8
autore, infatti, bisogna ipotizzare l’esistenza di un apriori della comunicazione,
come garanzia dell’autenticità di qualsiasi espressione o comprensione
linguistica: senza gli altri - cioè senza una potenziale comunità di comunicazione
a cui fare riferimento - il mio pensiero non avrebbe senso. La relazionalità
comunicativa permea non solo ogni pensiero, ma anche ogni azione umana.
L’orizzonte trascendentale è allora la base su cui si fonda tutta la problematica
etica. Per questo motivo il nostro lavoro dovrà partire innanzitutto dall’analisi
dell’intero itinerario filosofico apeliano, allo scopo di ritrovare in esso le origini
della prospettiva trascendentale. Secondo Apel, pragmatica trascendentale ed
etica si intrecciano in modo indissolubile nella scoperta della categoria della
comunità di comunicazione, alla luce della quale viene fondata la norma etica del
discorso e la responsabilità morale del singolo uomo. Apel ha presentato la
propria proposta di una fondazione razionale della morale, sostenendo che nello
stadio postconvenzionale dello sviluppo morale sussiste la possibilità di
realizzare l’intesa su norme morali non sulla base di autorità contingenti, bensì
sul consenso anticipato della comunità ideale di comunicazione di tutti gli
uomini. Tale possibilità è fondata sulla funzione universale che il linguaggio
assume. Con questo, il nostro autore non intende affermare che l’uso del
linguaggio garantisca di per se stesso il conseguimento di un consenso razionale
universale in merito a norme e principi morali, ma esso lo rende almeno
possibile, in quanto rende possibile regolamentare in maniera vincolante il
discorso argomentativo mirante all’intesa e alla formazione di un consenso in
9
merito a norme e principi morali. Per Apel, inoltre, attraverso la riflessione sulle
condizioni della possibilità dell’argomentare sensato, è possibile fissare le norme
della reciprocità comunicativa mediante una fondazione ultima dei principi
dell’etica. Tale fondazione si basa sulla considerazione che la partecipazione al
linguaggio nella forma dell’argomentazione razionale presuppone
necessariamente, pena il cadere in un’autocontraddizione performativa, il
riconoscimento di norme etiche fondamentali (comprensibilità, verità, veridicità e
giustezza normativa), le quali, in quanto regole ideali dell’argomentazione,
rappresentano le condizioni per la possibilità di una comunità ideale della
comunicazione, che chi argomenta nella comunità reale della comunicazione
deve sempre necessariamente presupporre come condizione dell’argomentare
stesso.
Fondare in tal modo la comunicazione consensuale significa da parte di Apel
manifestare una grande fiducia nelle capacità del pensiero umano. E ciò avviene
proprio quando, in un epoca di passaggio come la nostra, caratterizzata dal crollo
delle ideologie e dalla crisi dei valori tradizionali, una proposta di tal genere
rivela una carica utopica non indifferente. Ogni discorso volto al consenso
rimane, infatti, pur sempre legato a forme di razionalità strategica. Spesso accade
cioè che i consensi, di volta in volta ottenuti, non siano espressione reale dei
bisogni e delle pretese dell’intera umanità: il consenso rischia di divenire
ideologico, se non è esso stesso il risultato di una comunicazione, idealmente
avvenuta, tra tutti i partecipanti al discorso. Tali zone d’ombra attraversano
10
pericolosamente il campo della comunicazione, impedendo al pensiero umano di
esprimere le sue reali potenzialità e di realizzare la reciproca comprensione nella
storia.
Il messaggio dell’etica apeliana è allora chiaro: compito dell’uomo - del singolo
uomo - e compito delle istituzioni, è di operare per l’emancipazione ed il
progresso dell’intera umanità. Ciò si potrà ottenere solo facendo in modo che la
comunicazione volta alla comprensione venga sentita ed accettata come un
valore: un valore da realizzare concretamente nella società in cui ognuno si trova
a vivere. Qui entra in gioco anche il termine ultimo cui la riflessione del filosofo
tedesco è approdata: la responsabilità. Ogni individuo deve sentire in se stesso la
responsabilità per le sue azioni e per le azioni collettive, nel senso di un impegno
a realizzare forme di interazione comunicativo-consensuali sempre più
autentiche.
Per Apel, dunque, un’etica ha valore solo in una prospettiva mondiale. Non a
caso egli definisce la propria proposta come quella di una macroetica planetaria.
Per evidenziare il carattere innovativo e stimolante di tale visione ci siamo
proposti, nell’ultimo capitolo di questo lavoro, di metterla a confronto con
un’altra prospettiva, all’apparenza diametralmente opposta nelle conclusioni:
quella del neoaristotelismo tedesco contemporaneo, una linea di pensiero non
omogenea in se stessa, in quanto ad essa fanno capo autori di diversa estrazione -
soprattutto però provenienti dal filone dell’ermeneutica -, ma in certo modo legati
al recupero di Aristotele quale è stato operato dagli esponenti della
11
Rehabilitierung. Ma per maggiori chiarimenti rimandiamo ovviamente al testo.
Presentiamo ora brevemente l’impianto dell’intero lavoro.
Come ho precedentemente accennato, il primo capitolo sarà dedicato a delineare
un profilo della filosofia apeliana. Ci preme soprattutto di collocare l’etica del
discorso nel giusto orizzonte della filosofia trascendentale. Data l’ampiezza dei
riferimenti di Apel alla filosofia contemporanea, ci siamo limitati a presentare, in
un modo sintetico e unicamente funzionale al discorso sulla comunicazione-
responsabilità, correnti e autori che, in un altro contesto, avrebbero meritato un
approfondimento maggiore.
Il secondo capitolo illustrerà in maniera approfondita la specifica proposta etica
dell’autore tedesco, mirando a definirne i caratteri fondamentali ed i possibili
interlocutori e critici.
Il terzo ed ultimo capitolo sarà, invece, dedicato al tentativo di confronto-
integrazione con la prospettiva etica incarnata dal neoaristotelismo tedesco
contemporaneo. Sarà nostro compito, allora, di mettere in luce, in particolar
modo, le diverse origini dei due modelli, nonché la comune appartenenza ad un
orizzonte speculativo postmetafisico.
12
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
TdP K.O. Apel, Transformation der Philosophie
CC K.O. Apel, Comunità e Comunicazione
Ld K.O. Apel, Il Logos distintivo della lingua umana
EdC K.O. Apel, Etica della Comunicazione
DV K.O. Apel, Diskurs und Verantwortung
LE R. Mancini, Linguaggio e Etica
EdA S. Petrucciani, Etica dell’argomentazione
Le citazioni da testi in lingua straniera, riportate nella tesi,
sono sempre tradotte. Ove non si faccia esplicito riferimento ad
alcuna traduzione italiana pubblicata, o quantomeno
dattiloscritta, si intende che la traduzione è dello scrivente.
13
CAPITOLO PRIMO
RADICI STORICHE
ED ELEMENTI TEORETICI SIGNIFICATIVI
NEL PENSIERO DI KARL-OTTO APEL
14
Le origini: la filosofia del linguaggio
come prima filosofia
I maggiori interpreti del pensiero di Apel sono per lo più concordi nel
rilevare come la posizione teoretica del filosofo tedesco si ponga alla confluenza
di due tradizioni speculative determinanti per il nostro secolo: quella analitica di
stampo anglosassone e quella ermeneutica di scuola tedesca
1
. Non a caso i primi
scritti del nostro autore sono dedicati ad Heidegger, da un lato (la dissertazione
non pubblicata dal titolo Dasein und Erkennen. Eine erkenntnistheoretische
Interpretation der Philosophie Martin Heideggers, Bonn 1950), e, dall'altro, al
grandioso tentativo di redazione di una storia dell'idea di lingua. L'idea iniziale di
Apel era quella di scrivere una “storia della filosofia moderna del linguaggio, più
precisamente: dell'idea di linguaggio nel pensiero moderno”
2
. Il risultato è stato
quello di pubblicare un ampio volume e un articolo monografico sul tema
3
.
Secondo Roberto Mancini l'interesse dell'itinerario teoretico apeliano
consiste proprio nel delineare una proposta che, assumendo la filosofia del
1
Si vedano soprattutto G. Vattimo, Introduzione a K.O. Apel, Comunità e Comunicazione
(CC), Rosenberg & Sellier, Torino 1977, pp. VII-XXXII; R. Mancini, Linguaggio e Etica (LE),
Marietti, Genova 1988; S. Petrucciani, Etica dell'argomentazione (EdA), Marietti, Genova 1988.
2
Die Idee der Sprache in der Tradition der Humanismus von Dante bis Vico, Bouvier,
Bonn 1963 (trad. it. a cura di L. Tosti, L'idea di lingua nella tradizione dell'Umanesimo da
Dante a Vico, Il Mulino, Bologna 1975). La citazione è a p. 5 della trad. it. In quest’opera, che
rappresenta sicuramente uno degli esiti più felici della sua produzione, Apel dimostra una
notevole maestria nel districarsi nella selva di autori che cita: da quelli dell’Umanesimo italiano
ai mistici tedeschi, ai letterati-filosofi del Romanticismo, fino ai rappresentanti della
contemporanea filosofia analitica.
3
Per il volume si veda la nota precedente; l'articolo è Die Idee der Sprache bei Nikolaus
von Cues, «Archiv für Begriffsgeschichte», 1(1955), pp. 200-220. È interessante notare come
Apel stesso presenti quest'ultimo scritto come un lavoro preparatorio a quella che qui ancora
chiama Die Idee der Sprache im Denken der Neuzeit. Egli, infatti, è giunto alla pubblicazione di
quest’opera dopo ben dieci anni di lavoro e di ripensamenti.
15
linguaggio come prima philosophia, vuole accogliere alcuni elementi ed istanze,
rispettivamente, degli approcci analitici di stampo anglosassone e
dell'ermeneutica di derivazione heideggeriana
4
. Per Apel, cioè, ogni enunciato,
descrizione o interpretazione sarebbe possibile solo in quanto il mondo è già da
sempre aperto e pre-compreso nel linguaggio storico degli uomini, che assume
perciò il valore di apriori intramontabile di ogni interpretazione del mondo e
della realtà, di condizione di possibilità di ogni conoscere e pensare
5
. Ne L’idea
di lingua... egli scrive: “nel rapporto tra filosofia e lingua si è verificato un
mutamento fondamentale ... esso consiste nel fatto che la lingua non viene più
trattata esclusivamente come oggetto della filosofia, ma invece per la prima volta
viene considerata col massimo impegno dalla filosofia come condizione di
possibilità. Per questo, con filosofia del linguaggio non si intende più una
filosofia del o della ... essa è subentrata al posto dell'ontologia. Prima di mettersi
a discutere dell'ente in quanto tale ci si interroga sulle condizioni linguistiche
della possibilità di costruire frasi dotate di senso, e pertanto si tratta la lingua
come un'entità trascendentale nel senso inteso da Kant”
6
.
Questo apriori semantico trascendentale della comprensione del mondo,
sempre già presupposto nel e col linguaggio d'uso corrente, non è, per Apel,
fissato una volta per tutte e per tutti gli uomini, ma è semplicemente la
quintessenza di quella preintelligenza del mondo per cui di volta in volta siamo
in anticipo su noi stessi, quali appartenenti ad una determinata comunità
4
R. Mancini , LE, p. 14.
5
S. Petrucciani, EdA, p. 12.
6
L’idea di lingua..., pp. 23-24.
16
linguistica della storia in ogni attuale comprensione del mondo
7
. È questo il
senso del linguistic turn della filosofia del nostro secolo. Ed è proprio su questo
punto che Apel si ricollega alla tradizione ermeneutica tedesca contemporanea,
ed in special modo a Heidegger e a Gadamer.
Heidegger rimane come costante punto di riferimento per tutto lo sviluppo
del pensiero apeliano
8
, sia come obiettivo critico che come pura sorgente
d’ispirazione. Ciò che spinge il nostro autore al confronto aperto con Heidegger
è, in un primo momento, il problema della costituzione del senso. L’idea di fondo
di Apel è che “nel già ogni volta, nello je schon della pre-struttura, analizzata da
Heidegger, della comprensione del mondo e del sé, sia ideata e progettata una
trasformazione ermeneutico-fenomenologica della filosofia trascendentale: una
trasformazione, cioè, nel senso dell’ampliamento e della nuova risposta alla
domanda sulle condizioni di possibilità della comprensione del mondo e quindi
7
Cfr. L’idea di lingua..., p. 30.
8
Prendendo le mosse dalla dissertazione già ricordata del 1950, in seguito Apel si è
occupato in maniera specifica di Heidegger nei seguenti luoghi: Wittgenstein und Heidegger:
Die Frage nach dem Sinn von Sein und der Sinnlosigkeitsverdacht gegen alle Metaphysik,
«Philosophisches Jahrbuch», 75(1967), pp. 56-94; ora in K.O. Apel, Transformation der
Philosophie (TdP), Suhrkamp, Frankfurt am Main 1973 (trad. it. parziale a cura di G. Vattimo,
Comunità e Comunicazione (CC), Rosenberg & Sellier, Torino 1977 - su questa traduzione si
veda la recensione di P. Tomasi, «Archivio di filosofia», (1978), pp. 435-439), vol. I, pp. 225-
275 (trad. it. Wittgenstein e Heidegger. Il problema del senso dell’essere e il sospetto di
insensatezza contro ogni metafisica, in CC, pp. 3-46); Heideggers philosophische
Radikalisierung der «Hermeneutik» und die Frage dem «Sinnkriterium» der Sprache, in O.
Loretz-W. Strolz (Hrsg.), Die hermeneutische Frage in der Theologie, Herder, Freiburg i. Br.
1968, pp. 86-152, ora in TdP, vol. I, pp. 276-334; Sinkonstitution und Geltungsrechtfertigung.
Heidegger und das Problem der Transzendentalphilosophie, in Forum für Philosophie Bad
Homburg (Hrsg.), Martin Heidegger: Innen- und Außenansichten, Suhrkamp, Frankfurt am
Main 1989, pp. 131-175 (trad. it. Costituzione del senso e giustificazione di validità. Heidegger
e il problema della filosofia trascendentale, in F. Bianco (a cura di.), Heidegger in discussione,
Angeli, Milano 1992, pp. 131-155); Wittgenstein und Heidegger: kritische Wiederholung und
Ergänzung eines Vergleichs, in J. Habermas (Hrsg.), Der Löwe spricht ... und wir können ihn
nicht verstehen, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1991 (trad. it. parziale Autocritica o
autoeliminazione della filosofia?, in G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’91, Laterza, Bari 1992,
pp. 33-50).
17
della costituzione di senso del mondo ... L’analisi heideggeriana mostra, inoltre -
scrive il nostro autore -, che la relazione soggetto-oggetto della coscienza
scientifica dell’oggetto è già sempre inserita nel nesso strutturale dell’essere-nel-
mondo che comprende l’appagatività, ovvero la significatività”
9
. Apel con ciò “si
dimostra attento a cogliere le possibili relazioni di senso tra l’uomo e il mondo,
considerate a seconda del loro darsi entro differenti modalità di esperienza
conoscitiva”
10
. Di più, l’analitica esistenziale heideggeriana sembra fornire al
nostro autore una strada originale per stabilire la radice concreta comune alle
varie procedure conoscitive. Con Heidegger il Verstehen non è più trattato alla
stregua di una delle tante metodologie del conoscere, ma viene a coincidere con il
peculiare modo di esistere dell’uomo. Quello che più conta, comunque, è
l’affermarsi dell’idea che la struttura del comprendere è affidata al linguaggio
11
:
“alla pre-struttura, storicamente e temporalmente condizionata, di tutto il
comprendere che ha luogo nella vita quotidiana e nella scienza, appartiene -
sostiene, infatti, Apel - una pre-comprensione del mondo che è anche
linguisticamente articolata già sempre nel senso dello stato interpretativo
pubblico del mondo dell’Esserci”
12
.
Ispirato da questi risultati della riflessione heideggeriana, Apel si spinge alla
9
Costituzione del senso e giustificazione di validità ..., p. 133.
10
R. Mancini, LE, p. 26.
11
“La co-appartenenza tra comprensione del mondo e linguaggio - scrive Apel - si mostra
nella sua piena rilevanza anzitutto nella considerazione della temporalità e della storicità
dell’esserci. In quest’ottica, ciò che è compreso, in cui l’uomo già sempre dimora (ossia il
mondo entro cui egli si comprende), si dispiega già sempre in un linguaggio concreto ... Perciò
Heidegger può parlare del linguaggio come del concreto organon del comprendere” (Das
Verstehen, «Archiv für Begriffsgeschichte», 1(1955), pp. 142-199. La citazione è a p. 198).
12
Costituzione del senso e giustificazione di validità..., p. 138.
18
ricerca di una possibile trasformazione della teoria kantiana della conoscenza,
capace di assumere adeguatamente la duplice consapevolezza che l’impresa
conoscitiva è immersa nella storicità dalle sue stesse fondamenta e, d’altro canto,
lo è proprio in virtù dell’elemento linguistico. Prende così corpo nel nostro autore
la problematica dello sviluppo organico della coscienza della relazione tra
conoscenza, linguaggio e interessi vitali - nel senso più generale del termine.
Prende forma, di conseguenza, “una prospettiva tesa al reperimento di quella
sorta di apriori che sono le strutture antropologiche necessariamente implicate
nella conoscenza”
13
. Si tenga presente che già il maestro di Apel, E. Rothacker,
aveva a suo tempo elaborato il progetto di una «antropologia della conoscenza»
(Erkenntnisanthropologie), intesa ad indagare le condizioni materiali della
conoscenza.
Quali sono allora per il nostro autore le condizioni universali del conoscere?
Possiamo indicarle come strutture apriori? La risposta di Apel consiste qui in un
progetto di trasformazione del trascendentalismo di Kant: l’eresia
14
apeliana
consiste nel non considerare la coscienza come la sola dimensione che svolge una
funzione trascendentale nella conoscenza, e nell’includere, invece, anche la
nostra posizione vitale e corporea nel mondo, ed il linguaggio. Se Kant riconosce
lo status di apriori solo alla coscienza (Bewußtseinapriori), Apel ci pone di fronte
all’assunzione irreversibile di due ulteriori strutture antropologiche: l’apriori
della corporeità (Leibapriori) e quello del linguaggio (Sprachapriori).
13
R. Mancini, LE, p. 29.
14
R. Mancini, LE, p. 30.
19
L’epistemologia si trasforma così in antropologia della conoscenza: non
possiamo conoscere alcunché, sostiene Apel, a prescindere da una posizione
vitale corporalmente situata, oppure a prescindere dall’appartenenza ad una data
comunità linguistica. Il nostro autore matura il suo progetto in alcuni articoli
pubblicati durante gli anni Sessanta
15
. In uno di questi ci viene fornita anche una
definizione di «antropologia della conoscenza»: si tratta di “un approccio capace
di ampliare la questione kantiana circa le condizioni di possibilità della
conoscenza, nel senso che trovino un’indicazione non soltanto le condizioni
d’una rappresentazione del mondo unitaria, oggettivamente valida, per una
coscienza in generale, bensì tutte le condizioni che rendono possibile
un’impostazione problematica scientifica come impostazione significativa”
16
.
Seguiamo il ragionamento di Apel. Secondo il nostro autore, le condizioni
accennate di possibilità e validità della conoscenza non si possono riportare
soltanto a funzioni logiche della coscienza, fermandosi così ad un idealismo
astratto. Non si possono però neppure attribuire all’oggetto della conoscenza, in
15
In particolare Kann es ein wissenschaftliches «Weltbild» überhaupt geben?, «Zeitschrift
für philosophische Forschung», 16(1962), pp. 26-57, in cui si dimostra come la scienza in
quanto tale non è in grado di fornire una significativa immagine del mondo (Weltbild) che renda
possibile all’umanità una riflessione sulle sue responsabilità per la ricerca e le sue conseguenze,
ma sia costretta a presupporla (vedi la These 1 a, p. 28); Das Leibapriori der Erkenntnis,
«Archiv für Philosophie», 1-2 (1963), pp. 152-172, in cui si spiega come il Leibapriori della
conoscenza sia quella presupposizione che dobbiamo ammettere al livello preriflessivo della
costituzione del mondo: “se una filosofia teoretica valevole in generale - scrive Apel - dovesse
accontentarsi per principio della riflessione formale ... sarebbe così anche già dimostrato che
essa, accanto alla coscienza in generale, ha riconosciuto come condizione di possibilità della
sua riflessione formale, l’apriori pre-riflessivo del punto di vista corporeo (Leibsgesichtspunkt)
come imprescindibile condizione di possibilità di tutti i contenuti materiali del mondo”, p. 163;
Szientistik, Hermeneutik, Ideologiekritik, «Wiener Jahrbuch für Philosophie», 1(1968), pp. 15-
45; ora in TdP, vol. II, pp. 96-127 (trad. it. Scientistica, ermeneutica, critica dell’ideologia.
Abbozzo di una dottrina della scienza in chiave gnoseoantropologica, in CC, pp. 105-131).
16
Scientistica, ermeneutica, critica dell’ideologia, p. 105.
20
quanto esse sono già sempre presupposte da ogni conoscenza oggettiva. La
relazione soggetto-oggetto cartesiana non è sufficiente per la fondazione di
un’antropologia della conoscenza: una coscienza pura dell’oggetto non può
strappare alcun senso al mondo. Per poterlo fare, la coscienza, per sua natura
eccentrica, deve impegnarsi centricamente, vale a dire corporeamente, nel qui e
ora. Ogni costituzione di senso, infatti, rimanda sempre ad un impegno corporeo
della coscienza che conosce
17
. E non solo la costituzione di senso individuale
volta per volta possibile, bensì anche la validità intersoggettiva di ogni
costituzione di senso. Così, soltanto attraverso i segni del linguaggio, le mie
intenzioni di senso vengono mediate con le possibili intenzioni di senso degli
altri uomini, in maniera tale che io possa realmente «voler dire» qualcosa. Il
linguaggio stesso, dunque, rimanda ad un apriori soggettivo di natura specifica,
che sta in rapporto complementare con l’apriori della coscienza
18
. Come ben nota
Stefano Petrucciani, “la capacità di parlare un linguaggio presuppone non solo
l’apertura al mondo che ci si mostra attraverso i nostri sensi, ma anche il nostro
impegno corporeo nel mondo come possibilità di intervento su di esso, mediato
17
È questo delle condizioni materiali della conoscenza il contesto problematico in cui
Apel, che si dichiara in più parti estraneo alle concezioni dei padri della Scuola di Francoforte
(cfr., ad esempio, il saggio The hermeneutic Dimension of social Science, in ... - trad. it. a cura
di A. Pagnini, La dimensione ermeneutica delle scienze sociali, «Iride», 6(1991), pp. 7.39: “...i
miei rapporti con la Scuola di Francoforte, e cioè con Horkheimer, Adorno e Marcuse, sono
molto remoti, e io non ho mai conosciuto personalmente questi pensatori”, p. 24), trova un
motivo di affinità con la tradizione marxista. Osservazione analoga troviamo anche in G.
Vattimo, Introduzione a CC, p. VII.
18
Per seguire questo ragionamento vedi Scientistica, ermeneutica, critica dell’ideologia,
pp. 107-108. Per la “reciproca dipendenza di apriori della coscienza e apriori del linguaggio”
vedi anche Is Intentionality more basic than Linguistic Meaning?, in E. Lepore-R. van Gulick
(Eds), John Searle and his critics, Blackwell, Cambridge-Mass. 1991, pp. 31-55 - soprattutto p.
41. Per un’analisi del rapporto tra le diverse strutture aprioriche vedi Pragmatische
Sprachphilosophie in transzendentalsemiotischer Begründung, in H. Stachowiak (Hrsg.),
Pragmatik, Meiner, Hamburg 1993, vol. IV, pp. 38-61 - soprattutto pp. 39-40.
21
dalla nostra organizzazione corporea”
19
.
Se non esiste, dunque, conoscenza senza impegno corporeo, secondo Apel,
non esiste neppure costituzione dell’oggetto della coscienza e dell’autocoscienza
che non sia già sempre percorsa dalla linguisticità. Non si può escludere il
linguaggio dal rango di apriori, ignorando come esso sia fin dall’inizio
condizione di possibilità della relazione di senso tra l’uomo e il mondo. Apel
riconosce il merito di questo guadagno alla fenomenologia ermeneutica di
Heidegger e di Gadamer
20
. Essa avrebbe scoperto quelle strutture quasi-
trascendentali
21
che non potrebbero essere concepite entro il rigido schema della
relazione soggetto-oggetto cartesiano-kantiana. L’heideggeriana pre-struttura
esistenziale, invece, in quanto struttura dell’essere-nel-mondo, del con-essere,
della pre-comprensione, ci mette realmente di fronte ad un’elaborazione più
19
S. Petrucciani, EdA, p. 41. Su questo scritto di Petrucciani dedicato ad Apel, vedi la
recensione di B. Celano, «Giornale di metafisica», 3(1989), pp. 501-503.
20
Apel ha recensito l’opera maggiore di Gadamer, Wahrheit und Methode (H.G. Gadamer:
«Wahrheit und Methode», «Hegel-Studien», 2 (1963), pp. 314-322), mettendo in luce quelli che,
a suo avviso, sono i due limiti fondamentali che la caratterizzano: non affronterebbe a
sufficienza la problematica della riflessione, non scoprendo così le condizioni trascendentali di
possibilità del suo procedere filosofico, e rifiuterebbe come “puramente scientifica”
l’impostazione di un’«ermeneutica filosofica» come quella apeliana, perché in una certa misura
essa si collocherebbe ad un livello di riflessione troppo profondo, e perciò “obliante il Logos”.
Per una interpretazione di questa recensione, cfr. Elena Agazzi, Dopo Francoforte. Dopo la
metafisica, Liguori, Napoli 1990, pp. 68-69.
21
Perché Apel indica come quasi-trascendentali quelle strutture apriori che rendono
possibile la nostra conoscenza? Roberto Mancini non ha dubbi: “Apel usa spesso trascendentale
e quasi-trascendentale come sinonimi” (LE, p. 34). Stephen Taylor Holmes (Recensione a K.O.
Apel, «Transformation der Philosophie», «International Philosophical Quarterly», 15(1975), pp.
215-226) propone invece due motivi per questa insolita e discutibile formulazione: facendo
l’esempio dell’apriori corporeo, afferma che esso, diversamente dalla coscienza trascendentale
di Kant, può essere anche esperito concretamente (“...è sia un principio dell’esperienza, che un
possibile oggetto per l’esperienza”, p. 218); in secondo luogo, Apel ammetterebbe che questi
apriori che guidano la conoscenza non sono eterni, ma in qualche modo frutto dell’evoluzione
umana, e dunque, anche contingenti - in questo senso non si possono definire come
assolutamente trascendentali.