecipazione e l’inclusione, e costituisce un
enorme spartiacque rispetto alla definizione di government, modalità di
governo strettamente istituzionalizzata e gerarchizzata che lascia ben poco
spazio alla pratica concertativa. Il concetto di governance è per di più
enfatizzato nel campo delle politiche ambientali, un settore nel quale è ancor
più evidente la manifestazione di interessi fra loro conflittuali che spesso sfocia
nella mobilitazione di parti della società civile (cfr. De Pascali, 2008).
Inevitabilmente la mancata inclusione nei dibattiti, nelle pianificazioni e nei
progetti aventi ad oggetto l’interesse pubblico, conduce ai “costi della non
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“In ambito politico la governance viene oggi comunemente intesa come un processo
di elaborazione, determinazione e attuazione di azioni di policies, condotto secondo
criteri di concertazione e partenariato tra soggetti pubblici e soggetti privati o del terzo
settore, in cui tutti i soggetti partecipano al processo conferendo risorse, assumendo
responsabilità, esercitando poteri e, di conseguenza, usufruendo per quota parte dei
benefici attesi dall’esito delle stesse policies” (Segatori, 2003).
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partecipazione”, mentre nei casi inversi i progetti condivisi potranno sì
conoscere un ritardo temporale nella fase iniziale per permettere a chiunque di
muovere le proprie istanze, ma andranno di certo a diminuire le ipotesi di
conflitto successive che possono scaturire da metodi di decisione che non
prendano in considerazione la concertazione pubblica. In altre parole solo
apparentemente il metodo DAD (Decidi, Annuncia, Difendi) risulta più
efficace.
Come spiega Mario Fadda, “dalla TAV alle centrali nucleari, dai
degassificatori agli inceneritori, troppo spesso paghiamo lo scotto di una
contrapposizione tra sviluppo e difesa della qualità dell’ambiente, molto
costosa in termini economici, culturali e sociali: convenienze – viaggiare più
veloci, disporre di energia a costi più bassi, ecc. ecc. – che si contrappongono
alla necessità di disporre di adeguate garanzie per la salute, per l’ambiente, per
il paesaggio, ecc. ecc. Battaglie infinite che si concludono, se mai si
concludono, con mediazioni che scontentano un po’ tutti” (Fadda, 2008, p. 56).
1.2 L’emersione della questione
Il concetto di sviluppo ha sperimentato significati e criteri diversi nel tempo.
Rispetto al rapporto equilibrato con la natura sostenuto dalla tradizione
fisiocratica, una svolta culturale particolarmente aggressiva su tale tematica è
rintracciabile nell’avvento della società industriale nel XVIII e XIX secolo,
specie quando esso va a sposarsi con le tesi dell’Illuminismo. L’economia
moderna finisce infatti con l’ispirarsi ad alcuni fondamenti illuministi, quali:
la fede in un progresso illimitato;
il forte antropocentrismo. Il ruolo dell’uomo diviene indiscutibile ed è
posto al di sopra della natura che diviene un semplice beneficio
strumentale;
l’uomo può dominare la natura in virtù del metodo scientifico che gli
permette di utilizzare scoperte e tecnologie da utilizzare nello
sfruttamento delle risorse naturali (cfr. Tiezzi e Marchettini, 1999).
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È Herman Daly
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, fautore dell’economia dello stato stazionario, a essere
identificato come il padre della teoria dello sviluppo sostenibile. La sua idea di
“stato stazionario” presupponeva una simbiosi fra uomo e natura, la capacità di
un sistema di governarsi grazie all’uso di risorse naturali rinnovabili. Daly mise
in risalto il fatto che vi fosse una incoerenza in chi sosteneva che per
conservare un’economia florida vi si dovesse necessariamente riscontrare
un’irrimediabile crescita del PIL. La sua tesi sembra avvalorata dai sempre più
numerosi fenomeni quali la crescente disoccupazione e il sempre più evidente
degrado dell’ambiente riscontrata negli ultimi anni. Il pensiero di Daly può
essere sintetizzato dal cosiddetto “esempio del battello”: secondo tale
descrizione nel caso in cui vi sia uno stivaggio adeguato, esso distribuirebbe il
peso in maniera uniforme sul battello in modo da realizzare una
massimizzazione del carico trasportato, mentre nel caso in cui la distribuzione
risulti sproporzionata o inadeguata essa comporterebbe l’affondamento del
battello. Secondo il pensiero di Daly, inoltre, tali sarebbero le condizioni che
condurrebbero alla sostenibilità ambientale:
l’utilizzo di risorse rinnovabili non deve essere superiore alla loro
capacità di rigenerazione o comunque è necessaria una compensazione
di risorse proveniente da fonti rinnovabili;
le sostanze che arrecano inquinamento non devono superare la capacità
di carico/assorbimento dell’ambiente;
il livello di utilizzo della quantità di risorse rinnovabili non deve essere
superiore alla propria capacità di rigenerazione.
“Il concetto di sostenibilità è rintracciabile quindi nelle risorse naturali
rinnovabili, ossia quelle che hanno capacità di riproduzione nel tempo: le
foreste e i prodotti della pesca, le energie eoliche, quelle solari e le biomasse.
Al suo opposto si determinano le risorse esauribili, vale a dire quelle che non
hanno le caratteristiche sopra elencate, come ad esempio le risorse minerarie e i
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Herman Daly, nato nel 1938 negli Usa e noto come uno fra i più importanti
economisti ecologici, è professore presso il dipartimento di politiche pubbliche
dell’Università del Maryland.
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combustibili fossili” (Catani, 2011, p. 11). In passato autori come Thomas
Malthus, dopo aver constatato come la popolazione crescesse con una
progressione geometrica a differenza della progressione aritmetica delle
risorse, aveva posto l’accento sulla possibilità che in futuro tali risorse
sarebbero state insufficienti per la soddisfazione dei bisogni della cittadinanza,
convinzione che lo spinse a sostenere una tesi quanto mai radicale come quella
della limitazione naturale delle nascite.
Come già accennato sarà il XX secolo nei decenni ’70 e ’80 a muovere i primi
passi verso un ripensamento sostanziale dello sviluppo e della crescita basato
interamente sullo sfruttamento di risorse naturali in via indiscriminata ed
irragionevole. L’anno di svolta viene individuato nel 1968, data che consacra la
nascita del Club di Roma
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grazie ai due scienziati Aurelio Pecci e Alexander
King, che danno il via alla lunga riflessione sul tema dello sviluppo sostenibile
che oggi è di profonda attualità. Quattro anni più tardi, nel 1972, raccoglierà un
enorme successo e offrirà grandi spunti di riflessione il rapporto sviluppato dal
Club di Roma su commissione del MIT, Massachusetts Institute of Technology,
che prese in esame i seguenti elementi:
aumento della popolazione;
sviluppo industriale ed inquinamento;
riserve e consumi delle materie prime;
risorse di cibo.
Il rapporto si spinse ad affermare che se non si fosse posto rimedio alla crescita
sfrenata e che questa fosse rimasta inalterata nel tempo, l’umanità si sarebbe
trovata di fronte a degli enormi limiti naturali della crescita in considerazione
dell’imminente venir meno delle risorse naturali a disposizione. Per la prima
volta veniva demolito il muro dell’indifferenza, si stava definendo una linea
3
Il Club di Roma è attualmente composto da circa 100 membri individuali e 30 associazioni
nazionali e regionali. I suoi obiettivi fanno riferimento all’ identificazione dei problemi nodali che
caratterizzeranno il futuro della Terra e delle popolazioni che la abitano. Di notevole importanza
il ruolo svolto dal Club di Roma in termini di sensibilizzazione e di comunicazione di tali
problematiche, il tutto con la consapevolezza di voler imprimere una maggiore presa di
coscienza tra i leader mondiali e i decision-maker in merito alla difficile interazione tra lo
sviluppo economico e la fragilità del pianeta e delle risorse che offre.
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che ancorava le proprie posizioni sul rifiuto che l’idea di sviluppo potesse
costituire in ogni caso un esempio di illimitatezza e linearità.
Le proposte del Club di Roma non caddero nel dimenticatoio: nel 1972 si ebbe
il primo riconoscimento di natura istituzionale alla Conferenza sul tema dell’
Human Environment
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di Stoccolma promossa dall’ONU, la prima volta in cui
la tematica dello sviluppo sostenibile è stata oggetto di considerazione da parte
di un’assise internazionale. Il 1972 fu un anno di svolta, la partecipazione a tale
Conferenza di 113 nazioni ed oltre 400 organizzazioni governative e non
governative ha comportato una presa di coscienza e lo sviluppo del principio
della responsabilità internazionale che ha determinato nel prosieguo degli anni
un metodo armonizzato di risoluzione dei problemi di natura globale. Tale
cammino porterà alla creazione dell’ UNEP
5
(United Nations Environment
Programme) e negli anni successivi alla nascita dei primi Ministeri
dell’Ambiente nei paesi del mondo più sviluppati.
A due anni da tale conferenza, ancora più dura e senza troppi giri di parole sarà
nel 1974 la relazione scientifica elaborata da Mihajlo Mesarovic ed Eduard
Pestel, entrambi appartenenti al Club di Roma, sostenitori dell’idea che si viva
non più in un mondo sviluppato, bensì sovrasviluppato, un pianeta che inizia a
chiedere agli esseri umani di porsi dei limiti al fine di non sperperare risorse
che altrimenti non potrebbero più tornare disponibili in futuro.
Al primo impatto tutto sembrerebbe dirigersi verso la giusta strada della
sensibilizzazione, della presa di coscienza e quindi del successivo cambio di
rotta degli atteggiamenti e dei comportamenti dei singoli Stati e dei propri
cittadini definitivamente consapevoli della necessità di un cambiamento
radicale dei propri stili di vita, ma, come è facile intuire, il percorso che porta
ai giorni nostri è stato lungo e travagliato e non sempre gli Stati hanno saputo o
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Human environment. Costruzione scientifica che cerca di ricostruire e studiare le
interazioni esistenti fra il mondo umano e quello naturale.
5
UNEP – United Nations Environment Programme. Programma delle Nazioni Unite
per l’Ambiente nato nel 1972 con sede a Nairobi (Kenya). È coinvolto nella lotta ai
cambiamenti climatici, nei settori dedicati all’uso sostenibile delle risorse naturali e
della tutela dell’ambiente.
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