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INTRODUZIONE.
Che cos'è dunque la verità? Un mobile esercizio di metafore,
metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni
umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che
sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano
a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni
di cui si è dimenticata la natura illusoria [...].
Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale
1. Tabu, eufemismo e interdizione: alcune definizioni preliminari
Evitare l'impiego di termini troppo espliciti quando si parla di argomenti sconvenienti,
imbarazzanti o spaventosi è un fenomeno universale fin dagli albori della civiltà umana:
l'uomo è un animale sociale e la lingua, in quanto strumento principale per rapportarsi
con l'altro, è l'espressione di una determinata civiltà ancor prima che dell'individuo e non
può che essere regolata da norme più o meno implicite che variano da una società all'altra
e aumentano per numero e complessità di pari passo con il suo sviluppo.
Tale fenomeno è chiamato dai linguisti tabu linguistico, eufemismo oppure interdizione
linguistica
1
: secondo la definizione di N. Galli de' Paratesi si tratta di tre momenti diversi
dello stesso fenomeno.
L'interdizione linguistica è definita come la “coazione a non parlare di una data cosa o ad
accennarvi con termini che ne suggeriscano l'idea pur senza indicarla direttamente”
2
e
può essere imposta dall'esterno o derivare da motivazioni interiori.
L'eufemismo è il fenomeno linguistico propriamente detto e consiste nell'evitare e
sostituire le parole con altre più consone alla situazione comunicativa ed è la diretta
conseguenza dell'interdizione linguistica.
Nel linguaggio comune è chiamata eufemismo l'espressione con cui si sostituisce ciò che
è interdetto: si tratta di un appellativo fuorviante dal momento che nessuna parola è di per
sé un eufemismo ma è il contesto in cui è impiegata a renderla, più correttamente, un
sostituto eufemistico.
Per É. Benveniste il termine deriva dal greco euphemia «dire bene», che a sua volta
1
Galli de' Paratesi 1964: 17 riporta linguistic taboo ed euphemism come termini impiegati dagli studiosi
anglofoni e interdiction linguistique come termine preferito dai francofoni.
2
ibidem.
4
deriva da euphēmeîn, «pronunciare parole di buon auspicio» nelle funzioni religiose
3
.
P. Zumthor conferma quanto sostenuto da Benveniste e aggiunge che euphemia è una
parola tipica del lessico sacro-religioso
4
.
Tabu è una parola polinesiana di difficile traduzione poiché il concetto a cui si riferisce è
pressoché estraneo alla nostra società: importata in Europa dall'esploratore James Cook
nel 1771, significava originariamente «separato, tenuto lontano»
5
ed esprimeva quella
tensione ambigua a metà tra sacro e terrificante ancora viva nel concetto di sacer
nell'antica Roma
6
che abbracciava tutto ciò che è misterioso ed inesplicabile.
Il tabu è definito dallo psicologo W. Wundt come “il più antico codice non scritto
dell'umanità”
7
e può essere sentito come tale dal parlante o ridursi a mera forma di
coercizione: M. Appiani definisce il primo tabu 'vitale', in opposizione al tabu 'vuoto' che
proviene dall'esterno
8
.
Alcuni linguisti hanno adottato il termine per indicare ogni tipo di interdizione: Galli de'
Paratesi la ritiene tuttavia definizione riduttiva da un punto di vista psicologico e chiama
tabu la sola interdizione religiosa primitiva
9
.
2. Motivazioni sociali e psicologiche dell'interdizione linguistica
Il disagio che si prova nel pronunciare o scrivere una parola interdetta è chiamato da
Appiani phóbos ed è presente in ogni fenomeno di interdizione 'vitale' dal tabu magico-
religioso nelle società primitive ai tabu culturali tipici della società contemporanea: a
variare è l'intensità della reazione che va dall'angoscia magico-religiosa al ben più lieve
turbamento che provocano i termini interdetti nella nostra società.
La studiosa ripristina quindi l'impiego del termine tabu per ogni tipo di interdizione
poiché “si presta meglio a differenziare le interdizioni comuni e funzionali e pertanto non
accompagnate da phóbos, da quelle che ne sono accompagnate”
10
.
Il disagio provato dal parlante può dipendere da motivazioni ben diverse a seconda del
3
Benveniste 1949: 27-28
4
Zumthor 1953: 177
5
Galli de' Paratesi 1964: 18
6
Freud 1913: 50 indica come corrispondente il concetto ebraico di Kodausch.
7
Wundt 1906: 308
8
Appiani 2006: 26
9
Galli de' Paratesi 1964: 18 evidenzia come l'esatta pronuncia sia tabu e non tabù, che è probabilmente
giunta nell'italiano attraverso il francese.
10
Appiani 2006: 77
5
tipo di interdizione e, pur essendo sempre di origine sociale e culturale, può essere
interiorizzato o meno dall'individuo dando vita ad un fenomeno interdittivo più o meno
forte: sono le interdizioni interiorizzate più che le norme estrinseche di educazione a
modellare il linguaggio, giocando così un ruolo fondamentale nel fenomeno
eufemistico
11
.
Importante è in questo senso il ruolo del pudore: la Appiani si è prodigata in un vero e
proprio elogio di quest'ultimo mostrando come, oltre che essere rispettoso dell'intimità di
se stesso e degli altri, il pudore trasformi la forza traumatica dell'argomento in forza
comunicativa grazie alla creazione di nuovi modi per esprimersi
12
.
Per rivalutare il pudore, spesso accantonato e malvisto nell'epoca della 'liberalizzazione
sessuale', è necessario distinguerlo dalla pruderie di stampo vittoriano contro la quale si
scagliava già nel XVIII secolo il filosofo Bayle rispondendo alle accuse di oscenità
mosse contro il suo Dictionnaire
13
: la pruderie è agli antipodi e, oltre che non esprimere
la funzione vitale e la “tendenza ai legami e alla reciprocità dei rapporti”, nasconde le
intenzioni malevole o socialmente riprovevoli sotto il rispetto delle convenzioni sociali
14
.
Il pudore è invece il limite naturale nel rapporto con l'altro, una “necessità vitale”
15
rivestita di un significato sociopolitico che, quando è venuta a mancare, ha portato a
quella “peste emozionale” che per W. Reich è stata responsabile delle grandi catastrofi
umane che si sono ripetute nella storia, dall'Inquisizione cattolica ai regimi totalitari
16
.
L'oggetto e la forza dell'interdizione mutano da una società all'altra ma anche nella
stessa, in base a fattori come il momento storico e la classe sociale di appartenenza: le
parole interdette aumentano numericamente con il progredire di una civiltà esprimendone
così la maggiore complessità ma, nel contempo, diminuisce la forza coercitiva della loro
proibizione.
3. Argomenti soggetti ad interdizione
Tutto ciò che è enigmatico e resta quindi al di fuori dei sistemi di codificazione in un
11
Galli de' Paratesi 1964: 19-21 mostra la differenza di intensità tra i vari tipi di interdizione: si va dal
terrore nell'interdizione religiosa alla strumentalizzazione dell'eufemismo nel linguaggio politico per
presentare nella maniera desiderata i concetti critici.
12
Appiani 2006: 125
13
Campi 2001: 96
14
Appiani 2006: 65
15
Selz 2005: 128
16
Reich 1973: 309
6
determinato contesto culturale è soggetto ad interdizione: il tabu è quindi un tentativo
istituzionalizzato volto al suo contenimento
17
.
Con l'interdizione magico-religiosa Galli de' Paratesi indica non solo il tabu riguardante
il nome della divinità e il sacro ma anche ogni forma di interdizione legata a
superstizione e scaramanzia che guarda con irrazionale timore le 'forze occulte' che
regolano il destino, la natura, la malattia e la morte
18
: emblematico in questo senso è
l'assoluto segreto che vincolava il vero nome di Roma e della sua divinità protettrice
(tutt'ora sconosciuti)
19
.
Nelle società moderne il tabu magico-religioso ha perso, ad esempio, la sua intensità
permanendo sotto forma di paura superstiziosa nelle classi meno colte e sfumando in
quelle più elevate in rispetto e reverenza in luogo dell'antico terrore per la nemesi divina.
L'interdizione sessuale rappresenta, insieme alla magico-religiosa, l'inibizione più forte e
duratura alla base dei fenomeni di interdizione linguistica nonché una delle più feconde
per l'impiego di sostituti eufemistici.
Si tratta di una repressione che pur provenendo dalla società e dai suoi costumi è ormai
interiorizzata come pudore ed opera direttamente nell'inconscio: per questo motivo il
contenuto interdetto affiora con straordinaria frequenza nell'invettiva, nei motti di spirito
e nel lapsus ed è meno sentita nelle classi inferiori tra le quali le parole oscene “non
differiscono troppo dal resto del vocabolario”
20
.
17
Appiani 2006: 29 In questo senso è interessante il tabu linguistico riportato dalla Appiani che riguarda
la donnola nella nostra cultura. In latino era chiamata mustela, parola vicina per evoluzione dall'antico
accadico mustalu e che potrebbe significare «accorta, furba» in un evidente tentativo di captatio
benevolentiae.
Mustela non è sopravvissuto in nessuna delle lingue romanze ed è stato rimpiazzato da termini come
belette «bellina» in francese, doninha «donnina» in portoghese, comadreja «comare» in spagnolo e
nevasta «sposa» in rumeno, oltre l'italiano donnola. Persino in una lingua uralo-altaica come il finnico è
chiamata lumikko «signora della neve», termine affine a Lumikki, il nome finnico di Biancaneve.
Le ragioni dell'interdizione si possono trovare nel comportamento dell'animale: la donnola infatti
uccide tutto quel che incontra nel pollaio andando inspiegabilmente oltre la soddisfazione dell'istinto di
sopravvivenza ed evocando, con il suo uccidere per il gusto di farlo, la crudeltà umana. Tale
comportamento è condensato nelle lingue moderne nella figura femminile della donna-madre
imperscrutabile dalla quale dipendono altre vite.
18
Galli de' Paratesi 1964: 119
19
L'identificazione tra oggetto e parola arriva in questo caso al punto da credere che la conoscenza del
nome possa in qualche modo influenzare gli eventi.
Plinio il Vecchio Nat. Hist., III, 65 narra della condanna a morte di Valerio Sorano, contemporaneo di
Cicerone, condannato a morte per aver pronunciato il nome segreto di Roma.
20
Ferenczi, S. 1911 ampliando il discorso di Freud imputa al periodo di latenza delle oscenità sessuali a
lungo represse il carattere di evocazione quasi allucinatoria (tipica del linguaggio infantile) che
provocano in chi le usa o le ascolta.
7
L'interdizione di decenza è stata, al pari di quella sessuale, tra le più forti nella nostra
società e fa capo al linguaggio scatologico e delle secrezioni corporali in genere: è
causata dal pudore, dalla sconvenienza sociale e dal semplice e genuino phóbos che tale
argomento non manca di suscitare. Il linguaggio scatologico, esattamente come quello
legato alla sessualità, riaffiora nell'invettiva e nell'imprecazione
21
.
Vanno infine citate le interdizioni di carattere sociale e politico: meno forti, più
spiccatamente culturali e quindi tendenti al cambiamento.
L'interdizione sociale riguarda la riabilitazione di mestieri e condizioni di inferiorità nella
scala sociale come la povertà: in un'ottica di uguaglianza tipica di una cultura
democratica termini come ricco e povero, capo e dipendente e le nomi di professioni
ritenute tradizionalmente umili come spazzino, bidello o muratore assumono una
dimensione spesso dispregiativa e vengono sostituiti con parole e circonlocuzioni
eufemistiche dalla connotazione neutra come privo di preoccupazioni economiche e di
famiglia modesta, datore di lavoro e collaboratore, operatore ecologico, operatore
scolastico e lavoratore edile.
Sono spesso interdette anche alcune denominazioni etniche, specialmente se riferite a
popolazioni vittime storicamente di odio razziale e persecuzioni: in questo gruppo va
inserito negro, seppure più interdetto negli Stati Uniti che altrove.
Le denominazioni per la comunità ebraica come giudeo ed ebreo sono impiegate con un
senso spregiativo: giudeo, ai tempi di Boccaccio termine corrente presente in alcuni titoli
di novelle come Melchisedech Giudeo, è oggi connotato negativamente a partire dai
Vangeli dai quali prende il significato di “traditore” in un probabile accostamento con
Giuda; lo stesso vale per ebreo, impiegato talvolta come sinonimo di “avaro”, facendo
leva su uno stereotipo già presente ai tempi del Mercante di Venezia di Shakespeare.
Si preferiscono quindi circonlocuzioni varie oppure termini di nazionalità come
Israeliano, utilizzato erroneamente come eufemismo per ebreo
22
.
Va inserita tra le interdizioni sociali la tendenza ad evitare il rapporto linguistico diretto:
sono di questo tipo le formule di cortesia, le formule tipiche di linguaggi come quello
commerciale o giuridico e l'uso del voi e del lei al posto del tu.
Al di là dell'uso strumentale dell'eufemismo per veicolare determinati concetti,
21
Galli de' Paratesi 1964: 115
22
Galli de' Paratesi 1964: 135-140