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CAPITOLO PRIMO
I principi generali in materia penale tributaria.
1.1 Evoluzione della legislazione penale tributaria.
In questa prima parte dell’elaborato si cercherà di evidenziare i profili salienti
dell’evoluzione del sistema penale tributario e della riforma introdotta dal decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74
1
.
Per meglio comprendere lo spirito dell'attuale “corpus iuris” del diritto penale
tributario, appare necessario un breve "excursus" della legislazione penale tributaria
italiana.
La nascita del sistema penale tributario italiano può farsi risalire al 1928, allorché,
con la legge 9 dicembre 1928, n.2834 furono introdotte sanzioni penali per l'omessa
denuncia dei redditi, il compimento di atti diretti a sottrarre questi ultimi
all’imposizione e la morosità nel pagamento di sei rate successive d'imposta.
Meno di un mese dopo veniva emanata la fondamentale legge 7 gennaio 1929, n.4,
recante “norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”
che dettava le regole generali in materia di violazioni finanziarie, per molti versi
derogatorie rispetto a quelle penali “comuni” e destinate, per lungo tempo a conferire
carattere di accentuata specialità alla materia.
Si tratta di una legge, che ha delineato un ben distinto e peculiare sistema di principi
e regole, fondato sulle seguenti caratteristiche:
1
Il provvedimento è stato predisposto in attuazione della delega contenuta nell’art. 9 della legge 25 giugno 1999
n. 205 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 2000.
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a. principio di “ultrattività”
2
del “tempus regit actum”, in virtù del quale, le leggi
penali tributarie continuavano ad applicarsi ai fatti commessi nel periodo della
loro vigenza anche nel caso di successiva abrogazione o modificazione in senso
più favorevole al reo;
b. “pregiudiziale tributaria”
3
, in base a tale principio, il legislatore prevedeva che
per i reati tributari in materia di imposte dirette, l’azione penale poteva avere
corso soltanto dopo che fosse divenuto definitivo l’accertamento dell’imposta e
della relativa sovrimposta
4
.
Il sistema penale tributario venne presto a manifestare carenze, dal momento che
esso non recava delle sanzioni in grado di esercitare, una sufficiente potestà
dissuasiva, in ragione dell’entità modesta delle pene.
Prescindendo da norme speciali incriminatrici introdotte nell’immediato dopoguerra,
la pena detentiva fa la sua comparsa sul palcoscenico penale tributario, dopo
l’ulteriore revisione delle fattispecie criminose ad opera della legge 5 gennaio 1956,
n. 1, solo con il testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D.P.R. n.
645 del 1958, peraltro nel limite massimo di sei mesi di arresto o reclusione.
Solo con la riforma tributaria dell'inizio degli anni settanta, si verificò una brusca
impennata delle risposte punitive. In particolare, con il D.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, in materia di imposte dirette
5
e con il D.P.R. 26 settembre 1972, n.633, in
2
Principio previsto dall’art. 20, della legge 7 gennaio 1929, n.4 che così disponeva: “le disposizioni penali delle
leggi finanziarie si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore ancorché le disposizioni
medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”.
3
Principio previsto dall’art. 21, ultimo comma della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che così recitava: per i reati
previsti dalla legge sui tributi diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento è divenuto definitivo a
norma delle leggi regolanti tale materia”.
4
Resta evidente come il legislatore del 1929 volesse svincolare il giudice penale, forse non sempre adeguatamente
“attrezzato” in materia fiscale in modo tale da poter condurre egli stesso un’operazione di accertamento tributario e
relativa quantificazione dell’imposta evasa, da complesse e macchinose operazioni di calcolo: egli avrebbe sospeso
il processo pendente in attesa che in sedi più competenti di quella penale, un altro giudice, “quello tributario”
potesse accertare con sentenza l’evasione perpetrata. A tale sentenza egli avrebbe poi attinto a piene mani per
fondarvi e costruirvi la reazione penale dell’ordinamento.
5
Art.56 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che così disponeva: “.“Chi non presenta la dichiarazione di cui agli
articoli da 1 a 6, 10 e 11 o la presenta incompleta o infedele, quando l'imposta relativa al reddito accertato, è
superiore a 5.000.000 di lire, è punito, oltre che con la pena pecuniaria prevista nell'art. 46, con l'arresto da tre
mesi a tre anni. Se l'imposta dovuta è superiore a 30.000.000 di lire, la pena dell'arresto non può essere inferiore
ad un anno…….” Articolo abrogato dall’art. 13 della legge 7 agosto 1982, n. 516.
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materia di imposta sul valore aggiunto
6
, il legislatore manifestò l’intento di punire
con maggiore efficacia le condotte idonee a ledere gli interessi erariali.
Si trattava di un sistema penale incentrato su fattispecie di vera e propria evasione
fiscale
7
. Il funzionamento della macchina punitiva veniva comunque, ostacolato dalla
perdurante vigenza della pregiudiziale tributaria, che non era ancora stata espunta
dall’impianto penale tributario.
Tale meccanismo, avrebbe potuto funzionare solo se il sistema fosse stato
congegnato in modo tale da garantire la definitività dell'accertamento tributario in
tempi compressi.
Si arrivò, sulla scorta di siffatte considerazioni, al varo del decreto legge 10 luglio
1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982 n.516 (c.d. legge “manette agli
evasori”).
La citata legge, era connotata da due tratti davvero innovativi, che avrebbero dovuto
ovviare agli inconvenienti registrati con la precedente normativa, ossia:
1. opzione a favore di un intervento penale a carattere capillare, realizzato
attraverso una “tecnica casistica” e la criminalizzazione di condotte soltanto
preparatorie “prodromiche”;
2. definitivo abbandono del tanto deprecato istituto della “pregiudiziale
tributaria”
8
e costituzione di un sistema basato sulla tendenziale autonomia dei
due procedimenti.
6
Art. 50, del D.P.R. 26 settembre 1972, n. 633, che così prevedeva: Chi si sottrae al pagamento dell’imposta
dovuta nel corso di un anno solare per un ammontare superiore a lire cento milioni, salve le disposizioni degli
articoli precedenti, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa dalla metà al doppio
dell'imposta non versata. Chi nel corso di un anno solare consegue un indebito rimborso per un ammontare
superiore a lire cinquanta milioni, indipendentemente da quanto stabilito negli articoli precedenti, è punito con la
reclusione da uno a cinque anni e con la multa dalla metà al doppio del rimborso conseguito, salvo che il fatto
costituisca reato più grave……” Articolo abrogato dall’art. 13 della legge 7 agosto 1982, n. 516.
7
N. Pollari, “rapporti tra processo penale e amministrativo nel diritto tributario”, in Rivista della Guardia di
Finanza n. 5/2001, p 2019.
8
Tale istituto è stato abrogato espressamente dall’art. 13 della legge 7 agosto 1982, n. 516., “L’azione penale ha
corso anche in pendenza dell'accertamento di imposta, a far data dal 1 gennaio 1983”.
10
Ciò rese certamente più agevole l’accertamento ad opera del giudice penale, ma
generò nel contempo una spirale perversa che inficiò gravemente il funzionamento
della macchina punitiva tributaria.
Tale sistema prevedeva l’incriminazione di una serie di fattispecie di “mero pericolo
presunto”, facendo assumere all’impianto sanzionatorio un atteggiamento di tutela
non tanto verso beni ed interessi giuridicamente protetti, quanto piuttosto verso la
funzione dell’accertamento.
La riforma si poneva l’intento di ristrutturare le singole fattispecie di reato, evitando
di porre l’accento sul “fatto” di evasione e riducendole ad un catalogo piuttosto
analitico di fatti semplici, suscettibili di facile accertamento, “prodromici”, ovvero
forniti di “idoneità segnaletica rispetto all’evento evasione”
9
.
L’opera di revisione dell’impianto penale tributario si tradusse però, in un articolato
normativo eccessivamente imperniato su condotte preparatorie sintomatiche, appunto
di un “rischio” di evasione fiscale. Inoltre, l’articolato recava un novero eccessivo di
condotte incriminate, la cui potenzialità lesiva discendeva da valutazioni operate in
sede di produzione normativa
10
.
E’ stato osservato, dal punto di vista della tecnica normativa, come la proliferazione
delle condotte sanzionate penalmente abbia finito con il produrre una sorta di
devastante “boomerang” sul piano della percezione del disvalore sociale dei fatti
incriminati
11
.
Ciò collocava il diritto penale tributario in un posizione di conflittualità con i principi
costituzionali di offensività e determinatezza
12
.
9
G. Falsitta, “Manuale di dritto tributario”. Padova, Cedam, 1999, p 344.
10
N. Pollari F. Loria “Elementi di diritto repressivo tributario”. Roma, Laurus Robuffo 2006, p 21.
11
E. Musco “la riforma del diritto penale tributario”. Roma, in Rivista della Guardia di Finanza. 6/1999, cit, p
2459.
12
Il diritto penale tributario si poneva in conflitto con l’art. 25, 2° comma della Costituzione: “…Nessuno può
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e con l’ art. 1 del
codice Penale:” Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla
legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.
11
I problemi generati da una cosi diffusa proliferazione di condotte sanzionate e la
conflittualità del sistema con i principi sopra esposti, hanno procurato il superamento
della c.d. legge “manette agli evasori”.
Una parziale modifica è stata recata dalla legge 15 maggio 1991, n.154, che si
prefiggeva l’obiettivo di risolvere le controversie interpretative originatesi, oltre che
quello di chiarire la portata di alcune fattispecie sanzionatorie.
Quest’ultimo intervento legislativo, in realtà, si tradusse in “una grande occasione
perduta per cominciare a porre mano ad un sistema penale tributario conforme al
volto dell’illecito penale così come delineato dai principi costituzionali…. orientato
a criminalizzare efficacemente il fenomeno dell’evasione fiscale
13
.
Un’opera ulteriore e radicale di riforma si rese quindi indispensabile, e non soltanto
per i sopra esposti elementi di forte criticità del sistema in sé considerato, ma anche
per rendere coerente la disciplina penale tributaria con i principi in tema di violazioni
amministrative fissati dal decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472.
Con l’art. 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205, il Parlamento conferì all’Esecutivo la
delega ad emanare un decreto legislativo recante la nuova disciplina dei reati in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
I principi fondamentali fissati dalla delega erano i seguenti:
previsione di un “ristretto numero di fattispecie”, a natura esclusivamente
delittuosa;
applicazione di significative pene detentive;
condotte connotate da un “elevato grado di offensività” per gli interessi
dell’Erario;
“dolo specifico di evasione” o di conseguimento di indebiti rimborsi d’imposta.
La selezione dei fatti degni di sanzione penale, doveva essere ulteriormente affinata
tramite soglie di punibilità imperniate sulla significatività economica dell’illecito.
12
Ciò ad esclusione dei reati consistenti nell’emissione o utilizzazione di
documentazione falsa, nonché nella distruzione di documenti contabili, individuate
quali condotte di per sé particolarmente censurabili
14
.
Lo scopo ultimo che si è inteso perseguire con la nuova disciplina, può essere
descritto come la realizzazione di “una vera e propria inversione di rotta assumendo,
quale obiettivo strategico, quello di limitare la repressione penale ai soli fatti
direttamente correlati, tanto sul versante oggettivo che su quello soggettivo, alla
lesione degli interessi fiscali con correlata rinuncia alla criminalizzazione delle
violazioni meramente formali e preparatorie
15
. La delega è stata attuata con il
decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74.
La scelta di fondo effettuata dal legislatore della novella è stata riconfermata in via di
principio dalla legge delega per la riforma del sistema fiscale
16
. Il criterio guida per
le sanzioni penali, rimane sostanzialmente invariato, dal momento che l’art. 2, lett.
m, della suddetta legge, dispone che la sanzione fiscale di natura penale, debba
essere “..applicata solo nei casi di frode e di effettivo e rilevante danno per
l’Erario”
17
.
Recentemente, il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha rafforzato la repressione
penale degli illeciti tributari, apportando significative modifiche al decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74
18
.
Le principali modifiche apportate in sede di conversione del decreto legge 138/2011,
possono essere così sintetizzate:
l’abolizione di alcune circostanze attenuanti;
la riduzione delle soglie di punibilità dei reati dichiarativi;
13
E. Musco “la riforma del diritto penale tributario”.Roma, in Rivista della Guardia di Finanza. 6/1999, cit., p.
2462.
14
N. Pollari F. Loria “Elementi di diritto repressivo tributario”, cit. p 22.
15
R. Fanelli “Sanzioni – guida operativa”.Milano VI edizione, Ipsoa 2000, p 320.
16
Trattasi della legge 7 aprile 2003, n.8.
17
N. Pollari F. Loria “Elementi di diritto repressivo tributario”, cit. p 22.
18
Per un commento alle modifiche apportate al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, Vgs P. Corso, “Le
sanzioni penali come strumento di contrasto all’evasione fiscale: effettiva garanzia di recupero?, in Corriere
Tributario, n. 37/2011, pp. 3071-3075; R. Fanelli, “La via penale contro l’evasione”, in Pratica Fiscale e
Professionale, n. 36/2011.
13
l’aumento di 1/3 dei termini di prescrizione di quasi tutti i reati contemplati nel
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;
la previsione della non applicazione della sospensione condizionale della pena
qualora l’imposta evasa o non versata sia, congiuntamente, superiore al 30% del
volume d’affari e a 3 milioni di euro;
stabilendo l’estinzione del debito tributario quale requisito necessario per poter
accedere all’istituto del patteggiamento.
1.1.1 La legge 7 gennaio 1929, n. 4.
La legge 7 gennaio 1929 n.4, contenente “Norme generali per la repressione
delle violazioni delle leggi finanziarie” rappresentò il primo tentativo operato
dal legislatore italiano di formazione di un codice generale regolante la materia
fiscale.
Tale provvedimento normativo non si limitava a disciplinare l’intervento
repressivo criminale, ma aveva ad oggetto l’intero diritto punitivo tributario
19
.
La normativa ora evocata, rappresentava il frutto di un’esigenza di
razionalizzazione della materia, al punto di essere definita: “Il primo tentativo
per la formazione di un codice generale di sanzioni e di procedure in materia
fiscale, fatto in Italia”
20
.
Per comprendere l’importanza di questa legge, si rammenta che prima della sua
emanazione, si discuteva addirittura sulla natura delle singole sanzioni
tributarie
21
.
19
A tale scopo, venivano dettate norme sostanziali e procedurali, riguardanti sia i “reati finanziari”, di cui quelli
tributari sono una “species”, che le violazioni punite in via amministrativa con la pena pecuniaria e la soprattassa.
20
N.Accaria, Appunti per un breve ciclo di lezioni in materia di “diritto punitivo e processuale tributario”.
Roma, 1970, p 7.
21
Prima dell’emanazione della legge 7 gennaio 1929, n. 4 si discuteva sulla natura delle singole sanzioni tributarie,
(civili, penali e/o amministrative), con evidente e preoccupante compromissione del principio della certezza del
diritto.
14
Sotto questo aspetto, l’art. 2 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, ha adottato quale
criterio distintivo del tipo di illecito, la specie di pena stabilita dal legislatore,
con ciò ponendo fine alle difficoltà interpretative sorte
22
.
Per le sanzioni amministrative veniva utilizzata la denominazione di
“obbligazioni di carattere civile”, specificando che se ne prevedeva
l’irrogazione “…quando dalla violazione delle leggi finanziarie che non
costituisce reato sorge per il trasgressore l’obbligazione al pagamento di una
somma, a titolo di pena pecuniaria….”
23
.
Il provvedimento entrò in vigore contestualmente al codice Rocco, dal quale
furono mutuati alcuni principi generali come quello della distinzione tra delitti
e contravvenzioni.
La suddetta disposizione legislativa, riveste particolare importanza per il Corpo
della Guardia di Finanza, dal momento che, in primo luogo attribuisce ai suoi
appartenenti la qualifica di ufficiale e agente di Polizia Tributaria, che sono
prerogativa unica, in via permanente, nell’ambito della Pubblica
Amministrazione
24
.
La particolare rilevanza dell’attribuzione della qualifica di ufficiale o agente di
Polizia Tributaria è desumibile anche dalle potestà che essi possono esercitare:
facoltà a procedere a perquisizione domiciliare, qualora abbiano notizia o
22
L’art. 2 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, disponeva infatti:“costituisce delitto o contravvenzione la violazione di
una norma contenuta nelle leggi finanziarie, per la quale è' stabilita una delle pene prevedute dal codice penale
per i delitti o, rispettivamente, per le contravvenzioni”. Tale norma è stata in seguito soppressa dal decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
23
Norma prevista dall’art. 3 della legge 7 gennaio 1929, n. 4.
24
A norma dell’art. 30 della legge 7 gennaio 1929, n.4 “l’accertamento delle violazioni delle disposizioni
contenute nelle leggi finanziarie..” costituenti reato spetta, in primis, agli Ufficiali ed Agenti di Polizia Tributaria, i
quali sono definiti dal successivo art. 31, come modificato dall’art. 74 del decreto legislativo 199/1995, che
testualmente recita: “ 1. sono ufficiali della polizia tributaria gli ufficiali e il personale appartenente ai ruoli
“ispettori” e “sovrintendenti” dela Corpo della Guardia di Finanza . 2. Sono agenti della polizia tributaria gli
appartenenti al ruolo “appuntati e finanzieri” della Guardia di Finanza”. L’accertamento delle violazioni in
argomento spetta, in via concorsuale anche agli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria ordinaria, che in ogni
caso devono avvertire senza indugio gli ufficiali ed agenti di Polizia Tributaria, qualora abbiano notizia di un reato
tributario, provvedendo agli atti del loro ufficio qualora non sia possibile l’intervento immediato degli organi della
Polizia Tributaria.