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Premessa
La valorizzazione e l’analisi dei concerti per clarinetto da sempre hanno
caratterizzato i miei studi musicali. L’analisi è compiuta quando il lettore riesce
a comprendere l’eufemismo musicale che il compositore vuole esprimere.
Col mio lavoro ho voluto analizzare uno dei concerti più famosi per clarinetto,
scritto da : Wolfgang Amadeus Mozart.
Lo sviluppo analitico si articolerà in tre capitoli, che gradualmente condurranno
all’’analisi dell’’opera del
“Concerto K622 per clarinetto in La di Stadler e Orchestra”
Ultimo atto sarà l’esibizione strumentale, espressione viva del concerto.
L’opera presentata, negli anni seguenti alla prima rappresentazione ha subito
modifiche strumentali, pertanto, oggi è consuetudine eseguirla con clarinetto in
La, ma il mistero narra che originariamente era stata composta per corno
bassetto in Sol (1° tempo – prime 199 Misure).
La particolarità di quest’opera mi ha indotto a rivisitare la storia del clarinetto
confrontandola con la storia musicale delle composizioni dell’eccellente artista,
rivivendo emozioni e sentimenti che il clarinetto suscitò in Mozart.
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Capitolo I
1.1 Il Clarinetto
Agli inizi del ‘700 si diffuse nel mondo della musica uno strumento a fiato particolare: il
clarinetto.
Esso era uno strumento musicale a fiato ad ancia semplice battente appartenente alla famiglia
dei legni, ed aveva un timbro suadente e grintoso.
Nella sua estensione si divide in diversi registri, ognuno con le proprie particolarità: il registro
grave, detto registro dello Chalumeau, è caldo e pastoso; il registro medio, o del clarinetto, è
brillante; il registro acuto è potente e squillante.
La cameratura del clarinetto è sostanzialmente cilindrica e per questo motivo produce suoni
una quinta più gravi di uno strumento di eguale lunghezza, ma provvisto di cameratura
conica. Il clarinetto è diviso in cinque parti, unite ad incastro con guarnizioni in sughero;
partendo dall’alto, abbiamo il bocchino,che è l’imboccatura adatta a produrre le vibrazioni
sonore, unito ad un’ancia semplice battente legata con una fascetta. L’ancia è una lamina
sottile che a contatto con il fiato produce suoni. Essa, se battente, può essere semplice (per
clarinetto o saxofoni), o doppia (per oboi, fagotti,ecc.).
Nel caso di un’ancia doppia, che è sempre battente, le due lamine sovrapposte vibrano e si
urtano al passaggio dell’aria, chiudendosi e riaprendosi come una valvola. Questo effetto
permette di far passare, attraverso l’imboccatura, solo la colonna d’aria utile alla formazione
di ogni singolo suono.
L’ancia semplice battente si distingue da quella doppia, in quanto presenta una sola lamina
che da sola fa compiere l’intero percorso alla colonna d’aria che deve produrre il suono.
Segue poi il barilotto, che funge da corista. La parte centrale è costituita dal corpo superiore
e dal corpo inferiore, sebbene oggi alcuni clarinetti li presentano uniti. Su questi due corpi
sono presenti ventiquattro fori (se descriviamo il modello di clarinetto chiamato boehm) di
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dimensioni differenti: sette fori, circondati da anelli, vengono chiusi dalle dita, mentre gli altri
vengono chiusi dai cuscinetti, azionati dagli anelli oppure dalle diciassette o diciotto chiavi.
Tramite la chiusura e l’apertura dei fori presenti sui due corpi della parte centrale, viene
modificata la lunghezza della colonna d’aria vibrante, in modo da ottenere i suoni
dell’intonazione desiderata. Lo strumento termina con la campana, che dà ulteriore risonanza
ai suoni.
Il legno utilizzato per costruire il clarinetto è in prevalenza l’ebano, che conferisce il
caratteristico colore nero e ulteriori legni utilizzati sono il Grenadilla ed il Rosewood
dell’Honduras. Ogni tipo di legno conferisce caratteristiche peculiari alla sonorità dello
strumento, oltre ad avere differenti caratteristiche di lavorabilità e durata nel tempo. Esistono
clarinetti costruiti in metallo e cristallo, poco apprezzati per il loro suono aggressivo e freddo,
in contrapposizione al timbro caldo e pastoso dei clarinetti in ebano.
Esistono anche clarinetti costruiti in materiale plastico (ABS) utilizzati come strumenti da
studio, mentre troviamo clarinetti di livello professionale costruiti in ebanite (nota anche come
hard rubber, cioè gomma dura, essendo un materiale ottenuto dal processo di vulcanizzazione
della gomma).
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L’origine vera del clarinetto è tutt’oggi sconosciuta, in quanto esso discende dalla perenne
trasformazione di antichi strumenti a fiato. Infatti Curt Sachs afferma che “L’origine del
clarinetto non è nota”.
E’ stato ritrovato tra le testimonianze di civiltà primitive e, rimane irrisolta la questione se lo
strumento sia migrato da civiltà più evolute ad altre meno evolute, o non abbia invece
percorso un cammino inverso. La storia conosciuta e tramandata tratta l’evoluzione dello
strumento attraverso il principio dell’ancia semplice.
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1
Jack Brymer p.65
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Curt Sachs p. 30
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Lo strumento più antico che adotta questo principio è il m.m.t egiziano, costituito da una
coppia di canne e conosciuto dal 2700 a.C. Esistono vari tipi di strumenti che adottano questo
principio come l’Aulos nell’antica Grecia, la Tibia nell’antica Roma, il Pungi in India e in
Sardegna le luneddas, conosciute dal 900 a.C. Nel Medioevo troviamo, invece, la cennamella
o cialamello italiano, lo schalmei tedesco, lo shawm inglese, il caramillo spagnolo e ulteriori
strumenti musicali pastoral – popolari conosciuti con vari nomi, a seconda del luogo di
appartenenza.
Tutti questi strumenti sono stati i predecessori dello chalumeau (dal latino Calamus), nome
generico a partire dal 1000-1100 d.C di strumenti a fiato, costituiti da un tubo cilindrico di
canna alla cui parte superiore c’era un’incisione fatta per ricavare l’ancia (semplice o doppia).
Esso era uno strumento francese antichissimo simile alla zampogna, utilizzato per produrre
effetti pastorali all’interno di opere musicali. Il suddetto strumento dal 1690 fu soggetto ad
innovazioni nella parte terminale da parte di J. Christofer Denner, un artigiano di Norimberga.
Le fasi del passaggio dallo chalumeau al clarinetto sono documentate da Doppelmayer nel suo
Historiche Nachricht von den nurn Bergischen Mathematicis und Kunstlen, pubblicato a
Norimberga nel 1730. Lo strumento descritto da Doppelmayer aveva sei fori anteriori e uno
posteriore, chiusi da due chiavi, una posta sui fori anteriori e l’altra su quello posteriore.
Successivamente Denner e i suoi figli hanno spostato il foro della chiave posteriore e lo hanno
rimpicciolito per poterlo utilizzare sia come chiave del Sib, sia come foro portavoce, aprendo
quindi le porte del registro superiore o “registro di clarinetto”.
Il passaggio dal registro di chalumeau a quello di clarinetto (chiamato “middle break” nei
paesi di lingua inglese), ovvero dalla nota più acuta del registro grave (Sib 3) alla nota più
grave del registro medio (Si 3), è un punto particolarmente critico nel clarinetto, sia dal punto
di vista esecutivo sia come sonorità. La sonorità dei due registri è alquanto diversa, come pure
la resistenza che l’esecutore avverte da parte del clarinetto nel passaggio da Sib 3 a Si 3.
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Il termine clarinetto appare per la prima volta nel 1732 nel “Musicalishes Lexicon 2” di Johan
Gottfried Walther in cui è scritto: “Sentito a distanza, esso suona piuttosto come una tromba”.
Ciò spiega il nome clarinetto derivato da clarino, termine oggigiorno utilizzato
impropriamente, che indica uno strumento appartenente alla famiglia delle trombe.
Il clarinetto ebbe un suono penetrante probabilmente fino al principio dell’Ottocento; si
ritiene così perché i metodi per imparare a suonare il clarinetto pubblicati dal 1850
sottolineano il suono “ora più pieno, dolce e piacevole” dei clarinetti precedenti.
Lo sviluppo del clarinetto continua nel 1740 quando Jacob Denner (figlio di Johann
Christofer) aggiunse al clarinetto una lunga chiave aperta, per realizzare il Si 3 (prima
impossibile), riempiendo questo “buco” nell’estensione dello strumento e portandolo
all’estensione attuale. Nei decenni successivi diversi artigiani hanno fatto tentativi per
migliorare lo strumento, senza ottenere risultati rilevanti. Bartold Fritz perfezionò la terza
chiave; Joseph Beer aggiunse la quarta e la quinta chiave; Jean Xavier Lefevrè aggiunse,
grazie al costruttore Baumann, la sesta chiave per i suoni di Sol # che dava come suono
fondamentale Do #.
Un passo importante è stato fatto da Ivan Muller, un musicista parigino nato in Russia. Muller
costruì un clarinetto dalle caratteristiche rivoluzionarie.
Il suo strumento aveva tredici chiavi con un nuovo tipo di cuscinetti e con i fori cigliati.
Quello di Muller è stato il primo clarinetto a poter suonare in tutte le tonalità. Nel 1812 fu
esaminato dagli specialisti del Conservatorio di Parigi e, nonostante le sue notevoli
potenzialità, fu rifiutato e rivalutato qualche anno più tardi.
Successive modifiche al clarinetto sono state apportate ha Hyacinthe Elénore Klosé, il
produttore del clarinetto “sistema Boehm”. Klosé basò il suo lavoro su quello fatto da
Theobald Boehm, che introdusse sul flauto le chiavi ad anello. Klosé adottò gli anelli sul
clarinetto, adottò i fori cigliati di Muller e aggiunse nuove chiavi per un totale di diciassette.
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Questo strumento era facile da gestire e dava la possibilità di suonare in tutte le tonalità. Fu
Klosé stesso ad esibirlo per la prima volta a Parigi nel 1839. Oggi è il tipo di clarinetto più
diffuso. Al clarinetto di Muller gli anelli sono stati applicati in Germania da Carl Barmann.
Poi Oskar Oehler modificò la posizione delle chiavi adattandole alle caratteristiche delle mani
e migliorando quelle acustiche. Questo è il clarinetto attualmente ulizzato in Germania e, con
piccole differenze, in Austria. Il clarinetto è tuttora sottoposto a miglioramenti tecnici, infatti
si cerca di ottenere caratteristiche acustiche sempre migliori e maggiore maneggevolezza da
parte degli esecutori. Tra i contemporanei che più di altri si sono cimentati nel migliorare lo
strumento sono da ricordare il clarinettista Mazzeo e lo svizzero Renè Hagmann.