CAPITOLO 1
DESCRIZIONE DEI CARATTERI PARTICOLARI DEL COMPARTO VITIVINICOLO SA-
LENTINO
1.1 – Cenni storici
1
La coltivazione della vite in Salento ha origini molto antiche, avendo caratte-
rizzato, insieme all'olio e all'olivo, la cultura e la tradizione pugliese e salentina.
La produzione vinicola pugliese è – in termini di quantità – fra le principali in
Italia, caratterizzando la regione come “serbatoio” di vino per l'Italia e l'Europa.
Per anni i vini pugliesi venivano destinati alle altre zone del nord ed europee
con il compito di “tagliare” i vini locali, per conferire loro colore, struttura e gra-
do alcolico.
Da alcuni anni – fortunatamente – la situazione sta cambiando ed i produtto-
ri pugliesi, finalmente consapevoli dell'enorme potenziale vinicolo della regio-
ne, hanno iniziato a dedicarsi alla produzione di qualità, grazie anche alla pre-
senza di uve autoctone che negli ultimi anni hanno guadagnato la ribalta inter-
nazionale, come il Negroamaro, il Primitivo, l'Uva di Troia, l'Aleatico, la Malvasia
sia bianca che nera, eccetera.
Si ritiene che la vite sia sempre stata presente in Puglia, ancora prima della
colonizzazione greca nel VIII secolo a.C., anche se alcune varietà, oggi autocto-
ne, furono introdotte proprio dai Greci, come il Negroamaro e l'Uva di Troia, i
quali introdussero anche il sistema di coltivazione detto “ad alberello”, sistema
oggi diventato il più diffuso in Puglia.
Con l'arrivo e il dominio dei Romani – dopo la vittoria contro Pirro nel 275
1 Il testo di questo paragrafo e dei successivi paragrafi 1.3, 1.3.1, 1.3.2, 1.4.2.2 (con integrazioni), compresa la
figura, è stato tratto ed adattato dal seguente articolo:
Antonello Biancalana, DiWineTaste – Cultura e Informazione Enologica
http://www.diwinetaste.com/dwt/it2007042.php
ed utilizzato per gentile concessione.
5
a.C. – la produzione e la commercializzazione di vino aumentarono, ed i vini pu-
gliesi iniziarono ad essere presenti ed apprezzati sulle tavole dell'Impero. Plinio
il Vecchio, nella sua monumentale opera Naturalis Historia, elencando le varietà
di uva greche, ricorda che in Puglia erano presenti il Negroamaro, l'Uva di Troia
e le Malvasie Nere di Lecce e Brindisi.
Oltre a Plinio il Vecchio, anche Quinto Orazio Flacco e Albio Tibullo hanno la-
sciato ampie testimonianze nei loro scritti sulle varie tecniche di coltivazione
della vite e sulla produzione di vino all'epoca degli Antichi Romani, decantando
il colore, il profumo e il sapore dei vini pugliesi.
Plinio il Vecchio definì Manduria – il territorio pugliese più rappresentativo
per il Primitivo – come viticulosae, ossia “piena di vigne”. Altri autori definirono
come viticulosae anche Mesagne, Aletium (Alezio) e Sava. Gli autori più illustri
di quel tempo – tra i quali Marco Valerio Marziale e Ateneo di Naucrati – elogia-
rono nelle loro opere le qualità del vino pugliese.
Dopo la costruzione del porto di Brindisi – avvenuta nel 244 a.C. – il commer-
cio del vino divenne più fiorente e a Taranto si conservavano enormi quantità di
vino in cantine scavate nelle rocce lungo la costa, in modo da facilitarne imbar-
co e spedizione.
La Puglia divenne così un importante “deposito” di vino, diventando
quest'ultimo uno dei prodotti – insieme all'olio – che si legherà alle tradizioni e
alla cultura. Tale legame sarà però caratterizzato più dalla quantità che dalla
qualità, anche se un segno indelebile lo lascerà nella cultura: infatti dal termine
latino merum che ha il significato di “vino puro” o “vino genuino” deriva il ter-
mine dialettale mjere (o mjeru, a seconda delle zone) che significa appunto
“vino”.
6
Dopo la caduta dell'impero romano, la coltivazione di uva e la produzione di
vino entrarono in un periodo di crisi, e solo grazie ai monasteri e ai monaci le
due attività sopravviveranno e continueranno a caratterizzare la Puglia. Nel Me-
dioevo i quantitativi di vino prodotti sono ancora enormi; non per niente Dante
Alighieri descrive la Puglia come «terra sitibonda ove il sole si fa vino». L'impor-
tanza di tale coltura e della produzione vinicola fu ben compresa anche da Fe-
derico II di Svevia, che provvedette a far piantare migliaia di viti nella zona di
Castel del Monte, nonostante fosse astemio.
Dopo aver raggiunto un ruolo strategico per l'economia pugliese, nel 1362
Giovanna I d'Angiò firmò una legge che vietava l'introduzione di vino prodotto
fuori dal territorio. Solo dopo il Rinascimento i vini della Puglia verranno cono-
sciuti ed apprezzati nel resto d'Italia e in alcune zone della Francia, dove verran-
no consumati anche sulle tavole delle corti nobiliari. Nell'opera De naturali vi-
norum historia di Andrea Bacci vengono ricordati i vini di “ottima qualità” pro-
dotti nelle zone di Lecce, Brindisi e Bari, quelli di Foggia e del Gargano come vini
di “media forza ma sinceri nella sostanza sicché durano fino al terzo anno e an-
che di più”, mentre i migliori vini di Puglia sono quelli prodotti a Manfredonia.
Successivamente – nel 1700 e nel 1800 – la Puglia rimarrà sempre conosciuta
per la grande quantità di vino, ma mai per la qualità, creando un serio problema
di eccedenze per le cantine, anche se costituiscono un cospicuo profitto.
Con l'arrivo di un'epidemia di fillossera nei vigneti del Nord Italia e in Europa,
le quantità di vino pugliese attenuarono gli effetti del flagello, arrivando a copri-
re la domanda francese, insufficiente nella produzione locale. Per via del ritardo
della fillossera i produttori francesi arrivarono in Puglia producendo vino da
esportazione per i mercati francesi, tedeschi e austriaci. Una volta arrivata la fil-
lossera anche in Puglia si ebbe il crollo dell'economia vitivinicola e per risolleva-
7
re l'enologia pugliese vennero introdotte nuove uve da sostituire progressiva-
mente a quelle locali, anche se la comparsa delle cantine sociali favorì un'ecces-
siva produzione di quantità senza nessun riguardo per la qualità. Per questo
motivo, la produzione sarà principalmente orientata ai vini da taglio per miglio-
rare nel corpo e nel colore i vini di altre zone d'Italia e d'Europa. Dopo la Secon-
da Guerra Mondiale, alcuni produttori iniziarono a produrre vini di qualità, ma
solo dopo il 1990 si ebbe una nuova consapevolezza delle potenzialità enologi-
che della regione da parte dei produttori locali e delle altre cantine del resto
d'Italia.
1.2 – Classificazione dei vini
I vini in Italia sono classificati secondo la nuova regolamentazione basata su
quella europea del Regolamento CE n. 479/2008 in vigore dal 1 Agosto 2009.
I vini vengono dapprima distinti in due macro–categorie denominate “Vino A
Origine Geografica” e “Vino Senza Origine Geografica”. Nella prima categoria
rientrano i vini che possiedono un legame territoriale e un disciplinare (ovvero i
vini DOP e IGP), mentre nella seconda categoria rientrano i vini che non hanno
né legame territoriale, né un disciplinare (ovvero i vini che in precedenza erano
denominati “vini da tavola”).
Altra novità introdotta è che i controlli, come per tutti i prodotti DOP e IGP ,
possono essere affidati sia ai Consorzi di Tutela, sia agli Enti di Certificazione ac-
creditati; oltre ad una nuova regolamentazione per la designazione e l'etichet-
tatura con il Regolamento CE n. 607/2009.
La suddivisione ufficiale, riportata nel Regolamento CE n. 1234/2007, elenca i
seguenti tipi di vino in ordine crescente di specificità:
● Vino (nuova denominazione che ha sostituito la precedente denomina-
8
zione “Vino da tavola”);
● Vino Varietale;
● Vino a Indicazione Geografica Protetta (IGP);
● Vino a Denominazione di Origine Protetta (DOP).
In Italia, prima dell'11 Maggio 2010, data in cui è stato pubblicato il DL 8 Apri-
le 2010 n. 61, vigeva la Legge n. 164 del 10 Febbraio 1992 “Nuova disciplina del-
le denominazioni d'origine” che elencava le seguenti tipologie:
● vino da tavola o VCC (vino di consumo corrente);
● VQPRD (vino di qualità prodotto in regioni determinate);
● VSQPRD (vino spumante di qualità prodotto in regioni determinate);
● VFQPRD (vino frizzante di qualità prodotto in regioni determinate);
● VLQPRD (vino liquoroso di qualità prodotto in regioni determinate);
● VSAQPRD (vino spumante aromatico di qualità prodotto in regioni deter-
minate).
Tali tipologie sono state eliminate e sostituite dalle nuove denominazioni, an-
che se è ancora possibile trovare delle etichette riportanti queste diciture.
Il vino, anche se ha sempre avuto normative specifiche, rientra nei prodotti
agroalimentari grazie all'emanazione del Regolamento CE n. 1234/2007
sull'Organizzazione Comune dei Mercati Agricoli e disposizioni specifiche per ta-
luni prodotti agricoli.
La classificazione italiana, quindi, è simile a quella europea, ma con alcune
peculiarità:
9
● la sigla IGT può essere utilizzata al posto della corrispondente IGP;
● le sigle DOC e DOCG permangono come specificità italiana e possono es-
sere utilizzate al posto della sigla DOP che le comprende entrambe;
● vengono conservate le menzioni di sotto–zone o sotto–denominazioni.
I disciplinari per la produzione dei vini DOC e DOCG stabiliscono specifiche
condizioni da rispettare per rientrare nelle caratteristiche produttive a garanzia
del livello qualitativo, ovvero:
● la denominazione di origine;
● i terreni di produzione dell'uva;
● la resa massima per ettaro;
● il minimo titolo alcolometrico;
● le caratteristiche chimico–fisiche.
La produzione dei vini DOC e DOCG è sottoposta a controllo delle caratteristi-
che chimico–fisiche ed organolettiche durante tutto l'arco di produzione com-
prendente, per i vini DOCG, anche l'imbottigliamento. La promozione del pro-
dotto è poi subordinata al giudizio di apposite commissioni di esperti. Il ricono-
scimento delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche è esegui-
to in sede europea, mentre in precedenza era eseguito a livello di singolo stato
membro. Con il DL 8 Aprile 2010, n. 61 si è inoltre istituito il Comitato Nazionale
Vini DOP e IGP , un organo facente capo al Ministero delle Politiche Agricole, Ali-
mentari e Forestali il cui compito è la tutela e protezione dei vini DOP e IGP ita-
liani.
Qui di seguito viene descritto nei particolari cosa si intende per ciascuna ca-
10
tegoria delle nuove denominazioni:
● Vino: comprende i vini precedentemente denominati “vini da tavola”, ot-
tenuti con uve autorizzate, non sottoposte a particolari disciplinari di pro-
duzione. Spesso sono vini generici di qualità modesta, riportanti in eti-
chetta la ragione sociale dell'imbottigliatore, facoltativamente possono
riportare l'indicazione del colore e/o l'annata a precise condizioni, ma
non i vitigni utilizzati e neanche la denominazione d'origine. Tuttavia non
è detto che tale dicitura sia sinonimo di un vino “scarso”, significa solo
che non è stato seguito alcun disciplinare di produzione, ovvero risulta
“anonimo” – almeno nell'Unione Europea – rispetto alla logica delle de-
nominazioni d'origine, tanto che non è raro trovare vini generici di gran-
de qualità e prestigio. Anche se non previste dalla legge, possono essere
presenti diciture del tipo “vino generico”, “vino tal quale” o “vino comu-
ne” per identificare i vini appartenenti all'abolita categoria dei “vini da
tavola”;
● Vino Varietale: i vini appartenenti a questa categoria devono essere com-
posti per almeno l'85% con i vitigni riportati in etichetta. L'elenco delle
uve da utilizzare per etichettare un vino come varietale comprende, nella
maggior parte dei casi, vitigni internazionali. Anche questa è una novità
introdotta dalla nuova normativa e non può riportare l'indicazione di ori-
gine ma solo, facoltativamente, l'annata;
● Vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT): con questa dicitura si intende
il nome geografico della zona utilizzato per identificare il prodotto che ne
deriva e corrisponde alla classificazione europea IGP . Comprende i vini
prodotti in determinate regioni o aree geografiche (autorizzate per leg-
ge), talvolta secondo un generico disciplinare di produzione. Possono ri-
11
portare sull'etichetta l'indicazione del colore, l'indicazione del vitigno o
dei vitigni utilizzati e l'annata di raccolta delle uve. A partire da questo li-
vello di vino diventa obbligatorio un disciplinare di produzione, redatto
ed approvato secondo le norme UE, essendo il primo livello della classifi-
cazione dei vini ad indicazione di origine. Tale indicazione può essere so-
stituita dalle denominazioni “Vin de pays” per i vini prodotti in Valle
D'Aosta e “Landwein” per i vini prodotti in provincia di Bolzano. In questa
e nelle altre due precedenti categorie possono anche essere presenti vini
di elevatissima qualità, per motivi dovuti a scelte commerciali, all'impos-
sibilità – a causa della loro composizione – di rientrare nei disciplinari di
produzione di qualità delle zone di produzione, oppure perché un produt-
tore rifiuta per principio i disciplinari restrittivi o le denominazioni. In
questo modo il produttore, potendo etichettare i vini come “generici” o
“IGP”, si può permettere una maggiore libertà di sperimentazione;
● Vino a Denominazione d'Origine Controllata (DOC): con questa denomi-
nazione si intende il nome geografico di una zona viticola a particolare
vocazione, utilizzato per denominare un prodotto di qualità e rinomato,
le cui caratteristiche sono connesse sia all'ambiente naturale che ai fatto-
ri umani. Comprende vini prodotti in determinate zone geografiche nel ri-
spetto di uno specifico disciplinare di produzione ed è equivalente alla
categoria europea DOP . I vini di questa categoria, prima di essere messi in
commercio, devono essere sottoposti ad una preliminare analisi chimico–
fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti
previsti dal disciplinare, impedendone la commercializzazione con tale di-
citura in caso di esito negativo. La dicitura DOC fu istituita con il DL 12 Lu-
glio 1963, n. 930;
12