INTRODUZIONE
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1. INTRODUZIONE
1.1. Il cambiamento climatico: gli oceani e le mangrovie
Il quarto report dell'Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) ha concluso
che gli esseri umani stanno cambiando il clima del pianeta tramite l'emissione di gas
serra e aerosol nell'atmosfera (IPCC, 2007; Pachauri, 2007). Il cambiamento è sempre
stato la norma durante le varie epoche della Terra in cui la vita ha prosperato o
resistito ad un ampia oscillazione di condizioni ambientali. La rapidità con cui
l'innegabile azione umana sta guidando il cambiamento del clima, rende plausibile
paragonare la situazione odierna con i più drammatici eventi del passato geologico e
climatologico del nostro pianeta.
Molti dei mutamenti previsti dagli scenari dell'IPCC (Nakićenović, et al.,2000; Hoeg‐
Guldberg & Bruno, 2010) stanno già avvenendo, come ad esempio quelli all'interno
degli oceani (fig. 1.1), con serie conseguenze previste per i prossimi decenni.
L'incremento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra ha portato ad un
aumento delle temperature medie globali di circa 0,2 °C per decennio negli ultimi 30
anni (Hansen et al., 2006) e la maggior parte del surplus energetico così generato è
stato assorbito dagli oceani. Come risultato, il contenuto di calore dei primi 700 m più
superficiali della colonna d'acqua degli oceani globali è cresciuto di 14 × 10
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J dal 1975
(Levitus et al., 2009), con un aumento della temperatura media degli strati superiori di
0,6 °C negli ultimi 100 anni (Pachauri, 2007; fig. 1.1 A, B). Oceani più caldi portano
anche sistemi di perturbazioni più intensi e altri cambiamenti nel ciclo idrologico, che
possono portare ad un'intensificazione delle tempeste tropicali, dei cicloni, dei tornado
e di altre manifestazioni climatiche estreme (Trenberth et al., 2007; Knutson et al.,
2010; Chen et al., 2011a)
Oltre ad agire come serbatoio di calore del pianeta, gli oceani hanno anche assorbito
approssimativamente un terzo del biossido di carbonio prodotto dalle attività umane.
Questa azione di cattura della CO
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antropogenica ha acidificato lo strato superficiale
dell'oceano con un decremento di 0,02 unità di pH per decennio negli ultimi 30 anni ed
una riduzione di 0,1 unità di pH dal periodo pre‐industriale (Doney et al., 2009, 2012;
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fig. 1.1 C). Sebbene tale aumento di acidità possa sembrare minimo in termini di pH, è
associato ad un declino sostanziale della concentrazione degli ioni carbonato (fig. 1.1
D), componente scheletrico fondamentale per la vita marina.
Fra le più evidenti e profonde influenze del cambiamento climatico sugli oceani vi sono
gli impatti sulle specie costruttrici di habitat come coralli, fanerogame marine e
mangrovie; questi organismi aggregandosi formano ecosistemi che sono l'habitat di
migliaia di altre specie, alcune delle quali totalmente dipendenti da essi. Ad esempio lo
sbiancamento e la morte dei coralli sta già riducendo la ricchezza e la densità di specie
di pesci ed altri animali della barriera corallina (Hoegh‐Guldberg et al., 2007);
angiosperme costiere come le mangrovie, le posidonie e le paludi salmastre sono già
profondamente impattate e minacciate, sia da attività umane che da fattori climatici
Fig. 1.1. Recenti cambiamenti di temperatura, acidità e concentrazione di ioni carbonato negli oceani. (A)
Anomalia nella temperatura superficiale di gennaio 2010 rispetto alla media 1951‐1980. (B) Gli stessi dati
presentati in (A) in funzione della latitudine. (C) Stima della variazione dei valori medi annui di pH nella
superficie degli oceani dal periodo pre‐industriale (1700) ad oggi (1990). (D) Stima della variazione di
concentrazione media annua di ioni carbonato nella superficie degli oceani dal periodo pre‐industriale (1700)
ad oggi (1990). [Credits: (A) and (B) NASA Goddard Institute for Space Studies; (C) and (D) Global Ocean Data
Analysis Project (57)]. (Figura ripresa da: Hoegh‐Guldberg & Bruno, 2010)
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che agiscono su scala globale. La deforestazione delle mangrovie ad esempio (perdita
misurata attorno a 1 – 2 % annuo) rappresenta di sicuro una delle più grandi minacce a
breve termine per la sopravvivenza di queste piante, ma senza dubbio i rischi causati
dall'innalzamento del livello del mare sono in aumento, con perdite attese dal 10 % al
20 % delle mangrovie stesse entro il 2100 (Alongi, 2008). Gli impatti sulle foreste di
mangrovia variano con la località: sono più a rischio le aree con ripide pendenze
costiere o che presentano infrastrutture umane a ridosso dei margini interni dei
mangrovieti, che ne limitano la migrazione verso l'entroterra. Inoltre, anche se le
mangrovie in alcune aree sarebbero in grado di adattarsi all'innalzamento del livello
del mare migrando verso l'entroterra, questo cambiamento minaccerebbe altri habitat
costieri, come le paludi salmastre, che hanno diversi ed altrettanto importanti ruoli
biogeochimici ed ecologici. Malgrado i fondamentali servizi ecosistemici svolti dalle
foreste di mangrovia (Rönnbäck, 1999; Rönnbäck et al., 2007; Walters et al., 2008),
l'impatto del cambiamento climatico su questi ambienti risulta tra i meno approfonditi.
È necessario implementare una fitta rete di lavori, che comprendano diversi livelli di
indagine, su un ecosistema così eterogeneo e ricco di biodiversità e habitat, al fine di
organizzare efficienti piani gestione su scala globale. In letteratura al momento,
nonostante i numerosi lavori che riguardano il cambiamento climatico ancora pochi
sono, in percentuale, quelli che riguardano gli ecosistemi sopra citati (fig. 1.2).
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010
CC
MCC
Numero annuodi pubblicazioni
Anno
Fig. 1.2. Pubblicazioni annuali di articoli che includono nel titolo le frasi "climate change", "global
warming" o "ocean acidification" (Serie CC, in blu), contrapposti agli articoli che includono le suddette
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Le proporzioni e la rapidità del cambiamento dei parametri chimici e delle condizioni
fisiche degli oceani hanno avviato un'ampia varietà di risposte biologiche (Pörtner &
Knust, 2007; Helmuth, 2009, 2010; Sunday et al., 2012; Somero, 2012; Doney et al.,
2012). Il punto focale che deve essere decifrato è la determinazione dei vincoli
fisiologici che possono alterare le distribuzioni delle specie e, in caso di stress estremo,
causarne l'estinzione. Inoltre deve essere considerato quali specie sono più minacciate
da queste sfide e per quale motivo, per comprendere se l'evoluzione potrà tenere il
passo con il cambiamento globale. Alcune specie o popolazioni potrebbero trarne
beneficio a causa di una maggiore disponibilità di cibo o di nutrienti, di una riduzione
dei costi fisiologici (ad esempio, l'energia utilizzata per la respirazione, equilibrio acido‐
base, calcificazione) o di ridotte concorrenza e predazione. Queste specie possono
contare su maggiore sopravvivenza, crescita e riproduzione, ed essere considerati
"vincitori" in un mondo che cambia. In molti casi tuttavia, uno spostamento verso
condizioni ambientali al di fuori del normale intervallo di variabilità può risultare
stressante e causare prestazioni fisiologiche non ottimali, creando dei "perdenti" del
cambiamento ambientale. Per tali creature infatti condizioni più stressanti possono
portare ad una più alta mortalità ed alla riduzione di crescita e riproduzione. (Hoegh‐
Guldberg, 2009; Knight, 2010; Somero, 2010, 2012).
I rapidi cambiamenti ecologici che si stanno verificando negli oceani del mondo
presentano grandi sfide per dirigenti e responsabili politici. Comprendere e ridurre
l'esposizione al rischio diventerà sempre più importante col progressivo mutamento
delle condizioni climatiche e l'incremento della probabilità di eventi ecologici
significativi.
chiavi di ricerca associate ad almeno una delle parole "marine", "ocean", "coast", "sea" o "estuar" (y)
(Serie MCC, in rosso). Ricerca effettuata con Web Of Knoledge, 16.03.2010 (ripresa da Hoegh‐
Guldberg & Bruno, 2010).
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1.2. Macrofisiologia
Un nuovo approccio verso la comprensione degli ecosistemi è emerso attraverso
l'integrazione di fisiologia e macroecologia. Questo approccio multidisciplinare prende
il nome di macrofisiologia; essa permette la concezione unica dei fondamenti di schemi
ecologici su larga scala, come le distribuzioni geografiche, tramite l'esame degli
attributi funzionali degli organismi studiati (Helmuth, 2002; Somero, 2005, 2012;
Gaston et al., 2009). Ad esempio tali indagini conferiscono la capacità di valutare
direttamente l'ipotesi del centro di abbondanza (principio di Brown; Rivadeneira et al.,
2009), basato sul presupposto che vincoli fisiologici limitino le popolazioni ai bordi
delle distribuzioni. Per estensione, la prospettiva marina della macrofisiologia consente
di migliorare la comprensione dei più complessi fenomeni su macro‐scala come le
migrazioni, la progettazione di aree marine protette e le risposte delle specie al
cambiamento climatico globale. Gli studi di macrofisiologia hanno lo scopo di
determinare in che modo gli organismi vengano interessati da elevati livelli di
variabilità ambientale, che si manifestano su distanze geografiche a diversa scala,
confrontando le caratteristiche fisiologiche di organismi separati spazialmente (Osovitz
& Hofmann, 2007). Sebbene l'integrazione di studi fisiologici con la macroecologia sia
di cruciale importanza, lavori che utilizzano approcci fisiologici su larga scala spaziale
sono logisticamente impegnativi e non sono stati perciò molto frequenti in passato,
specialmente per ecosistemi acquatici; la maggior parte di questi studi si sono infatti
concentrati sui sistemi terrestri (Gaston, 2003; Chown et al., 2004).
Gli studi ecologici spesso si concentrano sugli effetti di fattori ambientali medi, ma le
dinamiche ecologiche possono dipendere altrettanto da condizioni ambientali
estreme. L'ecologia potrebbe quindi beneficiare della capacità di prevedere la
frequenza e la gravità degli eventi estremi ambientali. Alcuni eventi estremi (ad
esempio, terremoti o tsunami) sono eventi semplici: o si verificano o non si verificano,
e sono generalmente impossibili da prevedere. Al contrario gli eventi estremi ecologici
sono spesso eventi composti, derivanti dalla possibilità che si manifestino coincidenze
di fattori comuni che possono portare a circostanze estreme ("ecological surprise",
Paine et al., 1998). Livelli rilevanti di alcune variabili possono portare alla
compromissione della funzione ecosistemica o addirittura alla morte degli organismi,
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con importanti implicazioni a cascata per le popolazioni, le comunità e gli ecosistemi
(Denny et al., 2009).
L'integrazione delle risposte fisiologiche degli organismi con lo studio delle variabili
climatiche ed ambientali può permettere di prevedere, mitigare e talvolta evitare
catastrofici eventi ecologici.
1.2.1. Approccio fisiologico alla tolleranza termica
Un modello univoco per lo studio della condizione fisiologica degli organismi negli
ecosistemi marini è stato fornito dalla teoria dell’Oxygen and Capacity Limited Thermal
Tolerance (OCLTT; fig. 1.3; Pörtner 2001; Klok et al. 2004; Pörtner, 2010; Sunday et al.
2011) attraverso una matrice che integra fattori di stress legati al clima con le
prestazioni fisiologiche. Essa pone come fattore centrale per la tolleranza termica degli
organismi la disponibilità di ossigeno ai tessuti e la capacità di modularne la
distribuzione mediante ventilazione e circolazione come elemento chiave
dell’euritermia (Pörtner, 2001).