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INTRODUZIONE
La teoria dell‟attaccamento di Bowlby, originariamente formulata per spiegare lo
sviluppo di disturbi emozionali, è una più ampia teoria di sviluppo sociale che
descrive le origini dei modelli dei rapporti interpersonali intimi. L‟interazione tra
ambiente, in particolare con le prime figure di cura, e i fattori genetici nei primi mesi
di sviluppo porta a differenze individuali nei comportamenti di attaccamento, che
costituiscono azioni interpersonali che mirano ad aumentare il senso di sicurezza nei
momenti di stress o necessità. Questi schemi interpersonali tendono a stabilizzarsi e
in età adulta sono noti come stili di attaccamento, che forniscono gli schemi
cognitivi, o modelli di lavoro, attraverso cui percepirsi e relazionarsi con il proprio
mondo e si comportano come profezie che si autoavverano: le persone si comportano
in modi che suscitano schemi comportamentali congruenti negli altri. Le risposte
degli altri, quindi, rafforzano i modelli di lavoro fino a quando i modelli si radicano
profondamente nella struttura di personalità. Così, gli stili di attaccamento, non solo
promuovono percezioni e sviluppo positivi, ma possono anche predisporre a vivere
diverse forme di psicopatologia.
L‟attaccamento negli adulti sta diventando sempre più importante nelle ricerche sulla
psicopatologia, poiché influenza molti fenomeni bio-psico-sociali, tra cui il
funzionamento sociale, la risposta allo stress e il benessere psicologico. Si suppone
che differenze concernenti la sicurezza dell‟attaccamento siano collegate a sintomi
psicopatologici in seguito alle associate strategie di regolazione affettiva. I bambini
sviluppano schemi cognitivi, comportamentali ed emotivi che sono specificatamente
pensati a mantenere la vicinanza ai genitori. Gli individui, quando sono stressati o
angosciati, si aspettano che le figure di attaccamento siano disponibili e cercano di
ridurre l‟angoscia attraverso la prossimità. I soggetti con attaccamento insicuro
ansioso, che sperimentano le figure di attaccamento come non disponibili, ne cercano
la vicinanza, temendone però il rifiuto, questo comportamento conduce ad una forte
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attivazione del sistema di attaccamento tramite un‟ipersensibilità agli stimoli
emotivi. Al contrario, individui con attaccamento evitante, evitano la prossimità alla
figura di cura e il sostegno sociale in generale, in quanto, hanno imparato a
disattivare le loro emozioni. Secondo Bowlby, queste associazioni regolano
l‟influenza di attaccamento dell‟affetto in tutto il corso della vita e queste prime
esperienze relazionali sono memorizzate in strutture cognitive chiamate Modelli
Operativi Interni (MOI).
Inoltre, poiché i pattern di attaccamento provocano percezioni e reazioni negli altri,
ne consegue che dovrebbero anche influenzare il modo in cui gli individui
percepiscono il processo terapeutico e rispondano a diversi trattamenti. In relazione a
ciò, la ricerca sui risultati dei trattamenti conclude che la teoria dell‟attaccamento è
utile, non solo alla comprensione dello sviluppo nel corso della vita, della personalità
e della psicopatologia, ma fornisce anche una guida per selezionare i trattamenti più
appropriati in relazione all‟individualità del paziente.
Le recenti indagini longitudinali hanno documentato le precoci difficoltà relazionali
che predispongono un individuo a sviluppare un disturbo Borderline in età adulta, in
particolare il più grave disturbo relazionale è l‟attaccamento disorganizzato.
L‟attaccamento disorganizzato non esprime un coerente comportamento di
attaccamento, ma piuttosto, un insieme di ansia ed evitamento ed è stato associato a
comportamenti problematici tardivi nei bambini, aggressione, Disturbi Post
Traumatici da Stress negli anni scolastici e problemi dissociativi in adolescenza.
Gli studi sugli animali suggeriscono che i modelli dei primi attaccamenti influenzano
lo sviluppo cerebrale, contribuendo ad alterazioni permanenti nella struttura neurale.
Ricerche attuali indicano che le differenze negli stili di attaccamento sono associate a
differenze nelle strutture neurali delle regioni implicate nella regolazione delle
emozioni, il sistema limbico. L‟esperienza di attaccamento precoce può quindi
contribuire a differenze strutturali del cervello, associate con lo stile di attaccamento,
nell‟età adulta.
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La presente ricerca vuole fornire un punto di osservazione sulle associazioni tra
disturbi dell‟attaccamento, alterazioni del funzionamento generale (lavorativo,
sociale, psicologico) e possibile sviluppo di problematiche psichiatriche, cercando di
fare luce sulle dinamiche che conducono al disagio mentale e, di conseguenza, sui
trattamenti utili volti alla (ri)abilitazione dei soggetti psichiatrici, secondo la teoria
dell‟attaccamento.
A tale scopo, 18 pazienti psichiatrici di quattro strutture del CSM di Forlì, hanno
dato la loro disponibilità nel sottoporsi ad una batteria di strumenti volti ad indagare
gli aspetti di cui sopra: l‟MMSE (Folstein, 1975), questionario che valuta lo stato
cognitivo; SCL-90 (Derogatis, 1977), questionario che sonda diversi disturbi psico-
patologici eventualmente provati dal soggetto nell‟ultima settimana e l‟AAP
(George, West, 2001), proiettivo che esplora lo stile di attaccamento negli adulti.
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Capitolo 1 I DISTURBI PSICHIATRICI: DEFINIZIONE E QUADRO
GENERALE
Le più importanti patologie psichiche di cui si occupa la psichiatria riguardano le
psicosi, i disturbi dell‟umore e i disturbi della personalità.
Le psicosi si caratterizzano per la compromissione dell‟esame di realtà, delle
funzioni cognitive, affettive e comportamentali, per la presenza di deliri e
allucinazioni. Si distinguono in psicosi esogene a eziologia organica, tra cui
Demenza, Delirium e Psicosi indotte da sostanze; psicosi endogene a eziologia
funzionale che comprendono la Schizofrenia, il Disturbo Schizofreniforme, il
Disturbo Schizoaffettivo, il Disturbo Delirante (paranoia), il Disturbo Psicotico
Breve, il Disturbo Psicotico Condiviso e il Disturbo Psicotico Non Altrimenti
Specificato; infine l‟Episodio Depressivo Maggiore, l‟Episodio Maniacale, il
Disturbo Unipolare, Bipolare (Psicosi Maniaco Depressiva) e Misto, che pur essendo
manifestazioni psicotiche vengono trattate dal DSM-IV tra i Disturbi dell‟Umore.
I Disturbi dell‟Umore si caratterizzano per compromissioni a carico dell‟affettività e
si distribuiscono lungo un continuum che va dal polo della depressione al polo
opposto della mania. Si distinguono in Disturbi affettivi maggiori che includono:
Episodio Depressivo Maggiore, Episodio Maniacale, Episodio Misto, Disturbo
Bipolare 1 e Disturbo Bipolare 2; in Disturbi affettivi minori ciclici che
comprendono la Ciclotimia; e in altri disturbi affettivi di tipo depressivo tra cui:
Distimia, Disturbo dell‟adattamento con umore depresso, depressioni secondarie e
lutto patologico.
I Disturbi di Personalità consistono in esperienze interiori e comportamenti stabili e
pervasivi che deviano rispetto agli standard culturali dell‟individuo, esordiscono
nell‟adolescenza o nella prima età adulta. Determinano disagio o menomazione
rispetto alle relazioni affettive e all‟adattamento alla realtà; non producono quadri
clinici nell‟area psicotica o nevrotica se non di fronte ad eventi frustranti l‟assetto
narcisistico del soggetto.
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Nonostante i chiari criteri del DSM, è difficile che diversi psichiatri eseguano la
stessa diagnosi sullo stesso paziente, la diagnosi di Disturbo di Personalità viene
effettuata solamente ai soggetti che manifestano comportamenti che deviano
nettamente dalla norma, per cui diventa una variabile di difficile quantificazione nei
servizi di salute mentale (Volpe, Filippelli, Franza, Gaudino, De Rosa, Fuschillo,
Macolino &Perozziello, 2009). I pazienti che presentano, o che hanno comorbilità
con, Disturbi di Personalità costituiscono la metà dei pazienti in carico ai servizi ma
sono classificati secondo altre categorie, in quanto esiste una maggiore tendenza a
riportare solo diagnosi di Asse I.
Nel DSM-IV sono inseriti in Asse II che descrive i Disturbi di Personalità e il ritardo
mentale, anziché in Asse I che descrive i disturbi psichiatrici.
Si distinguono in tre cluster:
Cluster A: caratterizzato da bizzarria, eccentricità, tendenza all‟isolamento e
sfiducia nelle relazioni; ne fanno parte i D.P. paranoide, schizoide e
schizotipico.
Cluster B: caratterizzato da instabilità emotiva e teatralità; ne fanno parte i
D.P. borderline, antisociale, narcisistico e istrionico.
Cluster C: caratterizzato da stati ansiosi e fobici; ne fa fanno parte i D.P.
ossessivo -compulsivo, dipendente ed evitante.
In questa sede mi occuperò strettamente dei disturbi, diagnosticati tramite l‟ausilio
del DSM-IV (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali), di cui sono
affetti i soggetti del campione che ho intervistato.
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1.1 PSICOSI
SCHIZOFRENIA
La schizofrenia è caratterizzata da disfunzioni cognitive ed emotive che riguardano:
percezione, controllo del comportamento, affettività, fluidità e produttività del
pensiero e dell‟eloquio, capacità di provare piacere, volontà, iniziativa e attenzione.
Il quadro clinico distingue due categorie: positiva e negativa. I sintomi positivi
comportano una distorsione di funzioni normali, in particolare del contenuto del
pensiero (deliri), della percezione (allucinazioni), del linguaggio (eloquio
disorganizzato) e del controllo del comportamento (comportamento disorganizzato o
catatonico). I sintomi negativi comportano una diminuzione o perdita di funzioni
normali, in particolare della sfera emotiva (appiattimento dell‟affettività), della
produttività del pensiero e dell‟eloquio (alogia) e del comportamento finalizzato
(abulia).
Nella comprensione del funzionamento cerebrale dei pazienti affetti da schizofrenia,
una delle ipotesi recentemente più accreditate, fa riferimento alla “Teoria della
Mente” (ToM) e postula un coinvolgimento delle strutture frontali che sono deputate
alle funzioni cognitive superiori, al comportamento sociale, alla memoria episodica e
alla consapevolezza di sé. I pazienti hanno parzialmente perso la capacità di formare
metarappresentazioni, conservando quelle di primo ordine, “io penso che tu pensi”,
la cui flessibilità, velocità e generalizzabilità, sono talmente compromesse da non
permettere la comprensione delle metarappresentazioni di secondo ordine, “io penso
che tu pensi che lui pensa”, conducendo, dunque, ad una vita sociale inadeguata e a
comunicazione inappropriata. La compromissione del funzionamento cerebrale è
associata a deficit degli aspetti pragmatici, e non linguistici, della comunicazione e
potrebbe quindi essere responsabile dell‟appiattimento affettivo, della ridotta o
assente comprensione dell‟ironia e delle capacità di eseguire inferenze e attribuzioni.
Tali ipotesi sono confermate dagli studi che utilizzano le immagini a risonanza
magnetica funzionale (fMRI) che individuano nella regione destra del lobo frontale
l‟origine dei deficit della “Teoria della Mente” e che tale teoria sia un meccanismo
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mentale indipendente dai processi mentali periferici, quali percezione, controllo
motorio ed elaborazione del linguaggio. Secondo quanto sopra, pare che la
vulnerabilità biologica abbia una responsabilità pari alla pressione esercitata
dall‟ambiente nello sviluppo del disturbo schizofrenico.
Uno studio volto ad indagare il livello delle abilità socio-emotive in pazienti
schizofrenici, conferma tali ipotesi secondo cui, nella schizofrenia, è assente il
costrutto di “Teoria della Mente”, “io penso che tu pensi” (Pagano & Carpinelli,
2010).
Gli strumenti utilizzati a tale scopo sono: MMSE, di cui tratterò in seguito; il Test
della ToM 1 che indaga la capacità di essere empatici e comprendere gli stati mentali
altrui, è composto di 13 brevi storie che descrivono situazioni familiari e sociali e il
soggetto deve dire la motivazione per cui i personaggi si sono comportati in quel
determinato modo; il Test della ToM 2 (primo e secondo ordine) che si differenzia
dal precedente perché le storie sono raccontate con un supporto visivo di alcune
scene della storia; il Test di attribuzione delle emozioni, che indaga la capacità di
attribuire stati emotivi alle altre persone, si compone di 58 brevi storie che
descrivono situazioni emotigene e fanno riferimento a sette emozioni: tristezza,
paura, imbarazzo, disgusto, felicità, rabbia e invidia, il soggetto deve riferire come si
sente il protagonista in quella particolare situazione. Il deficit della “Teoria della
Mente” è confermato dai valori bassi nelle emozioni quali imbarazzo, rabbia e
invidia, che dimostrano la perdita della capacità di formare metarappresentazioni più
strutturate e complesse, conservando invece quelle di primo ordine, come felicità e
paura. Tale compromissione ha ripercussioni sia nelle abilità rispetto alle interazioni
sociali, sia nei compiti sperimentali.
Criteri diagnostici
Per una diagnosi di disturbo schizofrenico, le aree di funzionamento, come il lavoro,
lo studio, le relazioni interpersonali e la cura del sé sono notevolmente deficitarie
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rispetto al periodo precedente la malattia; la durata complessiva del disturbo deve
essere almeno di sei mesi, che include almeno un mese (o meno se trattato con
successo) di sintomi attivi e periodi di sintomi prodromici o residui che si presentano
in forma negativa o in forma positiva attenuata, come convinzioni strane o esperienze
percettive inusuali.
Il disturbo Schizofrenico si differenzia dal Disturbo Schizoaffettivo e dai Disturbi
dell‟Umore con Manifestazioni Psicotiche, in quanto, nessun Episodio Depressivo
Maggiore, Maniacale o Misto si verifica in concomitanza con i sintomi della fase
attiva, o la loro durata è relativamente breve rispetto alla durata dei sintomi attivi o
residui; inoltre non è dovuto agli effetti di sostanze da abuso o condizioni mediche
generali.
Decorso e prognosi
Insorge nella prima età adulta attraverso sintomi premorbosi quali diminuite capacità
scolastiche e occupazionali, relazioni difficili e ansiogene, depressione,
appiattimento dell‟affettività, sospettosità, ostilità, aggressività, passività e
introversione.
Il decorso si presenta attraverso esarcebazioni e remissioni, ogni ricaduta è seguita da
ulteriore deterioramento del funzionamento. L‟esordio può essere insidioso o lento e
graduale.
Una prognosi favorevole si trova in presenza di un esordio acuto e tardivo, di un
evento scatenante, ambiente familiare e rete sociale supportivi e compliance alla
terapia farmacologica. Una prognosi infausta è associata a più della metà dei casi e
conduce alla progressiva scomparsa dei sintomi positivi, poiché particolarmente
rispondenti al trattamento, e al deterioramento del funzionamento generale e al ritiro
autistico.
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Il DSM-IV distingue diverse forme cliniche della schizofrenia in base al quadro
clinico:
Tipo paranoide
Tipo disorganizzato
Tipo catatonico
Tipo indifferenziato
Tipo residuo
Schizofrenia tipo paranoide
Il tipo paranoide è caratterizzato dalla presenza di deliri organizzati generalmente
attorno a un tema ricorrente, solitamente trattasi di deliri persecutori o di grandezza,
le allucinazioni aderiscono al tema delirante.
Il vissuto emotivo comprende ansia, diffidenza, rabbia, isolamento e ostilità;
l‟atteggiamento può tuttavia essere adeguato in determinati contesti relazionali, ma
può predisporsi all‟aggressività o al suicidio nel caso di combinazione di delirio di
persecuzione e grandiosità, con rabbia.
Il funzionamento cognitivo e l‟affettività rimangono integre nelle aree non
interessate dalla psicosi, perciò, a differenza della schizofrenia, il comportamento
disorganizzato o catatonico, l‟eloquio disorganizzato e l‟affettività appiattita o
inadeguata, non sono rilevanti ai fini della diagnosi.
L‟esordio avviene intorno ai trenta, quaranta anni, tardivamente rispetto alla
schizofrenia e alle altre sue forme cliniche, per cui, in genere i soggetti si sono già
costruiti una rete sociale che può rivelarsi supportiva durante la malattia, le funzioni
cognitive ed emotive presentano minime regressioni, manca eloquio e
comportamento disorganizzato, perciò la prognosi si rivela solitamente fausta
rispetto al funzionamento lavorativo e al raggiungimento di autonomie.