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Introduzione
La ragione che sta alla base della scelta del licenziamento come oggetto di
studio del presente lavoro è legata principalmente ad un evento che ha
lasciato il segno sul mercato del lavoro regionale. Negli ultimi mesi del
2010 la Regione Molise ha deciso di limitare le sovvenzioni per i trasporti
pubblici (delibera 771), costringendo le tre ditte principali molisane di
trasporto di linea (SATI, Molise Trasporti e Larivera, oggi raggruppate in
una sola azienda, la ATM) a licenziare per motivi economici molti dei
propri dipendenti.
Questo evento tuttavia è soltanto di uno dei tanti che caratterizzano l’attuale
mercato del lavoro italiano. Infatti, a causa dell’attuale crisi economica, i
licenziamenti per motivi economici sono in generale sempre più frequenti e
i posti fissi diventano sempre di più un’utopia, soprattutto per i giovani. Le
aziende, anche quando hanno ancora la forza di rimanere sul mercato, sono
talvolta costrette a ridurre il proprio personale per diminuire i costi o per
risorse economiche non sufficienti (come nel caso dei trasporti molisani),
favorendo la crescita della disoccupazione. Una ricerca dell’ISTAT (2012)
ha rilevato infatti che nei primi tre mesi dell’anno in corso il tasso di
disoccupazione è del 10,9%, il più alto dal 1999. Per questa ragione il
licenziamento è una tematica molto attuale e anche il recente dibattito sulla
riforma del mercato del lavoro e sull’art.18 dello Statuto dei Lavoratori lo
dimostra. Quella di oggi è una società in cui le certezze sono poche, dato
che trovare un lavoro e mantenerlo non è facile. Questa realtà
danneggerebbe la persona non solo dal lato economico-finanziario, ma
anche da quello psicologico. Queste ragioni hanno spinto a scegliere la
psicologia del lavoro come contesto disciplinare di analisi.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di rilevare, in materia di psicologia del
lavoro, alcune dimensioni e dinamiche psicosociali connesse al
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licenziamento. A tal fine, la tesi è suddivisa in due parti: la prima, di natura
teorica, è costituita dai primi tre capitoli, mentre il capitolo finale consiste
in una parte empirica, mirata ad approfondire un aspetto particolare del
vasto ventaglio teorico presentato.
La parte teorica è introdotta da un breve capitolo che analizza la tematica
del licenziamento da due prospettive, quella giuridica e quella, appunto,
psicosociale. Il termine “licenziamento”, infatti, rientra nel vocabolario di
diritto del lavoro, pertanto è apparso utile definirlo inizialmente nella sua
dimensione giuridica, specificandone anche i motivi e le tipologie di tutela
del lavoratore. L’ambito giuridico è in questo caso solidamente legato a
quello psicosociale perché un licenziamento può essere sia una conseguenza
sia una causa di determinati comportamenti e azioni. La trattazione inizia
quindi ad abbracciare la psicologia del lavoro, grazie all’applicazione di
alcuni costrutti classici al caso del licenziamento.
I capitoli 2 e 3 costituiscono l’ossatura della tesi, concedendo spazio a
riflessioni teoriche approfondite e particolari sul pre-licenziamento e sul
post-licenziamento. In particolare, vengono affrontate le tematiche relative
alle cause e agli effetti psicologici del licenziamento sulla persona, seppur
in modo molto schematico, attingendo anche a fonti internazionali.
Il capitolo 2 si sofferma su tutti quei concetti della psicologia del lavoro che
possono essere associati alla situazione antecedente il licenziamento, in
modo particolare sulle possibili cause. Vengono qui esplicitate e spiegate
dettagliatamente le varie tipologie di comportamento caratterizzante la
condotta lavorativa e le relazioni interpersonali. Punto di forza del capitolo
è il paragrafo dedicato al “terrorismo psicologico”, ovvero a quella
tipologia di conflitto (volontario) che ha l’obiettivo di “eliminare” un
membro dell’organizzazione considerato “di troppo”.
Il capitolo 3 prosegue indagando sulla situazione psicologica successiva al
licenziamento. La trattazione parte delle condizioni di manifestazione degli
effetti e da un repertorio di modelli teorici sulle modalità di
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fronteggiamento della nuova situazione, le cosiddette strategie di coping.
Tale tematica è stata approfondita perché costituisce il costrutto
psicosociale su cui verte la successiva ricerca empirica. In seguito si passa
alla descrizione degli effetti psicologici creati dalla nuova situazione nella
quale l’individuo entra, spesso suo malgrado. Il capitolo tuttavia non si
limita a rilevare le risposte della persona al licenziamento, ma offre una
tassonomia globale della cosiddetta “psicologia della disoccupazione”
(Sarchielli e Depolo 1987), suddivisa in una pluralità di aree di studio:
vengono messe in evidenza le dimensioni temporale e causale della
disoccupazione, i vari fattori per cui i costi psicologici dello stato di
disoccupazione possono variare da soggetto a soggetto, nonché i possibili
interventi di aiuto al disoccupato. L’individuazione delle fasi della
disoccupazione e la descrizione del senso del tempo caratterizzano la
dimensione temporale, mentre quella causale consiste nell’attribuire a se
stesso o ad altro la responsabilità della sua situazione. Dalla tassonomia in
questione emerge un concetto importante, quello di “disoccupazione”,
intesa come perdita, di mancanza di lavoro. Altro aspetto interessante è che
gli effetti del licenziamento non coinvolgono soltanto i diretti interessati,
bensì anche coloro che sono riusciti a mantenere il proprio lavoro in seguito
ad una riduzione del personale. Sono i cosiddetti “sopravvissuti” e il
paragrafo conclusivo si sofferma su di essi.
La tesi si conclude con la parte empirica, che ha coinvolto un campione di
soggetti disoccupati di diverse fasce d’età, settore lavorativo, ecc. Obiettivo
del capitolo 4 è l’indagine su alcuni concetti esplicitati nel capitolo
precedente, tramite la rilevazione e l’analisi statistica delle reazioni di
alcuni ex-lavoratori allo stress da disoccupazione, in modo particolare delle
principali strategie di coping adottate in seguito alla perdita del lavoro.
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Capitolo 1
Il licenziamento tra giurisprudenza e psicologia
1. La cessazione del rapporto di lavoro
Per cessazione del rapporto di lavoro si intende l’atto per mezzo del quale il
rapporto di lavoro, instaurato tra lavoratore e datore di lavoro, viene
ufficialmente interrotto. La cessazione può manifestarsi sotto due forme:
nel primo caso, l’estinzione del rapporto avviene per “eventi fisiologici”
come la scadenza del contratto, il raggiungimento dell’età pensionistica, il
conseguimento dello scopo prefissato, il verificarsi della condizione
risolutiva eventualmente apposta al contratto e la morte del lavoratore
(Cesarei 2008). Nel secondo caso invece entra in gioco la volontà di una
delle due parti: è qui che trova spazio il tema del licenziamento. In tale
situazione, infatti, il lavoratore cessa di fornire le sue prestazioni per
volontà esplicita del datore di lavoro. In questo senso si parla di estinzione
del rapporto per “ipotesi solo eventuali” (ivi), distinte in cinque tipologie:
a) dimissioni;
b) licenziamento;
c) risoluzione consensuale;
d) impossibilità sopravvenuta della prestazione;
e) verificarsi di cause espressamente previste dalla legge come
risolutive, ad esempio il superamento del periodo di comporto in
caso di malattia del lavoratore.
La differenza sostanziale tra licenziamento e dimissioni è che in
quest’ultima forma il contratto di lavoro recede per iniziativa del
dipendente stesso. Pertanto, per dimettersi è necessario dare comunicazione
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“con congruo periodo di preavviso e nei modi stabiliti dai contratti
collettivi, dagli usi o secondo equità” al datore di lavoro (art. 2119, c.c.).
Inoltre, la rottura del rapporto di lavoro per dimissioni o licenziamento si
differenziano dalla cessazione per scadenza di contratto per il possibile
intervento di fattori psicosociali: dimissioni o licenziamento possono essere
legate a rapporti negativi o comportamenti offensivi di varia natura da parte
di colleghi o superiori. Un esempio di questi comportamenti è il mobbing,
argomento che verrà discusso nel capitolo successivo.
La risoluzione consensuale consiste invece nella risoluzione del contratto
“per mutuo consenso delle parti che l’hanno posto in essere”, in altre parole
richiede che entrambe le parti trovino un accordo (art. 1372, c.c.).
Quando invece il lavoratore è impossibilitato ad eseguire la prestazione suo
malgrado, ad esempio quando sopraggiunge una malattia, il rapporto di
lavoro è interrotto per impossibilità sopravvenuta della prestazione (art.
1256, c.c.).
Per ogni tipologia di cessazione di rapporto di lavoro è previsto un
trattamento di fine rapporto (TFR), ossia una porzione di retribuzione
erogata dal datore di lavoro, riconosciuta dalla legge come un diritto dei
lavoratori. “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il
prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto” (art. 2120,
c.c.).
2. Il licenziamento: nozioni giuridiche
2.1 Definizione e tipologie
Per comprendere a pieno alcune caratteristiche e dinamiche del
licenziamento, è utile fornire una definizione precisa e condivisa. Per
licenziamento si intende “l’atto unilaterale recettizio con il quale il datore di
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lavoro manifesta al lavoratore la propria volontà di recedere dal rapporto in
atto” (art. 1334, c.c.).
Si parla di atto “unilaterale” per il semplice fatto che è posto in essere da
una delle due parti, che dichiara esplicitamente la volontà di rompere il
rapporto di lavoro che lo lega all’altra parte: in particolare, è il datore di
lavoro a prendere l’iniziativa. Oltre ad essere unilaterale, si tratta di un atto
“recettizio”: vuol dire che per produrre effetti deve essere portato a
conoscenza del destinatario.
Si precisa che la definizione utilizzata mette in evidenza la portata
individuale, cioè prende in considerazione il lavoratore singolo. È ovvio che
un’azienda può licenziare anche più di un lavoratore per volta, qualora la
situazione lo richiedesse. Questa caratteristica è utile per distinguere le
tipologie di licenziamento, che variano appunto a seconda della quantità di
lavoratori coinvolti. Ne esistono tre tipi (Associazione Nazionale
Consulenti del Lavoro 2007):
a) il licenziamento individuale, che riguarda un solo lavoratore;
b) il licenziamento plurimo, che coinvolge due o più lavoratori;
c) il licenziamento collettivo, che arriva a colpire almeno cinque
lavoratori.
2.2 Motivi
Le differenti tipologie di licenziamento sono strettamente collegate alle
motivazioni che ne sono alla base. In effetti, un lavoratore può essere
licenziato per vari motivi, che oscillano dal demerito personale alle
necessità aziendali. Il licenziamento è valido solo se avviene per giusta
causa o per giustificato motivo (art. 18, Statuto dei Lavoratori). I motivi più
comuni possono essere così sintetizzati (Associazione Nazionale Consulenti
del Lavoro 2007):