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Introduzione
Il titolo di questa tesi è preso in prestito da un libro del biologo Theodosius Dobzhansky, un
resoconto ampliato delle conferenze Page-Barbour tenute all'Università di Virginia, a
Charlottes-ville nel marzo del 1954. Partendo dal fatto che l'unicità biologica dell'uomo sta
nel fatto che solo la nostra specie ha prodotto la cultura, ho cercato di sviluppare l'argomento
alla luce delle conoscenze nel campo delle neuroscienze che si sono succedute da allora ad
oggi.
Il lavoro si sviluppa in 3 capitoli, che suddividono in macro-periodi storici una rassegna
bibliografica relativa agli studi sul vasto argomento in questione, a partire dalle suddette
conferenze e con alcuni richiami ai modelli teorici precedenti.
Nel primo capitolo vengono richiamate le ideologie storiche del pensiero occidentale sul tema
del libero arbitrio. Da Sant’Agostino ad Erasmo Da Rotterdam, si incrociano i dilemmi e le
sentenze che hanno reso centrale l’ardua tematica della libertà dell’uomo nella determinazione
del sé, si pongono le basi culturali della filosofia moderna interconnessa alla moralità cattolica
ed all’etica protestante. In parallelo, nell’ambito scientifico emerge la progressiva conoscenza
dell’origine naturale dell’uomo, a partire dall’antichità e durante le epoche storiche che
scandiscono l’evoluzione del pensiero e della prospettiva dicotomica “natura vs cultura” nel
guardare alla libertà umana non come sovrastruttura sociale, ma come prodotto della
filogenesi della specie. L’evoluzionismo da Darwin in poi, che ha provato come l’uomo sia
una specie biologica, prodotto dell’evoluzione prima ancora di diventarne il solo a sviluppare
la cultura e con essa i suoi eccezionali prodotti: l’autoconsapevolezza, l’autodeterminazione,
l’etica e la morale.
Nel secondo capitolo viene descritto il lavoro del biologo Theodosius Dobzhansky che, in Le
basi biologiche della libertà umana (1954) , compie il meritevole ed ambizioso sforzo di
preoccuparsi di far comprendere l’argomento alle persone che non ne hanno una competenza
specifica; questo assume una particolare valenza considerato l’anti-intellettualismo
caratterizzante il periodo storico della cosiddetta “guerra fredda”, quando la scienza era vista
dai più come fabbrica per lo sviluppo di bombe atomiche ed altri strumenti per il dominio da
parte del potere sui popoli.
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Nel terzo capitolo viene riportata l’evoluzione delle conoscenze in ambito psicobiologico che,
dagli anni cinquanta ad oggi, hanno segnato le neuroscienze, le tecnologie che hanno
permesso di individuare le peculiarità della specie umana che, unica, ha sviluppato la cultura e
la sua trasmissione tramite l’evoluzione filogenetica. La libertà umana, quindi, come risultato
dell’evoluzione delle capacità socio-cognitive trasmesse nell’interazione spazio-temporale
degli uomini, unicità di individui all’interno dell’unicità di una specie.
In sintesi parlando di libertà, intesa come libero arbitrio, questo lavoro vuole affrontare il
tema dal punto di vista etologico in chiave filogenetica ed ontogenetica; questo nei limiti di
una necessaria ed arbitraria selezione degli autori trattati e con il focus, altrettanto arbitrario,
su di un autore che ha suscitato casualmente l’interesse dello scrivente nella prima giovinezza.
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CAPITOLO I. La libertà umana : filogenesi culturale della
nostra specie.
La questione della libertà umana, ovvero del libero arbitrio, è radicata alle origini
dell’umanità. Essa ha coinvolto e coinvolge una moltitudine di aspetti scientifici, filosofici,
teologici, psicologici, dalle scienze sociali alle neuroscienze ed è difficile escludere un
qualsiasi aspetto di studio da questo tema profondo e, per certi versi, ancora profondamente
misterioso.
Non è certo possibile ed immaginabile porre una datazione all’inizio della consapevolezza
della libertà d’azione e pensiero, essendo con buona probabilità insita nel genere umano e
nella vita stessa; espressa prima con il comportamento ed in seguito anche con il linguaggio
parlato e scritto, qui ci dobbiamo però occupare delle radici, del substrato biologico che ha
permesso la trasmissione articolata delle conoscenze, lo sviluppo dell’etica, l’evoluzione della
morale e la consapevolezza della umana specificità. In questo senso si intende qui il termine
filogenesi, come peraltro nell’accezione scientifica: l’origine e l’evoluzione di una specie, ed
in questo caso della cultura umana come sua tipicità e le basi biologiche che ne hanno
permesso l’origine e l’evoluzione stessa.
Per superare i limiti di un ottica riduzionistica, bisogna anche introdurre l’evidenza
dell’emergenza ontologica, una concezione che rappresenta una parte importante della nuova
visione scientifica del mondo e, così come riporta Mario Rasetti, professore ordinario di
fisica teorica al Politecnico di Torino e membro dell'Institute for Advanced Study di
Princeton, in prefazione all’edizione italiana al libro di Stuart Kaufman “Reinventare il
sacro” che si riprenderà più avanti, quando oggi si parla di “scienza dei sistemi complessi”,
emerge un insieme collettivo di comportamenti organizzati diversamente dalle complessità
combinatorie delle strutture filogenetiche. L’emergentismo applicabile all’evoluzione
culturale potrebbe consistere nell’affermare che, ad un certo punto della storia umana,
l’interazione crescente tra gli individui ne abbia generato uno o alcuni nei quali sia emersa
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una consapevolezza, una “freccia esplicativa in su”
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in controtendenza al riduzionismo di
Weinberg, in grado di dare un senso alla capacità di agency e d’introspezione necessarie alla
consapevolezza della possibilità di libero arbitrio, di sentimenti di unicità, ma anche di
continuità che abbia permesso la trasmissione culturale.
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Tralasciando decine di migliaia di anni avvolti nella semioscurità di una storia umana
trasmessa attraverso i fossili, le pitture preistoriche, graffiti, incisioni e le sepolture dei
neanderthaliani, che comunque già possono dimostrare molto sulla consapevolezza e le
capacità espressive della specie umana sin dagli albori della sua comparsa, perveniamo come
arbitrario inizio ad Aristotele ed all’aristotelismo per la vastità, ma anche per l’unitarietà
complessiva degli ambiti di studio sviluppati e che, ruotando intorno al tema di fondo di una
spiegazione interna, fa evolvere ogni organismo con l’emergenza di proprietà proprie. E’ la
visione ontologica necessaria e sinergica alla trasmissione biologica per connettere l’essere
individuale col divenire collettivo della specie.
Nel De generatione animalium Aristotele sostiene che gli organismi viventi sono immutabili
nella riproduzione ed i cambiamenti avverrebbero solo nei nuovi individui. Anche se poi
superata, la biologia aristotelica rappresenta comunque uno spunto per la trattazione del tema
evolutivo umano e base per l’impostazione di una ottica scientifica empirica. Nelle diverse
opere di Aristotele emerge con ricorrenza il tema del significato e del principio delle cose che
risiede nella loro stessa essenza, nelle loro forme “immanenti”; L’ontologia è stata una delle
basi della filosofia aristotelica e approccio scientifico all’indagine oggettiva sulle cose; la
dottrina aristotelica, come filosofia della scienza, ha influenzato per molti secoli lo sviluppo
del pensiero scientifico caratterizzato dall’approccio empirico. Nell’ottica aristotelica
rimangono inscindibili i campi d’indagine sulla libertà umana; l’ontologia stessa richiama in
sé emergenze che riguardano filosofia e teologia, ma anche le scienze biologiche e la
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S. Weinberg (New York 1933) è considerato uno dei massimi fautori del riduzionismo scientifico; un
riduzionismo espresso nei termini della convergenza delle frecce della spiegazione scientifica. Fisico delle
particelle, Weinberg ridurrebbe le spiegazioni scientifiche ai termini minimi delle particelle infinitesimali, le più
vicine alla fonte e quindi alla convergenza sulle spiegazione di ogni interazione e sviluppo degli organismi.
Quindi “frecce esplicative in giù”, dalla complessità degli organismi alle particelle, con la fisica quantistica a
sostegno di un riduzionismo oggettivo.
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metafisica, in un insieme unico che punta alla spiegazione partendo dall’essenza e
dall’osservazione degli organismi. Forse una “freccia esplicativa che punta in su” per la prima
volta.
Intorno al 390 Agostino, nel De libero arbitrio, affronta con metodologia razionale il dialogo
con Evodio sulla “superiorità ontologica e morale di una mens rationalis virtuosa rispetto a
qualsiasi altra realtà o forza creata interna od esterna al singolo soggetto individuale”, (De
Capitani 2004). L’argomento , pur nell’ambito del depositum fidei, è dibattuto con metodo
aperto ed interlocutorio; riconduce alla ragione la differenza tra l’uomo e gli altri esseri
viventi (7,16, Libro Primo, www.augustinus.it/italiano/libero_arbitrio) e che il pensiero si
conosce con il pensiero e dell’uso della libera volontà mediante la stessa volontà (19,51 Libro
Primo), quindi della necessita di una meta-conoscenza interna, ontologica ed emergente
nell’individuo, nonostante e non in contraddizione con la prescienza divina. Una prescienza
che non sarebbe determinismo, ma che risulta di complessa interpretazione in chiave razionale
anche agli stessi dialoganti.
Dall’aristotelismo antico, che per opera dei peripatetici ha sviluppato la filosofia dello
Stagirita seguendone i diversi aspetti ed attraverso l’influenza della cultura araba prima e
cristiana poi, passiamo direttamente al contributo conciliatore di Tommaso d’Acquino.
Nell’ambito della filosofia scolastica egli afferma la non contraddittorietà tra visone
scientifica e religiosa, tra ragione e fede, interpretando questa ultima come risultante da una
libera adesione intellettuale (quindi ammettendo la necessità di un libero arbitrio); commenta
la metafisica aristotelica espandendone i principi ed i metodi all’applicazione in campo
teologico e scientifico, sino ad influenzare parte della cultura occidentale moderna.
Nel 1524 Erasmo da Rotterdam con il De Libero Arbitrio attacca il puritanesimo di Lutero,
affermando i principi della ragione , anche se condizionata alla fede come collaborazione con
Dio per la salvezza. Pur condividendo le critiche di Lutero alla Chiesa, Erasmo non poteva
accettare la negazione della libertà umana, quindi l’autodeterminazione nelle scelte morali
etiche ed anche religiose. Martin Lutero rispose alla polemica con il De Servo Arbitrio, dove
afferma che il libero arbitrio non può essere attribuito all’uomo ma solo a Dio ed, in pratica,
accusando Erasmo di sacrilegio. Il servo arbitrio in quanto predeterminazione, un concetto
opposto al tomismo e che non avrebbe risolto la polemica.