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1. IL SÉ SOCIALE
1. Il nucleo sociale dell’esistenza umana
Il concetto di Sé sociale si fonda sull’essenziale nozione di appartenenza
dell’individuo a gruppi umani di ordine diverso all’interno dei quali egli nasce,
cresce e vive. Il concetto di relazione è pertanto primario non solo in quanto
lega (re-lego), ma anche perchè provvede ad un’essenziale strutturazione di
sensi (re-fero) sulle cui basi si erge la personalità stessa del soggetto.
Anche se l’idea di relazione oggettuale era sicuramente contenuta nelle
teorie di Freud, questa fu maggiormente presa in considerazione da Melanie
Klein, mentre i principi fondamentali sono stati illustrati con maggiore
chiarezza da autori come Winnicott, Fairbairn, Balint e Mitchell. La teoria
delle relazioni oggettuali implica essenzialmente che il soggetto umano sia alla
ricerca dell’oggetto per la sua sopravvivenza, il suo sviluppo e la sua
maturazione, e che il suo comportamento sia pertanto finalizzato alla relazione
come entità unica verso la quale nutre una innata tendenza. Il bisogno di
relazione pertanto non si ipotizza come secondario ad altri, non è la
conseguenza del proprio bisogno di soddisfacimento piuttosto risulta primario,
senza di questa – come dimostrato dalle note osservazioni di Spitz (1973)
condotte sui bambini dei brefotrofi – l’essere umano non può vivere.
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Nonostante Foulkes era scettico circa la validità delle relazioni oggettuali,
fu proprio lui a insistere sul nucleo sociale dell’esistenza umana e a mostrarsi
d’accordo con le critiche mosse da Fairbairn stesso ai concetti basilari
psicoanalitici.
La vecchia contrapposizione tra mondo interno e mondo esterno, tra costituzione e
ambiente, individuo e società, fantasia e realtà, corpo e mente e così via non è più sostenibile.
Non possono essere separati in nessuna fase l’uno dall’altro, se non grazie ad un isolamento
artificioso. (Foulkes, 1948, cit. in Brown, Zinkin, 1996: p. 12).
Ma se l’individuo isolato è un’astrazione artificiosa allora si potrebbe
affermare, esso è solo un’illusione e la dimensione che predomina non è più
quella individuale bensì quella gruppale. Infatti, i processi mentali interni
hanno origine nel contesto di una rete multipersonale di interazione, sono
trasmesse all’individuo dalla famiglia e successivamente riesperite e ricreate
nei contesti sociali futuri, possono essere incorporati in tratti caratteriali e
inibizioni di personalità. È errato intenderli come meramente interpersonali,
essi sono qualcosa di più, di transpersonale appunto, una rete sulla quale
poggiano tutte le comunicazioni e interpretazioni, che determina il significato e
l’importanza di eventi e dove l’individuo si trova invischiato. Egli è punto
nodale di questa rete che lo attraversa collegandolo agli altri individui, creando
uno sfondo comune condiviso, quella che Foulkes chiama matrice. In questo
senso possiamo dare con l’autore un nuovo concetto di mente: non è più
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un’entità, «la mente non è una cosa che esiste ma una serie di eventi in
continuo movimento» (ibidem).
È l’originaria condizione di neotenìa dell’essere umano che fa della cultura
la sua seconda natura, cioè l’immaturità fisiologica di cui questo gode fin dalla
nascita lo rende bisognoso di un ambiente culturale che lo accudisca, in cui
dunque la relazione va al di là del semplice significato comunicativo portando
con sé qualcosa di simbolico, biologico, inconscio, significante che affianca il
Noi all’Io e al Tu e li trasforma.
La cultura è già data prima che una persona nasca, viene trasmessa nei
primi mesi di vita attraverso l’allattamento, le canzoni, i giochi. I modelli
culturali vengono incorporati dal bambino fondando uno stato di indistinzione
con gli altri nell’unità che lo legherà al gruppo di appartenenza. Ma il gruppo
familiare contiene anche le persone e la storia delle generazioni precedenti,
individuiamo pertanto due livelli: il livello differenziato-personale che ha alla
base il processo di individuazione che consente al bambino di distinguersi
all’interno del plexus familiare, di poter costruire significati sviluppando a
partire da ciò che è condiviso proprie capacità simbolo-poietiche, alternando
identicità e autenticità in un’incessante rivisitazione dei propri gruppi interni
(voci, desideri, intenzioni dell’originario ambiente familiare); e il livello
indifferenziato-transpersonale, qualcosa di comune a tutti i membri che può
comprendere codici culturali generali, storie, segreti, comportamenti
transgenerazionali e patologie interpersonali che saranno proprie anche delle
generazioni future. Una serie di fenomeni di raccordo tra collettivo e
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individuale che attraversano la parte più intima dell’identità, depositati cioè
nell’inconscio, nel corpo, nella cultura, nell’istituzione; in una parola
l’immaginario collettivo.
Concludendo il Sé è il frutto del rapporto dialettico tra pensiero riflettente
(idem) e pensiero riflessivo (autòs), nella continua lotta per l’individuazione
che procede sia da gruppi primari che secondari, ma che non avviene mai
completamente. Come ci fa notare ancora Foulkes, infatti:
ciascun individuo – una astrazione plausibile ma artificiale – è inevitabilmente determinato
essenzialmente e principalmente dal mondo in cui vive, dalla comunità, dal gruppo di cui egli è
parte (cit. in Brown, Zinkin, 1996: p. 12).
2. Individualità e società: percorsi storici
Questa impossibilità di presupporre un soggetto a sé stante, fuori dalla
collettività, che agisce nel vuoto, viene fortemente ribadita da autori come
Piero Amerio e Vivien Burr. Il soggetto secondo Amerio (2000) si costituisce
nel sociale, «l’immagine di un essere umano isolato che solo dopo il suo
esistere incontra gli altri esseri umani è una pura astrazione» (p. 17). Allo
stesso modo è utile secondo Burr (2004) superare l’ ‘ideologia dell’individuo’
e favorire il passaggio da un individuo presociale alla «persona come un
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insieme di fenomeni sociali», essa risulta infatti «impegnata in vario modo in
un processo dinamico che implica sempre la presenza degli altri» (pp. 9, 154).
Agli albori della moderna psicologia americana W. James, collocato a metà
strada tra riflessione filosofica sull’autocoscienza e ricerca empirica a
proposito dei fenomeni legati al Sé e all’identità, proponeva un essere umano
costituito insieme dalle sue dimensioni spirituali, sociali e materiali (cioè dalla
sua mente, dalle sue relazioni, dal suo corpo e strumenti usati) e capace di
porsi, non solo come il soggetto della sua esperienza, ma anche come oggetto
di tale esperienza e di quella altrui. La realtà dove la persona vive diventa così
psicologico-sociale, fondata cioè sul senso che la persona stessa dà alle
relazioni, al contesto in cui vive e, viceversa, su quello che gli altri, le relazioni
e il contesto attribuiscono ad essa. Appare chiaro come la persona per essere
definita nella sua identità debba trascendere la sua semplice dimensione
individuale, essa è inserita in una matrice sociale (come Amerio definisce la
rete sociale di relazioni) che definisce la totalità dei contatti sociali (primari,
secondari formali e informali) della persona, distinti per tipo e qualità
relazionale. Le stesse scelte non sono veramente libere ma un prodotto sociale,
le storie dei singoli si inquadrano in una cornice più complessa fatta di entità
collettive e categorie di appartenenza soggettivamente rilevanti.
Arrivare a tale idea del soggetto contemporaneo però è costato secoli di
storia. Dal Medioevo, dove l’imperare del pensiero cristiano inscrive la libertà
individuale entro imposizioni divine, all’Umanesimo e al Rinascimento dove
inizia ad imporsi – assieme al senso materiale della vita – l’idea
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dell’autodeterminazione, fino all’Illuminismo del XVIII secolo, dove fu proprio
il lume di grandi scienziati e pensatori come Newton che rese comprensibili
fenomeni inspiegabili, tanto da portare a considerare gli stessi eventi umani
come operanti in modo meccanico (idee che si ripropongono metaforicamente
nell’ambito della psicologia cognitiva, la quale propone di trattare i fenomeni
psichici alla stregua di operazioni di calcolatore).
In questo tempo è Cartesio che dà il via al moderno concetto di individuo,
l’agire umano sposta il suo senso sulla forza del pensiero, non conta l’azione,
non conta l’esperienza ma il cogito: cogito ergo sum (penso dunque sono), che
non è tanto coscienza del mondo esterno ma di sé. È così che si vengono a
creare le basi per la frattura tra mondo interno e mondo esterno, soggettivo e
oggettivo, mente e corpo; sono dicotomie che si ritroveranno reincarnate nella
nostra questione identitaria continuamente in balia dei due estremi individuale-
collettivo, personale-sociale.
È questa relazione dell’individuo con se stesso che permetterà a Locke di
parlare di identità e a Kant di assurgere all’importanza della ragione come
sublime strumento di conoscenza. È solo con Marx, Nietzsche e Freud però,
che la conoscenza diviene parte integrante dell’attività dell’uomo, il frutto della
realtà vissuta con i suoi conflitti che sono insiti nel mondo interno
dell’individuo stesso e non in una realtà a sé. Assistiamo così all’inserimento
della vita psichica nel corpo il cui prodotto storico è l’individualismo: al centro
vi sta la persona che esiste indipendentemente dal contesto sociale.