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INTRODUZIONE
Il rapporto di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani
nel 2011ha illustrato come tale anno sia stato di cruciale importanza,
nell’ambito della tutela globale dei diritti umani. Da Piazza Tahrir al
Partenone, dalle proteste di Zuccotti Park fino alla violenta
carneficina che il presidente siriano Bashar Al Assad ha intrapreso
nei confronti del suo stesso popolo, è emerso un dato chiaro e
incontrovertibile: sempre più persone hanno deciso di affollare le
piazze per rivendicare i propri diritti.
Qualcosa di simile è accaduto anche lo sorso anno. Come ha
osservato il Segretario generale della ONG fondata a Londra nel
1961, “In ogni parte del mondo la gente è scesa per le strade (…) per
mettere in luce la repressione e la violenza esercitate dai governi e
dagli altri potenti attori”.
1
L’esito delle contestazioni, tuttavia, non sempre è stato favorevole ai
manifestanti: la reazione degli enti governativi è stata spesso cruenta
e il numero delle persone uccise o ferite per aver esercitato i propri
diritti è cresciuto progressivamente. Nel 2012, infatti, le forze di
sicurezza di 50 paesi del mondo sono state responsabili di uccisioni
illegali in tempo di pace; in almeno 101 paesi la libertà d’espressione
è soggetta a forti restrizioni; ben 112 paesi hanno torturato i propri
cittadini – spesso proprio a seguito di proteste antigovernative
2
.
Lo scenario proposto da di Amnesty International è certamente
drammatico. Tuttavia credo sia possibile intravedere un unico,
piccolo fattore positivo: benché nel contesto globale odierno si
verifichino frequenti oltraggi alla dignità umana, gli individui e i
1
Shetty S., Amnesty International-Rapporto 2013: la situazione dei diritti umani nel
mondo, Roma, Fandango Libri, 2012, pp. 14.
2
Amnesty International, Rapporto annuale 2013: fatti e cifre,
http://rapportoannuale.amnesty.it/2013/fatti-e-cifre
8
popoli che abitano il nostro pianeta continuano ad avere a cuore la
salvaguardia dei propri diritti.
Il presupposto che nella natura umana sia possibile individuare un
fondamento comune in virtù del quale ogni uomo debba ritenersi
simile al prossimo e in quanto tale beneficiare delle medesime
opportunità, è un idea piuttosto antica. Eppure l’affermazione della
dignità umana quale inderogabile diritto da salvaguardare a livello
internazionale è una conquista relativamente recente, frutto di una
battaglia plurimillenaria culminata il 10 dicembre 1948 con
l’approvazione in sede ONU della Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo.
Tale documento presenta ancor oggi una valenza etica dalla portata
indiscutibile. Ed è in virtù di questa ragione che ho ritenuto
opportuno assumerlo quale punto di partenza ideale per questa
ricerca su un tema che personalmente ritengo molto affascinante,
quello dei diritti umani.
Il presente lavoro è strutturato in due parti. La prima di esse prende
in considerazione la categoria dei diritti umani nel dibattito
filosofico-giuridico, illustrando il percorso evolutivo che ha portato
al riconoscimento della dignità umana quale diritto inalienabile da
salvaguardare. Il primo capitolo analizza genesi, presupposti e limiti
della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, mentre nel
Capitolo 2 verrà illustrata la progressiva istituzionalizzazione
giuridica della nuova categoria a partire dalla sua genesi in ambito
filosofico. Prendendo spunto dall’analisi di alcuni degli oltraggi
storici alla dignità della persona, infine, il Capitolo 3 fornirà una
descrizione degli organismi che operano a livello globale per la tutela
e la promozione dei diritti dell’uomo.
La seconda parte di questo lavoro si propone invece di analizzare
abusi e violazioni ai danni dell’umanità nel Messico di Felipe
Calderón, che della repubblica centramericana è stato Presidente dal
9
2006 al 2012. La violenza con cui i cartelli della criminalità
organizzata impongono la propri legge sul territorio della
Federazione, fanno del Messico un paese sull’orlo di una guerra
civile. Una guerra che Calderón ha deciso di impugnare a spada
tratta, schierando l’esercito nelle zone più conflittuali. Quello stesso
esercito protagonista di episodi spiacevoli a tal punto da offendere la
dignità umana.
11
Capitolo 1: La Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo
1.1 Un “common standard of achievement”
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è un documento
che sintetizza in 30 articoli (preceduti da un Preambolo) i diritti e le
libertà fondamentali riservati ad ogni cittadino affinché egli possa
definirsi tale – diritti che è compito della comunità internazionale
tutelare laddove si verifichino abusi, violazioni o vuoti legislativi in
ciascun ordinamento giuridico nazionale. Venne commissionata nel
1946 dall’Assemblea Generale dell’Onu al Consiglio Economico e
Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), il quale produsse il
documento a seguito di una discussione durata più di due anni.
Circa la sua natura giuridica, è opportuno porre particolare
attenzione: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non può
essere definita, infatti, come un sistema di norme giuridicamente
cogenti poiché il rispetto e la salvaguardia dei principi enunciati nel
documento non ha carattere vincolante per i paesi che hanno scelto di
sottoscriverlo. Tuttavia essa costituisce un conglomerato di principi
dalla portata etica non indifferente, un “common standard of
achievement” – volendo utilizzare la definizione proposta da Eleanor
Roosevelt, a quei tempi Presidente dell’ECOSOC
3
.
Malgrado il suo carattere assolutamente “non vincolante” – almeno
sotto il profilo giuridico – l’enorme portata storica della
Dichiarazione Universale non deve essere trascurata, poiché “mentre
in passato l’attuazione dei programmi incentrati sui diritti umani era
di pertinenza dello Stato Sovrano, oggi l’indirizzo prevalente pone
3
Un fine cui tendere, un obiettivo comune da perseguire.
12
l’uomo accanto e al di sopra dello Stato Sovrano: e da titolare dei
diritti umani lo trasforma in soggetto di diritto internazionale”
4
.
Per la prima volta, dunque, l’essere umano diventa soggetto di diritto
e il suo nuovo status viene riconosciuto e garantito dalla comunità
internazionale. Nell’ambito del diritto internazionale, si tratta di una
vera e propria rivoluzione.
1.2 Genesi della Dichiarazione e contesto storico
Vi sono delle ragioni ben precise per cui i diritti dell’uomo e del
cittadino abbiano trovato cittadinanza in un corpus giuridico sul
finire degli anni ’40.
La Comunità internazionale non aveva ancora smaltito l’orrore che
provava nei confronti delle guerre mondiali, delle armi di distruzione
di massa, dello Shoah. Fu proprio in quegli anni, dunque, che si rese
necessaria l’istituzione di meccanismi atti a tutelare l’incolumità
della famiglia umana da nuove, potenziali minacce globali. Fu
proprio in quegli anni che apparve evidente quanto gli ordinamenti
giuridici allora esistenti non fossero in alcun modo preparati a
sanzionare in maniera efficace quei crimini la cui portata costituiva
di per sé un’agghiacciante novità:
Arendt ritiene che per gli ebrei non si trattasse più di rivendicare dei
diritti fino a quel momento negati a causa di un antico pregiudizio, bensì
di sopravvivere in un mondo dove non c’era più posto per loro. I diritti
dell’uomo, proclamati dalle dichiarazioni settecentesche come
universalmente validi, non potevano più essere applicati agli ebrei a
causa del loro statuto di apolidi. L’apolide non può pensare a un suo
4
Oestreich G., Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Roma, Laterza,
2001, pp. 139-140.
13
posto nel mondo se non nella forma della sua appartenenza all’umanità
e non a uno dei suo segmenti nazionali
5
.
Il genocidio ebraico, dunque, rese evidente la presenza di un enorme
vuoto legislativo: la comunità ebraica non avrebbe trovato giustizia
in nessun ordinamento giuridico nazionale allora vigente proprio in
virtù della propria non appartenenza ad una ben precisa entità statale,
si rendeva necessaria l’istituzione di nuovi organismi internazionali
deputati alla tutela degli ebrei in quanto appartenenti all’umanità.
A ben vedere, anche il concetto stesso di genocidio rappresentava
un’ingombrante novità in ambito giuridico:
Politicamente e giuridicamente, questi crimini erano diversi non solo per
gravità, ma anche nella loro essenza.
L’espulsione e il genocidio, sebbene siano entrambi delitti
internazionali, devono rimanere distinti: la prima è un crimine contro le
altre nazioni, mente il secondo è un attentato alla diversità umana in
quanto tale, cioè a una caratteristica della “condizione umana” senza la
quale la stessa parola umanità si svuoterebbe di significato.
Se la Corte di Gerusalemme avesse capito che c’è una differenza tra
discriminazione, espulsione e genocidio, avrebbe subito visto
chiaramente che il crimine supremo che essa doveva giudicare, lo
sterminio fisico degli ebrei, era un crimine contro l’umanità, perpetrato
sul corpo del popolo ebraico
6
.
Il concetto di genocidio avrebbe poi trovato una più puntuale
definizione giuridica parallelamente alla nascita della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo – grazie alla Risoluzione 260 A (III)
delle Nazioni Unite, nota appunto come Convenzione per la
prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.
5
Salvati, M., Alle origini della Carta del 1948, in Bovero M., Salvati M., a cura,
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 10 dicembre 1948: nascita, declino e
nuovi sviluppi, Roma, Ediesse, 2006, p.16.
6
Harendt, H., La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 1992, p.269.
14
Insomma, evidenti vuoti legislativi e profondo orrore per gli abomini
del conflitto mondiale furono condizioni necessarie e sufficienti per
una “rifondazione garantista di tipo non territoriale dei diritti
umani”
7
, ossia per l’istituzione di un nuovo ordine giuridico
internazionale che ponesse l’individuo e i suoi diritti fondamentali al
di sopra di ogni sovranità statuale.
Alla redazione di quel documento che oggi conosciamo con il nome
di Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo parteciparono i
delegati ONU di 18 paesi rappresentativi; come accennato, l’organo
incaricato di nominare i membri di tale, esclusiva “Commissione dei
diritti umani” fu l’ECOSOC – il Consiglio Economico Sociale delle
Nazioni Unite.
La Commissione designata dall’ECOSOC vantava la presenza di
parecchie personalità illustri in ambito filosofico-giuridico. Eleanor
Roosevelt venne incaricata di presiederla e il suo carismatico
pragmatismo fu essenziale per il raggiungimento di un comune
accordo tra i membri della Commissione. Il vice presidente fu il
filosofo cinese Peng-Chun Chang che, malgrado una solida
formazione “occidentale”
8
, si dimostrò particolarmente sensibile
verso i principi delle civiltà asiatiche.
Il Comitato di redazione era inoltre composto dal giurista canadese
John P. Humphrey (già direttore della Divisione per i Diritti Umani
del Segretariato dell’ONU), dal filosofo libanese Charles H. Malik
(anch’egli come Chang vantava un dottorato presso un’Università
statunitense, conseguito precisamente presso l’Università di Harvard)
e dal giurista francese René Cassin, il cui contributo fu
preziosissimo, soprattutto per la sua abilità in fase di mediazione – il
7
Salvati, M., Alle origini della Carta del 1948, in Bovero M., Salvati M., a cura,
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 10 dicembre 1948: nascita, declino e
nuovi sviluppi, Roma, Ediesse, 2006, p.19.
8
P.C.Chang aveva conseguito un dottorato in Filosofia presso la Columbia
University,
15
Comitato di Redazione venne implementato con un delegato cileno,
uno filippino, uno indiano, uno australiano, uno britannico e, infine,
un delegato sovietico.
Pervenire a un accordo unanime fu tutt’altro che semplice: nella fase
di redazione si inscenò un confronto (obbligato e prevedibile) tra le
più diverse tradizioni filosofiche e antropologiche, senza contare che
“una giurisprudenza e un pensiero giuridico unitari mancavano
interamente a quella società universale di Stati che sono le Nazioni
Unite”
9
.
In realtà il “confronto” fu essenzialmente di carattere politico e
investì in primo luogo la natura stessa del documento. Ci si chiese
innanzitutto se questa sorta di catalogo dei principi e delle libertà
fondamentali dell’uomo e del cittadino avrebbe dovuto essere
vincolante o meno, per le entità statali che avrebbero scelto di
sottoscriverlo.
I paesi dell’America Latina si dimostrarono particolarmente sensibili
all’argomento e spinsero affinché la Commissione nominata
dall’ECOSOC elaborasse una Convenzione che obbligasse gli stati
aderenti al rispetto e alla tutela dei principi enunciati – inoltre, in fase
di approvazione all’Assemblea Generale dell’ONU tenutasi nel
dicembre del 1948, proposero una lunga lista di emendamenti e
modifiche da apportare al documento redatto dalla Commissione.
Ebbene, alla fine si optò per una semplice Dichiarazione, un
documento giuridicamente “non vincolante”. Particolarmente
favorevoli all’idea, le due superpotenze mondiali di allora: gli Stati
Uniti e l’Unione Sovietica (e i gruppi di paesi che all’uno o all’altro
“blocco” facevano riferimento) che paventavano l’ingerenza
eventuale della comunità internazionale nei propri affari interni.
9
Oestreich G., Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Roma, Laterza,
2001, p.140.
16
Inutile precisare che la sintonia verificatasi tra USA e URSS circa la
natura del documento fu un caso isolato: in realtà l’intero processo di
redazione fu condizionato dal dibattito tra i paesi occidentali e quelli
facenti parte del blocco sovietico. I paesi socialisti partivano
innanzitutto dal presupposto che ognuno dei diritti enunciati nella
Dichiarazione fosse privilegio ampiamente rappresentato nel proprio
ordinamento giuridico – la Dichiarazione avrebbe dunque esercitato
il suo profondo impatto “etico” principalmente nei paesi occidentali,
laddove i diritti e le libertà fondamentali del cittadino erano
pressoché ignorati. In maniera del tutto speculare, gli Stati Uniti
auspicavano la redazione di un documento che riflettesse
sostanzialmente i principi contenuti nelle costituzioni occidentali – a
tal proposito, il biografo di Eleanor Roosevelt dichiarò che “la
politica degli USA consisteva nel produrre una dichiarazione che
fosse la copia in carta carbone della Dichiarazione americana di
indipendenza e della Dichiarazione americana dei diritti dell’uomo e
del cittadino”
10
.
Il tema principale della disputa riguardò l’inserimento o meno dei
diritti economici e dei diritti sociali, fortemente voluti dai paesi
socialisti – su tale argomento, torneremo più avanti.
La prima bozza del documento venne redatta da Humphrey. Il
giurista canadese elaborò un corposo elenco di norme (48 articoli,
400 pagine) basandosi prevalentemente sullo Statement of essential
human rights promulgato dall’American Law Institute e sulla Carta
dei Diritti e dei Doveri dell’Uomo – meglio nota come Dichiarazione
di Bogotà; Humphrey raccolse inoltre le istanze avanzate da ciascun
membro della Commissione. Il suo contributo venne definito come
“un impressionante distillato di quasi 200 anni di sforzi per articolare
i più fondamentali valori umani in termini di diritti”
11
. Tuttavia, ai
10
Cassese A., I diritti umani oggi, Roma, Laterza, 2009, p.34.
11
Papini R., Il dibattito attorno ai principi della Dichiarazione del 1948. Problemi
di ieri e problemi di oggi, in Bonanate L., Papini R., a cura, Dialogo interculturale e
17
membri della Commissione appariva evidente che l’umanità avrebbe
avuto bisogno di un testo più essenziale, per orientarsi con efficacia
nella salvaguardia dei propri diritti.
Si rese dunque necessaria una revisione, compito che venne affidato
a René Cassin. Questi introdusse il Preambolo e snellì la bozza
Humphrey, dotandola al contempo di maggior coerenza e coesione
interna. Inoltre, il giurista francese “fu abile soprattutto nel mostrare
che il nuovo documento non costituiva solo una lista di diritti, ma un
insieme coerente che aveva tre caratteristiche: la storicità, la
progressività e l’universalità”
12
.
Passato il vaglio della Commissione, dell’ECOSOC e della
Commissione ONU per gli Affari Sociali, Umanitari e Culturali, il
testo definitivo venne presentato all’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, che lo approvò il 10 dicembre 1948 con 48 voti
favorevoli, nessun voto contrario e 8 astensioni (URSS, Bielorussia,
Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Ucraina, Arabia Saudita, Sud
Africa).
1.3 Gli articoli della Dichiarazione Universale e le dispute in
Commissione
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è dunque un
corpus di norme giuridicamente non cogenti che, enunciando i diritti
e le libertà fondamentali spettanti a ogni essere umano, si propone
quale massimo strumento per la definizione e l’orientamento nella
tutela dei principi in essa contenuti.
diritti umani : la Dichiarazione universale dei diritti umani : genesi, evoluzione e
problemi odierni (1948-2008), Bologna, Il Mulino, 2008, p.40.
12
Ivi, p.41.