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INTRODUZIONE
Il crescente impegno della Cina in Africa ha sollevato l'attenzione – e le
perplessità – della comunità internazionale, ponendo in discussione la validità
delle strategie attuate dall'Occidente verso il continente africano. Ha stimolato, nel
contempo, un ampio dibattito relativo alla sostenibilità, nel lungo periodo,
dell'efficacia della strategia cinese, nonché alla sua legittimità sotto il profilo del
rispetto dei diritti umani e degli interessi delle popolazioni africane.
Questo studio si propone di capire come, e in che misura, il nuovo interesse
commerciale e diplomatico della Cina verso l’Africa sia diventato parte di una
strategia di soft power che potrebbe modificare il ruolo e le prospettive del
continente nero nel mondo.
In un primo momento, intendevo analizzare gli aspetti fondamentali dell'approccio
cinese al continente africano in un'ottica di confronto con l'approccio occidentale,
in particolare con quello statunitense. Dopo aver effettuato una prima raccolta di
materiale, mi è tuttavia apparso evidente che una semplice analisi teorica della
strategia cinese per l'Africa, seppur dettagliata, non sarebbe potuta mai essere
esaustiva. Ho pertanto preferito abbandonare l'ipotesi del confronto con le
politiche di sviluppo occidentali e ho deciso di approfondire gli effetti prodotti
dalla strategia di soft power cinese su un paese specifico dell'Africa. Alla luce dei
recenti eventi politici, e a causa delle molteplici importanti relazioni commerciali
intrattenute tra i due paesi, la scelta è ricaduta sul Sudan.
In Italia, il fenomeno dell’espansione cinese in Africa è relativamente poco noto.
La scorsa estate mi sono recata a Pechino, dove ho potuto raccogliere preziose
informazioni e capire quale fosse l'impostazione da dare alla tesi. Il viaggio,
motivato anche dalla necessità di assecondare la mia passione per la Cina e la
curiosità per il suo popolo, si è rivelato estremamente utile, perché mi ha dato
modo di cogliere e di comprendere appieno un punto di vista molto diverso da
quello occidentale.
Il lavoro illustra la genesi e l'evoluzione dei rapporti tra la Cina e i paesi del
continente africano. Esso mette in evidenza l'attuale impostazione strategica delle
pratiche politiche e commerciali cinesi nei confronti dei paesi emergenti e in via
5
di sviluppo e ne sottolinea alcune costanti.
Successivamente esamina, tanto sotto il profilo ideologico che sotto il profilo
pratico, la strategia di soft power elaborata dalla Cina per l'Africa, al fine di offrire
un quadro completo e illustrativo delle modalità di intervento cinese nel
continente africano.
Analizza infine gli effetti delle strategie cinesi sul Sudan, con particolare
riferimento agli interventi sul territorio e al coinvolgimento della Cina nell'annosa
questione dei rapporti tra il Sudan e il Sud-Sudan.
Nello specifico, attraverso il parametro sudanese, lo studio definisce gli aspetti
essenziali dell'approccio cinese, mettendone in evidenza tanto i vantaggi quanto i
risvolti negativi ed individuandone tutte le implicazioni.
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1. STORIA DELLE RELAZIONI TRA LA CINA E L'AFRICA: DALLA VIA
DELLA SETA AL SUMMIT DI PECHINO
La storia cinese si è sviluppata, nel corso dei millenni, in un territorio che, data la
sua collocazione all'estremità orientale del continente eurasiatico, è sempre stato
nettamente delimitato dal punto di vista geografico e morfologico. La Cina
continentale infatti – ora come allora – è affacciata sul mare ad est e a sud, mentre
a nord, a ovest e a sud-ovest il deserto di Gobi, il massiccio tibetano e il bacino
del Fiume Rosso la separano dal resto del continente e al tempo stesso la rendono
una realtà geografica compatta
1
.
Nel corso dei secoli, al nucleo originario si sono aggiunti nuovi territori (il Tibet,
la Manciuria, parte del Turkestan e della Mongolia, l'isola di Taiwan) e nuove
popolazioni, che oggi costituiscono, insieme alla maggioranza etnica degli Han,
una potenza multinazionale che conta quasi 1400 milioni di abitanti, pari a circa il
20% della popolazione mondiale.
Nei passati millenni e, sia pure in minor misura, in tempi relativamente più
recenti, fino ai primi secoli dell’evo moderno, l’esistenza di barriere geografiche
praticamente insuperabili – vasti mari, inospitali deserti ed impervi massicci
montuosi – limitò sensibilmente i contatti dei cinesi con le civiltà ed i popoli
circostanti, dal momento che tutti gli scambi, di qualsiasi genere fossero, potevano
concretarsi principalmente attraverso le due vie naturali di comunicazione che la
Cina possiede, a est e a ovest del deserto di Gobi. A est, attraverso la Manciuria, la
Cina entrò così in contatto con Corea e Giappone, paesi a quel tempo
estremamente periferici – non solo in senso geografico – rispetto all'Eurasia, che
comunque conobbero ed assorbirono la cultura cinese. Ad ovest invece il
passaggio tra il deserto di Gobi e le pendici del monte Nanshan si rivelò
determinante per lo sviluppo commerciale e politico della Cina che, sfruttando le
vie carovaniere dell'Asia centrale, riuscì ad organizzare una estesa rete
commerciale, un variegato “canale” attraverso il quale i suoi prodotti – raffinati
oggetti artistici e preziose materie prime – raggiunsero il sub continente indiano e
l’occidente. Sulle stesse carovaniere, accanto alle merci, muovevano anche
1 Corradini, P . “Cina. Popoli e società in cinque millenni di storia”, Roma, Giunti Editore,
1996, pg. 7.
7
agguerrite unità militari, necessarie per garantire il controllo e la sicurezza dei
punti chiave delle vie di comunicazione.
FIGURA 1: LA CINA CONTINENTALE
Il “canale” – ovviamente percorso nei due sensi, non solo dalle merci ma anche
dalle idee – contribuì in modo determinante allo sviluppo culturale dell'impero,
perché suo tramite giunsero in Cina, insieme ai beni materiali, flussi di
conoscenza di straordinaria importanza per quanto riguarda le religioni e le
discipline spirituali, prime fra tutte il cristianesimo, l’islamismo, il buddhismo ed
il manicheismo, ancora oggi radicate nella cultura cinese, sebbene in posizioni
nettamente minoritarie.
In quei tempi remoti, la civiltà cinese non si trovò mai a dover trattare con altri
popoli o con civiltà ad essa paragonabili per dimensioni e sviluppo, ad eccezione
delle popolazioni mongole.
Tra il 1200 e il 1220, dopo aver unificato sotto il suo dominio i territori
corrispondenti all'attuale Mongolia, Gengis Khan guidò diverse spedizioni in
8
Cina, note come invasioni mongole. Le orde guidate dal famoso conquistatore si
spinsero all'interno dei territori cinesi fino a raggiungere e conquistare Pechino.
Il dominio mongolo si concluse solo con l'avvento della dinastia Ming (1368-
1398), tuttavia, dopo la fine del loro regime, i mongoli rimasero una grande
potenza e assimilarono molti degli usi e delle tradizioni cinesi, che avevano
appreso durante l'occupazione di quei territori.
I cinesi conoscevano inoltre l'India, e le strade carovaniere – soprattutto le
cosiddette “vie della seta” – permettevano lo scambio di merci tra le due civiltà e
la penetrazione di influssi buddhisti in Cina, ma altrove i contatti erano impediti
dalla catena himalayana, all’epoca praticamente invalicabile, dall'altopiano
tibetano e dagli sterminati e minacciosi deserti dell'Asia centrale, che separavano
la Cina dalle civiltà mediorientali di Persia e Babilonia e, ancor più, dall'Impero
romano. Carovane commerciali intraprendevano saltuariamente il lungo e
rischioso viaggio, ma i cinesi non avevano rapporti regolari ed approfonditi con
altre civiltà paragonabili alla propria per dimensioni e complessità
2
.
Le rotte marittime praticabili, se sfruttate come le vie carovaniere, avrebbero
potuto facilitare l’espansione della Cina ed i suoi commerci, conducendola verso
un’era di esplorazioni e conquiste, visto che già al tempo della dinastia Song (960-
1279) l’impero possedeva cospicue flotte e deteneva indiscutibilmente il primato
mondiale nel campo delle tecnologie nautiche. La Cina tuttavia – almeno fino
all'inizio del XV secolo – mostrò ben poco interesse per i paesi situati al di là dei
suoi mari e non fece nessun tentativo per colonizzarli.
In questo quadro di rapporti a distanza della Cina con il resto del mondo,
temperato – nelle varie epoche – da una più o meno accentuata tendenza
all’isolamento, l'evoluzione delle relazioni tra l'Impero di Mezzo e il continente
africano segue un andamento altalenante.
È indubbio che gli interessi economici cinesi in Africa non siano di origine
recente, tanto che spesso – nel passato – si è parlato di un'“attrazione reciproca”
tra le due realtà geografiche e i popoli che le abitano, radicata in tempi lontani e
ricomparsa in epoca contemporanea, dopo un lungo periodo di apparente
2 Kissinger H. “Cina”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011, pg.15.
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indifferenza. Sporadici rapporti culturali e commerciali tra la Cina e i Paesi
africani sono stati infatti riscontrati già in età medioevale, ma è solo a partire dagli
anni '60 del Novecento che gli interessi politici del governo cinese si sono
orientati in modo significativo verso l'Africa. Determinanti, in tal senso, sono state
le indicazioni del Partito Comunista Cinese, che considerava l’Africa un
interessante mercato per i prodotti nazionali, una fonte di materie prime nonché
un’area a cui destinare gli esuberi di mano d’opera cinese.
1.1 Il periodo delle grandi spedizioni (1405-1434) e l'interruzione dei
rapporti
Nei primi anni della dinastia Ming (1368-1644), tra il 1405 e il 1433, la Cina
si rese protagonista di una delle più sorprendenti e misteriose imprese navali
di tutta la storia: i viaggi dell'Ammiraglio Zheng He (1371-1434), peraltro
volti esclusivamente ad acquisire conoscenze sul continente africano.
Zheng He, originario di una ricca famiglia musulmana dello Yunnan, fu
incaricato da Yongle e poi da Xuande (1426-1435) di organizzare sette
impegnative spedizioni che, tra il 1405 e il 1433, portarono una flotta di una
sessantina di navi – con equipaggi che in totale comprendevano tra i 20.000
ed i 30.000 uomini – nel Mar Cinese meridionale e nell'Oceano Indiano, sino
al Golfo Persico e al Mar Rosso. La flotta possedeva navi che per l’epoca
erano tecnologicamente avanzatissime e si spinse fino a luoghi come
Champa, l'isola di Giava, Sumatra, l'India meridionale, il Corno d'Africa, lo
stretto di Hormuz e la Somalia. L'impresa venne accompagnata dalla
pubblicazione di opere a carattere geografico e da resoconti, e la figura di
Zheng He è tutt'oggi parte della tradizione popolare cinese
3
.
Al tempo dei viaggi di Zheng He l'epoca delle grandi esplorazioni europee
non era ancora iniziata e la flotta cinese possedeva un vantaggio tecnologico
apparentemente incolmabile, dal momento che per dimensioni, qualità e nu-
mero di navi sovrastava di gran lunga l'Invencible Armada spagnola, che co-
3 Schmidt-Glintzer H., “Storia della Cina”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005,
pgg.193-206.
10
munque venne costituita soltanto 150 anni dopo
4
.
Sebbene le grandi spedizioni marittime del XV secolo testimonino, da un lato
l'alto livello tecnologico raggiunto dalla Cina nel settore navale e dall'altro
l'intensa attività marittima mercantile del tempo, si discute ancora su quale
fosse il vero scopo di queste missioni. Infatti Zheng He, ad ogni tappa dei
suoi viaggi, proclamava ufficialmente la magnificenza del nuovo imperatore
cinese, offriva splendidi doni ai capi locali e li invitava a visitare
personalmente la Cina o a inviarvi ambasciate che, una volta giunte nel
palazzo imperiale, avrebbero dovuto riconoscere il proprio posto entro
l'ordine mondiale sinocentrico
5
.
Tuttavia, una volta proclamata la grandezza della Cina e presentato l'invito a
partecipare alla cerimonia del ketou
6
, Zheng He non manifestò mai alcuna
ambizione territoriale. Riportò indietro soltanto doni o “tributi”.
Nel 1424, dopo la morte dell'imperatore Yongle, il successore Xuande
organizzò un'ultima spedizione, prima di morire anche lui nel 1434. Nel 1433,
dopo il suo settimo e ultimo viaggio, morì anche Zheng He, e la sua
scomparsa pose fine alle spedizioni cinesi in Africa
7
.
La brusca interruzione delle spedizioni fu dovuta anche ad una serie di
mutamenti politici che investirono la corte di Pechino. Dopo la morte,
Xuande venne sostituito dal figlio Zhengtong, che aveva appena 8 anni. Da
quel momento in poi saranno i Ministri confuciani a gestire gli affari dello
Stato e a richiudere le porte della Cina per circa cinque secoli, dopo che erano
rimaste aperte, come mai prima di allora, per poco meno di trenta anni.
Nello stesso periodo venne ordinato il disarmo della flotta e la distruzione
delle cronache dei viaggi di Zheng He e, sebbene i mercanti cinesi
4 Kissinger H. op. cit., pgg. 38-52.
5 Si racconta che l'esploratore cinese portò in Cina il re del “paese di Malin” (l'attuale Kenya),
un certo Walai, che una volta morto sarebbe stato seppellito nel porto cinese di Fuzhou, anche
se la sua tomba non è mai stata ritrovata.
6 Cerimonia di riverenza che ogni visitatore doveva eseguire dinanzi all'imperatore, consistente
nell'obbligo di inchinarsi fino a sfiorare il pavimento con la testa (dal cinese: ke = urtare, tou
= la testa).
7 Schmidt-Glintzer H., “Storia della Cina”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005, pgg.
193-206.
11
continuassero a percorrere le vie da lui aperte e a condurre i propri commerci,
le capacità navali della Cina declinarono inesorabilmente e le spedizioni per
mare non furono mai più ripetute
8
.
In pratica la Cina si ritirò spontaneamente dal campo delle grandi
esplorazioni navali proprio quando cominciavano a interessarsene i paesi
europei, peraltro nettamente surclassati in termini di estensione territoriale e
numero di abitanti e decisamente meno ricchi, almeno fino all’epoca della
Rivoluzione Industriale. La Cina infatti, grazie anche al vasto sistema di
canali che collegavano i grandi fiumi ed i maggiori centri abitati, facilitando
gli scambi e i commerci interni, fu per secoli l'economia più produttiva e
l'area commerciale più popolosa del mondo
9
.
Perché? Per quale motivo la Cina, ricca e sofisticata, lasciò agli europei il
privilegio di avventurarsi nelle grandi conquiste che rivoluzionarono i
rapporti di forza mondiali? Perché un immenso paese, che era in partenza ben
più avanzato rispetto al mondo occidentale nelle scienze e nella tecnica e
possedeva robuste e consolidate tradizioni mercantili, volontariamente si
isolò e non fu protagonista bensì succube dello sviluppo capitalistico
nell'Ottocento?
Una possibile motivazione di questa tendenza all’isolamento della Cina va
con ogni probabilità ricercata nella peculiare concezione che il popolo cinese
ha di sé stesso e della propria cultura. La Cina infatti, sebbene conoscesse e
frequentasse le grandi realtà sociali e statuali che sorgevano – e ancora oggi
esistono – alla periferia dei suoi domini, in Corea, Vietnam, Thailandia e
Birmania, si riteneva, nella sua visione delle relazioni mondiali, l’unica degna
di essere considerata il centro del mondo, il “Regno di Mezzo”, appunto.
Coerentemente con questa visione, i confini con le circostanti realtà non
rappresentavano soltanto delimitazioni politiche e territoriali quanto piuttosto
invalicabili barriere culturali.
8 Kissinger H. op. cit., pgg. 15-28.
9 Kissinger H. op. cit., pg. 19.
12
Ora che la Cina occupa un posto centrale nell’incalzante processo di
globalizzazione che coinvolge tutti i continenti, questi interrogativi storici
sono di grande attualità, soprattutto quando si mette mano all’analisi dei
meccanismi che hanno generato la nascita di un legame così profondo tra la
Cina ed il continente africano, nonostante le evidenti differenze culturali e
politico-istituzionali esistenti tra le due civiltà.
È interessante sottolineare che la versione proposta nel documento distribuito
al vertice di Pechino del Novembre 2006, spiega l'interruzione dei rapporti tra
la Cina e l'Africa attribuendone la responsabilità all'Europa: “... nel XVI
secolo la conquista e la spartizione colonialista [operata dalle potenze
occidentali] del continente africano misero fine agli scambi amichevoli tra la
Cina e l'Africa.”
10
.
Secondo questa teoria, lo sfruttamento coloniale da parte delle potenze
europee accomuna i due popoli, quello cinese e quello africano. Sulla base
quindi di un passato condiviso, segnato dalle sofferenze e da una sorte, in
fondo, comune, il governo cinese ha costruito le fondamenta dei rapporti
diplomatici che oggi intrattiene con i numerosi governi africani membri del
Forum per la Cooperazione tra la Cina e l'Africa (FOCAC).
1.2 La ripresa dei rapporti nel XX Secolo
Agli inizi degli anni '80, la Cina era ancora uno dei paesi più poveri al
mondo. Grazie alle riforme economiche promosse a partire dal 1978 – in
particolare la nota “Riforma di Crescita e Apertura” adottata da Deng
Xiaoping, i cui imperativi capisaldi erano liberalizzazione, zone economiche
speciali e libertà di accesso per gli investimenti diretti stranieri – la sua
economia ha fatto registrare, fino alla fine del XX secolo, una crescita media
dell'8% annuo, mentre nell’ultimo decennio le percentuali di sviluppo sono
state ancora più elevate
11
. Secondo la Banca Mondiale infatti, dal 2001
l'economia cinese è cresciuta ad un ritmo medio del 10% annuo, con punte
10 “China's African Policy”, Rapporto del Ministero degli Esteri cinese sulle relazioni tra Cina e
Africa, pubblicato dopo il vertice Cina-Africa di Pechino del 2006, (Allegato 1).
11 Dollar, David “Lessons from China for Africa”, World Bank Policy Research Working Paper
n° 4531, Febbraio 2008, pgg. 5-12.