Introduzione
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Introduzione
In questi ultimi anni il dibattito sulle questioni etiche di fine vita ha occupato uno spazio
sempre più rilevante nei mass media nazionali e locali, i quali hanno coinvolto l’opinione
pubblica, veicolando, sovente, la direzione del dibattito. Parole come eutanasia, suicidio
assistito, accanimento terapeutico, stato vegetativo, autodeterminazione e testamento
biologico suscitano, infatti, reazioni controverse. L’interesse che ha dato luogo a questa
ricerca è nato dalla necessità di riflettere sull’opportunità di rendere il morire un processo
meno doloroso, sottraendolo alla disciplina esclusiva della legge e al dominio della classe
medica, favorendo la facoltà dispositiva dell’interessato. Si tratta, quindi, di indagare i
limiti, giuridici ed etici, entro cui è possibile compiere determinate scelte.
Paradossalmente, le società avanzate stanno pagando il prezzo del maggior benessere
raggiunto attraverso il progresso tecnologico con le situazioni inedite che lo stesso
progresso scientifico è arrivato a creare: al paziente affetto da gravi malattie (cancro,
alzheimer, aids, sclerosi multipla, artrite cronica deformante, et aliae…) è stata
sensibilmente allungata la vita, senza che a questo beneficio corrisponda una migliore
qualità della stessa. Da qui la necessità, giuridica ed etica, di decidere se accogliere o meno
(e in che misura) le richieste, sempre più numerose, di quei pazienti che vogliono
anzitempo porre fine alle loro sofferenze.
Nell’affrontare brevemente queste tematiche si vuole pertanto esaminare quale sia lo
spazio lasciato dal diritto all’individuo nell’ultima fase della sua vita, ossia quali poteri e
quali diritti egli può esercitare e in quale direzione. In modo specifico verrà trattata la
questione eutanasica per verificare se, e in che termini, in tale condotta possa celarsi un
vero e proprio diritto di morire. Tale diritto si presenta oggi come il più inquietante dei
diritti rivendicati dall’individuo e ci obbliga a riflettere sulla possibilità o meno di dedurre
dal fondamentale diritto di vivere anche un obbligo o un dovere di vivere. Ci si chiede, in
definitiva, fino a che punto è possibile, per uno Stato laico e pluralista, obbligare i propri
cittadini a vivere in una situazione di dolore e sofferenza non più ritenuta tollerabile da un
malato terminale.
Introduzione
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In questo lavoro, si prenderanno in considerazione inizialmente le questioni definitorie, i
possibili contenuti e i limiti del diritto di morire, per poi passare al confronto delle
principali teorie etiche applicate al caso dell’eutanasia volontaria, attraverso l’analisi di
importanti autori, come Sgreccia, Rachels ed Engelhardt. L’analisi comparatistica con
quegli ordinamenti che, in diversi modi, hanno cercato di dare una prima disciplina a tali
tematiche, ci permetterà poi di stabilire se esiste o meno un contenuto minimo comune, tra
i vari paesi, ascrivibile al diritto di morire e come si pone il nostro ordinamento in
relazione ad esso.
Infine, si considererà il rapporto tra diritto e morale in tema di eutanasia per capire come si
pone questa pratica in relazione ai due rispettivi ordini. Si cercherà, quindi, di arrivare ad
una possibile soluzione di compromesso applicabile in quegli Stati caratterizzati da un
forte pluralismo etico, ipotizzando il ruolo e la funzione che spetta al diritto e
all’autodisciplina dei privati in tali contesti.
Capitolo I
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Capitolo I
Pratica e teoria del diritto di morire: definizioni, contenuti e limiti
1.1 Premessa
Allo scopo di delineare le diverse situazioni cliniche e i comportamenti umani che
investono direttamente la questione eutanasica e il diritto di morire è doveroso distinguere
la terminologia adottata dalla riflessione medica, bioetica e filosofica.
Questa breve premessa non pretende di risolvere annose questioni definitorie
1
ma sarà
comunque utile a chiarire la cornice teorica da cui prende le mosse questa indagine.
Nel corso del tempo, il termine eutanasia ha assunto un’accezione negativa che
inizialmente non aveva. Etimologicamente, infatti, il termine deriva dal greco ed è
composto da eu- (bene) e tanatos (morte). Con tale termine, quindi, si intendeva
nell’antichità una morte naturale, buona o dolce, ma comunque priva di dolori e sofferenze.
Il filosofo inglese Francis Bacon fu il primo ad individuare un’accezione più simile a
quella odierna, portando la questione eutanasica all’interno del rapporto medico-paziente,
invitando i medici ad aver cura dei malati terminali e a non abbandonarli, cercando di
alleviare le loro sofferenze in vista di una morte imminente; obiettivo dell’eutanasia
secondo Bacon, non è, quindi, di uccidere o accelerare la morte, ma di fare in modo che
essa avvenga senza dolore.
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Successivamente, l’accezione del termine fu avvertita in maniera progressivamente
negativa, identificandosi con l’omicidio indolore piuttosto che con una morte naturale
senza sofferenze, secondo il suo senso originario.
Effettuando una disamina delle diverse classificazioni riferibili all’eutanasia, risultano
interessanti le due macrocategorie poste da Mantovani:
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1
Cfr. D. Neri, L’eutanasia, in “Atti del convegno di studio - Il Comitato Nazionale per la Bioetica: 1990-
2005 Quindici anni di impegno, 30 novembre – 3 dicembre 2005”, Roma 2005, p. 426, ove si sostiene la
conclamata difficoltà di attribuire univocità di senso ad ognuno di questi termini, così pregni di valori non
universalmente condivisibili.
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Cfr. F. Bacone, Del progredire della scienza, in Nuova Atlantide, Novara 1966, pp. 535 e ss.
3
Cfr. F. Mantovani, Problemi giuridici dell’eutanasia, in “Rivista italiana di diritto processuale penale”,
1988, pp. 448-449
Capitolo I
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1) eutanasia collettivistica, che viene posta in essere per un fine di utilità pubblico-
collettiva, non consensuale e su larga scala. Essa contiene anche le seguenti sotto
definizioni:
a) eutanasia eugenica, consistente nella eliminazione indolore degli individui
deformi o tarati, fisicamente o psicologicamente, per migliorare la razza;
b) eutanasia economica, consistente nella eliminazione indolore dei malati
incurabili, degli invalidi, dei vecchi, per alleggerire la società dal peso dei soggetti
economicamente inutili;
c) eutanasia criminale, che consiste nella indolore eliminazione dei soggetti
socialmente pericolosi;
d) eutanasia sperimentale, consistente nel sacrificare la vita di soggetti per
effettuare sperimentazioni per il progresso medico e scientifico;
e) eutanasia profilattica, consistente nella soppressione indolore dei soggetti
affetti da malattie epidemiche;
f) eutanasia solidaristica, consistente nel sacrificio di soggetti a favore della vita o
salute di altri (ad esempio, per prelevare organi a scopo di trapianto).
2) eutanasia individualistica (o per pietà), che viene posta in essere per un sentimento di
pietà nei confronti del particolare stato in cui versa la vittima.
In linea generale e per distinguerla dall’ipotesi in cui è la stessa persona che compie l’atto
mortale su di sé con l’assistenza di qualcuno (suicidio assistito), per eutanasia si intende
oggi qualsiasi atto (attivo od omissivo) compiuto materialmente da altri soggetti rispetto al
malato (principalmente da medici), avente come fine quello di accelerare o provocare
direttamente la morte. Dirimente, rispetto ad altre situazioni che, parimenti, potrebbero
integrare il reato di omicidio del consenziente
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, è il precario stato di salute della persona
che subisce tale pratica, la quale viene adottata al fine di porre termine ad uno stato di
sofferenza sia fisica che psichica non più ritenuto tollerabile dal malato o da chi ne
rappresenta gli interessi.
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4
Nell’ordinamento italiano tale reato è previsto e disciplinato all’art. 579 del Codice Penale.
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Cfr. Gruppo di lavoro sulla bioetica (nominato dalla Tavola Valdese), L’eutanasia e il suicidio assistito, in
“Riforma”, n. 16, 1998, p. 86
Capitolo I
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Entrando nel cuore delle definizioni in esame, si parla di eutanasia volontaria quando vi è,
da parte del malato competente
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, un consenso esplicito, attuale e consapevole ad essere
ucciso mediante l’intervento (attivo o passivo) di un’altra persona. Il consenso può essere
espresso anche mediante la compilazione dei cosiddetti living will, o carte di
autodeterminazione, nelle quali sarebbe possibile esplicitare le eventuali decisioni
anticipate in merito ai diversi trattamenti sanitari a cui ci si vuole o meno sottoporre nel
caso in cui il dichiarante non fosse più in grado di esprimere le sue opinioni.
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Si considera, invece, eutanasia non volontaria
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quell'ipotesi in cui l’atto eutanasico viene
compiuto senza un esplicito consenso del malato, il quale si trova nell’impossibilità di
prestarlo: si pensi al caso di un neonato gravemente malformato o di una persona in coma
irreversibile. L’eutanasia è detta, invece, involontaria quando è praticata contro la stessa
volontà del malato o effettuata senza il coinvolgimento del paziente nella decisione, pur
essendo egli competente.
Si parla di eutanasia attiva diretta, nelle situazioni in cui vi è un intervento mirato del
medico (o altri) nel provocare o nell’accelerare la morte. Nella maggior parte dei casi, ciò
avviene mediante la somministrazione di sostanze tossiche o iniezioni letali. L’eutanasia
attiva indiretta consiste, invece, nel somministrare al paziente dei farmaci analgesici (quasi
sempre morfina) che hanno lo scopo intenzionale di anticipare l’exitus.
L’eutanasia passiva, infine, racchiude quelle ipotesi nelle quali la morte del malato viene
determinata o accelerata dalla sospensione di trattamenti (come la nutrizione artificiale) e
di terapie (ad esempio la somministrazione di antibiotici) o dallo spegnimento di strumenti
e apparecchiature mediche di sostegno vitale (come il respiratore artificiale). In altri casi,
si attua mediante l’astensione del medico nell’adottare cure, interventi o terapie che
potrebbero allungarne la vita.
Per completare il quadro relativo alle situazioni limitrofe all'eutanasia, esamineremo il caso
posto dal rifiuto di sottoporsi a trattamenti medici e alla richiesta di sospendere quelli già in
atto. Questa è sicuramente l'ipotesi più plausibile per coloro che vi intravedono
l'affermazione palese dell'esistenza di un diritto di morire. Essa risulta ormai accertata
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Il concetto di competenza indica, in questo ambito, la capacità del malato di intendere e di volere.
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Sulla validità, i contenuti e i limiti delle carte di autodeterminazione, o testamento biologico, si è
incentrato gran parte del dibattito italiano in merito alle questioni del fine-vita.
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Cfr. P. Singer, Etica Pratica, Liguori Editore, Napoli 1989, pp. 132 e ss.