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INTRODUZIONE
Gli anni del “miracolo economico” vengono generalmente ricordati per
la forte crescita del settore secondario e per gli importanti cambiamenti
avvenuti all’interno della società italiana.
Ma com’era visto il nostro paese in quel periodo all’estero? Quali erano
i fatti in merito ai quali venivano espressi pareri positivi e le situazioni
che invece suscitavano delle preoccupazioni?
L’obiettivo che ci si pone con la stesura di questa tesi è proprio quello di
rispondere a questi interrogativi.
Il lavoro è suddividiso in due parti, nella prima delle quali si presenta un
riepilogo di quelli che furono i fattori determinanti per lo sviluppo
economico del nostro paese basato sulla storiografia, mentre con nella
seconda si effettua un’analisi degli stessi elementi evidenziando però gli
aspetti ai quali veniva data la maggiore importanza dalla rivista “The
Economist” in seguito ad una selezione di 55 articoli pubblicati tra il
1947 e il 1966 sulla situazione italiana.
Questa scelta non dipende ne dal caso ne dai gusti personali del
redattore di questa tesi, ma bensì dal fatto che l’Economist, oltre ad
avere una forte diffusione e una lunghissima storia editoriale, riflette in
parte significativa gli orientamenti delle elite economiche e politiche
internazionali.
Uno studio di questo tipo risente tuttavia inevitabilmente di alcuni fattori
derivanti sia dall’indirizzo politico della fonte di riferimento che nel
nostro caso è orientata al keynesismo con una particolare attenzione al
ruolo della domanda aggregata nel sistema economico, sia dal contesto
storico del periodo preso in esame, che era caratterizzato da un lato per
un deciso e crescente miglioramento economico su base mondiale e
dall’altro lato per la situazione politica che vedeva la netta
contrapposizione tra il blocco occidentale e quello orientale guidati
rispettivamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.
La presenza di questi elementi ci porta infatti a fare delle considerazioni
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su quelle che potevano essere le attenzioni rivolte dall’Economist alla
situazione italiana durante quegli anni.
In primo luogo si può pensare che l’Economist, nell’analizzare elementi
che giocarono un ruolo importante per lo sviluppo economico italiano
come gli aiuti del Piano Marshall o il processo d’integrazione europea,
più che concentrarsi sui benefici che essi ebbero limitatamente al
nostro paese orientò le proprie attenzioni ai loro effetti su scala globale.
In secondo luogo emerge come l’Economist, vista la situazione politica
mondiale, esprimesse le proprie preoccupazioni per la forza del partito
comunista in Italia ricercandone le cause ma allo stesso tempo,
considerato l’indirizzo editoriale della rivista, non giudicasse
negativamente a priori le iniziative effettuate dallo Stato in campo
economico durante quegli anni
Nel complesso sarà proprio verso quest’ultime che verranno rivolte le
maggiori attenzioni mentre un minore spazio verrà riservato sia al ruolo
della manovra einaudiana e degli aiuti del piano Marshall nel periodo
della ricostruzione sia agli effetti che ebbe il processo d’integrazione
europea sul sistema produttivo durante gli anni del “miracolo
economico”.
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1.1. I FATTORI DETERMINANTI PER LA CRESCITA
Il cosiddetto “miracolo economico” è un periodo, collocabile negli anni
tra il 1951 e il 1963, in cui l’Italia conobbe una fase di rapido e intenso
sviluppo economico che sancì il suo passaggio da un paese in cui
l’agricoltura aveva ancora un ruolo dominante ad un paese pienamente
industrializzato.
Per rendersi conto dell’entità di tale cambiamento è sufficiente dare
un’occhiata ai principali parametri economici riportati nella tabella qui
sotto, dai quali si può notare come durante quegli anni indicatori
importanti come il pil e i consumi crebbero all’anno in media del 7,5%,
gli investimenti industriali del 15,6% mentre le importazioni e le
esportazioni addirittura del 25,92% e del 23,46% (con un forte
incremento soprattutto nell’intervallo tra il 1958 e il 1963).
TABELLA 1. Italia 1951-63. Indicatori macroeconomici (indici con base 1951=100; prezzi del 1985)
1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 1961 1962 1963
Pil 100 105 112 117 124 130 137 144 153 164 176 187 197
Importazioni 100 111 127 131 141 160 178 185 204 280 319 366 437
Esportazioni 100 96 113 124 135 154 184 208 244 292 339 377 405
Consumi
privati 100 107 114 115 121 127 133 138 145 155 166 180 197
pubblici 100 106 108 116 118 122 124 131 137 143 150 155 162
Investimenti
Macchinario ecc. 100 107 117 126 134 147 155 151 166 204 245 270 303
Costruzioni ecc. 100 122 143 160 183 190 212 230 248 266 293 329 355
Valore aggiunto
Agricoltura 100 98 109 103 109 110 112 125 130 125 136 130 140
Ind. energetica 100 106 110 114 122 136 145 162 177 212 232 241 256
Ind. estrattiva 100 112 126 145 169 186 204 213 236 267 294 327 337
Ind. manifat. 100 103 110 120 128 138 146 149 166 186 206 226 245
Edilizia 100 117 134 149 167 172 187 201 216 228 247 268 285
Servizi 100 105 110 114 120 127 134 139 147 158 171 183 194
Pubbl. amm. 100 103 106 113 116 119 124 128 133 137 142 145 148
Rolf Petri, ‘Storia economica d’Italia - Dalla grande guerra al miracolo economico (1918-1963)’,
Bologna, il Mulino, 2002, p.189.
Durante il periodo antecedente la seconda guerra mondiale lo sviluppo
del sistema economico italiano era stato frenato da vari fattori come la
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sovrapopolazione rurale, la chiusura relativa dei mercati esteri e la
scarsa dotazione di materie prime.
Fu grazie al superamento di questi scogli, al contributo delle politiche
monetarie ed economiche dello Stato e all’iniziale impulso degli aiuti
provenienti dal Piano ERP che l’Italia poté uscire dal periodo di
stagnazione economica successivo alla seconda guerra mondiale e
intraprendere il suo percorso di sviluppo.
Il sovrapopolamento rurale divenne un vantaggio per le imprese: i
continui flussi di lavoratori dalle campagne alla città e il conseguente
trasferimento di una gran parte della forza lavoro dal settore agricolo a
quello industriale permisero alle aziende di poter contare stabilmente su
di un’ampia offerta di lavoro a basso costo
1
.
Sebbene in quegli anni il benessere economico sia cresciuto per tutti i
soggetti non bisogna perciò cadere nell’errore di credere che questa
crescita fosse omogenea tra di essi. Anzi, fu proprio questa una delle
cause che costituì un freno per lo sviluppo economico: quando all’inizio
degli anni ‘60 si raggiunse un equilibrio di piena occupazione e ci fu per
la prima volta un eccesso di domanda di lavoro specializzato i sindacati
poterono rafforzare la loro posizione riuscendo ad ottenere forti aumenti
salariali che si tradussero immediatamente in un aumento dei prezzi di
vendita indebolendo così quello che era stato uno dei vantaggi
competitivi dell’economia italiana durante quegli anni
2
.
Infatti i salari contenuti, insieme ai prezzi moderati delle materie prime,
avevano consentito agli imprenditori di poter vendere i loro prodotti a
prezzi minori di quelli stranieri e ottenere allo stesso tempo i profitti da
reinvestire permettendo così in molti casi l’autofinanziamento senza un
ricorso eccessivo al credito bancario o al emissione di titoli
3
.
Il problema dell’approvvigionamento delle materie prime e del
rifornimento di semilavorati che durante il periodo fascista aveva
1
Petri, Storia economica, cit., p. 192.
2
Pierluigi Ciocca, Gianni Toniolo, ‘Storia economica d'Italia. Vol. 2: Annali’, Bari,
Laterza, 1999, p. 397.
3
Ibidem, p. 356.
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ostacolato la crescita a causa degli elevati costi di produzione e di
trasporto si presentò nella fase del “miracolo” come una variabile di
scarsa rilevanza economica.
In quegli anni, difatti, i prezzi di tali input crebbero moderatamente
grazie alla diminuzione dei costi di produzione resa possibile dall’
ammodernamento degli impianti siderurgici, alle condizioni favorevoli
per l’acquisto del petrolio
4
che ebbe effetti positivi sui loro costi di
trasporto e alla creazione nel 1951 della CECA (Comunità Europea
Carbone e Acciaio) che portò ad una graduale rimozione delle barriere
doganali su questi prodotti.
Una parte importante per lo sviluppo economico dell’Italia lo ebbe
anche la creazione nel 1957 della CEE (Comunità Economica Europea)
grazie alla quale si ebbe un ampliamento dei mercati che contribuì
all’aumento delle esportazioni e allo spostamento verso gli altri stati
europei della manodopera in eccesso.
Anche lo Stato ebbe una parte rilevante nel far sviluppare l’economia:
esso contribuì alla crescita attraverso investimenti nelle infrastrutture,
concedendo varie agevolazioni creditizie all’industria (ad esempio il
rimborso dell’Ige, oggigiorno Iva, concesso a circa i 2/3 dei prodotti
esportati
5
), con gli incentivi elargiti per gli acquisti d’impianti, con
l’apporto d’importanti industrie statali come l’Eni e l’Iri e con la politica
monetaria adottata dalla Banca d’Italia grazie alla quale lo sviluppo
economico avvenne senza il fardello dell’inflazione.
Infine bisogna tener conto del ruolo, minore ma non per questo
trascurabile, delle partite invisibili come le rimesse dei lavoratori
emigrati, dei noli marittimi e del turismo (che crebbe in misura crescente
durante tutto il periodo)
6
e degli aiuti ottenuti dal Piano Marshall.
È proprio analizzando il contributo che questi ultimi diedero insieme alla
manovra einaudiana a far uscire l’Italia dall’impasse del dopoguerra che
4
Nel periodo tra il 1955 e il 1963 il suo prezzo ebbe un calo del 22% (Petri, Storia
economica, cit., p. 200).
5
Ibidem., p. 198.
6
Ibidem, p. 190.