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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è quello di evidenziare le evidenze cliniche e psicologiche
circa le relazioni esistenti tra l’empatia e i deficit sociali nei disturbi dello spettro
autistico. Avvalendosi delle più attuali teorie e ricerche nell’ambito psicologico e
neuropsicologico, prendendo in considerazione soprattutto quelle di Baron-Cohen
(2011), si vuole creare un filo logico-teorico che possa portare a delle conclusioni
plausibili sulla possibile influenza che il fenomeno dell’empatia riveste nei confronti dei
deficit socio-relazionali negli individui con disturbo dello spettro autistico. Le
speculazioni teoriche, saranno confutate con le più attuali ricerche neuropsicologiche
come la ‘‘Teoria degli Specchi Infranti’’ di Ramachandran e Oberman (2006). Il lavoro
è strutturato in tre capitoli:
Capitolo I: tratterà il disturbo autistico nella sua multidimensionalità, dalla
sintomatologia agli interventi terapeutici, senza tralasciare i più conosciuti
approcci teorici nella psicologia che ipotizzano le cause di tale disturbo;
Capitolo II: fornirà le basi conoscitive circa l’empatia, sfruttando i modelli
psicologici più completi come quello di Hoffman (2001), assieme agli attuali
studi empirici nell’ambito della neuropsicologia;
Capitolo III: metterà in luce le attuali teorie e le più recenti ricerche sperimentali
circa la complementarietà tra l’empatia e i deficit sociali dei disturbi dello
spettro autistico, avvalendosi soprattutto di dati quantitativi ed evidenze
provenienti dai più moderni strumenti di ricerca della neuropsicologia clinica;
In chiusura il lavoro terminerà con una breve conclusione che enfatizzerà i punti salienti
e le deduzioni logiche estraibili dall’intera dissertazione.
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Capitolo 1: I disturbi dello sviluppo: l’autismo
L’autismo è un grave disturbo dello sviluppo che interessa circa 4 bambini su 10.000
(Baron-Cohen, 2011). Tale disturbo è una sindrome clinica causata da alterazione del
Sistema Nervoso Centrale di diversa natura. Le attuali ricerche hanno evidenziato che la
complessità delle informazioni sociali ed emotive nei soggetti con sindrome autistica
porta, operativamente, alla difficoltà di condividere il significato dell’intento
comunicativo e delle interazioni sociali (Cattelan, 2010). È un handicap grave che, pur
accompagnandosi ad un aspetto fisico normale, coinvolge diverse funzioni cerebrali e
perdura tutta la vita. Si presenta come un disturbo dello sviluppo, tanto è vero che dalla
comunità scientifica internazionale viene considerato un disturbo
generalizzato/pervasivo dello sviluppo. Si manifesta, in genere, entro il terzo anno di
vita, quando il bambino comincia a dimostrare deficit in molte abilità:
interazione sociale: difficoltà di riconoscere e comprendere gli stati mentali
propri e degli altri, difficoltà di scambio di ruoli nel gioco e nel lavoro,
nell’imitazione, nella produzione, nella ricezione verbale e nella gestualità,
difficoltà di imitazione, assenza di motivazione sociale;
comportamento: manierismi, inespressività e incapacità di usare lo sguardo,
gestualità e mimica;
comunicazione: gergolalie, ecolalie, stereotipie verbali, inversioni pronominali,
intonazione, ritmo e pausa nell’eloquio;
immaginazione: difficoltà di astrazione, di inventiva e di fantasia;
dare senso al mondo: difficoltà di progettare, di prevedere, di prevenire e di
anticipare.
Le persone autistiche mostrano problemi tipici ed altri non specifici. Tra i primi
generalmente si riscontrano:
alterazione nell’interazione sociale;
nella comunicazione verbale e non verbale;
di immaginazione;
estrema limitatezza o insolita curiosità nelle attività e negli interessi;
sviluppo disarmonico.
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Mentre tra quelli non specifici possiamo citare:
le fobie;
i disturbi del sonno;
i disturbi dell’alimentazione;
l’ abnorme risposta agli stimoli sensoriali.
Non esiste ancora una cura specifica per l’autismo, ma un trattamento appropriato può
favorire uno sviluppo relativamente normale e ridurre i comportamenti problematici.
Per questo la scuola dovrebbe concorrere in modo incisivo all’integrazione e nel dare
precocemente indicazioni comportamentali atte a diminuire le difficoltà, contribuendo
in tal modo alla realizzazione di un’aspettativa di vita autonoma.
È noto che il livello di gravità dell’autismo è molto variabile, ed è proprio questa varietà
a rendere più difficile la comprensione dei comportamenti e la strutturazione di
interventi adeguati. Dagli studi effettuati emerge che i casi più gravi sono caratterizzati
da comportamenti estremamente ripetitivi, insoliti, bizzarri che diventano persistenti nel
tempo e difficili da modificare (Cattelan, 2010). Pongono infatti ai genitori ed agli
educatori una serie di problemi da risolvere per operare, interagire, e realizzare un
programma educativo.
Le forme più lievi assomigliano ai disturbi della personalità associati a disabilità di
apprendimento. I bambini autistici, isolati in un mondo tutto loro, appaiono indifferenti
e distanti, incapaci di stabilire legami con gli altri. Mostrano un’ampia gamma di
sintomi e menomazioni e non sono in grado di capire i pensieri, le emozioni e i bisogni
degli altri. Nella maggior parte dei casi il linguaggio e l’intelligenza non si sviluppano
pienamente, compromettendo la comunicazione e le relazioni sociali.
Gli autistici si impegnano in attività ripetitive, come il dondolarsi o il battere le mani, o
nel seguire rigidamente modelli a loro familiari nella routine quotidiana. Alcuni sono
molto sensibili al suono, al tocco, alla vista o all’odore. In molti casi i problemi
diventano più evidenti nel percorso educativo, quando il bambino inizia ad essere
coinvolto nei giochi e nelle relazioni sociali.
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1.1 Epidemiologia
I primi studi sull’epidemiologia dell’autismo riportano una prevalenza nella
popolazione generale di circa 4 su 10,000, mentre gli studi più recenti, con campioni più
numerosi, indicano una prevalenza molto maggiore. Le stime attuali sono di 30-100 su
10.000 per tutti i disturbi dello spettro autistico, includendone 13-30 su 10.000 per
l’autismo, e circa 3 su 10.000 per la sindrome di Asperger (Baird et al., 2006).La
frequenza di una disabilità intellettiva (o ritardo mentale) associata è di circa il 70%; nel
restante 30% il funzionamento cognitivo è nel range della normalità (Vicari et al.,
2012). Un’importante evidenza clinica che si manifesta nel 20-30% dei casi è
l’associazione del disturbo autistico con l’epilessia la quale presenta un peculiare picco
bimodale d’esordio nella prima infanzia e nell’adolescenza (Bolton et al., 2011).
1.2 Come si manifesta
I bambini autistici sono fisicamente sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma
risultano affetti da gravi anomalie nella comunicazione e, a volte, da ritardo mentale
(Cattelan, 2010). Il profilo delle prestazioni è infatti piuttosto disomogeneo: aree di
grande abilità nella memoria, nel calcolo, nelle competenze spaziali si affiancano ad
aree profondamente compromesse.
Normalmente sono i genitori che percepiscono i primi segnali d’allarme: il loro
bambino ad esempio sembra non sentire quando viene chiamato, evita di guardarli negli
occhi, si ritira in se stesso per lunghi periodi, non sorride e, soprattutto, ha difficoltà
nell’apprendimento del linguaggio. La famiglia comincia il suo iter di ricerche e di
accertamenti contattando uno specialista. I primi segnali apprezzabili nel bambino con
un presunto disturbo autistico possono essere:
incoscienza per i pericoli reali;
attaccamento inappropriati agli oggetti;
opposizione ai cambiamenti;
disordini comportamentali che risultano bizzarri e disturbanti;
attività motorie ripetitive e compulsive (dondolamento);
manierismi;
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irrefrenabili ipercinesie (iperattività fisica accentuata);
perseveranza nei giochi ripetitivi;
mancanza del sorriso e della mimica;
assenza di sguardo diretto;
atteggiamenti bizzarri;
alterazioni della percezione uditiva e visiva (risposte anomale ai suoni, al tatto o
ad altri stimoli sensoriali);
ridotta sensibilità al dolore.
1.3 Le cause
I ricercatori pensano che siano tre, le cause che concorrono alla manifestazione dei
disturbi pervasivi dello sviluppo (Cattelan, 2010):
1. neurofisiologiche;
2. genetiche;
3. ambientali.
1.3.1 Cause neurofisiologiche
L’autismo ha una definizione comportamentale che è diagnosticabile attraverso
comportamenti caratteristici, i quali si configurano come conseguenza di deficit
neurofisiologici. Molte sono le ricerche in cui sono state analizzate le strutture cerebrali
che appaiono anomale nelle persone con autismo (Cattelan, 2010). Il quadro
neurofisiologico che si delinea è estremamente articolato e spiegherebbe perciò la
complessità dei sintomi nell’autismo e le numerose differenze riscontrabili tra persone
autistiche. Vari studi evidenziano anomalie principalmente a carico di:
amigdala;
cervelletto;
corpo calloso;
tronco encefalico;
aree della corteccia cerebrale (lobo frontale, lobo temporale).
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Ulteriori ricerche, inoltre, mostrano alterazioni qualitative e quantitative anche a livello
di neurotrasmettitori come dopamina, serotonina, ossitocina, vasopressina.
1.3.2 Cause genetiche
Numerose ricerche hanno dimostrato l’implicazione genetica nell’autismo. La
componente genetica fornisce una predisposizione allo sviluppo dei sintomi autistici,
cui si possono sommare le differenti condizioni di ambiente perinatale nel quale il
bambino si sviluppa. È stato inoltre confermato che non esiste un unico gene
responsabile dell’autismo (Cattelan, 2010). La complessità sintomatologica che
caratterizza l’autismo è determinata da molteplici geni. Infatti, nelle ‘’Linee Guida
dell’Infanzia per l’Autismo della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza’’ (S.I.N.P.I.A., 2004) si legge: «Il ruolo dell’ambiente ha una duplice
capacità di influenzamento agendo direttamente sul genotipo condizionandone
l’interazione genetica o indirettamente liberano una condizione neurobiologica
latente».
1.3.3 Cause ambientali
I fattori di rischio che durante la fase prenatale possono interferire con il normale
sviluppo cerebrale del bambino potrebbero essere: l’assunzione di farmaci o droghe
durante la gravidanza, malattie quali ad esempio la rosolia e alti livelli di stress. Fattori
così disparati sembrano avere un comune denominatore: influire sul sistema
dopaminergico. Quindi, è possibile che una iperattivazione dopaminergica della madre
possa essere trasmessa al bambino favorendo l’insorgenza di sintomi autistici. Allo stato
attuale della ricerca, comunque, non sono ancora indicate con certezza le cause
ambientali che incidono in modo certo sullo sviluppo di una sindrome complessa come
l’autismo.