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Premessa
L’attenzione della critica per il teatro black British è cresciuta negli
ultimi decenni, dopo che un numero sempre più cospicuo di suoi testi è
stato rappresentato. Ancora oggi manca tuttavia una indagine ampia e
storicamente contestualizzata del teatro black British, nonostante la sua
presenza significativa nel panorama culturale già a partire dagli anni
‘50.
Tra le drammaturghe black British affermatesi in Gran Bretagna a
partire dagli ultimi decenni del XX secolo spicca debbie tucker green, di
origini afro-caraibiche. Questa autrice irrompe nella scena teatrale
inglese nella primavera del 2003 con due opere, Born Bad e Dirty
Butterfly, entrambe rappresentate al ‚Soho Theatre‛ di Londra con
grande plauso della critica. Il teatro di tucker green offre la prospettiva
di una donna nera del XXI secolo che abita spazi multiculturali: in esso
la drammaturga affronta questioni complesse come quella della razza e
pone urgenti domande sulla violenza che caratterizza la società
contemporanea e che si manifesta soprattutto nei contesti familiari.
Ho scelto di trattare l’opera di debbie tucker green per il
profondo interesse che essa ha suscitato in me trattandosi di un teatro
violento e appassionato, caratterizzato però nel contempo da una
delicata leggerezza per l’intensa poeticità del suo linguaggio. In
un’epoca come quella contemporanea, crudele e nichilista, il teatro di
tucker green trasmette la disperazione dell’uomo contemporaneo che,
sottratto alla vita solidale della comunità, si percepisce solo in un
mondo individualista. Eppure l’atmosfera sospesa, poetica di questo
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teatro introduce lo spettatore in un mondo intatto e senza tempo, antico,
lasciando intravedere, tra le crepe della ruvida e tagliente superficie
della realtà, la luce della speranza. Nell’opera di debbie tucker green la
poesia si mescola a dialoghi crudeli squarciando la veste spietata del
mondo attuale, di una società meccanica e aliena che ci aliena da noi
stessi. La drammaturgia di questa autrice accompagna il pubblico
attraverso un percorso di sofferenza ponendolo di fronte alle
problematiche di questa società innaturale, ma gli lascia intravedere
l’altra faccia, luminosa, di quella desolata ormai familiare all’uomo
contemporaneo: una luce di speranza, resistenza a un capitalismo che ha
sposato le leggi innaturali del mercato forzando l’uomo al ritmo
disumano della logica della produzione.
Nella scena finale di Stoning Mary (2005), ad esempio, si potrebbe
cogliere il senso di una rinascita: la protagonista MARY rappresenterebbe
il punto finale della spirale di violenza descritta nell’opera, la speranza.
La colpa dell’uomo è lavata via dal sangue di MARY, il suo sangue è
lavato via dalla pioggia, dall’acqua, origine della vita, acqua del grembo
materno e origine della Terra.
Ho trovato molto stimolante realizzare uno studio su un’autrice
ancora poco conosciuta in Italia, poiché esso mi ha aperto un nuovo
orizzonte culturale a contatto con nuovi aspetti della cultura black British
e la sua storia, segnata dalla dolorosa esperienza della
marginalizzazione. Si sono rivelati seminali per il mio lavoro gli studi
sul teatro black British di Lynette Goddard e Deirdre Osborne che ho
consultato presso la biblioteca dell’Università di Warwick, dove ho
avuto modo di approfondire anche le tematiche del postcolonialismo
frequentando i corsi di letteratura postcoloniale del centro di ricerca
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‚Centre for Translation and Comparative Cultural Studies‛. Inoltre
presso la ‚Openbare Bibliotheek‛ di Amsterdam ho potuto reperire
numerosi testi che mi hanno dato spunti interessanti per la mia tesi. Per
la traduzione in lingua italiana dell'opera Stoning Mary mi sono avvalsa
dell'aiuto dello studioso e scrittore spagnolo Joan Espasa che mi ha
inviato la sua traduzione, in lingua spagnola, inedita dello spettacolo
Lapidando a María, realizzato a Madrid presso il ‚Teatro Pradillo‛
nell’Ottobre del 2008. Il suo testo si è rivelato molto utile per
l’interpretazione delle parti più complesse e criptiche dell'opera.
Importante è stata anche la collaborazione con i miei colleghi
madrelingua inglesi dell'agenzia di traduzione di Dublino presso cui ho
svolto un periodo di tirocinio, i quali mi hanno confermato le difficoltà
nella comprensione dei significati del testo e la complessità dell'opera.
Mi sono avvalsa, inoltre, del video dello spettacolo Stoning Mary
realizzato presso ‚The Pleasance Theatre‛ di Londra dagli studenti di
‚The London Metropolitan University‛ nel Maggio 2007 e che l’attore
Sam Quinn (che nello spettacolo interpreta il ruolo del PADRE) mi ha
gentilmente inviato. Questo video mi ha aiutato a comprendere il senso
dei dialoghi dei personaggi grazie all’osservazione del loro linguaggio
gestuale, della mimica e della prossemica. Mi sembra opportuno, infine,
ricordare anche l’intervista radiofonica di Holly Wallis, giornalista di
Three Weeks, a Kiran Gill, regista e produttore di Stoning Mary, che sono
riuscita a reperire su Internet e che ho trascritto e tradotto in italiano.
Questo studio è diviso in due capitoli: nel primo si descrive il
contesto socio-culturale in cui opera debbie tucker green, facendo
riferimento al dibattito culturale sulle nozioni di identità, cultura,
appartenenza nazionale e razziale e più specificamente di Englishness,
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Britishness e blackness che, a seguito delle migrazioni diasporiche, sono
entrate in crisi. A partire dalla fine del XX secolo emerge, infatti, nel
cuore dell’ ex-impero una nuova identità British e al tempo stesso black,
che mette in crisi la cultura dominante e il concetto stesso di Occidente.
Nel secondo capitolo, dopo un breve excursus sulla storia del
teatro black British degli ultimi vent’anni, si analizza l’opera di debbie
tucker green con particolare attenzione al suo linguaggio ibrido.
Infine si esamina l’opera Stoning Mary, di cui viene proposta per
la prima volta la traduzione in lingua italiana, illustrando le strategie
traduttive adottate e le difficoltà linguistico-culturali incontrate.
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Introduzione
In ogni società periodicamente si diffondono mode che, oltre a
cambiare il costume e le abitudini sociali, danno vita a nuovi modelli di
pensiero, nuovi concetti o modi di rappresentare la realtà che diventano
vere e proprie parole d’ordine, la lente attraverso cui guardare ed
interpretare le dinamiche socio-culturali contemporanee. È ciò che è
avvenuto alla fine degli anni ’60 quando, con l’affermarsi delle teorie
post-strutturaliste, le nozioni di ibridità, creolizzazione, identità, cultura,
nazione, razza si configurano come categorie rappresentative del nuovo
contesto postmoderno, come punto di riferimento per interpretare le
forme e gli spazi culturali dell’attuale società transnazionale e
globalizzata. Queste nozioni chiave infatti entrano in gioco nell’analisi
dei fenomeni socio-culturali contemporanei, dalle arti visive al cinema,
dalla letteratura alla musica metropolitana, dagli studi culturali agli
studi sulle migrazioni. Nell’attuale clima caratterizzato dalla
contaminazione e dalla fluidità, in questa società post-nazionale
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in cui il
rigido dualismo tipico della modernità è ormai eroso, si corre il rischio
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A proposito dell’attuale crisi della nazione nell’opera Modernità in polvere (2001) Arjun
Appadurai scrive: ‚lo stato nazionale sta entrando in una crisi definitiva *<+ *: oggi si
assiste all’+ emergere di un mondo politico postnazionale. *<+ Può darsi benissimo che
l’ordine postnazionale che sta emergendo si riveli essere non tanto un sistema di
elementi omogenei (così com’è nell’attuale sistema degli stati nazionali) ma piuttosto
un sistema basato su relazioni tra elementi eterogenei: movimenti sociali, gruppi di
persone, corpi professionali, organizzazioni non governative *<+. Riuscirà questa
eterogeneità a combinarsi con alcune convenzioni minime sulle norme e sui valori, che
non richiedano una stretta adesione al contratto sociale liberale della modernità
occidentale? *<+ Nel breve periodo, come possiamo già vedere, sarà probabilmente un
mondo caratterizzato da sempre maggior barbarie e violenza. Sul lungo periodo, una
volta liberate dalle costrizioni della forma nazionale, potremo forse scoprire che la
libertà culturale e la giustizia nel mondo non presuppongono l’esistenza uniforme e
generale dello stato nazionale.‛
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di recidere in modo troppo netto il legame di continuità tra la post-
modernità e la modernità, collocando quest’ultima in un passato ormai
culturalmente e ideologicamente superato essendo essa dominata da
rigide concezioni, quali l’identità fissa e stabile, il mito della purezza, le
grandi narrazioni e ideologie. Una cesura così netta non terrebbe conto
delle contraddizioni e delle ambivalenze, delle discontinuità e rotture
che invece caratterizzano ogni periodo storico-culturale e che sono causa
della problematicità dell’epoca attuale in cui emergono nuove forme di
razzismo e di discriminazione. La contaminazione culturale tipica della
società contemporanea se da un lato ha comportato l’erosione delle
rigide categorie della modernità, dall’altro potrebbe generare un nuovo
sistema di controllo simile a quello della dialettica coloniale. Infatti
limitarsi ad esaltare questa contaminazione culturale unicamente come
momento positivo di superamento della logica binaria classica della
modernità, tralasciando quindi la conflittualità insita in ogni contesto
storico-sociale, può produrre una mercificazione dell’alterità culturale. Il
post-colonialismo diventerebbe così ambiguamente sostenitore e
avversario al tempo stesso della ‚alterity industry‛
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: l’altro viene
nuovamente addomesticato con l’esaltazione semplicista, pacificata ed
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In The Postcolonial Exotic. Marketing the Margins (2001) Graham Huggan afferma:
‚Postcolonial studies, it could be argued, has capitalised on its perceived marginality
while helping turn marginality itself into valuable intellectual commodity.‛ A
proposito del processo di addomesticamento dell’altro, dell’esotico lo studioso
sostiene: ‚*<+ exoticism may be understood conventionally as an aestheticising
process through which the cultural other is translated, relayed back through the
familiar *<+; exoticism describes *<+ a particular mode of aesthetic perception – one
which renders people, objects and places strange even as it domesticates them, and
which effectively manufactures otherness even as it claims to surrender to its
immanent mystery. *<+ The postcolonial exotic is, to some extent, a pathology of
cultural representation under late capitalism – a result of the spiralling
commodification of cultural difference, and of responses to it, that is characteristic of
the (post)modern, market-driven societies in which many of us currently live‛.
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esotica della contaminazione culturale. L’altro però non può venire del
tutto addomesticato: si tratta infatti di un sistema imperfetto in cui si
percepiscono ambivalenze e rotture su cui la critica culturale può
lavorare.
Ed è proprio il ruolo della critica ad assumere una valenza
centrale nella società contemporanea. Significativa è infatti la critica
mossa dagli studiosi postcoloniali all’idea ‚essenzialista‛ della cultura,
concepita come tradizione e rigida continuità con un passato condiviso
da una comunità. Questa concezione della cultura rischia di
promuoverne un’idea divisionista: l’umanità appare come un mosaico, i
cui molteplici frammenti diversi non sono in relazione tra loro, ma
separati gli uni dagli altri. Questa visione del mondo, intesa come un
insieme di culture ed etnie diverse non comunicanti tra loro e per questo
destinate inevitabilmente a scontrarsi, favorisce la nascita di
fondamentalismi e integralismi identitari.
Oggi si sta delineando una rigida contrapposizione tra due tipi di
pensiero: il relativismo e l’universalismo
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, tra le nozioni locale e globale
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, e
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La diffusione a livello mondiale dei mezzi di comunicazione di massa ha portato ad
un processo di unificazione delle varie culture, ne è un esempio l'uso diffuso di certe
espressioni linguistiche della cultura dominante da parte di popoli dalle culture più
diverse. Questo universalismo culturale è evidente soprattutto nell'adozione, talora solo
esteriore, di certi modelli di vita propagandati come migliori. Si tratta di un fenomeno
di omologazione culturale che tende ad uniformare modi di pensare e stili di vita per
la necessità economica del mercato unitario. All’universalismo culturale si contrappone il
relativismo culturale secondo cui invece ogni cultura ha una valenza unica e
incommensurabile rispetto alle altre e deve essere rispettata nella sua diversità ed
unicità.
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In Globalizzazione e localismi tra antropologia e sociologia contenuto in Dialegesthai (2003)
Mimmo Pesare scrive: ‚«Locale», *<+ da intendersi come «localismo», *<+ *è+ la
dimensione «teoretica» che si oppone a quella globale all'interno di una riflessione sul
«territorio», o meglio, sulla cultura e sull'identità di un territorio. *<+ La
rivendicazione dell'aspetto del «locale» deve intendersi oggi come «la questione» del
globale, vale a dire come la sua intrinseca aporia‛. Riguardo alla globalizzazione e al
localismo i filosofi Angelo Bolaffi e Giacomo Marramao in Frammento e sistema (2001)