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Introduzione
Uno dei capitali piø importanti per un’impresa è intangibile.
Si parla del capitale di marca o Brand Equity.
Il concetto, introdotto per la prima volta nel 1980, suscita l’interesse di
ricercatori e imprese appartenenti a ogni settore.
Tra i motivi di tale popolarità c’è sicuramente il fatto che la Brand
Equity riveste un ruolo primario nel raggiungimento del vantaggio
competitivo e che rappresenta un indicatore dello stato di salute del
brand.
Per la gestione di questo asset, o meglio di questo set di asset, gli uomini
di marketing devono conoscere gli elementi che lo costituiscono.
Costruire una brand equity forte è dunque una priorità per le imprese
perchØ comporta un ampio numero di vantaggi come maggiore loyalty,
sensibilità a fluttuazioni di prezzo, efficienza ed efficacia delle
comunicazioni, margini piø alti, minore vulnerabilità, opportunità
addizionali per brand extension e licensing, possibilità di attrarre piø
investitori e lavoratori qualificati.
La Brand Equity, in estrema sintesi, dipende dalla conoscenza e dal
comportamento dei consumatori in relazione al brand, è fondamentale
perciò individuare e monitorare i fattori di influenza. Tra questi rientra la
conoscenza del Paese di origine. Molti Paesi sono ormai noti per la loro
tradizione in determinate categorie di prodotti o per una precisa
immagine. L’identificazione del brand con il Paese di origine può quindi
costituire un forte elemento di differenziazione. Il COO è, infatti, una
caratteristica non-fisica del prodotto che agisce come segnale di qualità e
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influisce sulla percezione del rischio, l’intenzione di acquisto e la
valutazione del prodotto e del brand da parte del consumatore.
Gli studi dell’effetto COO sulla Brand Equity sono iniziati nel 1965 e
assumono rilevanza in considerazione del fatto che negli ultimi
trent’anni il commercio internazionale e la globalizzazione dei mercati
sono aumentati in maniera considerevole.
Ciò da un lato ha permesso di rendere disponibile i brand di un Paese ai
consumatori in altri Paesi dall’altro ha esacerbato la competizione tra gli
operatori e la concorrenza all’interno del mercato.
Considerando quindi l’incremento dell’offerta, la presenza di
consumatori sempre piø esigenti e la facilità di imitazione, la
differenziazione diventa una priorità per le imprese.
Un valido strumento per differenziarsi è il branding, cioè il processo
sotteso alla creazione del brand.
Lo scopo del branding è infatti quello di creare differenze e comunicarle
al consumatore consentendogli di discernere le diverse offerte all’interno
di una certa categoria merceologica.
Per individuare le strategie di branding da attuare è indispensabile capire
quali sono le fonti del valore del brand; in un contesto internazionale,
inoltre, anche l’analisi della relazione tra COO e Brand Equity è
funzionale a una gestione efficiente ed efficace del capitale di marca
nonchØ a compiere opportune scelte in merito alle strategie di
internazionalizzazione. Per un’impresa che introduce il proprio brand in
altri Paesi, comprendere come la propria offerta e il Paese di origine
vengono percepiti dai mercati internazionali e prevedere la risposta degli
stessi è una priorità innegabile.
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Metodologia
Il presente lavoro è stato svolto, principalmente, mediante l’ausilio di tre
strumenti: una rassegna letteraria, l’analisi dei dati e dei documenti
pubblicati on line da autorevoli riviste del settore e da società di
consulenza aziendale, la conduzione di un’intervista e la
somministrazione di un questionario all’ International Brand Manager
della Mutti S.p.A.
La rassegna letteraria, basata su testi di economisti, docenti universitari e
articoli pubblicati su riviste scientifiche, è stata funzionale alla stesura
dei primi due capitoli. Ha consentito di verificare lo stato dell’arte, sui
temi della Brand Equity e del COO, e di delineare un framework teorico
di riferimento per l’intero elaborato.
L’analisi dei dati e dei documenti pubblicati on line, da autorevoli riviste
del settore e da società di consulenza aziendale, è stata effettuata per la
redazione della parte introduttiva relativa al caso studio Mutti S.p.A.
Ciò ha permesso di fornire delle informazioni di tipo quantitativo utili a
offrire una panoramica del settore in cui opera l’azienda.
La conduzione dell’intervista e la somministrazione del questionario
all’International Brand Manager della Mutti S.p.A., ha rappresentato un
prezioso contributo per la compilazione della case history. Tramite la sua
testimonianza e i documenti messi a disposizione, è stato possibile
comprendere quali sono le strategie di branding attuate dall’azienda, per
creare, sviluppare e sostenere la Brand Equity e per penetrare i mercati
esteri, nonchØ indagare il ruolo che, nel processo di espansione
internazionale del brand, ha il fatto di essere un’azienda italiana.
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Struttura
L’elaborato si articola in tre capitoli.
Il primo si apre con la presentazione di alcuni dei principali filoni di
pensiero (financial e marketing oriented) che si propongono di definire il
concetto di Brand Equity e contiene l’indicazione dell’approccio seguito
nel presente lavoro (marketing oriented).
Il capitolo prosegue con la rappresentazione di uno schema integrato, che
illustra le principali dimensioni di cui si compone la Brand Equity, ed
esamina in modo analitico ognuna di queste.
La prima parte si chiude con una traccia, ossia con una serie di decisioni
strategiche e tattiche, che le imprese devono seguire per costruire il
capitale di marca, anche a livello internazionale.
Il secondo capitolo, contiene una definizione di effetto COO e presenta
alcuni degli studi e delle ricerche, nell’ambito della letteratura di
marketing internazionale, che spiegano la rilevanza e il peso che
l’informazione sul Paese di origine ha sulle scelte dei consumatori. Il
capitolo procede con la trattazione dei temi inerenti l’immagine del
Paese, che condiziona le modalità e l’intensità con cui il suddetto effetto
si manifesta, l’interazione tra questi e l’immagine del brand e il ruolo
che il COO assume nel classico trade-off che le imprese fronteggiano
nell’affacciarsi sullo scenario internazionale: quello tra
standardizzazione e adattamento dell’offerta.
L’ultimo capitolo è dedicato all’illustrazione del caso relativo
all’internazionalizzazione del brand Mutti; contiene le informazioni
inerenti le fonti del valore della Brand Equity e le principali attività di
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marketing e comunicazione svolte per incrementarla e per fare ingresso
nei diversi Paesi.
La decisione di trattare l’esperienza della Mutti S.p.A è motivata dal
fatto che rappresenta l’esempio piø appropriato per il tema attorno a cui
è sviluppato l’intero lavoro. In primo luogo si tratta di un’azienda che ha
buon gioco nel far leva sul Paese di origine e al contempo sul valore
della marca stessa. La Mutti S.p.A. ha infatti un capitale di marca ormai
da anni consolidato nel mercato di origine e opera in un settore di spicco
per il made in Italy, cioè l’agroalimentare, che fa da traino per
l’economia del Paese e ha ruolo preponderante nel commercio
internazionale. Inoltre, è un’azienda che nel formulare la propria
strategia, si pone come obiettivi da un lato, il superamento delle criticità
del settore, dall’altro quello di inglobare nel proprio modus operandi i
key success factors necessari per competervi.
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Capitolo 1
La Brand Equity: a set of asset
In letteratura non è disponibile una definizione unitamente condivisa di
Brand Equity.
Numerosi sono i modelli proposti per definire il concetto: alcuni basati
su variabili hard della marca altri su variabili prettamente soft della
stessa. I primi contributi offrono una rappresentazione del capitale di
marca in termini reddituali e finanziari, secondo la prospettiva value-
based, i contributi successivi affrontano il tema del valore del brand dal
punto di vista del consumatore, secondo la prospettiva customer-based.
Seguendo l’impostazione finanziaria, la Brand Equity è definita come il
cash flow incrementale che si ha per i prodotti di marca rispetto a quello
derivante dalla vendita di prodotti unbranded
1
. Una definizione
alternativa che adotta la stessa prospettiva considera la Brand Equity
come il valore totale di un brand inteso come asset che può essere
venduto o incluso in bilancio
2
, in altre parole è il prezzo imputabile a un
determinato brand.
In questo caso il valore è inteso in termini monetari e valutato nella
prospettiva dell’impresa.
Seguendo l’impostazione marketing oriented, la Brand Equity è definita
ponendo il consumatore al centro dell’attenzione. Il presupposto è che il
1
Simon, C.J., and Sullivan, M.W. (1993), “The measurement and determinants of
brand equity: a financial approach”, Marketing Science, Vol. 12, No.1, pp.28-53.
2
Feldwick, P. (1996), “What is brand equity anyway, and how do you measure it?”,
Journal of the Market Research Society, Vol. 38, No. 2, pp. 85-104.
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valore del brand risiede nella mente di quest’ultimo, in ciò che ha
appreso o sperimentato nel tempo in merito alla marca stessa. La Brand
Equity è quindi l’effetto differenziale che la conoscenza del brand
esercita sulla risposta del consumatore alle attività di marketing
3
.
Un’altra nozione decisamente customer-based è quella di Brand Equity
come valore che i consumatori associano al brand e che deriva dalla
notorietà, dalla fedeltà, dalla qualità percepita e dalle associazioni al
brand
4
.
In questo caso il valore è inteso come il risultato delle azioni e delle
reazioni del consumatore in riferimento al brand e quindi non è valutato
solo nella prospettiva dell’impresa ma anche in quella dei clienti della
stessa.
Da queste definizione emerge che la Brand Equity non è un semplice
asset finanziario da inserire in bilancio quanto piuttosto un set di asset
che riveste un’importanza strategica per l’impresa.
Si noti che questi due punti di vista sul valore del brand, finanziario e di
marketing, convergono
5
: l’approccio finanziario misura il flusso di
denaro addizionale che è il risultato della propensione del consumatore a
spendere di piø per la marca. Tuttavia il presupposto per la financial
equity risiede nella customer equity: gli analisti finanziari valutano ciò
che il mercato ha precedentemente valorizzato. L’approccio seguito nel
presente lavoro è quest’ultimo.
3
Keller, K.L. (2003), Strategic Brand Management: Building, Measuring, and
Management Brand Equity (Second Edition), Pearson Education, Upper Saddle
River, NJ.
4
Aaker, D.A. (1991), Managing Brand Equity, Free Press, New York, NY.
5
Kapferer, J.N. (1997), Strategic brand management, Kogan Page, Londra.