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Introduzione
Lo scopo del sistema monetario internazionale è facilitare le transazioni nella cosiddetta
economia reale, mentre il sistema finanziario internazionale serve per fornire il capitale
richiesto dalle attività economiche di tutto il mondo. Il funzionamento di questi sistemi,
ovvero il loro successo o insuccesso, incide fortemente sul benessere dell’economia
mondiale. Tuttavia sono proprio gli stretti legami che si sono instaurati tra i due sistemi,
soprattutto a partire dagli anni Settanta, a rendere difficile il loro compito. Poiché gli
investimenti esteri e i flussi di capitali internazionali vengono effettuati in moneta, una
variazione del tasso di cambio altera il valore di un investimento. D’altro canto, i flussi
internazionali di capitale possono portare una moneta ad apprezzarsi o a deprezzarsi. Un
tasso di cambio erratico scoraggia commercio e investimento estero, così come questi
possono causare tassi di cambio erratici. D’altra parte, mantenere una tasso di cambio
fisso diventa via via più difficile con la crescente integrazione finanziaria globale e con
la mobilità dei capitali: in ottemperanza al “trilemma della politica economica”, se il
capitale si muove liberamente, un paese non può simultaneamente mantenere tassi di
cambio fissi e una politica monetaria indipendente.
Quando la mobilità dei capitali è alta e un paese fissa il suo tasso di cambio nei
confronti di un’altra valuta, il suo tasso d’interesse domestico sarà legato a quello
estero, cosa che limita fortemente la sua capacità di perseguire i propri obiettivi interni.
Sistema monetario e finanziario sono quindi molto vulnerabili e possono provocare
sconvolgimenti nell’economia mondiale.
Per evitare tali sconvolgimenti, i paesi hanno cercato di creare, dopo il crollo di Bretton
Woods, sistemi regionali che garantissero una certa stabilità
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. Il paradosso è che questi
regimi di cambio hanno spesso mostrato una certa mancanza di flessibilità e spesso sono
crollati malamente, causando quegli stravolgimenti che avrebbero dovuto evitare. La
crisi che ha colpito il Sistema Monetario Europeo nel 1992, così come la crisi messicana
del 1994 e la crisi asiatica del 1997-1998, ne sono chiari esempi.
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A livello mondiale, le divergenze di fondo tra Stati Uniti ed Europa su qualsiasi nuovo sistema, resero
impossibile l’adozione di regole che guidassero i tassi di cambio e di ogni decisione che riguardasse il sistema
monetario mondiale. Per questa ragione, Robert Gilpin ha definito la situazione post- Bretton Woods come un
“non- sistema”.
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Nel Settembre del 1992 lo SME venne investito da una serie di forti attacchi speculativi,
rivolti principalmente verso Italia e Inghilterra, (tanto che Lira e Sterlina uscirono dagli
accordi) ma anche verso le altre monete europee. Infatti le uniche monete che alla fine
del 1993 non erano state svalutate furono il Franco belga, il Franco francese (comunque
soggetto a notevoli pressioni speculative), il Fiorino olandese, la Corona danese e,
ovviamente, il Marco tedesco. I costi furono molto elevati: per difendere la parità, le
banche centrali dei vari paesi “bruciarono” ingenti quantità di riserve e alzarono i tassi
d’interesse a livelli a volte stratosferici (con conseguenze gravi per investimenti e debito
pubblico). Importanti furono le conseguenze: sostanzialmente la crisi decretò la fine del
Sistema Monetario e sollevò dubbi sulla effettiva possibilità di proseguire nel progetto
di integrazione economica europea, che avrebbe dovuto portare all’Unione Monetaria.
L’osservazione di un evento così drammatico e importante, suscitò tra gli economisti un
acceso dibattito sull’applicabilità dei modelli di crisi valutaria elaborati fino ad allora.
Questi, infatti, ponevano l’accento sui fondamentali economici e perciò non erano in
grado di spiegare come mai paesi “virtuosi” come Inghilterra e Francia fossero stati
attaccati e come mai i due governi di questi stati presero decisioni diverse (l’Inghilterra
uscì dagli accordi, la Francia difese strenuamente la parità). Questa inadeguatezza diede
l’impulso decisivo per l’elaborazione di una nuova tipologia di modelli (chiamati “di
seconda generazione”) che mette in rilievo come il policy maker sia di fronte ad un
trade- off: svalutare o mantenere la parità. Ma l’aspetto principale di questi modelli
consiste nella spiegazione che essi riescono a fornire con riguardo agli attacchi
speculativi rivolti anche nei confronti di paesi con fondamentali solidi: a determinarli,
infatti, sono le aspettative del settore privato, che si possono auto realizzare.
Senza arrivare a sostenere la sua visione ciclica della storia, credo il monito di
Machiavelli, che sosteneva
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“…la istoria è la maestra delle azioni nostre…”, sia da
tenere sempre presente: guardando con attenzione alla crisi del Sistema Monetario
Europeo del 1992, è facile riscontrare elementi di somiglianza con la crisi che affligge
le economie europee oggi. Proprio per questa ragione emerge chiaramente come
l’Europa non abbia fatto del tutto proprie le lezioni del passato ma anzi, abbia ripetuto
gli stessi errori. In questo senso, lo studio dei fatti del 1992 assume ulteriori rilevanza,
in quanto può aiutare a capire i problemi odierni, ad analizzare i comportamenti dei vari
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In “Nel modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati” (1502).
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paesi e a fornire possibili soluzioni alla crisi. Poiché “…"Tutti li tempi tornano, li
uomini sono sempre li medesimi", anche gli stati sono sempre uguali: basta guardare al
comportamento della Germania e alla sua incapacità di esercitare una vera egemonia;
alle illusioni di grandezza che ricorrono nella storia francese, e che ne caratterizzano le
decisioni; o ai problemi dei paesi mediterranei che, non a caso, sono quelli
maggiormente colpiti dai flussi speculativi, oggi come ieri.
Per una corretta analisi degli eventi del 1992 in Europa è opportuno, per prima cosa,
definire il concetto di crisi valutaria e analizzare i vari modelli teorici che gli economisti
hanno proposto per interpretare tali eventi.
In seguito, sarà necessario descrivere la nascita del Sistema Monetario Europeo, il suo
funzionamento e il suo fondamentale cambiamento avvenuto nel 1987. Da questa data,
infatti, si assisterà alla fine dei riallineamenti e verranno così create le condizioni che
porteranno alla crisi.
Dopo la narrazione degli eventi del Settembre 1992, si cercherà di fornire una visione il
più completa possibile sulle possibili interpretazioni della crisi, sia dal punto di vista
strettamente economico sia attraverso i paradigmi teorici delle relazioni internazionali.
La parte seguente sarà dedicata alla specificità del caso italiano, con una descrizione
della situazione economica precedente alla crisi, degli eventi politici ed economici
dell’inizio del 1992 (crisi di governo, Tangentopoli) e della crisi vera e propria.
L’ultima sezione verterà sulla comparazione tra la crisi attuale e quella del 1992, con le
relative analogie e differenze.
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Capitolo I
Crisi valutarie e modelli
1.1 Crisi valutaria: definizione
Una crisi valutaria può essere definita, in termini generali, come un attacco speculativo
nei confronti del tasso di cambio di una valuta estera che può provocare un
deprezzamento improvviso o può forzare le autorità a difendere la moneta vendendo
riserve estere o aumentando il tasso di interesse interno. Per una moneta con una
qualche forma di pegging (tasso di cambio fisso puro, regime di cambio fisso con banda
di fluttuazione, ecc.), la crisi valutaria si riferisce solitamente a una situazione in cui
l’economia viene messa sotto pressione allo scopo di farle abbandonare tale regime. Un
attacco riesce quando la moneta si deprezza, mentre fallisce quando il tasso di cambio
rimane invariato, anche se a costo di ingenti riserve.
Negli studi empirici e statistici compiuti dagli economisti vengono utilizzate diverse
definizioni, che possono ampliare o meno il campo di analisi. Alcuni lavori utilizzano
definizioni ristrette; ad esempio Frankel e Rose in una pubblicazione del 1996
definiscono una crisi come un deprezzamento nominale del 25% o più, che sia almeno
del 10% maggiore della svalutazione dell’anno precedente. Per evitare di incorporare le
grandi fluttuazioni del tasso di cambio derivanti da periodi caratterizzati da inflazione
elevata, Milesi- Ferretti e Razin (1998) adoperano una definizione che richiede, oltre ad
un deprezzamento del 25%, una tasso di deprezzamento che sia almeno doppio rispetto
a quello dell’anno precedente, il quale deve essere stato inferiore al 40%.
Altri lavori utilizzano definizioni più ampie che includono anche episodi di attacchi
speculativi falliti, catturati attraverso grandi cambiamenti nell’indice di pressione
valutaria.
Questo indicatore cerca di misurare nel modo più oggettivo possibile le crisi.
L’indice di pressione valutaria (IPV) si ottiene calcolando la media ponderata della
variazione in percentuale dei tassi di interesse, delle riserve ufficiali e del tasso di
cambio del paese che subisce un attacco rispetto alle stesse grandezze relative al paese
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cui la valuta viene ancorata. Quando questo valore supera una determinata soglia
(solitamente 1,5) ci si trova in una situazione di crisi.
Per minimizzare il rischio di considerare più volte la continuazione di una stessa crisi
valutaria, è comune l’imposizione di una finestra di tempo: una volta identificato un
grande cambiamento dell’indice di pressione, ogni altro cambiamento nel seguente
periodo (per esempio due anni), viene trattato come parte dello stesso episodio e non
viene considerato come un nuovo fenomeno.
E’ opportuno sottolineare come le crisi valutarie possono essere associate ad altri tipi di
crisi: finanziarie, ad esempio una improvvisa cessazione dei flussi di capitali in entrata
verso un paese o repentini aumenti dei deflussi di capitali, o crisi bancarie e sovrane.
Spesso le crisi non sono solamente di una tipologia, ma colpiscono vari aspetti
dell’economia: una crisi sovrana si può manifestare a causa di una concorrente crisi
valutaria o bancaria, a causa della quale uno stato non è più in grado di ripagare gli
interesse sul debito estero o non è in grado di rimborsarne il valore (debt default) oppure
è costretto a modificare il profilo dei pagamenti (debt restructuring), talvolta grazie
all’erogazione di prestiti internazionali.
1.2 Speculatori e speculazione
Il termine “attacco speculativo” è già stato utilizzato e i termini “speculatore” e
“speculazione” si troveranno spesso nelle parti successive del testo. Pertanto ritengo
necessario fare un precisazione.
E’ molto frequente il luogo comune secondo il quale gli speculatori sarebbero individui
risoluti e privi di scrupoli che si arricchirebbero grazie alle disgrazie economiche dei
paesi (o addirittura le forzerebbero). Tuttavia gli speculatori sono, semplicemente,
operatori economici che svolgono operazioni finanziarie; l’unica differenza sostanziale
rispetto alla media degli altri investitori, è l’alta rischiosità delle transazioni che
compiono.