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INTRODUZIONE
Questo studio è nato con l’obiettivo di ampliare il campione di uno studio già
esistente svolto con 65 soggetti di lingua inglese, con il principale obiettivo di
indagare la relazione esistente tra la memoria autobiografica e lo stato della
mente rispetto all’attaccamento, misurato utilizzando l’AAI (George et al.,
1985).
L’obiettivo della tesi è stato quindi quello di valutare se lo stato della mente
rispetto all’attaccamento influenza la modalità di rievocare ricordi
autobiografici e la modalità di immaginare episodi futuri, funzioni svolte dalla
memoria autobiografica.
Nel primo capitolo è stata introdotta la teoria dell’attaccamento, proposta dallo
psicoanalista inglese John Bowlby (1969,1982) e il costrutto dei modelli
operativi interni, le rappresentazioni che ogni individuo interiorizza delle sue
esperienze primarie con il caregiver, che guidano le aspettative e i
comportamenti futuri.
Lo studio della trasmissione intergenerazionale dei modelli operativi interni ha
portato al passaggio dal livello comportamentale a quello rappresentazionale
nello studio dell’attaccamento, che ha permesso di studiare le differenze
individuali nei legami di attaccamento anche negli adulti. Sono poi state
descritte le caratteristiche principali dell’Adult Attachment Interview (George et
al. 1985), lo strumento più usato nello studio dell’attaccamento adulto (Fraley
& Belsky, 2007).
Infine sono stati discussi alcuni studi che trattano del legame tra attaccamento e
regolazione emotiva e del legame tra attaccamento e memoria.
Nel secondo capitolo è stata approfondita l’influenza della qualità del legame
di attaccamento sullo sviluppo della memoria autobiografica. Dapprima
trattando dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 50 anni nello studio della
memoria, che hanno portato a una concezione di questa facoltà come formata
da più sistemi, in seguito descrivendo gli importanti contributi di Bartlett
(1932), il quale ha condotto a una visione della memoria come dinamica e
ricostruttiva attraverso il concetto di schema e di Tulving (1983) di coscienza
autonoetica, la conoscenza di se stessi che caratterizza la memoria episodica e
consente di avere una percezione della continuità del proprio sé nel corso del
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tempo, di ricordare il passato e immaginare il futuro. Sono appunto stati citati
alcuni studi sulla capacità della memoria di simulare episodi futuri e sulla
relazione tra il modo in cui si ricorda il passato e quello in cui si immagina il
futuro.
Dopo una breve descrizione del modello della memoria autobiografica di
Rubin (1995) e dei legami tra il sé e la memoria autobiografica si è trattato del
nuovo modello di sviluppo della memoria autobiografica proposto da Godman
& Melinder (2007), in cui si sottolinea che l’evoluzione della memoria
autobiografica non dipende solo dallo sviluppo del sistema di memoria in sé,
ma anche da quello del linguaggio, delle abilità narrative, della
rappresentazione di sé e degli altri e della teoria della mente. Inoltre le autrici
sostengono che a tutte le età le esperienze negative sono ricordate meglio di
quelle positive e di quelle neutre. Questo aspetto è rilevante in quanto le
esperienze che attivano il sistema di attaccamento sono connotate
negativamente, come ad esempio la separazione, il rifiuto, la paura.
Il campione del presente studio è costituito da 84 soggetti, studenti universitari
di madrelingua inglese e italiana di età compresa tra i 18 e i 52 anni. Gli
strumenti usati sono stati l’Adult Attachment Interview (George et al., 1985),
un compito di rievocazione dei ricordi infantili in risposta a 14 parole stimolo,
8 delle quali correlate all’attaccamento, le restanti 6 neutre e un compito nel
quale è stato chiesto di immaginare episodi futuri, in risposta a 9 parole, 5 delle
quali correlate all’attaccamento.
Gli obiettivi dello studio sono due: esplorare eventuali differenze nelle
modalità di richiamo dei ricordi infantili e nelle modalità di immaginazione di
episodi futuri in base alla sicurezza dell’attaccamento e indagare le differenze
nel modo di rievocare i ricordi sul modo di immaginare il futuro in base al
pattern di attaccamento, in particolare per i soggetti insicuri.
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I. LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO E I MODELLI
OPERATIVI INTERNI
1.1 Bowlby: una teoria innovativa
La teoria dell’attaccamento di Bowlby prende forma dopo le osservazioni
condotte dall’autore quando comincia a lavorare in un istituto per ragazzi
disadattati. Queste osservazioni, assieme a uno studio retrospettivo che Bowlby
pubblica circa 10 anni dopo (Bowlby, 1944) lo portano a ritenere che la
relazione del bambino con la madre sia di immediata importanza per il
bambino e determinante per l’acquisizione di una buona funzionalità sin
dall’inizio della sua vita, appunto Bowlby individua nella distruzione di questo
legame un precursore chiave del disturbo mentale.
L’autore propone una teoria innovativa rispetto alle due teorie più accreditate
del tempo, le quali spiegano il legame del bambino alla madre sulla base della
teoria della pulsione secondaria.
I teorici di scuola psicoanalitica e i teorici dell’apprendimento sociale
ritenevano che la relazione del bambino con la madre fosse basata
principalmente sul soddisfacimento della pulsione della fame che veniva
associato positivamente alla presenza della madre (Cassidy, 2002). La visione
psicoanalitica era fornita dalla teoria pulsionale classica, una delle prime
formulazioni di Freud, secondo questa visione il legame che unisce la madre al
bambino è la libido o energia psichica, il bambino sperimenta una crescita di
tensione: il bisogno di nutrimento, di succhiare il seno come espressione della
sua sessualità infantile, il seno della madre è il veicolo per la scarica di questa
libido. Se la madre, o il suo seno è assente, cresce la tensione dovuta alla libido
non scaricata, che è sentita come angoscia dal bambino (Holmes, 1994).
La teoria della pulsione secondaria v iene messa in discussione dagli studi
etologici di Lorenz (1935) di cui Bowlby è a conoscenza quando comincia a
sviluppare la teoria dell’attaccamento e che gli permettono di comprendere il
vantaggio di applicare tali concetti e tali strategie di ricerca ad alcuni aspetti
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del comportamento umano (Sable, 2008). Lorenz aveva osservato il fenomeno
dell’imprinting nei piccoli delle oche anche con oggetti che non li nutrivano.
Così anche Harlow (1958) aveva osservato che i piccoli delle scimmie reso, in
periodi di stress, a una madre surrogato di fil di ferro, preferivano una madre
surrogato di panno soffice che offriva un contatto confortevole.
Presto furono fatte osservazioni sistematiche anche su bambini dalle quali è
emerso che anch’essi non creano un legame di attaccamento esclusivamente
con persone che li nutrono, ma con persone con cui vengono in contatto fisico
(Ainsworth, 1967; Schaffer & Emerson, 1964).
1.1.1 Il sistema comportamentale dell’attaccamento
Tutto ciò conduce Bowlby a focalizzarsi sulle basi biologiche del
comportamento di attaccamento. Insoddisfatto delle teorie tradizionali egli
trova una nuova spiegazione in seguito alla discussione con colleghi
appartenenti all’ambito della biologia evoluzionistica, dell’etologia, della
psicologia dello sviluppo, della scienza cognitiva e della teoria dei sistemi di
controllo (Bowlby 1969, 1982).
L’autore propone che durante l’evoluzione la selezione abbia favorito i
comportamenti di attaccamento, poiché questi aumentano la probabilità di
prossimità del bambino alla madre, che a sua volta aumenta la possibilità di
protezione e di sopravvivenza. In questo ambiente i piccoli biologicamente
predisposti a stare vicini alle loro madri avevano meno probabilità di essere
uccisi dai predatori ed è per questa ragione che Bowlby definisce la protezione
dai predatori come una funzione biologica del comportamento di attaccamento
(Cassidy, 2008). Quando una separazione diventa eccessiva in termini di
lontananza o di tempo, il sistema di attaccamento comincia ad attivarsi e viene
disattivato quando è stata raggiunta una sufficiente vicinanza (Cassidy, 2002).
Bowlby prende in prestito dall’etologia il concetto di sistema comportamentale
per descrivere l’attaccamento come un sistema specie-specifico di
comportamenti che porta a risultati prevedibili (Cassidy, 2008).
Secondo la teoria dell’attaccamento gli esseri umani hanno una predisposizione
innata a formare relazioni di attaccamento con le figure genitoriali primarie, in
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forma organizzata alla fine del primo anno di vita. La relazione di attaccamento
in sé è definita come un legame duraturo nel tempo e nello spazio, a una
persona specifica, a cui ci si rivolge quando ci si sente vulnerabili e bisognosi
di protezione (Ainsworth, 1973).
Il sistema comportamentale dell’attaccamento ha radici biologiche ed è
caratteristico della specie, questo implica che ci siano dei processi funzionali di
base universali nella natura umana, mentre le differenze sono attribuibili ad
aspetti genetici, influenze culturali ed esperienze individuali (Ainsworth,1989).
1.2 Mary Ainsworth e il paradigma della Strange Situation
Mary Ainsworth fu un membro del gruppo di ricerca di Bowlby durante
l’iniziale periodo di sviluppo della teoria dell’attaccamento.
Ispirata dalla teoria di Bowlby e dalle sue personali osservazioni etologiche
compiute in Uganda e successivamente a Baltimora sulle pratiche dei caregiver
e sul comportamento del bambino (Ainsworth, 1967), la Ainsworth è la prima a
compiere una ricerca sulle ipotesi dell’autore in cui dà una formale descrizione
delle differenze individuali nella sicurezza dell’attaccamento nei piccoli
dell’uomo.
Ainsworth comincia osservando dettagliatamente il comportamento
esploratorio, il pianto e altri comportamenti correlati all’attaccamento, in un
piccolo campione di bambini. Mette a punto delle scale di valutazione del
comportamento, per valutare le qualità dei caregiver: sensibilità ai segnali,
cooperazione-interferenza, accettazione-rifiuto, disponibilità-non disponibilità.
In seguito sviluppa una procedura per valutare la qualità dell’attaccamento in
laboratorio alla fine del primo anno di vita, questa procedura: la Strange
Situation (Ainsworth, Blehar, Waters, Wall, 1978) è il risultato di centinaia di
ore di osservazione dettagliata della relazione genitore-bambino ed è divenuta
il metodo di misura standard usato nelle età successive.
La Strange Situation è un mini dramma (Bretherton, 1992, p.765) della durata
di 20 minuti, costituito da 8 episodi. La madre e il bambino vengono fatti
entrare in una stanza di gioco, dove poi sono raggiunti da una persona
sconosciuta, l’estraneo. Mentre l’estraneo gioca con il bambino la madre lascia
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la stanza e poi vi fa ritorno. Segue una seconda separazione durante la quale il
bambino è completamente solo. Infine ritorna l’estraneo e dopo di lui la madre.
Ci sono marcate differenze nelle risposte dei bambini alle riunioni.
Al ritorno del genitore alcuni bambini cercano conforto, prossimità e contatto e
poi gradualmente ritornano a giocare, questi bambini sono chiamati sicuri,
gruppo B nella classificazione della Ainsworth.
Altri bambini invece evitano e ignorano attivamente il genitore, voltandosi o
spostandosi lontano da lui e vengono chiamati insicuri-evitanti, gruppo A.
Infine altri mostrano rabbia e resistenza al genitore, un desiderio di prossimità
e contatto e inconsolabilità alla riunione, questi sono detti insicuri-ambivalenti,
gruppo C (Main, Kaplan, Cassidy, 1985).
Main e Solomon (1990) hanno aggiunto la classificazione
disorganizzata/disorientata, poiché alcuni bambini mostrano comportamenti
inusuali che impediscono di classificarli facilmente in una singola
organizzazione di comportamento d’attaccamento o che riflettono episodi di
forte disorientamento.
1.2.1 Differenze individuali nei legami d’attaccamento
Il contributo principale di Mary Ainsworth alla teoria dell’attaccamento è la
nozione di differenze individuali nella qualità dell’attaccamento (Crittenden,
1999), Bowlby ed Ainsworth sono stati i primi a concettualizzare la natura di
questa nozione.
Bowlby (1956) osserva che i neonati stabiliscono legami di attaccamento anche
con madri respingenti, l’attaccamento non può quindi essere guidato solo da
associazioni piacevoli (Ainsworth, 1967; Harlow, 1962; Schaffer & Emerson,
1964), tutti i bambini creano questo legame, anche con le madri che abusano di
loro (Weinfield, Sroufe, Egeland, Carlson, 2002). Questo non significa che tutti
abbiano un attaccamento sicuro, ma ci sono delle differenze individuali nella
qualità delle relazioni di attaccamento. La natura del legame affettivo e
l’efficacia con cui il caregiver può essere usato come una fonte di conforto e
rassicurazione contro le minacce dell’ambiente differiscono nelle varie diadi.