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INTRODUZIONE GENERALE
La presente ricerca rappresenta un tentativo di definire il rapporto tra lo sviluppo locale e
lo sfruttamento del petrolio in Basilicata. Partendo dalla vasta letteratura sullo sviluppo
locale si è cercato di definirne le principali caratteristiche al fine di verificare , attraverso
la rappresentazione della realtà data dalla ricerca, l’esistenza di una relazione tra il
territorio e il petrolio. L’obiettivo di questo lavoro, dunque, è quello di comprendere
come l’attività estrattiva ha , nel caso specifico della Basilicata, influenzato e
accompagnato lo sviluppo e in che modo è possibile emanciparsi da un fattore esogeno
per giungere a costruire una sua evoluzione che provenga dal basso, dagli attori locali e
dal territorio.
In particolare nel primo capitolo l’attenzione si concentrerà dapprima sulla distinzione tra
sviluppo e crescita e in seguito sulle teorie che gravitando nel circuito della disciplina
hanno determinato l’affermarsi del concetto di sistema locale, che espande il concetto di
sviluppo al radicamento della produzione nel territorio. Inoltre , l’attenzione si
soffermerà sui distretti industriali che si configurano come forma e base per la
definizione di un progetto di sviluppo, che però non può essere identificato unicamente
con essi. Bisogna sottolineare che le analisi sui distretti hanno il merito di aver ricondotto
l’ attenzione sul territorio attribuendo alla dimensione locale il ruolo di motore della
crescita. Il concetto di sviluppo locale non può essere imprigionato nella teoria, ma
esistono delle condizioni ben precise per definirlo tale come ad esempio l’ integrazione
della dimensione territoriale, del sapere locale e del capitale umano. L’interazione tra
dimensione sociale ed economica costituisce la base per costruire stabilità all’interno del
paradigma dello sviluppo. Infine si vedrà come la dimensione globale della società
odierna può costituire una opportunità per la dimensione locale e per il suo sviluppo.
Il secondo capitolo si propone di indagare la relazione che intercorre tra istituzioni,
capitale sociale e sviluppo locale. La crisi del fordismo ha esaltato il territorio come luogo
in cui ricercare la flessibilità richiesta dal nuovo modo di produzione, in contrapposizione
a quello di massa. Questa trasformazione ha permesso di legare l’impresa agli attori del
territorio accrescendo la capacità competitiva. Al fine di definire il legame tra gli attori e
lo sviluppo è necessario descrivere la connessione tra i diversi fattori in modo da far
emergere il loro ruolo all’ interno dei processi di sviluppo. A tal fine, dopo aver descritto
l’ ambiente in cui si evolvono le istituzioni del post- fordismo si esporranno le diverse
definizioni che le contraddistinguono . Nonostante le differenze teoriche, tutti gli approcci
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ritengono fondamentale la capacità delle istituzioni di stabilizzare le regole e i poteri che
le costituiscono. Portando il discorso in una dimensione più specifica si prenderà in
considerazione la relazione tra istituzioni e sviluppo locale. A questo proposito è
importante sottolineare che non esiste un solo modello di sviluppo. Esso si determina
proprio a partire dal rapporto che intercorre tra istituzioni, agenti che partecipano al
processo di crescita e risorse territoriali. Il ruolo delle istituzioni è quello di regolare le
relazioni all’ interno delle reti sociali cercando di trovare un equilibrio tra la dimensione
globale e quella locale . Esse possono determinare lo sviluppo solo quando riescono ad
evitare che una di queste due dimensioni prevalga sull’altra. Perché ciò accada è
necessario che le istituzioni abbiano un contatto diretto con l’ ambiente locale. Ciò
sarebbe impensabile se sul territorio non operassero determinati attori che ,ponendosi tra
il centro e la periferia, consentono di creare sviluppo attraverso la valorizzazione delle
risorse del sistema locale. Le istituzioni intermedie si pongono in una posizione
privilegiata rispetto a quelle centrali in quanto sono radicate nel territorio e sono in grado
di rispondere all’ esigenza di differenziazione locale che consente di creare sviluppo
attraverso la competizione tra territori. Accanto alle istituzioni si colloca il concetto di
capitale sociale che è importante per lo sviluppo in quanto facilitando l’ accesso a
determinate conoscenze e generando fiducia e cooperazione tra gli attori migliora la
disponibilità di risorse utili sia a valorizzare le peculiarità di una territorio, sia a produrre
politiche basate sulla cooperazione tra attori pubblici e privati. Il rapporto tra capitale
sociale e istituzioni , lontano da influenze clientelari e flussi particolaristici, favorisce
processi di sviluppo locale in quanto indirizza l’ azione degli attori verso la produzione di
beni collettivi.
Dalla analisi delle istituzioni , del capitale sociale e dello sviluppo locale emerge il
ruolo del territorio che sarà al centro del terzo capitolo. Attraverso l’approccio
territorialista si cercherà di definire il territorio in una ottica relazionale. Si partirà dal
paradosso della globalizzazione, cioè dal rapporto tra deterritorializzazione e
riterritorializzazione selettiva per approdare ad una definizione del territorio concepito
come la risultante di un processo storico che crea identità locale . Il territorio non è un
contenitore vuoto, ma una risorsa indispensabile nei processi di sviluppo. La sua funzione
attiva risulta dalla relazione tra l’ ambiente e gli attori che lo occupano. Si parla, quindi,
di territorialità attiva per definire tale rapporto. All’interno di questo meccanismo
relazionale è importante approfondire la differenza tra patrimonio e capitale territoriale.
Tra valori (patrimonio) e risorse (capitale) esiste un rapporto in base al quale i primi si
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trasformano in risorse solo quando vengono riconosciute e valorizzate dagli attori locali e
non. Il patrimonio esiste a prescindere dalle azioni messe in atto, mentre le risorse
nascono quando, nei processi di sviluppo, vengono potenziate e utilizzate dagli attori
locali . La trasformazione del patrimonio in risorse dipende innanzitutto dalla capacità di
progettare lo sviluppo senza cui non si potrebbero considerare le condizioni di possibilità
evolutive di un contesto territoriale e la capacità di mobilitazione di attori e risorse
insediate. Per analizzare tale capacità è necessario utilizzare alcuni strumenti, come il
modello Slot, che permettono di comprendere il tipo di relazioni che si instaurano tra gli
attori durante un processo di sviluppo.
I principi che caratterizzano lo sviluppo locale sono alla base delle relative politiche di cui
si cercherà di dar conto nel capitolo quarto. Le politiche di sviluppo fino a qualche anno
fa erano affidate all’intervento esclusivo dello stato centrale. Questo, attraverso l’
erogazione di contributi alle regioni, deteneva il monopolio delle misure a favore del
territorio. Il protagonismo dello Stato ha determinato l’esclusione dei governi locali e dei
territori da qualsiasi tentativo autonomo di decisione. L’abolizione della Cassa del
Mezzogiorno, l’intervento dell’Unione europea nelle questioni nazionali e l’ emergere di
una nuova classe dirigente locale, hanno ridisegnato l’assetto delle politiche. Da un
modello di sviluppo dall’alto si passa a una strategia di sviluppo dal basso caratterizzata
dalla centralità degli attori locali e dalla valorizzazione delle risorse del territorio. Tra i
vari livelli di governo delle politiche vi è la Programmazione negoziata che ha posto le
basi per un modello di sviluppo dal basso fondato sull’ integrazione tra territori, sul
concetto di partenariato e sulla costruzione concertativa delle politiche. In Italia è stato
fondamentale il contributo dei Patti territoriali che hanno stimolato gli attori locali a
collaborare per costruire progetti integrati di sviluppo locale. Dopo la riforma del ’93 il
ruolo delle regioni è diventato sempre più determinante. Tali soggetti politici attraverso
documenti di programmazione e programmi operativi hanno potuto gestire direttamente le
risorse del territorio costruendo lo sviluppo senza le ingerenze dello stato centrale. Per
comprendere come gli attori del territorio hanno messo in atto tali opportunità si cercherà
di volgere lo sguardo alle politiche per lo sviluppo a favore del Mezzogiorno e in
particolare per la Basilicata. Inizia così il percorso verso la scoperta del territorio lucano.
Il capitolo quinto , infatti, si pone l’obiettivo di descrivere il contesto socio-economico
lucano al fine di costruire una base per la ricerca al centro di questa tesi.
Le tante risorse presenti nella Regione potrebbero costituire il motore dello sviluppo del
territorio in quanto solo attraverso la valorizzazione e la corretta gestione di tali
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peculiarità è possibile tracciare un progetto di sviluppo improntato al miglioramento
della situazione di un contesto. La descrizione delle singole aree del territorio lucano e il
confronto di dati statistici riguardanti i settori produttivi (agricoltura, industria e turismo)
che trainano, non senza fatica, l’ intera economia della Regione , saranno utili per definire
le priorità di cui il territorio ha bisogno. Infine, si rivolgerà l’ attenzione al mercato del
lavoro lucano. Partendo dalla descrizione del saldo migratorio degli ultimi anni ci si
propone di evidenziarne le caratteristiche e le criticità.
Tra le risorse da cui si cerca di trarre un processo di sviluppo locale vi è il petrolio. La
Basilicata ospita il giacimento petrolifero più produttivo dell’Europa continentale. Una
piccola Regione in cui negli anni si è assistito all’intensificarsi delle attività estrattive. Il
capitolo sesto si pone l’obiettivo (avvalendosi di una vasta documentazione e delle
informazioni derivanti dalla ricerca empirica) di dar conto della storia e delle evoluzioni
della questione petrolio in Basilicata sia descrivendo le fasi che hanno caratterizzato le
estrazioni di idrocarburi nella Regione e in particolare nella Val d’Agri sia attraverso la
definizione della situazione dei principali giacimenti presenti in Regione , dei permessi di
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi. Particolare attenzione verrà rivolta
al rapporto tra multinazionali del petrolio, Governo nazionale e regionale che attraverso
un processo di partecipazione condivisa alle decisioni concorrono a definire il successo o
il fallimento del progresso dell’ intera Regione.
Infine il settimo capitolo, che si avvale della ricerca qualitativa, muovendo dalle risorse
presenti nelle aree interessate dalle estrazione cercherà di giungere a definire la relazione
tra sviluppo e petrolio, prestando particolare attenzione al tipo di politiche che si
intendono perseguire e alla capacità degli gli attori coinvolti di portare a termine dei
progetti a favore del territorio lucano. Si indagherà, inoltre, il rapporto tra petrolio e
ambiente, che coinvolge direttamente le risorse del territorio, cercando di stabilire le
possibili cause dell’inquinamento . Molto importante si dimostrerà l’analisi della
relazione tra le multinazionali del petrolio e attori locali e tra gli stessi protagonisti del
territorio. Infine si darà conto della gestione delle royalties che se indirizzate da una
politica di sviluppo programmata a lungo termine potrebbero creare una grande
opportunità per il territorio.
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CAPITOLO 1
LO SVILUPPO LOCALE: STORIA ED EVOLUZIONE DI UN CONCETTO
CONTROVERSO.
INTRODUZIONE
Il presente capitolo si pone l’obiettivo di analizzare i concetti principali che
contribuiscono alla costruzione del paradigma dello sviluppo locale.
In particolare, il primo paragrafo rimanderà alla distinzione tra sviluppo e crescita. Tale
differenziazione si rende fondamentale per la costruzione di un concetto di sviluppo che
oltrepassi la mera dimensione economica.
Nell’evidenziare tale divisione teorica si cercherà di leggere lo sviluppo dapprima , in
base alle teorie che hanno gravitato nel circuito della disciplina e poi attraverso il sistema
locale che espande il concetto di sviluppo al radicamento della produzione nel territorio.
L’analisi del sistema locale costituirà la base da cui partire per cercare di definire lo
sviluppo locale.
Il secondo paragrafo sarà unicamente dedicato ai distretti industriali che si configurano
come forma e base per la definizione di un progetto di sviluppo. Nonostante lo sviluppo
locale non possa essere identificato unicamente con il distretto industriale, bisogna
riconoscere a quest’ultimo il merito di aver ricondotto l’analisi sul territorio. La
dimensione locale, dunque, diventa il motore della crescita.
Nel terzo paragrafo si cercherà di definire il concetto di sviluppo locale pur nella
consapevolezza che esso non può essere imprigionato nella teoria. Lo sviluppo locale per
essere definito tale deve servirsi della dimensione territoriale, dei saperi locali e del
capitale umano. L’interazione tra dimensione sociale ed economica costituisce la base per
costruire stabilità all’interno del paradigma dello sviluppo.
Infine, l’analisi si sposterà verso la dimensione globale della società odierna. La
globalizzazione verrà analizzata , non alla luce della sua furia distruttrice che provoca
sradicamento territoriale, ma alla luce delle opportunità che essa può fornire alla
dimensione locale
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1.1 TRA SVILUPPO E CRESCITA
Il punto cruciale della presente trattazione rimanda alla distinzione tra sviluppo e crescita.
Infatti, come sottolineano Borghi e Chicchi (2008, 8) mentre il concetto di crescita si
riferisce a parametri di tipo economico , quello di sviluppo contiene elementi articolati
che riguardano la sostenibilità, la coesione sociale, il radicamento territoriale, la giustizia
sociale e il riconoscimento del progetto di vita degli attori coinvolti. Parlare di crescita
significa dare una forma concreta ad un problema che può essere risolto solo all’ interno
del paradigma dello sviluppo (Donolo cit. in Borghi e Chicchi 2008, 8). In definitiva
Donolo (ivi) considera lo sviluppo come:
“ un processo di aumento delle dotazioni di beni pubblici e comuni, di crescita dell’
enciclopedia dei diritti soddisfacibili e infine delle capacità degli attori singoli e
collettivi”.
Per analizzare il concetto di sviluppo è necessario, quindi, separarlo da quello di mera
crescita economica, intesa come aumento di beni e servizi prodotti dal sistema economico
in un dato periodo di tempo
1
. Il termine crescita (economica) si riferisce, come sostiene
Lombardi (2011, 32), all’aumento di un indicatore specifico quale il reddito nazionale
reale, il prodotto interno lordo, o il reddito pro-capite. Il reddito o prodotto nazionale è
espresso in termini di una misura del valore aggiunto del prodotto aggregato
dell’economia denominata prodotto interno lordo
2
(PIL). Quando il PIL di una nazione
aumenta si ha , nell’ accezione comune, crescita economica. Il concetto di crescita è
iscritto nella legge, nelle politiche e nella regolazione dei mercati. Condiziona la spesa
pubblica, lo stato sociale e le riforme scolastiche. I principali argomenti a favore della
crescita sostengono che essa è la base di ogni processo sociale nelle società
contemporanee e che, di conseguenza, solo la crescita fornisce le risorse necessarie per
trattare le sue esternalità. Al contrario, esistono quattro argomenti, indicati da Lombardi
(ibidem, 33) che si pongono in maniera critica nei confronti della crescita:
1
Si suppone che la disponibilità di beni e servizi debba aumentare nel tempo, in quanto tendenzialmente
cresce la popolazione e con essa la domanda di beni.
2
Il Pil , come sostiene Lombardi (2004) citando Angelini viene spesso utilizzato come indicatore di vita
medio individuale di un paese e la crescita economica viene pertanto vista come un indice di miglioramento
del tenore di vita.
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1. la crescita ha effetti negativi sulla qualità della vita. Molte delle cose che hanno
effetto sulla qualità della vita non vengono mercificate e perdono valore al progredire
della crescita (esp. ambiente naturale);
2. la crescita incoraggia bisogni artificiali come l’ aumento del desiderio di
acquistare beni e servizi;
3. la crescita consuma risorse;
4. la crescita non porta ad una migliore distribuzione del reddito e, anzi, può
contribuire all’ aumento della diseguaglianza.
Da quanto detto si può concludere che la crescita non può essere associata allo sviluppo
in quanto non contiene parametri adeguati a identificarsi con elementi che vanno al di la
della mera questione economica. La crescita è una condizione necessaria ma non
sufficiente perché ci sia sviluppo (Bianco 2009, 25).
Per analizzare il significato del termine sviluppo bisogna utilizzare uno schema bipolare
3
(Spreafico 2006, 17). Da un lato abbiamo una concezione meccanicistica e cumulativa
che concepisce lo sviluppo come evoluzione del sistema sociale di produzione, attraverso
l’accumulazione e il progresso delle tecnologie. Lo sviluppo, in questo modo, tende a
coincidere con la crescita e viene considerato da un punto di vista materiale e
quantitativo. La seconda concezione, sostiene la Spreafico (ivi) è quella organica, che
interpreta lo sviluppo come un complesso di elementi derivanti dalla promozione della
popolazione interessata. L’utilizzo di questa forma bipolare accentua ulteriormente la
differenza tra sviluppo e crescita.
Tale discernimento permette a Donolo (2007,15) di attribuire allo sviluppo un’ accezione
positiva confermata anche dal noto lavoro di Sen (2001,9) , Lo sviluppo è libertà, in cui
l’ autore propone una concezione di sviluppo legata non solo all'aumento del Prodotto
nazionale lordo, ma soprattutto alle libertà di cui ogni individuo può godere in una
determinata organizzazione sociale, intese come condizioni indispensabili dello sviluppo
stesso. Scrive Sen (ivi):
“la crescita del PNL e dei redditi individuali può essere un importantissimo mezzo per
espandere la libertà di cui godono i membri della società: ma queste libertà dipendono
anche da altri fattori, come gli assetti sociali ed economici (per esempio il sistema
scolastico o sanitario) o i diritti politici e civili (per esempio la possibilità di partecipare
3
Spreafico S., 2006, Lo sviluppo locale, in Cortellazzi S. e Spreafico S., Il lavoro sostenibile. Politiche del
lavoro, territorio e sviluppo locale, Milano, Franco Angeli.
14
a discussioni o deliberazioni pubbliche). In modo analogo, il progresso industriale e
tecnologico e la modernizzazione sociale possono dare un grande contributo
all'espansione della libertà umana, ma questa dipende anche da altri fattori.”
La concezione di sviluppo è stata oggetto di numerose riflessioni. Le più importanti
vanno ricondotte al pensiero sociologico di matrice positivista. Studiosi come Comte,
Spencer, Durkheim e Tönnies
4
interpretano lo sviluppo come un processo evolutivo che
parte da uno stato semplice e/o tradizionale meno progredito e giunge ad uno stato
complesso e/o moderno più progredito (Toscano 2011, 283). I contributi di questi autori
hanno influenzato la concezione odierna di sviluppo che, però, sembra essere sottoposta a
critiche per cui tale concetto, come rilevano Borghi e Chicchi (2008, 7), sembra non avere
più senso se non affiancato da ulteriori qualificazioni (sostenibile, umano, territoriale,
locale).
Prima di descrivere le principali teorie che hanno accompagnato lo sviluppo è opportuno
sollevare un dubbio posto da uno dei maggiori studiosi della materia. Rist (1997, 216)
sostiene che l’idea di sviluppo con le conseguenti promesse di maggior benessere per i
popoli è solo una recente credenza occidentale, una fede inventata nei paesi occidentali a
capitalismo maturo ed esportata anche nei paesi terzomondisti e “sottosviluppati". Perché
una mediocre e passeggera credenza? Probabilmente perché lo sviluppo, dove si è
imposto, ha aggravato le sorti del pianeta, accentuando le ingiustizie sociali preesistenti a
danno della stragrande maggioranza dell'umanità e trascinando verso un produttivismo
frenetico e irresponsabile, che ha comportato lo sradicamento alienante di popoli e
culture.
Alla luce degli studi di Rist e introducendo la tematica che interesserà la presente
trattazione è doveroso domandarsi se sia lecito parlare di sviluppo quando esso deriva
dallo sfruttamento di risorse naturali che inevitabilmente colpiscono, e a volte
distruggono, l’ ambiente naturale. Lo sviluppo implica una scelta tra l’esigenza umana di
sopravvivere e il ricorso alla natura per raggiungere lo scopo oppure è possibile trovare
un equilibrio tra le due istanze? Più concretamente bisogna chiedersi se si può avere
sviluppo locale o sostenibile che sia, quando a essere utilizzata per scopi economici è una
4
Si vedano i testi di Comte, Corso di filosofia positiva (1830); Spencer, Principi di sociologia (1876);
Durkheim, La divisione del lavoro sociale (1893); Tönnies, Comunità e società (1887).
15
risorsa come il petrolio la cui lavorazione potrebbe avere conseguenze rilevanti sull’
ambiente e di riflesso sulla qualità della vita umana.
1.1.1 LE TEORIE DELLO SVILUPPO
Con la fine della seconda guerra mondiale, la crisi degli imperi coloniali e l’ inizio della
guerra fredda si moltiplicano gli studi e le teorie che cercano di spiegare le marcate
disuguaglianze socioeconomiche esistenti tra i diversi paesi. Tale interesse alimenta la
riflessione sociologica che si pone l’obiettivo di offrire risposte che integrino il punto di
vista degli economisti con analisi che pongano in primo piano elementi culturali e
istituzionali
5
. E’ in questo quadro che prendono forma le teorie dello sviluppo. Tali teorie
cercano di spiegare come il cambiamento nella società può essere realizzato nel modo
migliore. Le principali teorie dello sviluppo d'impianto storicistico sono: la teoria
della modernizzazione , la teoria della dipendenza, la teoria del sistema-mondo e quella
dello Stato come promotore dello sviluppo.
1.1.2 LE TEORIE DELLA MODERNIZZAZIONE
Le teorie della modernizzazione si collocano nel periodo iniziale della sociologia dello
sviluppo, dalla metà degli anni Cinquanta, fino a gran parte del decennio successivo,
fungendo da riferimento teorico della prima decade di sviluppo (Bianco 2009, 45). Questa
teoria considera lo sviluppo come un processo inevitabile e guarda al modello di sviluppo
occidentale come al modello a cui tutte le altre civiltà dovrebbero conformarsi. I
principali modelli di modernizzazione fanno capo all’approccio struttural- funzionalista e
a una serie di analisi influenzate dalla psicologia e dalla psicologia sociale.
Il primo filone di studi è stato fortemente influenzato da Parsons e dall’idea secondo cui i
paesi economicamente arretrati sono caratterizzati da un’organizzazione sociale che
ostacola lo sviluppo economico. Parsons, richiamando la distinzione tra solidarietà
meccanica e solidarietà organica
6
(che a sua volta si rifà alla dicotomia proposta da
5
In questo quadro nasce, nel secondo dopoguerra e in seguito al crescente interesse nei confronti dei paesi
ex coloniali, la Sociologia dello sviluppo.
6
Questi due concetti sono stati introdotti da Durkheim nel testo Della divisione del lavoro sociale del
1893. Le società premoderne (prive della divisione del lavoro) non conoscono spazi per le differenze e per
le individualità, le unità sociali stanno insieme perché sono tutte simili e ugualmente sottoposte all’unità di
grado superiore di cui fanno parte (l’individuo alla famiglia, la famiglia al clan, il clan alla tribù). In queste
società vige una solidarietà meramente “meccanica”. Al contrario, nelle società moderne, in cui fortissima è