4
Introduzione
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare in che modo e grazie a quali norme
avviene la partecipazione delle Regioni italiane alla multilevel governance europea.
Esso è anche frutto di un trimestre di ricerca svolto presso l’Ufficio della Regione
Puglia per i rapporti con le Istituzioni dell’Unione Europea. Questa esperienza ha
permesso un’analisi diretta e quotidiana delle modalità attraverso le quali avvengono
i rapporti tra le nostre Regioni e le Istituzioni europee e il grado di interrelazione
esistente tra i diversi Uffici regionali.
La partecipazione dell’Italia all’Unione Europea ha fatto si che il nostro Paese si
inserisse in un circuito decisionale innovativo. Accanto alla creazione di un nuovo
livello di governo (quello europeo) si è assistito ad una progressiva crescita di
importanza delle Regioni nel decision making europeo, garantita sia dalle
innovazioni a livello istituzionale italiano (su tutte la Riforma del Titolo V della
Costituzione e le successive leggi di attuazione) sia dalla presa di coscienza delle
Istituzioni europee che, in maniera graduale ma sempre più profonda, hanno
riconosciuto il valore aggiunto derivante dall’integrazione delle autorità regionali nel
processo decisionale.
A tal fine, prima di analizzare l’effettiva conformazione della governance europea, si
procederà (nel Capitolo I) ad una breve analisi politologica sulle differenze tra la
classica forma di governo gerarchica, il government, e la multilevel governance, nata
in questi ultimi decenni e che ha nell’Unione Europea la sua migliore
concretizzazione, prevedendo una compartecipazione verticale e orizzontale al
processo decisionale. Si studieranno le novità apportate dalla nascita di quest’ultima,
vale a dire un nuovo ruolo per gli Stati, che vedono perdere parte della loro sovranità
a favore di quest’organizzazione sovranazionale, e l’ingresso di nuovi attori
(substatali e privati) nel policy making europeo.
Il Capitolo II verte, appunto, sulla multilevel governance europea caratterizzata,
come si è accennato, da una cooperazione per la formazione delle politiche europee
5
al contempo verticale (tra Istituzioni UE, Stati e autorità substatali) e orizzontale (tra
funzionari pubblici europei, statali, substatali e cluster di esperti non istituzionali che
possono collaborare attivamente nell’implementazione delle policy europee).
Si analizzeranno inoltre anche i Libri Bianchi sulla Governance di Commissione
Europea e Comitato delle Regioni che ci forniscono una visione ufficiale di come gli
organi europei vedono la multilevel governance futura.
Grazie al Trattato di Lisbona poi, la multilevel governance ha conseguito dei grandi
risultati. Il Trattato si è profondamente impegnato nel rafforzare il principio di
sussidiarietà, quale principio cardine che da un lato deve guidare la normazione
europea e dall’altro autorizza gli Stati membri a far partire un processo che potrà
portare alla modifica di alcune norme europee giudicate contrarie a tale principio.
Nel Capitolo (III) successivo l’analisi si sposta nel piano prettamente nazionale. Si
ripercorrerà infatti il graduale e frastagliato percorso che ha garantito alle Regioni
italiane la partecipazione alla realtà istituzionale e politica europea. Inizialmente,
infatti, lo Stato ha fatto il possibile per mantenere nelle proprie mani il monopolio
del potere estero, adducendo come motivazione la responsabilità ultima statale per
ogni decisione assunta o accordo stipulato all’infuori del proprio territorio. Tuttavia,
complice anche il percorso ‘profetico’ portato avanti dalla Corte Costituzionale, col
passare degli anni lo Stato si accorge che non era più possibile continuare a
respingere le aspirazioni internazionalistiche delle Regioni. Bisogna al contempo
specificare che le sempre maggiori competenze dell’allora Comunità Economica
Europea andavano ad appropriarsi di sfere di potere un tempo gestite dalle Regioni.
Lo Stato, con la legge n. 86 del 1989 (c.d. Legge La Pergola) inizia a permettere
un’attuazione congiunta dei provvedimenti comunitari; le Regioni infatti nelle
materie di loro competenza sono ora autorizzate a dare immediata attuazione alle
direttive comunitarie, mentre nelle materie concorrenti si devono limitare a seguire
una legge statale contenente principi guida.
Per ciò che concerne invece la fase ascendente, il punto di svolta avviene però con la
riforma del Titolo V della Costituzione. Per la prima volta, grazie al novellato
art.117, comma 3, la competenza estera è costituzionalmente garantita anche alle
Regioni. In realtà la riforma del 2001 può essere letta come una sorta di
6
riconoscimento costituzionale dei già esistenti rapporti delle Regioni con l’UE, una
costituzionalizzazione della situazione già esistente venutasi a creare con
l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dei decenni precedenti.
1
Tuttavia il nuovo Titolo V continua ad essere molto indefinito per ciò che concerne i
rapporti comunitari. La legge La Pergola si era limitata ad istituire la sessione
comunitaria che aveva luogo in sede di Conferenza Stato-Regioni e che aveva lo
scopo di formare la posizione italiana in sede di contrattazione europea. Nonostante
ciò, la nebbia intorno a tale tema viene del tutto dissipata soltanto grazie all’entrata
in vigore della legge 131/2003, la c.d. Legge La Loggia, di attuazione del nuovo
disposto costituzionale. Essa ribadisce la nuova ripartizione dei poteri tra Stato e
Regioni, specificandone al contempo i limiti che gli enti substatali devono rispettare
nell’esercizio di queste nuove funzioni. L’art. 5 della legge in questione finalmente
garantisce alle Regioni italiane una parificazione di poteri con le altre Regioni
europee dotate di poteri legislativi. Esse possono ora avere un proprio rappresentante
nelle riunioni del Consiglio dei Ministri europeo. Si apre in sostanza la strada
all’effettiva partecipazione delle Regioni.
Le falle esistenti nella legge La Pergola vengono sanate dalla l. 11/2005, la c.d.
Legge Buttiglione. Essa al contempo corregge l’esistente meccanismo di attuazione
in fase discendente e migliora la partecipazione dello Stato e degli enti locali al
decision making europeo. Rafforza inoltre il ruolo della Conferenza Stato-Regioni,
con lo scopo di farla diventare la sede privilegiata per il dibattito e la sintesi di
vedute tra gli attori che compongono lo Stato e prevede l’istituzione del CIACE
(Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei), assegnandogli
l’importantissimo compito di creare un accordo comune tra i vari livelli di governo
che diventerà poi la posizione ufficiale che l’Italia assumerà in sede europea nella
fase di elaborazione delle politiche comunitarie.
Il Capitolo IV analizza gli strumenti posseduti attualmente dalle Regioni che gli
permettono di prender parte al policy making europeo sia in fase ascendente che in
quella discendente.
1
Cfr Tania Groppi, “Regioni, Unione Europea, obblighi internazionali”, in La Repubblica delle
Autonomie, Torino, Giappichelli, 2001, pag. 134
7
Nella fase ascendente si distingueranno gli strumenti messi a disposizione dalle
Istituzioni europee (il Comitato delle Regioni e il Consiglio dell’Unione Europea) da
quelli esistenti a livello di ordinamento statale (la possibilità di aprire degli Uffici
regionali a Bruxelles con la conseguente possibilità di partecipare a network
interregionali, la presenza di rappresentanti delle Regioni all’interno della
Rappresentanza Permanente italiana presso l’UE e la sessione europea della
Conferenza Stato-Regioni, implementata quest’ultima nella frequenza di
convocazione e nei poteri in mano alle Regioni).
Per quanto riguarda la fase discendente, a seguito della riforma del Titolo V e della
nuova ripartizione dei poteri, le Regioni iniziano a godere della competenza
esclusiva residuale (all’infuori cioè delle materie direttamente assegnate allo Stato)
che permette la diretta attuazione delle normative europee. Lo stesso discorso vale
anche per l’attuazione degli obblighi europei attraverso l’attività regolamentare. Uno
dei maggiori problemi riscontrati nell’attuazione regionale degli obblighi europei
(ma, più in generale, nella partecipazione delle Regioni al policy making europeo) è
la mancanza di coordinamento, sia all’interno degli stessi organi politici (Giunte e
Consigli regionali) che tra il settore politico e quello amministrativo. A tal fine si
riporta la best practice rappresentata dalla Regione Emilia-Romagna che ha
implementato un efficace sistema di coordinamento tra i vari settori della sua
amministrazione, politica ed amministrativa, sfruttando perfettamente tutti gli
strumenti che la Costituzione ha messo a disposizione delle Regioni.
Il quinto e ultimo capitolo verte su un’analisi approfondita della storia, struttura e
funzionamento degli Uffici di Collegamento che le Regioni italiane hanno istituito a
Bruxelles.
L’Italia è stata una degli ultimi Paesi europei a concedere alle sue Regioni di aprire
propri uffici di rappresentanza. Il nostro Paese ha difatti compreso molto tardi le
potenzialità che tali uffici possedevano nell’influenzare il decisore pubblico europeo,
provvedendo ad una migliore tutela degli interessi del proprio territorio. Con l’arrivo
a Bruxelles ci guadagnavano sia le Regioni più ricche (che avevano la possibilità di
intessere delle reti per influenzare le politiche europee già dalla fase di
progettazione) che quelle mediamente più povere (che avevano tutto l’interesse a non
8
vedere diminuita la loro percentuale di fondi europei). A ciò si aggiunga anche che,
godendo di questo palcoscenico internazionale, spesso i governi regionali sfruttavano
tale possibilità per attuare delle politiche totalmente opposte a quelle del Governo
nazionale, puntando dunque sulla distinctiveness rispetto agli avversari.
Il capitolo analizzerà inoltre come gli Uffici di rappresentanza interagiscono tra di
loro creando dei network che raggruppano Regioni con interessi simili, affinché la
loro voce sia più forte nei confronti delle Istituzioni europee. Tra le altre cose,
network fungono anche come piattaforma per far conoscere le best practice esistenti
nel proprio territorio e per accreditare i funzionari regionali presso soprattutto la
Commissione e il Parlamento, sempre alla ricerca di esperti che possano fornire una
consulenza tecnica e qualificata.
La parte finale del presente lavoro concentrerà l’attenzione sull’esperienza pugliese:
le reti a cui partecipa la Regione Puglia e come questa abbia saputo sfruttare i canali
a disposizione per difendere i propri interessi e per fornire un’altra immagine di sé
diversa dai classici stereotipi che in passato hanno caratterizzato il Mezzogiorno
d’Italia. Si analizzerà in tal senso un caso specifico di lobbying istituzionale portato
avanti dalla Regione Puglia presso il Comitato delle Regioni. Nella seduta plenaria
del 30 giugno 2011 il Comitato delle Regioni ha infatti votato un parere (intitolato “Il
ruolo degli enti regionali e locali nella promozione di una gestione sostenibile
dell’acqua”) che aveva come relatore il Presidente della Regione Puglia Nichi
Vendola. Come si può immaginare la questione idrica interessa particolarmente una
Regione arida come la Puglia. Quest’ultima, grazie all’esperienza accumulata in
passato e all’attenzione riservata dalla Giunta regionale al tema, è riuscita a
presentarsi e farsi accreditare in qualità di esperta. I risultati sono stati numerosi e
non di poco conto. Si va dalla presenza all’interno della “Communication from the
Commission: Roadmap to a Resource Efficient Europe (COMM(2011) 571)” e del
Blueprint to safeguard EU waters di alcuni principi enunciati nel parere, fino alla
presenza di personale pugliese all’interno delle task force politiche e tecniche create
in seno alla European Innovation Partnership on Water.
Concludendo, è stato dimostrato quanto l’attivismo di una Regione in Europa, oltre
al semplice miglioramento della propria immagine, può avere delle riflessi positivi in
numerosi ambiti: nel garantire una presenza diretta all’interno dei gruppi tecnici
9
europei, nell’incrementare l’esperienza della propria classe dirigente, nel prevedere
la creazione di spin off progettuali nel proprio territorio che a loro volta andranno ad
aumentare ulteriormente l’esperienza e la credibilità accumulata dalla Regione.