IV
INTRODUZIONE
La ricerca si propone di ricostruire in maniera organica il tema del servizio
idrico integrato in Italia, tentando di ripercorrerne le linee di sviluppo
fondamentali, pur nella consapevolezza delle notevoli difficoltà derivanti dalla
continua evoluzione normativa in materia.
Il tema dell’acqua è di speciale attualità, sia a livello globale sia in ambito
nazionale. In Italia, infatti, in particolare sulla scia del referendum costituzionale
del giugno 2011, il cui “quesito cruciale” riguardava proprio la gestione del
servizio idrico, il dibattito si è arricchito di diversi contributi che hanno affrontato
le problematiche generali e la complessa evoluzione normativa del settore.
L’acqua può essere considerata da molteplici punti di vista, pertanto
qualsiasi analisi in merito deve cercare di tenere conto della pluralità dei fattori
coinvolti, della varietà di profili e della complessità della materia.
Si è sentita l’esigenza di iniziare il lavoro analizzando, nel primo capitolo, il
tema dell’acqua come bene pubblico e si è cercato di delineare, con un breve
excursus, la disciplina giuridica della “risorsa acqua”.
L’acqua da sempre è fonte di conflitti giuridici, essa, infatti, è molto più di
un semplice bene pubblico ma è una «necessità di carattere vitale, una risorsa, un
valore tradizionale e spirituale, un patrimonio ambientale» (citando Lugaresi
1
).
Vi sono tesi contrastanti perché c’è chi considera l’acqua una merce, come
una qualsiasi altra cosa e chi, invece, ritiene che l’acqua sia un bene comune, un
bene pubblico, un diritto inalienabile, che non può essere assoggettato a logiche di
profitto.
Interessante è la recente dottrina di Mattei
2
, infatti, egli considera l’acqua un bene
comune: «Il bene comune esiste soltanto in una relazione qualitativa. Noi non
“abbiamo” un bene comune, (un ecosistema, dell’acqua), ma in un certo senso
1
N.LUGARESI, Le acque pubbliche, S. CASSESE (a cura di), Dizionario di Diritto pubblico, Milano,
2006, p. 94 e ss.
2
U. MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, Bologna, 2011, p. 52 e ss.
V
“siamo” (partecipi del) bene comune (siamo acqua, siamo parte di un ecosistema
naturale».
Si è ritenuto indispensabile fare preliminarmente un breve excursus storico;
la normativa italiana, infatti, da sempre ha considerato l’acqua un bene pubblico
(ai sensi dell’art. 822 del c.c.), in quanto la quasi totalità delle modalità in cui essa
si manifesta appartiene al demanio idrico, ovvero allo Stato.
Questa qualifica normativa è associata alle fonti d’acqua fin dalle prime discipline
positive dello Stato italiano, quali: la legge di unificazione amministrativa n. 2248
del 1865 contenente le norme sui lavori pubblici; il codice civile del 1865; il regio
decreto n. 2644 del 1884 che individuava le procedure amministrative per
consentire l’utilizzo delle acque.
Quasi cinquant’anni dopo, con l’emanazione del Testo Unico di riferimento sulle
acque pubbliche (r.d. n. 1775 del 1933) si raggiungeva finalmente una definizione
di acque pubbliche, destinata a rimanere in vigore fino all’emanazione della legge
n. 36 del 1994.
Negli anni ’90, con l’emanazione della legge Galli (l. n. 36 del 1994) la c.d.
«parabola pubblicizzante delle acque»
3
inizia a chiudersi, in quanto il legislatore
offre una definizione del concetto di pubblicità delle acque estesa, chiara ed
onnicomprensiva.
A seguito di questo importantissimo intervento normativo che delinea i principi
fondamentali in materia, tutte le acque sono considerate pubbliche per legge,
tuttavia sebbene non venga radicalmente eliminata la possibilità giuridica di
utilizzazione di determinate acque da parte dei privati, tale utilizzazione è
fortemente ridotta a casi eccezionali.
L’acqua è definita come appartenente al demanio pubblico, secondo quanto
affermato dall’art. 822 c.c., dove si legge che l’acqua costituisce demanio naturale
o necessario e, dunque, la sua appartenenza spetta necessariamente allo Stato e/o
agli enti territoriali; essa è altresì sottoposta ad un regime particolare in quanto si
tratta di un bene inalienabile (res extra commercium) e non usucapibile.
3
Cfr. A. BARTOLINI, Le acque tra beni pubblici e pubblici servizi, in A. POLICE, I beni pubblici:
tutela valorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 27
VI
Tuttavia bisogna sempre tener presente che la natura della risorsa idrica,
bene pubblico, va distinta dalle modalità della sua gestione, che possono essere
tanto di carattere privatistico (mediante l’esternalizzazione del servizio idrico e la
sua gestione da parte di un soggetto privato o pubblico) quanto pubblicistico
(ossia caratterizzate da una gestione diretta da parte dell’ente locale, che in prima
persona garantisce ed eroga il servizio).
Nel secondo capitolo di questo lavoro si affronta il tema del servizio idrico
integrato come servizio pubblico locale.
Tentare di definire la nozione di servizio pubblico locale è sicuramente
un’operazione complessa; infatti, anche se il legislatore ha previsto una specifica
disciplina, non ha mai offerto una sua definizione, né ha fornito elementi formali
o contenutistici per una sua qualificazione.
Il problema della definizione del concetto di servizio pubblico locale è
legato a quello dell’individuazione del concetto di servizio pubblico in generale, a
cui la dottrina ha dedicato grande attenzione, nel tentativo di individuare l’
“introuvable définition du service public”. Tuttavia si giunge alla conclusione
che, ad oggi, ancora non c’è una visione unitaria né sul piano della teoria del
diritto, né sotto il profilo della qualificazione normativa.
L’evoluzione dottrinale della nozione di servizio pubblico ha elaborato due
teorie: una soggettiva (che si basa sull’imputabilità dell’attività dello Stato) e
l’altra oggettiva (che considera la destinazione dell’attività a favore degli
amministrati).
Nelle più recenti ricostruzioni dottrinarie, si ritiene che sia il profilo soggettivo
che quello oggettivo, concorrano alla definizione di che cosa debba intendersi per
pubblico (servizio). Ci si avvede che tale antitesi in realtà è falsa e fuorviante, in
quanto non rileva il carattere pubblico o privato di chi esegue il servizio, ma la
titolarità del servizio in capo all’amministrazione pubblica che lo ha assunto.
Successivamente si procede con l’analisi del servizio idrico.
VII
Quest’ultimo è stato, da sempre, annoverato tra i servizi pubblici, infatti, sia che si
consideri l’aspetto soggettivo che quello oggettivo, non si può dubitare del suo
carattere pubblico.
Ancora una volta viene sottolineato il ruolo fondamentale svolto dalla legge
Galli, a cui va ascritto il merito di aver riorganizzato i servizi idrici in Italia.
Il pregio indiscusso della legge Galli è stato, senz’altro, quello di aver superato la
frammentazione delle gestioni esistenti, riunificando in un unico servizio idrico
l’insieme «dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua
ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue».
Il comune denominatore di tali servizi idrici, infatti, è proprio l’uso della risorsa
acqua nelle diverse fasi del suo ciclo (ricerca, captazione, distribuzione, uso,
depurazione, riuso) e, inoltre, la pubblicità del servizio è confermata anche dalla
circostanza che l’acqua, che ne è l’oggetto, è un bene del demanio naturale.
Considerato che da sempre il servizio idrico ha costituito un settore oggetto
di intervento da parte dei Comuni, in quanto servizio pubblico locale, in questo
lavoro si tiene presente l’orientamento di alcuni autori
4
, i quali sono pervenuti alla
conclusione che il servizio idrico è un servizio pubblico locale di ambito
sovracomunale (dato che gli enti locali possono svolgere i compiti prescritti dalla
legge non direttamente ma tramite l’autorità d’ambito).
Dopo aver ricondotto il servizio idrico nell’ambito dei servizi pubblici
locali, appare necessario effettuare un secondo passaggio qualificatorio,
accertando la natura di tale servizio, perché da quest’ultima qualificazione
dipende il regime giuridico, gestionale e organizzativo applicabile all’attività.
Il dato legislativo, infatti, impone una differenziazione tra due possibili
categorie di attività riconducibili alla nozione di servizio, ma non detta un criterio
preciso su cui fondarla.
Nel tempo si sono succedute varie distinzioni tra servizi a rilevanza
economica e imprenditoriale e servizi senza rilevanza imprenditoriale (art. 22, l. n.
142 del 1990); successivamente, tra servizi pubblici locali di tipo industriale e non
4
In particolare, cfr. S. CIMINI, Acqua, in S. MANGIAMELI (a cura di), I servizi pubblici locali, Torino,
2008, p. 426 e ss.
VIII
(art. 35, l. n. 448/2001); e infine, tra servizi a rilevanza economica e senza (art. 14,
d.l. n. 269 del 2003, conv. in l. n. 326 del 2003).
La nuova disciplina ha abbandonato il criterio distintivo basato sulla nozione
di rilevanza industriale a favore, invece, di quello relativo alla nozione di
rilevanza economica, prevedendo, da un lato, l’applicazione del riformato art. 113
ai servizi a rilevanza economica e, dall’altro, quella del riformato art. 113-bis ai
servizi privi di tale rilevanza.
Bisogna sottolineare che il compito di definire la nozione di rilevanza
economica è stato affidato esclusivamente all’interprete e che, in sintesi, i servizi
pubblici locali a rilevanza economica sono quelli che comportano una reale ed
anche potenziale redditività e, quindi, una competizione concorrenziale.
Le difficoltà interpretative relative alla nozione di rilevanza economica
sembrano, inoltre, trovar conferma in ambito comunitario, laddove si pone il
problema di definire la distinzione tra servizi di natura economica o no, ai fini
della corretta applicazione delle norme del trattato.
Tuttavia si può senz’altro affermare che il servizio idrico integrato è considerato
un servizio “a rilevanza economica” ed è proprio il legislatore, infatti, che all’art.
150, co. 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, annovera esplicitamente il servizio idrico tra
i servizi aventi tale rilevanza.
Nel tentativo di analizzare la natura del servizio idrico integrato, non si
poteva non citare la “monumentale sentenza”
5
della Corte costituzionale n. 325
del 2010, costituendo quest’ultima la pietra miliare dei rapporti tra i diversi enti in
materia di regolazione dei servizi pubblici locali.
Con tale sentenza la Corte si pronuncia su una molteplicità di profili. Il primo
profilo attiene al riconoscimento della centralità della tutela della concorrenza e,
conseguentemente, del ruolo dello stato, nella materia del servizio idrico integrato
(avendo la “tutela della concorrenza” una natura “trasversale”, ex art. 117, co. 2,
lett e) Cost.).
Altro profilo della sentenza della Corte n. 325 del 2010 attiene al riconoscimento
della centralità della rilevanza economica nel servizio idrico integrato, sancita dal
5
Per esprimersi come Sandulli, cfr. M.A. SANDULLI, Il servizio idrico integrato, in
www.federalismi.it, n. 4/2011.
IX
legislatore statale con l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e ritenuta una
caratteristica inderogabile da parte del legislatore regionale.
La verifica della sussistenza della rilevanza economica per i servizi idrici e quindi
la gestione di quest’ultimi da parte di soggetti costituiti sotto forma di impresa, sia
essa pubblica o privata si rivela, in effetti, un passaggio particolarmente delicato,
viste anche le recenti spinte da parte della società civile in virtù dell’elevato valore
sociale attribuito alla risorsa idrica.
Viene rilevato, infine, che proprio al concetto di rilevanza economica va
ricondotto l’impianto argomentativo proposto dalla Corte Costituzionale, con la
sent. n. 26 del 2011, relativamente all’ammissibilità del secondo quesito
referendario.
Si può osservare che la determinazione della tariffa, secondo la Corte, non
necessiterebbe dell’elemento della remunerazione del capitale, essendo sufficiente
a non contraddire la natura economica del servizio il riferimento alla copertura dei
costi. C’è da dire, però, che per parte della dottrina, il venir meno della
remuneratività del servizio se, da un lato, sembra non comprometterne il rilievo
economico, dall’altro evidenzia quanto forzatamente esso sia ascrivibile tra quelli
a rilevanza economica.
I referendum svoltisi nel giugno del 2011 hanno avuto, come è noto, esito
positivo pertanto, per i servizi pubblici a rilevanza economica si applicano le
forme di gestione e le modalità di affidamento consentite dal diritto comunitario e
nei soli limiti di quest’ultimo. Quindi il servizio idrico integrato resta a tutti gli
effetti un servizio da considerare ontologicamente a rilevanza economica,anche in
assenza delle logiche di profitto venute meno con l’abrogazione referendaria.
Nel terzo capitolo viene affrontato il non semplice argomento della gestione
ed affidamento del servizio idrico.
In primo luogo si fa un accenno alla proprietà delle reti, degli impianti e
delle altre dotazioni patrimoniali, tentando di darne una definizione ed
evidenziando la necessaria separazione tra proprietà delle reti, gestione dei beni ed
erogazione dei servizi.
X
La separazione tra proprietà, gestione dei beni ed erogazione dei servizi
costituisce un importante presidio del principio di concorrenza, infatti, per
garantire che la competizione tra gli operatori interessati ad esercitare una
determinata attività di servizio pubblico si svolga ad “armi pari”, occorre evitare
che uno dei contendenti disponga in modo esclusivo o preferenziale dei mezzi di
produzione e di distribuzione o possa accedervi a condizioni più favorevoli degli
altri.
Si è sentita l’esigenza di soffermarsi sul problema della cessione delle
infrastrutture idriche a società patrimoniali, con particolare riferimento alla
sentenza della Corte Costituzionale n. 320 del 2011, che in tema di proprietà di
reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali non può non essere citata.
La Corte sancisce l’incostituzionalità della cessione delle infrastrutture
idriche a società patrimoniali a totale partecipazione pubblica e ciò anche se è
espressamente prevista l’incedibilità del capitale di siffatte società (atteso che
l’incedibilità delle quote o azioni del capitale sociale non comporta l’incedibilità
dei beni che costituiscono il patrimonio della società che, in assenza di specifiche
limitazioni poste dalla legge dello Stato, possono liberamente circolare).
Il tema centrale del terzo capitolo è senz’altro quello dell’affidamento del
servizio idrico ed esso si distingue per difficoltà a causa del susseguirsi incessante
degli interventi normativi in materia (citando Liguori: «nella materia dei servizi
pubblici locali si corre il rischio di spiegare il diritto dell’altro ieri, illustrando il
dettaglio giusto in un momento sbagliato»)
6
.
In primo luogo si tenta di riepilogare brevemente le peculiarità di ciascuna
forma di affidamento, quindi sia l’affidamento in via ordinaria secondo una
procedura concorrenziale (ricordando che le modalità di gestione erano due:
l’esternalizzazione, cioè l’affidamento a soggetti privati, ed il partenariato
pubblico-privato istituzionalizzato, rappresentato dalle società a capitale misto
pubblico-privato) che l’in house providing (affidamento diretto a società
pubbliche, cioè senza alcuna procedura competitiva ad evidenza pubblica, il cui
ricorso è subordinato al concorso della triplice circostanza che: a)
6
Cfr. F. LIGUORI, I servizi pubblici locali, Contendibilità del mercato e impresa pubblica, Torino,
2004, p. 1. L’A. cita S. CASSESE, Annuario AIPDA, 2001, p. 22.
XI
l’amministrazione possieda la totalità delle azioni, b) eserciti un controllo analogo
a quello che esercita sui propri servizi e che c) il soggetto affidatario realizzi la
parte più importante della sua attività con l’ente o con gli enti pubblici che lo
controllano).
Il legislatore statale, dal dicembre 2001 ad oggi, più volte è intervento a
riformare la disciplina generale delle modalità di affidamento e gestione dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica.
La maggior parte di tali interventi, anche se non tutti, sono stati diretti a
promuovere la concorrenza per il mercato ossia il periodico affidamento dei
servizi tramite gare (in questo senso si ricordano principalmente: l’art. 35 della l.
n. 448 del 2001; l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 con il relativo d.P.R: n. 168
del 2010; l’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; l’art. 25 del d.l. n. 27 del 2012).
C’è da dire, inoltre, che più volte le Regioni hanno adito la Corte Costituzionale,
in quanto ritenevano che le discipline legislative statali di riforma determinassero
una lesione della loro sfera di competenza legislativa residuale in materia di
servizi pubblici locali.
La Corte ha più volte accertato la legittimità costituzionale delle normative statali
citate, non solo sotto il profilo del riparto delle competenze legislative tra Stato e
Regioni, ma anche dal punto di vista della loro proporzionalità e ragionevolezza
rispetto allo scopo di tutela e promozione della concorrenza.
Nel 2010, a seguito di detta sentenza della Corte costituzionale, poteva dirsi
consolidata una disciplina statale costituita dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008
e dal d.P.R. n. 168 del 2010, diretta a promuovere forme di concorrenza per il
mercato in tale settore; tuttavia tale disciplina è stata contestata dal movimento
emerso nell’ambito della società civile contrario alla “privatizzazione
dell’acqua”.
A seguito dello svolgimento del referendum del giugno 2011, è stato
abrogato l’art. 23-bis della l. n. 133 del 2008, ossia l’intera disciplina generale
delle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica; pertanto agli operatori si sono posti non pochi dilemmi circa la
disciplina applicabile ai servizi pubblici locali.
XII
Appare utile ricordare come la Corte Costituzionale nella pronuncia n. 24
del 2011, nell’ammettere il referendum sul servizio idrico, ha evidenziato che
«all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato non conseguirebbe alcuna
reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo, dall’altro conseguirebbe
l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria
relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica
per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica».
Nonostante l’esito positivo del referendum abrogativo, poco dopo Governo e
Parlamento sono intervenuti, ripristinando in sostanza la previgente disciplina.
L’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 ha riproposto, dunque, la disciplina contenuta
nella norma in oggetto di referendum, anche se ha escluso dall’ambito della sua
applicazione il servizio idrico integrato. Tale art. 4 è stato dichiarato
incostituzionale dalla Corte costituzionale, con sent. n. 199 del 2012, per
violazione dell’art. 75 della Cost., ossia per violazione del divieto di
riproposizione di normativa abrogata da referendum.
Per i nuovi affidamenti, gli enti locali possono oggi scegliere tra le tre forme
di gestione desumibili dall’ordinamento comunitario, cioè: la gara per la scelta del
gestore, gara per il socio di una società mista, affidamento diretto in house.
Pare opportuno segnalare, inoltre, che ci sono stati vari casi di
amministrazioni locali che, a seguito dell’esito referendario, intenderebbero
trasformare in “aziende speciali” le esistenti società a partecipazione pubblica che
gestiscono il servizio idrico integrato (acquedotto, fognatura e depurazione) o
segmenti di esso.
La trasformazione delle esistenti società in aziende speciali e, dunque, il
mutamento del modulo organizzativo, sottolinea il carattere peculiare della risorsa
idrica, che in quanto tale richiederebbe una gestione da parte di soggetti e strutture
non societarie (che possano attuare le esigenze collettive e sociali sottese).
XIII
Nel quarto capitolo si affronta il tema dell’organizzazione territoriale del
servizio idrico integrato nel continuo perseguimento di un ideale modello
ottimale.
Naturalmente bisogna tenere conto che, recentemente, l’intero assetto
organizzativo è stato, ancora una volta, modificato in seguito alla soppressione
delle Autorità d’ambito.
In relazione alla dimensione organizzativa dei servizi idrici, la legge Galli
prima e, successivamente, il codice dell’ambiente (ex art. 147, d.lgs. n. 152 del
2006), hanno individuato dei precisi parametri per ripartire il territorio nazionale
in ambiti territoriali ottimali, affidando alle Regioni questo importante compito.
Il servizio idrico, infatti, veniva organizzato sulla base di un ambito
territoriale più ampio di quello comunale, denominato appunto ambito territoriale
ottimale (ATO), al fine di superare la frammentazione del settore. Poi presso
ciascun ambito veniva istituita un’Autorità d’ambito (AATO), qualificabile come
ente a struttura associativa.
A differenza della legge Galli, il codice dell’ambiente (ex art. 148, co. 1) ha
riconosciuto la personalità giuridica all’autorità d’ambito, così marcandone la
diversa soggettività rispetto agli enti locali che ne fanno necessariamente parte e
che perciò ne diventano i “soggetti istituzionali di base”.
Alle Autorità d’ambito sono state attribuite importanti funzioni di governo
del settore tra cui quelle relative all’organizzazione e alla vigilanza del servizio
idrico (in particolare la predisposizione del Piano d’ambito, il cui contenuto è
individuato ex art. 149, d.lgs. n. 152 del 2006), alla determinazione della tariffa,
all’affidamento ed al controllo delle gestioni, nonché in materia di
programmazione delle infrastrutture idriche.
Il rapporto tra le Autorità d’ambito e il soggetto gestore del servizio idrico
integrato è stato regolato per mezzo di un’apposita Convenzione predisposta dalla
stessa Autorità sulla base delle convenzioni tipo adottate dalle Regioni e dalle
Province autonome, ex art. 151, co.1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006.
Tuttavia, come si diceva, il modello organizzativo così delineato è stato
modificato dai recenti interventi normativi, motivati prevalentemente da esigenze
XIV
di contenimento della spesa pubblica e dalla volontà di semplificare il quadro
degli enti intermedi.
In un primo momento l’art. 2, co. 38, della l. n. 244 del 2007 aveva fissato
una data, il 1° luglio 2008, entro cui le Regioni avrebbero dovuto riorganizzare il
servizio idrico integrato, individuando nella Provincia o in una diversa forma
associativa tra Comuni il soggetto giuridico di riferimento.
Successivamente la legge finanziaria del 2010 ha previsto la soppressione delle
Autorità d’ambito territoriale, prevedendo un termine, poi prorogato al 31
dicembre 2011, entro cui “ogni atto compiuto dalle Autorità d’ambito territoriale
è da considerarsi nullo”, dovendo le Regioni “attribuire con legge le funzioni già
esercitate dalle autorità nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione
ed adeguatezza”.
L’eliminazione delle autorità d’ambito ha determinato un vuoto istituzionale
bisognoso di essere colmato in tempi rapidi e la questione principale che si è
posta, all’indomani della riforma, appare quella relativa all’individuazione del
nuovo soggetto istituzionale di riferimento.
La soluzione emersa in un primo momento sembra quella di una
rivalutazione del ruolo delle Province. In tal senso, ad esempio, si è mossa la
Regione Lombardia, tra le prime ad adottare una normativa ad hoc (la l.r. n. 21
del 2010) che identifica la Provincia come ente responsabile degli ATO e a tale
soggetto sono trasferite le funzioni prima facenti capo alle AATO.
C’è da dire, però, che il ruolo della Provincia oggi sembra essere entrato in
crisi, il Governo, infatti, l’8 settembre 2011, ha approvato il disegno di legge
costituzionale intitolato “Soppressione degli enti intermedi” e il 5 luglio 2013,
inoltre, è stato approvato il disegno di legge costituzionale “Abolizione delle
province”.
A questo punto, dunque, al di là di quella che sarà la sorte delle province e di
quelli che saranno i modelli organizzativi in concreto adottati dalle singole
Regioni (alcune hanno adeguato la legislazione alla soppressione delle Autorità
d’ambito, altre si sono adoperate all’istituzione di “enti clone”, altre, invece
hanno proposto soluzioni innovative), ciò che sembra incontestabilmente
XV
emergere è un generale indirizzo di favor verso le forme di associazionismo
comunale.
Un importante spunto di riflessione sulle modalità di gestione e di
affidamento del servizio idrico integrato alla luce della soppressione delle
Autorità d’ambito e dell’esito del referendum del giugno 2011 viene offerto dalla
sentenza della Corte costituzionale, n. 62 del 2012.
Con tale sentenza la Corte ribadisce la tesi circa la competenza statale in materia
di organizzazione del servizio idrico integrato, in virtù del collegamento con le
competenze statali in tema di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente,
sulla quale il referendum non ha prodotto effetti.
Infine, a conclusione di questo lavoro, si è ritenuto opportuno accennare
brevemente a due casi emblematici e di grande attualità: quello dell’acquedotto
pugliese (AQP) e quello dell’ABC Napoli.
Questa scelta è stata determinata dal fatto che l’ AQP costituisce l’emblema
del caos normativo e amministrativo che, negli ultimi anni, ha investito l’area dei
servizi pubblici locali, in generale, e quella dei servizi idrici, in particolare.
Tale questione è di particolare interesse sia per le peculiarità che
contraddistinguono l’evoluzione del regime dell’AQP (da ente pubblico a società
per azioni, da proprietà dello Stato a quella regionale), che per il tentativo della
Regione Puglia di istituire un nuovo AQP in forma di azienda pubblica,
subentrante alla AQP S.p.a..
La Corte costituzionale, inoltre, con la sentenza n. 62 del 2012, affronta, tra le
altre questioni, il problema dell’operazione di affidamento della gestione del
servizio idrico integrato all’azienda pubblica Aquedotto Pugliese.
Per finire, non si può non citare la scelta operata dal Comune di Napoli di
istituire un’azienda speciale, comunemente definita come il c.d. “caso ABC
Napoli”.
L’obiettivo preliminare di tale scelta è stato quello di riconoscere all’acqua
lo status di bene comune (ecco perché si è scelto l’acronimo ABC, che sta
appunto per acqua bene comune), mentre la sua finalità è stata quella di evitare
che operatori privati potessero inserirsi nei segmenti del ciclo integrato
dell’acqua.
XVI
Inoltre, nell’ambizioso progetto di neutralizzare ogni ipotesi di profitto sulla
gestione dell’acqua, si inserisce la modifica dello Statuto dell’Arin S.p.a., la
quale, da società per azioni avente scopo di lucro, si trasforma in un’altra società
di diritto pubblico, con finalità speciali.
In conclusione, si rileva che i provvedimenti del Comune di Napoli siano del
tutto in linea con la direttiva 2000/60/CE che dispone che «l’acqua non è un
prodotto commerciale al pare degli altri, bensì un patrimonio che va protetto,
difeso e trattato come tale».