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Introduzione
Questa trattazione si occupa dello String Quartet in Four Parts di John Cage, un’opera scritta tra il 1949 e il
1950: un periodo di transizione che vede il compositore americano spingersi verso l’adozione delle chance
techniques e, in seguito, dell’indeterminazione, ai fini della “non-espressività” in campo musicale.
Lo String Quartet in Four Parts è anche un’opera esemplificativa di quel periodo compositivo di Cage che va
dalla fine degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta: questo decennio è caratterizzato dall’utilizzo di una
gamma limitata di sonorità e di una struttura basata su precisi rapporti di durata tra le parti della
composizione (quella che Cage chiama struttura ritmica). Vedremo poi che in uno dei movimenti del
quartetto, per la prima volta, Cage adotterà una tecnica molto restrittiva, canonica, per usare le sue parole,
ovvero un metodo compositivo che “automatizza” il processo di scrittura in maniera tale da svincolarlo
completamente dalle scelte personali del compositore. Per questo motivo, lo String Quartet in Four Parts,
meno celebre in confronto ad altre composizioni più o meno coeve (come il Concerto for Prepared Piano and
Chamber Orchestra o le Sonatas and Interludes) sarebbe invece da considerarsi un’opera fondamentale
poiché in esso possiamo già intravvedere gli sviluppi futuri della poetica implicita di Cage: la “non-
espressività” in musica, dunque il non intervento dell’ego nella composizione, e la ricerca del silenzio inteso
come assenza di ego e abbondanza di suoni non intenzionali.
Ciò da cui non si può assolutamente prescindere dovendo occuparci della poetica e della musica del
compositore americano, è il suo grande interesse per la filosofia orientale. I primi contatti di Cage con
l’Oriente avvengono all’inizio degli anni Quaranta, a seguito di un periodo critico, come vedremo, sia per la
sua carriera che per la sua vita personale. Egli, alla ricerca di un senso nella vita e nell’arte, iniziò a leggere
opere riguardanti la psicanalisi junghiana, il misticismo orientale e occidentale e infine, la filosofia e l’estetica
dell’India (il suo più celebre interesse verso la filosofia Zen nascerà con precisione dopo il 1950, negli anni
immediatamente successivi alla composizione dello String Quartet in Four Parts).
E’ per questo che in questa trattazione ci occuperemo principalmente della poetica esplicita del compositore
(che ritroviamo espressa nelle numerosissime interviste, conferenze e lettere, nonché nei tanti scritti che egli
ha lasciato) e di stabilire alcuni collegamenti con gli orizzonti filosofici non occidentali da lui investigati negli
anni Quaranta, allo scopo di chiarire alcune scelte compositive operate nello String Quartet.
Per quanto riguarda gli aspetti impliciti della poetica del compositore americano
1
, essi saranno analizzati e
ulteriormente sviluppati attraverso il confronto con concetti propri della spiritualità e della religione dell’India
(che coincide con quella che in Occidente è chiamata filosofia) in maniera tale da chiarire lo sfondo tematico
e concettuale in cui lo String Quartet in Four Parts si situa. A tal proposito ho indagato allo scopo di
comprendere a quali orizzonti filosofici rimandino certe affermazioni usate da Cage per descrivere lo String
Quartet: espressioni che egli ripete spesso negli scritti e nelle interviste in riferimento sia alla sua musica
degli anni Quaranta che allo stesso quartetto. Alcune di queste espressioni ricorrenti sono: “la concezione
indiana delle quattro stagioni”, “arte come imitazione della natura nel suo modo di operare” e “la funzione
della musica è quella di quietare la mente e disporla agli influssi divini” nonché altri particolari riferimenti del
compositore alla teoria estetica indiana del rasa riguardo al tema di alcune opere degli anni Quaranta. In
1
Sulla distinzione tra poetica implicita e poetica esplicita cfr. Umberto Eco, voce: poetica, in: Enciclopedia Nova, vol. 8, Utet, Torino
2000, pp. 258-260.
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base ai testi letti da Cage in quello stesso periodo ho cercato di spiegare e spiegarmi i concetti sopra
elencati al fine di stabilire un rapporto effettivo tra questi e lo String Quartet in Four Parts.
Prima di poter affrontare il discorso sulle sue modalità di ricezione della cultura orientale, è necessario
sottolineare che l’interesse di Cage verso quest’ultima ha riguardato sempre e solo l’aspetto filosofico e
religioso: il compositore non ha mai dimostrato un particolare interesse nel mutuare stili o tecniche dalla
musica asiatica (come è stato fatto da alcuni dei suoi colleghi, come Harry Partch, Lou Harrison, Henry
Cowell…) per utilizzarle nella sua musica.
Piuttosto si può dire che la filosofia orientale, inizialmente quella dell’India, poi quella della tradizione Zen,
abbia cambiato il suo modo di vedere e vivere l’arte, la musica e la vita, fornendo a Cage anche delle
motivazioni ulteriori per operare cambiamenti e scelte radicali nel campo delle tecniche compositive; è per
questo che ci occuperemo anche della ricezione cageana di due opere fondamentali di Ananda K.
Coomaraswamy, celebre studioso di religione e arte orientale, le quali hanno avuto grande peso
nell’evoluzione della poetica esplicita e implicita del compositore americano.
La tendenza generale che si può osservare nel processo di ricezione cageana della filosofia e dell’estetica
dell’India, consiste principalmente nella riappropriazione, da parte del compositore, di termini e concetti
propri di quella tradizione (successivamente al 1950 anche di quella del Buddismo Zen) e in una loro
rielaborazione creativa che ne ha sovvertito, a volte, gli scopi originari, al fine di esporre, rafforzare,
sviluppare temi legati al suo pensiero.
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L’incontro con l’Oriente
I primi sporadici contatti di Cage con l’Oriente sono avvenuti già negli anni Trenta, durante il suo periodo di
studio con Henry Cowell (che stimolò l’interesse del compositore per altre culture) presso la New School for
Social Research di New York, dove egli ebbe l’opportunità di ascoltare registrazioni di musica non
occidentale.
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Dopo il suo ritorno in California, Cage restò in contatto con persone interessate alla musica orientale, come il
suo amico compositore, Lou Harrison. Questi, nel 1936 a San Francisco, gli mostrò per la prima volta l’I
Ching, l’antichissimo libro oracolare cinese. Cage non si interessò subito al testo, ma lo fece quattordici anni
dopo, nel 1950, quando gliene venne regalata una copia dal suo allievo Christian Wolff. Il compositore,
rimasto sorpreso dall’incredibile somiglianza tra le charts che egli stava utilizzando per comporre in quel
periodo (v. Concerto for Prepared Piano) e la tabella contenente i 64 esagrammi dell’I Ching, ebbe l’idea
lampante di utilizzarlo come mezzo per comporre musica “non-intenzionale.”
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L’incontro decisivo di Cage con il pensiero orientale (più precisamente quello dell’India), destinato a dare
una svolta decisiva a tutta la sua carriera, avvenne nei primi anni Quaranta, in seguito a un periodo di forte
crisi nella vita del compositore, sia sul piano privato che su quello professionale. E’ in questi anni cruciali che
nasce in Cage l’esigenza della “non-espressione” nella musica e nell’arte: un tema centrale nella sua poetica
e di tutta la sua attività compositiva, che verrà motivato inizialmente, come vedremo, anche e soprattutto
attraverso alcuni concetti tratti dalle sue letture di estetica e filosofia indiana.
I primi anni Quaranta vedono la crisi sentimentale tra Cage e sua moglie, Xenia Andreevna Kashevaroff, e
successivamente, il divorzio tra i due avvenuto nel 1945
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, nonché il suo dover riconoscersi (e la difficoltà nel
farsi riconoscere) come omosessuale nell’omofobica società americana dell’era maccartista.
Sul piano professionale, invece, Cage stava riscontrando un abisso tra artista e pubblico, dovuto a problemi
di comunicazione: i sentimenti che egli intendeva esprimere attraverso la sua musica erano diventati oggetto
di continui fraintendimenti tra lui e il pubblico. A testimonianza di questo periodo difficile, si può citare il brano
The Perilous Night (1943-44) per pianoforte preparato, che Cage compose con l’intenzione di esprimere la
“solitudine e il terrore che sopraggiungono quando un amore diventa infelice.”
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Il compositore si rese conto
che purtroppo questo messaggio non era stato recepito dal pubblico, anzi, piuttosto era stato completamente
frainteso: “scrissi ad esempio un pezzo triste” - dichiara il compositore in un’intervista riferendosi a The
Perilous Night – “e la gente che lo ascoltava rideva.”
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2
Per una panoramica tematica e cronologica sui rapporti tra Cage e l’Oriente cfr. il saggio di David W. Patterson, Cage and Asia:
History and Sources, in: David Nicholls (Ed.), The Cambridge Companion to John Cage, Cambridge University Press, Cambridge 2002,
pp. 41-59.
Per uno studio sui concetti metafisici propri sia della filosofia Indiana che del Buddismo Zen in relazione alla musica di Cage e alla sua
poetica cfr. Michele Porzio, Metafisica del Silenzio. John Cage. L’oriente e la nuova musica, Auditorium Edizioni, Milano 1995. In questo
testo il pensiero dell’India viene preso in considerazione in riferimento ad alcune Upanishad (commentari alle sacre scritture Vediche) e
in relazione alle opere di René Guenon, grande studioso di metafisica orientale e di simbolismo esoterico.
3
Cfr. James W. Pritchett, The Music of John Cage, Cambridge University Press, Cambridge (Mass.) 1993, pp. 70-71.
4
Cfr. Thomas S. Hines, “Then not yet Cage”, The Los Angeles Years, 1912-1938, in: Marjorie Perloff/Charles Junkermann (Eds.), John
Cage, Composed in America, The University of Chicago Press, Chicago-London 1994, p.93 e la dettagliata biografia di Cage di David
Revill, The Roaring Silence. John Cage: a life, Arcade Publishing, New York 1992, p. 84.
5
Da: John Cage, Confessioni di un Compositore, in: Gabriele Bonomo /Giuseppe Furghieri (a c. di), John Cage, Riga 15, Marcos y
Marcos, Milano 1998 p. 54.
6
Da: Richard Kostelanetz (a c. di), Lettera a uno sconosciuto, Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 294.
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In riferimento a questo periodo critico, lo studioso di queer studies Jonathan D. Katz, in un saggio dedicato
all’identità sessuale del compositore americano, scrive: “Cage più tardi descrisse il suo stato d’animo di quel
periodo come di disperazione. Si stava separando da sua moglie; stava accettando la sua relazione con
Cunningham e, in concomitanza, la sua identità di omosessuale socialmente emarginato; e nel corso di
queste esperienze giunse alla conclusione che la comunicazione in arte, caratteristica di una musicalità
espressiva, non era possibile.”
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Già negli anni Trenta (nell’articolo Counterpoint del 1934)
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Cage iniziò a interessarsi al problema della
frammentazione degli stili e delle scuole propria della musica contemporanea e quindi della funzione dell’arte
nella società, ma stavolta il problema non era solo teorico: lo stava vivendo in prima persona, ne stava
facendo esperienza diretta (e sofferta)
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. L’enorme proliferazione di linguaggi e di stili che caratterizzava la
musica contemporanea a suo parere continuava ad essere conseguenza di questa situazione di
incomunicabilità tra artista e pubblico. Raccontando quegli anni, Cage li descrive così: “mi era stato
insegnato a scuola che l’arte era una questione di comunicazione. Osservai che tutti i compositori
scrivevano in modo diverso. Se l’arte era una questione di comunicazione, stavamo usando linguaggi
completamente diversi. Di conseguenza, ci trovavamo in una babele dove nessuno era in grado di
comprendere nessun altro.”
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Questo accumularsi di eventi critici lo condusse alla ricerca: ricerca del significato della musica e dell’arte
nella società, ma ancora di più, ricerca del senso della sua vita e dell’esistenza in generale.
Per far fronte alla confusione e alla disperazione, Cage inizialmente cercò aiuto nella psicanalisi, mettendola
però subito da parte poiché ebbe modo di fare un incontro decisivo che cambiò totalmente la sua vita e la
sua musica: la filosofia orientale (propriamente quella dell’India) e il misticismo. Ecco come Cage descrive,
sempre in un’intervista, il suo stato emotivo di quegli anni e il suo rapporto con la filosofia orientale: “Il
risultato fu che non accettai la psicanalisi e non volli sottopormi alla terapia ma accolsi invece la filosofia
orientale e la abbracciai, non come disciplina, ma come uno studio consistente nella lettura di libri, l’ascolto
di conferenze, ecc., e questo in un momento della mia vita in cui ero in uno stato di necessità così grave che
mi aveva ridotto al limite dell’inattività. Ero malato. O mi sarei potuto ammalare se questo incontro non fosse
accaduto.”
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Cage trovò nella filosofia indiana una summa di tutte le intuizioni sulla musica e sulla vita che
aveva avuto fino ad allora: è per questo che non esitò a integrarla nella sua vita e nel suo lavoro.
12
L’incontro con l’Oriente avvenne precisamente durante l’estate del 1942, periodo in cui Cage e sua moglie,
trasferitisi da poco a New York, andarono a vivere con i coniugi Campbell:
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la danzatrice Jean Erdman, la
quale coreografò assieme a Merce Cunningham un balletto con musica di Cage, Credo in Us, e il celebre
studioso di mitologia e religioni comparate, Joseph Campbell, il quale, proprio alla fine degli anni Quaranta e
all’inizio degli anni ’50, si stava occupando di arte e di estetica indiana, dapprima collaborando alla
traduzione de Il Vangelo di Sri Ramakrishna, che fu pubblicato nel 1942 e che Cage lesse qualche anno
7
Da: Jonathan W. Katz, John Cage’s Queer Silence, in: David W. Bernstein / Christopher Hatch (Eds.), Writings through John Cage's
Music, Poetry, and Art, The University of Chicago Press, Chicago 2001, p. 45 (traduzione mia).
8
Cfr. Branden W. Joseph, “A Therapeutic Value for City Dwellers”: The Development of John Cage’s Early Avant-Garde Aesthetic
Position, in: David W. Patterson (Ed.), John Cage: Music, Philosophy and Intention (1933-1950), Routledge, New York 2002, pp. 136-
137.
9
Cfr. Katz, John Cage’s Queer Silence, cit., pp. 43-45.
10
In: Lettera a uno sconosciuto, p. 79.
11
Ibidem, p. 103.
12
“Mi sono convinto della verità della teoria dell’arte secondo gli indù. Ho cercato di far corrispondere le mie opere a questa teoria”
dichiara John Cage in: Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles, Testo & Immagine, Torino 1999, p. 101.
13
Informazioni tratte da: Revill, op. cit., pp. 80-81, e Patterson, Cage and Asia: History and Sources, cit., p. 44.