5
INTRODUZIONE
Il mandala è un diagramma simbolico che, grazie ad una struttura formale altamente
significativa, traduce in maniera sistematica l’origine e lo sviluppo dell’universo, in
termini sia spaziali che temporali. A causa della sua natura polimorfa, il mandala si
presta ad essere indagato nei più svariati campi del sapere, dalla storia dell’arte alla
religione, dalla filosofia all’astronomia. Assecondare le suggestioni provenienti dal
mandala ha voluto dire, per noi, prescindere da una prospettiva culturale che implicasse
una netta separazione tra gli ambiti e i modi del conoscere. Avremmo potuto scegliere di
occuparci del mandala da un punto di vista specifico, artistico piuttosto che religioso o
filosofico, ma abbiamo preferito trattarlo in quanto organismo compiuto e
onnicomprensivo, comprendente ciascuna di queste prospettive, pur non esaurendosi in
nessuna di esse.
Partendo da questo presupposto fondamentale, abbiamo organizzato l’argomento
in sei capitoli, di cui i primi tre specificamente riferiti a un contesto culturale hindu,
mentre i seguenti accolgono suggestioni atte a dimostrare il senso duplice e definitivo
dell’universalità del mandala: in rapporto al contenuto concettuale e alla struttura
formale.
Nel primo capitolo, quindi, il mandala viene ricondotto alla sua origine religiosa e
filosofica, attraverso una breve rassegna dei caratteri peculiari del Tantrismo e della
filosofia Såµkhya e in particolar modo delle dinamiche alla base della concezione hindu
della creazione dell’universo. Dopo aver delineato i caratteri formali che definiscono un
mandala, abbiamo dedicato un paragrafo alla descrizione del mandala buddhista,
6
ricordando la preminenza accordata nella nostra argomentazione all’iconografia hindu in
quanto visivamente più perspicua di quella buddhista.
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi di un tipo particolare di mandala hindu, il
Våstu-Purußa-mandala particolarmente adatto, nelle sue forme e funzioni, ad
evidenziare il progetto unitario di descrizione dell’universo e dell’uomo alla base del
mandala. Ritenuto la pianta simbolica e la previsione metafisica del tempio, il Våstu-
Purußa-mandala rende evidente l’identità fisica e psichica di macrocosmo e
microcosmo, su cui si regge la capacità del tempio di porsi come luogo d’incontro e di
modificazione reciproca delle due entità.
Nel terzo capitolo è descritto il rituale attraverso cui è tracciata la pianta del
Våstu-Purußa-mandala. Attraverso una serie codificata di gesti, grazie ai quali il tempo
e lo spazio profani sono aboliti, l’uomo trascende la sua stessa condizione umana ed
entra in contatto con la sfera del sacro e del numinoso.
Al medesimo risultato si perviene attraverso la pratica dello Yoga, nella quale il
mandala ricopre il ruolo di sostegno iconografico alla meditazione. Il suo uso
contemplativo nelle pratiche yogiche ci induce ad una riflessione sulla capacità del
mandala di ristrutturare la percezione visiva e l’approccio noetico al reale da parte
dell’uomo. La stessa teoria asiatica dell’arte prevede che l’esperienza estetica sia
un’estasi di per se stessa imperscrutabile e che l’opera d’arte funzioni da stimolo per lo
spirito a liberarsi dai lacci della visione. Il principio implicato è che la vera conoscenza
di un oggetto non si ottiene per via di una mera osservazione empirica o di una
registrazione riflessa, ma solo quando il conoscente e il conosciuto, colui che vede e la
cosa vista, si incontrano in un atto che trascende la distinzione. Il cielo e la terra sono
7
fusi nell’analogia dell’arte che avvia la sensazione a comporsi nella sfera
dell’intelligibile e tende a quell’ultima perfezione in cui il contemplante scorge tutte le
cose rispecchiate in se stesso.
Nel quarto capitolo prendiamo in considerazione alcune forme artistiche che, sia
formalmente che concettualmente, possono essere ritenute dei mandala. Si tratta del
complesso megalitico di Stonehenge, dei rosoni della cattedrale di Chartres e della
Pietra del Sole Azteca, di opere d’arte, cioè, culturalmente, geograficamente e
cronologicamente distanti. L’analisi e la descrizione delle loro forme e funzioni ci
conduce all’affermazione, autorevolmente sostenuta da C.G.Jung nelle sue opere, che il
mandala è un archetipo fondamentale dell’umanità.
Il quinto capitolo è, perciò, dedicato all’analisi junghiana del mandala e dei suoi
elementi costitutivi. La realizzazione pratica, da parte dei pazienti di Jung, di mandala,
oltre ad ipotizzare una loro fondamentale funzione terapeutica, è di particolare interesse
in quanto costituisce l’unico esempio a noi noto di mandala, moderni, occidentali,
spontaneamente ideati.
Nel sesto capitolo, infine, in base a quanto detto sulla possibilità di un’apertura
noetica insita nel mandala, istituiamo un paragone tra lo Yoga e il metodo dell’epoché
fenomenologica di Husserl. Edmund Husserl (1859-1938) si dedicò dapprima agli studi
matematici e si volse alla filosofia solo quando si convinse che anche questa poteva
essere trattata con rigore scientifico. Husserl sente l’esigenza di una filosofia che abbia
valore di scienza universale, rigorosa in senso radicale, di una metafisica che si presenti
come scienza, libera da ogni presupposto, di una teoreticità pura che conduca alla
conoscenza delle essenze, a una presa di possesso di tutta l’esperienza e non solo
8
dell’esperienza sensibile. L’elaborazione di un metodo noetico rigoroso e l’anelito a una
conoscenza che è pura visione, rendono Husserl, a parer nostro, filosoficamente molto
prossimo ai precetti dello Yoga di Patañjali. Non è nelle nostre intenzioni trattare
diffusamente della Fenomenologia Trascendentale, ciò che ci interessa è il valore
dell’epoché husserliana in quanto orizzonte teorico aperto alle infinite prospettive
cognitive dell’io, così come il mandala costituisce la possibilità da parte dell’io di
pervenire al centro da cui si dipartono i diversi punti focali che costituiscono l’esistente.
Lungo questo percorso che dall’Oriente ci porta all’Occidente, e dalla Preistoria
alla Fenomenologia, tramite un unico filo rosso costituito dalle forme geometriche del
cerchio e del quadrato, si dipana il nostro itinerario attraverso il mandala, congegno di
staordinaria duttilità e coerenza.
IL MANDALA
ORIGINE CULTURALE DEL MANDALA
Il termine mandala indica una figura geometrica fondamentalmente organizzata intorno
al cerchio o al quadrato, cui viene attribuita la capacità di delimitare e nello stesso
tempo configurare uno spazio sacro e uno profano. In quanto sembra consentire la
messa in forma dei differenti piani del reale, delle loro reciproche relazioni e della
totalità degli stessi piani, il mandala costituisce un disegno che in molteplici pratiche
religiose è un sostegno nella meditazione, nella contemplazione e nell’ascesi.
Con scopi e forme diverse, il mandala è in uso sia presso gli induisti tantrici sia
presso i seguaci del Buddhismo Vajrayåna tibetano, che si caratterizza come un
complesso di tecniche e di dottrine salvifiche che costituiscono il terzo veicolo
liberatorio del Buddhismo, aperto agli influssi e ai motivi delle scuole tantriche
dell’Induismo.
Il tantrismo deriva la propria denominazione da Tantra (“trama di tessuto” e anche
“teoria”, “norma”, “sistema”; secondo un’etimologia tradizionale il termine deriva dalle
radici verbali tan tendere e trå salvare poiché i Tantra sviluppano ampiamente soggetti
salvifici). Il vocabolo significa genericamente “testo” e designa particolarmente taluni
testi liturgici e teoretici ritenuti di origine divina, frutto di rivelazione e pertanto
ortodossi, a carattere confessionale che, classificando i Veda, le Upanißad e i
Puråna
1
come letteratura sacra delle ere passate, si autodefiniscono testi sacri dell’epoca
1
Con il termine Veda si designa il fondamento dell’intera cultura religiosa dell’India. Il Veda comprende
quattro raccolte (saµhitå ): il Rg-veda (la sapienza espressa in versi sacri), il Såma-veda (la sapienza
espressa in canti), lo Yajur-veda (la sapienza espressa in formule liturgiche) e l’Atharva-veda (la sapienza
epressa in testi magici). Ognuna di queste collezioni di mantra, cioè di preghiere è poi completata da testi
esegetici e liturgici detti Bråhmana e da libri di meditazione, detti Åranyaka, e di speculazione filosofico-
religiosa, detti Upanißad, che contengono insegnamenti segreti, privati, confidenziali. Lo scopo
principale dei Puråna consiste, invece, nella conservazione, nella trasmissione e nella promozione delle
9
moderna, il Kali-yuga, l’età tenebrosa della decadenza e del caos.
2
Per il pensiero indiano l’universo è uno sviluppo dall’omogeneo all’eterogeneo e
di nuovo all’omogeneo.Vi sono, così, stati di evoluzione e di dissoluzione che si
alternano e la manifestazione ha luogo dopo un periodo di riposo.
3
Gli yuga costituiscono quattro periodi di tempo di durata decrescente e
proporzionale ai numeri 4,3,2,1, coerentemente con la progressiva diminuzione del
dharma, cioè la Norma eterna, l’ordine morale, la giustizia e la religione.
I termini con cui sono denominate queste ere sono presi dal lessico del gioco dei
dadi indiani e, rispettivamente, sono:
- il Krtayuga (era perfetta), di 4000 anni degli dei, durante il quale nel mondo
regnano il Dharma, la veridicità e il Tapas, e nessun bene è ottenuto
ingiustamente dai mortali, che vivono 400 anni, senza infermità e ottenendo
tutto ciò che desiderano;
- il Tretråyuga (era della tripletta), di 3000 anni divini, durante il quale la pratica
della virtù cessa di essere spontanea, mentre l’acquisizione del sapere diviene il
valore più alto per gli uomini, la cui vita è di tre secoli;
- lo Dvåparayuga (era del punteggio doppio), di 2000 anni divini, allorché il
sorgere delle passioni comincia ad incrinare pericolosamente l’osservanza dei
doveri e il sacrificio viene considerato il bene primario dai miseri mortali, ridotti
a vivere soli 200 anni;
- il Kaliyuga (era del punteggio singolo/perdente), di 1000 anni divini, la presente
verità religiose dell’Induismo, rendendole accessibili anche alle persone più umili e meno istruite dal
punto di vista religioso. I Puråna sono il Veda delle donne e dei non Arii.
2
Scalabrino Borsani 1983: 418.
3
Avalon 1974: 36.
10
età di spontanea peccaminosità, in cui i beni sono ottenuti tramite furti, frodi e
violenze, mentre l’elemosina resta l’unico atto virtuoso e l’umanità, afflitta dai
mali, arriva nel caso più felice ad appena un secolo di vita.
4
La rivelazione dei Tantra propone, dunque, un’esperienza integrale, affinché l’uomo,
decaduto dalla sua primordiale condizione di perfezione, emblematica della prima delle
quattro ere cosmiche, Krtayuga, recuperi la sua qualità divina, avvalendosi di energie
latenti che sono in lui e nella natura.
I Tantra sono redatti in forma dialogica, gli interlocutori sono il Dio e la sua
paredra o altre divinità, e i più antichi risalgono probabilmente ai primi secoli (II-IV
sec.) dell’era volgare, mentre gli ultimi discendono ininterrottamente fino al secolo
XIX. Il più famoso è il Mahånirvånatantra (“Il Tantra della grande redenzione”),
verosimilmente non anteriore all’inizio del secolo XVIII.
Il loro numero è altissimo, e sono quasi tutti compilati da autori anonimi. Il loro
contenuto può essere ricondotto a quattro raggruppamenti tematici: jñåna o vidyå,
conoscenza, che comprende le parti di carattere dottrinale; yoga, disciplina esteriore ed
interiore, o upaya, strumenti per realizzare il controllo mentale e acquisire facoltà
sovrumane; kriyå, esecuzione, costruzione che fornisce istruzioni per l’edificazione e
consacrazione di templi, idoli e immagini sacre; caryå o siddhi, comportamento
corretto, contenente regole da seguire nell’esecuzione degli atti rituali e, in generale, nel
comportamento religioso e sociale.
5
Tutti hanno un significato essoterico, letterale, e uno esoterico, occulto,
praticamente incomprensibile senza l’ausilio di un maestro spirituale a causa del
4
Filoramo 1996: 65.
5
Piano 1995: 115.
11
linguaggio iniziatico, intenzionalmente ambiguo per la plurivalenza della terminologia
usata e carico di simboli.
La letteratura tantrica sfugge per ora ad un ordinamento cronologico preciso.
L’epoca d’ogni singola opera è da stabilirsi sulla scorta di elementi interni ed esterni, ed
essendo ancora ignota la cronologia del periodo delle prime origini dell’Induismo, è
impossibile datare esattamente le dottrine tantriche quali ci risultano dai testi e seguirne
l’evoluzione storica.
6
Quello che comunemente si suole chiamare tantrismo risulta di innumerevoli
forme: una moltitudine di scuole e di correnti in perpetua osmosi o in reciproca
polemica, talune monistiche, altre dualistiche, con alcuni principi fondamentali in
comune.
In quanto dottrina e tecnica essenzialmente ritualistica esso si lega alle più diverse
tendenze. Due sono le sue maggiori tradizioni, quella buddhista e quella hindu.
Non si può precisare quando il tantrismo cominciò ad esistere come sistema né
dove questo avvenne. La conquista dell’India buddhista e induista da parte del
tantrismo, comunque, si compie fra l’VIII e il IX secolo e, nel volgere dei secoli, il
movimento accresce ulteriormente la sua popolarità e la sua importanza nella vita
religiosa indiana.
Fondamentalmente estraneo alla tradizione vedica, esso è strettamente legato alle
manifestazioni religiose dell’India preistorica e, tuttavia, non meno significativa, è la
presenza, in forma più o meno elaborata con idee nuove, di tutte le altre tradizioni
spirituali dell’India, dalle più antiche (Vedismo, Bramanesimo, Buddhismo) alla più
recente, cioè la mistica vißnuita. Dal Vedismo discende la segretezza della rivelazione e
6
Il discorso che seguirà è ispirato alla trattazione di Scalabrino Borsani 1983: 418-422.
12
dell’iniziazione; dal Brahmanesimo il ritualismo, la dottrina dell'equivalenza magico-
mistica del corpo umano con l’universo, manifestazioni correlative del divino, e il forse
già non ignoto erotismo mistico; dalle Upanißad la religione intesa come spiritualità in
contrasto con il puro formalismo dei Bråhmana; dallo Yoga Reale le meditazioni, le
contemplazioni e l’indagine psicologica, anzi psicoanalitica della personalità umana;
dallo Ha¥ha-Yoga la fisiologia mistica; dal Mantra-Yoga la mormorazione di sillabe e
formule sacre che, come talune iconografie, si ritengono simboli coadiuvanti
l’unificazione psichica, mentale e spirituale dell’iniziando; dal Såµkhya la bipolarità
dell’unità primigenia; dal Vedånta il non dualismo di questa; dalle correnti ascetiche il
desiderio, anzi che di conquistare la natura, di integrarvisi.
La dogmatica tantrica procede dalla convinzione che l’uno è il tutto, che essere
umano, natura e trascendenza non sono dissociati ma, esistendo un’armonia tra
individuo e universo, i fattori del macrocosmo corrispondono a quelli del microcosmo e
che pertanto a quest’ultimo è data la possibilità di disporre delle forze dell’altro.
La nostra coscienza irradiata dallo Spirito Eterno esiste e si muove in continuità
ininterrotta col mondo esterno; dal suo potere di comprensione l’uomo è unito con lo
spirito onnipervadente. Essere in perfetta armonia con la natura, col cosmo e perciò col
trascendente, è lo scopo della vita umana e dell’iniziazione tantrica. Ciò non si
raggiunge esclusivamente tramite una tensione intellettuale o una vibrazione
emozionale, ma soprattutto per via sperimentale. Incapace di un diretto accostamento
spirituale alla realtà ultima, l’uomo del kali-yuga può salvarsi (abolire il dolore
dell’esistenza e l’illusione, conquistare la libertà e la beatitudine) solo prendendo le
mosse della propria condizione esistenziale, che è in primo luogo una condizione
13
carnale: l’uomo non può identificarsi con Dio finché non abbia soddisfatto il gioco dei
suoi organi intellettivi e corporei.
Il tantrismo ricusa, pertanto di abbassare il mondo, manifestazione ininterrotta
dell’aspetto dinamico del Brahman, al rango di sede d’imperfezione e di dolore, ma lo
magnifica come il solo luogo nel quale si possa ottenere l’ispirazione divina e la
redenzione e accorda il primato alla fisiologia umana, raccomandando al miste la
necessità di praticare col proprio corpo i riti che, vincendone gli istinti inferiori,
moltiplicano la potenza dell’individuo, gli rendono possibile l’integrazione
nell’universo, lo transuziano, lo cosmizzano, elevandolo dal piano umano a quello
trascendente.
La trasformazione che opera il Tantrismo non è più la vigile presa di coscienza
del proprio essere nel mondo e dell’universale destino, ma vuole, invece, essere
un’acquisizione di potenza del praticante che adegua se stesso al livello del numinoso,
dell’efficacemente operante. La indicata reversione dell’apprendista dal piano umano a
quello super umano si opera, quindi, attraverso una vigorosa riaffermazione della
relazione corpo-psiche/universo (microcosmo/macrocosmo) operata grazie al ricorso a
precise tecniche di controllo psico-fisico strutturate in base alla cosiddetta fisiologia
sottile e a quella che è stata poi definita come psicologia del profondo.
Il Tantrismo parte dalla concreta situazione umana dell’esistenza vissuta, cercando
di mettere in luce i valori che già vi sono impliciti.
7
I Tantra affermano vigorosamente
che la semplice esposizione teorica della dottrina non ha valore alcuno, quel che importa
è il metodo pratico della realizzazione, l’insieme dei mezzi e dei riti con l’aiuto dei quali
7
Guenther 1975: 12.
14
determinate verità possono venire riconosciute come tali. Per questo essi amano
definirsi come un sådhana-çåstra; sådhana, dalla radice sådh, vuol dire applicazione
del volere, sforzo, allenamento, attività rivolta al conseguimento di un dato risultato.
Strumenti di ausilio in questa pratica di disciplina interiore sono, oltre alle
tecniche yogiche, che delineano la struttura del corpo detto sottile, i mandala e gli
yantra definibili al meglio come psico-cosmogrammi.
IL SÅMKHYA E LA GENESI DELL’ UNIVERSO
Prima di procedere nel definire esattamente i caratteri costitutivi dei mandala e degli
yantra, e per capirne il valore di cosmogrammi, è opportuno delineare la concezione
hindu della manifestazione e della dissoluzione dell’universo a partire dalla creazione
primordiale.
Non diversamente dalla vita dell’uomo, anche l’esistenza dell’universo, dal punto
di vista hindu, è ciclica: l’universo non è stato creato da Dio all’inizio dei tempi, ma è
eterno, senza principio e senza fine. Esso è sostenuto e permeato da un’essenza priva di
forma, alla quale si dà il nome di Brahman ed è soggetto ai processi ciclici di
generazione/ manifestazione e distruzione/dissolvimento.
E’ soprattutto nei Puråna che si trovano ampi e dettagliati resoconti sull’origine
dell’universo, sulla sua conservazione e sulla sua dissoluzione. Tali resoconti sono
costruiti sulla base della visione cosmologica a sfondo dualistico del Såµkhya-darśana.
Il termine såµkhya in conformità all’etimologia del suo nome (probabilmente
derivato da saµ-khyå “calcolare”) designa un tipo di speculazione filosofica che
enumera i principi cosmici. Un’altra interpretazione lo definisce come il metodo
15
filosofico fondato sull’esatta ponderazione del pro e del contro.
8
Mancano notizie storiche precise intorno al luogo e alla data originali del
Såµkhya. Si congettura, pur senza sufficiente certezza, che patria del sistema sia stata la
parte orientale della pianura del Gange, vicina alla patria del Buddhismo, a causa di
talune affinità fra le due dottrine.
9
Per quanto concerne l’epoca del suo primo delinearsi,
si può affermare che il sistema Såµkhya è di origine assai antica, forse il primo e più
antico dei sistemi indiani, risalendo, secondo taluni ad antichità pre-vediche.Tuttavia
nulla rimane dei suoi primi rappresentanti se non brevi frammenti.
Nella tradizione vedica il cosmo è visto come una stoffa tessuta dagli dei, i cui fili
formano una griglia nella quale ciascuno ha il proprio posto. Il simbolo vedico della
tela, che sta a significare l’ordine inerente al mondo fenomenico, è integrato da un altro
simbolo che riguarda la natura dei fili che compongono la fitta trama della griglia. Si
tratta di quello dei guna, ossia delle fibre che, intrecciate, costituiscono ciascun filo.
10
Il Såµkhya-darsána ammette l’esistenza di due sostanze ugualmente eterne: le
anime (purußa), infinite, semplici e intelligenti, e la Natura (prakrti), detta anche
fondamento (pradhåna) e immanifesto (avyakta), che è unica, complessa e attiva. Nella
Natura operano tre guna: il sattva, illuminante e leggero, il rajas, mobile e stimolante, e
il tamas, ostruttivo e greve. Fra tali componenti sussiste un equilibrio che vien meno nel
momento in cui il principio spirituale, quasi sedotto dalla natura, viene, per così dire,
avvolto in un corpo sottile e coinvolto dai processi psichici fino al punto di considerarsi
responsabile di un’attività, alla quale in realtà rimane estraneo; nel medesimo tempo, la
psiche (buddhi) tende ad attribuirsi caratteristiche di soggetto cosciente che non le sono
8
von Glasenapp 1995: 141.
9
Scalabrino Borsani 1983: 93.
10
Kramrisch 1999: 93.
16
proprie, in quanto appartengono solo allo spirito. Il risultato dell’unione fra il principio
spirituale e il corpo sottile è un essere animato che entra nel ciclo della trasmigrazione,
condizionato dall’umano agire. La buddhi, detta anche “mahat”, grande, costituisce il
primo momento del processo evolutivo della Natura, che produce di seguito l’ahaµkåra
o senso dell’io; da questo, quando prevale il sattva, si originano la mente (manas), che
raccoglie i messaggi che provengono dal mondo esterno, e i cinque sensi di percezione;
col predominio del rajas si producono i cinque organi di azione; infine, col sopravvento
del tamas traggono origine i cinque tanmåtra o elementi sottili, che corrispondono agli
oggetti dei cinque sensi; dai tanmåtra procedono i cinque elementi grossolani, che sono
lo spazio, il vento, il fuoco, l’acqua e la terra, dei quali è fatto il mondo materiale. Ai
cinque elementi, le cui caratteristiche intrinseche sono suono, tangibilità, forma-colore,
sapore e odore, corrispondono i cinque organi della percezione sensoriale, orecchio,
pelle, occhio, lingua e naso. L’intero processo evolutivo della Natura si sviluppa
pertanto in 24 categorie o principi della realtà, ai quali devono essere aggiunte le
sostanze spirituali (purußa) come venticinquesimo.
11
Scopo del Såµkhya è di spiegare da un punto di vista teorico come possono
liberarsi i purußa, ossia le anime empiriche, che, a causa dell’errore dell’uomo che non
ha raggiunto la redenzione, appaiono imprigionate nei vincoli della corporeità. Secondo
i rappresentanti autorevoli della dottrina Såµkhya, la liberazione si ha quando, tramite la
conoscenza superiore, si fa strada in noi la convinzione che il purußa è eternamente
separato dalla prakrti, una verità che abitualmente nella vita ci sfugge.
12
Il sapere liberatore, quindi, risiede nella conoscenza dell’assoluto divario tra l’ente
11
Piano 1996: 85-86.
12
Gonda 1971: 348-349.
17
spirituale e il mondo della materia, della dualità esistente fra il mondo percepito dai
sensi o concepito dall’intelletto, mondo dell’instabilità, del divenire e quindi del dolore,
e un altro mondo, che trascende ogni definizione, pensiero, coscienza, mondo della
cessazione del dolore, eternamente incorruttibile, al quale appartiene per la sua essenza
l’individuo, solo per l’ignoranza appartenente al mondo empirico.
Il Såµkhya è una dottrina realistica, a tendenze scientifiche, che, assecondando
l’ansia di forzare il mistero cosmologico e umano già viva fin dai tempi del Rg-Veda, ne
propone una spiegazione evolutiva: tutto il meccanismo della creazione, della
conoscenza e della liberazione deriva dal rapporto fra i due elementi primordiali; la
varietà del mondo empirico procede invece dai principi derivati dalla prakrti in virtù di
un processo evolutivo che qualifica il Såµkhya quale dottrina dell’evoluzione o
parinåmavåda.
13
La prakrti è una sostanza-forza eterna dalla quale viene a prodursi per via
d’evoluzione tutto ciò che, per sua natura, non ha coscienza di sé. Essa non è solo la
causa prima di tutti gli elementi materiali e di tutti gli organi, ma anche di tutte le
facoltà che noi definiamo come psichiche. La natura primordiale si trova in un perenne
alternarsi di stati, senza principio e senza fine, per cui ora si sviluppa cosmicamente con
tutta la sua molteplicità fenomenica, ora riassorbe di nuovo in sé quello che aveva
emanato.
14
Il purußa sta di fronte alla prakrti e alle sue diverse emanazioni come un
venticinquesimo principio, completamente diverso. Egli è, per sua natura, pura e serena
luce di coscienza, semplice testimone, eterno soggetto che non può oggettivarsi. Non ha
13
Scalabrino Borsani 1983: 96.
14
von Glasenapp 1995: 147.
18