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1. IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
1.1. Definizione
Escluso ogni motivo discriminatorio, illecito, futile o capriccioso del licenziamento,
oggetto di uno specifico divieto a sé stante, i motivi suscettibili da indurre di fatto il
datore di lavoro licenziare un dipendente possono, in linea di fatto, essere soltanto di
due tipi, riconducibile rispettivamente al giustificato motivo e alla giusta causa:
- l'interesse di natura disciplinare, consistente nell'esigenza aziendale di dissuadere,
mediante l’utilizzo di sistemi sanzionatori, i dipendenti dal tenere un determinato
comportamento contrario ai loro doveri contrattuali. In questo caso infatti si farà
riferimento ad un'impossibilità sopravvenuta; oppure
- la previsione che alla prosecuzione del rapporto vi siano, complessivamente per
l'azienda, costi superiori rispetto all'utilità prodotta, che è quanto dire l'attesa di una
perdita (deve essere chiaro fin d'ora che la perdita attesa di cui stiamo parlando è il
risultato della differenza tra l'insieme di tutti i costi e l’insieme di tutte le utilità che
prevedibilmente eviteranno la prosecuzione del rapporto per il datore). In questo caso
infatti si farà riferimento ad un'eccessiva onerosità.
- una condotta del lavoratore tale da determinare la lesione del vincolo fiduciario
del rapporto di lavoro, dove dovrà essere rilevata l’intensità della lesione e gli effetti che
conseguono tra le parti contrattuali. In questo caso, quando l’evento lesivo venga
ritenuto un notevole inadempimento, si contestualizzerà un giustificato motivo, mentre
al verificarsi di un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione
neppure provvisoria del rapporto lavorativo, si parlerà di giusta causa. Resta quindi
elemento distintivo tra le due differenti causali del licenziamento la gravità del
comportamento del lavoratore venuto a verificarsi.
2
A questo va aggiunto che ai sensi dell'art. 3, seconda parte, della Legge del 15
luglio 1966, n. 604, il giustificato motivo oggettivo di licenziamento sussiste per ragioni
inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento
di essa. Si tratta, in altre parole, di ragioni che non si riferiscono al comportamento del
prestatore di lavoro in quanto integrano un inadempimento, ma che attribuiscono rilievo
a una situazione obiettiva, che può anche essere del tutto estranea alle vicende del
rapporto di lavoro.
Le scelte imprenditoriali possono essere di carattere economico o tecnico-
produttivo, ma non possono essere determinate da una mera convenienza economica
1
.
Tuttavia le ragioni imprenditoriali che hanno comportato il riassetto organizzativo e il
conseguente licenziamento rientrano nella libertà di iniziativa economico-privata e non
sono sindacabili nella loro congruità, opportunità e convenienza
2
.
Per questo il significato del giustificato motivo oggettivo travalica l'ambito limitato
di una mera specificazione della norma codicistica, per investire e ridefinire i confini tra
la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro imprenditore da un lato e la tutela
degli interessi del lavoratore alla conversione del posto di lavoro dall'altro
3
. In
sostanziale conformità con i suddetti principi si è espressa altresì la giurisprudenza, in
particolare, Cass. 14 gennaio 1997 n. 326, secondo la quale deve escludersi la
sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento quando, “Al di là di ogni
eventuale riferimento le ragioni relative all'impresa, il licenziamento è fondato su un
comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore e lesiva dei suoi doveri
contrattuali, ed esprime pertanto un giudizio negativo nei suoi confronti anche ove tale
giudizio non investa le qualità strettamente tecniche del lavoratore, ma abbia ad
1
Cass. 9 luglio 2001 n. 9310;
2
Cass. 16 dicembre 2000 n. 15894;
3
Massimario Giurisprudenza del Lavoro 1996, p. 278;
3
oggetto altri aspetti dell'attività professionale o della sua personalità, aspetti in ogni
caso concorrenti, secondo le circostanze del caso a costituirne il patrimonio
professionale
4
.”
Di fatto, e con particolare riferimento all'esperienza giurisprudenziale, può darsi che
rientrino nell'ambito del giustificato motivo oggettivo sia i licenziamenti intimati in
relazione all'insorgenza di specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione
del posto di lavoro, sia i licenziamenti che traggono origine da comportamenti o
situazioni facenti capo al prestatore di lavoro ma che non costituiscano una forma di
inadempimento. Secondo una condivisibile dottrina
5
, i primi integrano la fattispecie dei
licenziamenti per ragioni inerenti all'attività produttiva, prevista dal citato art. 3, mentre
i secondi costituiscono il contenuto della fattispecie dei licenziamenti per ragioni
inerenti al regolare funzionamento dell'organizzazione del lavoro.
Deve quindi ravvisarsi che la definizione del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo "è percorso da una sorta di disarmonia interna
6
" e, è possibile fare espresso
riferimento ai casi sintetizzabili nella crisi dell'azienda, nella innovazione organizzativa
e quelle giustificazioni fondate oggettivamente su ragioni inerenti alla persona del
lavoratore, viste nel loro riflesso sull'assetto organizzativo dell'impresa.
Anche la giurisprudenza di legittimità sembra sostanzialmente condividere la
suddetta ripartizione. In particolare, è stato affermato che, sulla base di una corretta
interpretazione dell’art. 3 in esame, il giustificato motivo oggettivo deve identificarsi
nelle vicende e/o negli eventi che, per l'incidenza immediata sulla realtà aziendale in cui
il lavoratore è inserito, ragionano sull'effettiva esigenza del datore di porre fine rapporto
4
Cass. 14 gennaio 1997 n. 326;
5
Mazzotta O., I Licenziamenti Individuali, p. 309;
6
Del Punta 1998, p. 701;
4
di lavoro
7
; rientrano nel suddetto ambito sia i licenziamenti intimati in relazione
all'insorgere di specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto
di lavoro, sia licenziamenti che traggono origine da comportamenti e situazioni facenti
capo ai prestatori di lavoro, purché non costituiscano una forma di inadempimento.
Inoltre la Corte qualifica come giustificato motivo oggettivo "l'ipotesi che il recesso
intimato in relazione ad un riassetto organizzativo attuato per una più economica
gestione dell'impresa", senza che il giudice di merito possa, né debba, "individuare i
limiti entro i quali la realizzazione di un determinato profitto possa rientrare nell'ambito
del giustificato motivo", posto che, oltre a dover essere salvaguardata la libertà
dell'imprenditore riconducibile all'art. 41 Cost., il giudice non potrebbe comunque
valutare "i margini di convenienza o di onerosità e la sopportazione di ulteriori costi
gestionali in rapporto all'andamento" aziendale
8
.
1.2. Il periodo di preavviso
Speculare elemento di contraddittorio tra il datore e il prestatore di lavoro è lo
svolgimento lavorativo del periodo di preavviso contrattualmente previsto dal CCNL
attuato nel rapporto lavorativo, poiché nel suo svolgimento sicuramente previsto, il
datore di lavoro, dopo aver intimato il licenziamento nei confronti del lavoratore, potrà
decidere di far svolgere il periodo di preavviso al lavoratore, o altrimenti, retribuire tale
periodo ma senza porre in essere lo svolgimento del preavviso contrattualmente previsto
(cessazione del rapporto con diritto alla indennità di mancato preavviso ma senza lo
svolgimento dell’attività lavorativa contrattualmente prevista).
7
Cass. 11 agosto 1998 n. 7904;
8
Cass. 20 dicembre 1995, n. 12999, in Rivista Italiana Del Lavoro, 1996, Vol. II, p. 632;
5
Il rischio che ricorre tra le parti contrattuali è quello che il lavoratore, non avendo
alcuna colpa nell’allontanamento dal posto di lavoro, decida di attuare un’attività non
proprio secondo la correttezza e la diligenza personale. In primo luogo il lavoratore
potrebbe invece di svolgere il periodo di preavviso, decidere di collocandosi in
astensione dal lavoro (per esempio: malattia, infortunio, gravidanza, ecc.) in modo tale
da sospendere il decorso del licenziamento nei suoi confronti continuando a percepire la
retribuzione spettante nonostante le difficoltà aziendali, compromettendo anche l’iter
decisionale del datore di lavoro.
Fattore che complica ulteriormente la situazione è che tale rischio per
l’imprenditore, già in concreto ed oggettivo stato di dissesto, potrebbe risultare gravoso,
ed in alcuni casi anche provocare uno stato di crisi per l’azienda, comportando in
automatico la decisione di provvedere al licenziamento del lavoratore con il pagamento
dell'indennità di preavviso dovuta.
Di contro, lo stesso datore di lavoro potrebbe forzare il proprio ruolo direttivo nei
confronti del lavoratore imponendogli una pressione psicologica e/o emotiva tale da
costringerlo a dimettersi, perdendo il beneficio reciproco del preavviso, ma perdendo
anche la corresponsione dell’indennità spettante al lavoratore. Questa pratica era molto
usata negli anni passati, quando venivano all’atto di assunzione, fatte firmare le c.d.
“dimissioni in bianco”; fortunatamente il legislatore a previsto delle norme per impedire
il verificarsi di queste pratiche scorrette.