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INTRODUZIONE
Il trapianto di organi è una terapia estremamente complessa e
articolata. Per realizzare un solo trapianto ad un singolo paziente sono
necessarie una serie di condizioni particolari: la presenza di
attrezzature e strutture adeguate, il coinvolgimento di figure
professionali altamente specializzate, l’utilizzo di farmaci costosi, il
lavoro di un gran numero di operatori sanitari durante le varie fasi di
valutazione per l’immissione del paziente in lista d’attesa, durante la
degenza e nei successivi follow up. Il tutto deve essere fatto secondo
una tempistica generalmente molto ristretta e necessariamente sempre
ben scandita ed organizzata. Il trapianto di organi è una terapia che
mobilita tante energie sia economiche che umane. La disponibilità di
certi organi è possibile infatti solo grazie ad un lutto, una perdita. In
un momento tanto difficile, come quello della morte di una persona
cara, i familiari che già stanno soffrendo molto devono prendere una
decisione complessa: dare il consenso per la donazione degli organi.
D’altronde chi riceve l’organo ha dovuto fare i conti con la sofferenza
fisica e psicologica di una malattia invalidante e spesso porta ancora
addosso le ferite di un passato recente o remoto, nel quale ha assistito
progressivamente al proprio decadimento fisico e ha dovuto
confrontarsi con la paura di morire.
Il trapianto in questo senso può rappresentare il punto di svolta,
una nuova opportunità di vita.
Ma non è una strada semplice da percorrere.
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Comporta un intervento chirurgico complesso, una degenza post-
operatoria, l’assunzione scrupolosa di farmaci antirigetto per tutta la
durata della vita, la possibilità di pesanti effetti collaterali,
l’eventualità sempre in agguato del rigetto dell’organo. Tuttavia, a
fronte delle varie difficoltà, il trapianto di organi è ad oggi una
possibilità terapeutica straordinaria in grado di restituire la vita a chi è
andata ad un passo dal perderla.
Negli ultimi anni si è riscontrato un ulteriore traguardo positivo.
Dagli studi di meta-analisi su pubblicazioni relative a pazienti
sottoposti a trapianto d’organo (Bravata, Olkin, Barnato, Keeffe &
Owens, 1999; Dew et al., 1997; Jowsey & Schneekloth, 2008) e da
ricerche focalizzate sugli effetti a breve e lungo termine, (Bucuvals &
Alonso, 2008; Karam et al., 2003; Vermeulen et al., 2004) emerge un
miglioramento della qualità di vita globale tra pre e post-trapianto e
una migliore qualità della vita nei pazienti trapiantati rispetto ad altri
individui che versano in condizioni di malattia (Bucuvalas & Alonso,
2008; Karam et al., 2003; Luk, 2004; Vermeulen et al., 2004).
Attualmente in Italia i pazienti in lista di attesa per un trapianto
sono 8.963, a fronte di 2.746 trapianti effettuati nei primi mesi del
2010 (https://trapianti.sanita.it/statistiche/home.asp).
Alla luce degli aspetti sopra menzionati, il numero di pazienti
che viene candidato al trapianto continua ad aumentare e ciò rende
assolutamente necessario da un lato, attuare interventi specifici di
sensibilizzazione per incentivare la donazione e, dall’altro, prestare
particolare attenzione alla selezione dei pazienti e al loro sostegno al
fine di aumentare al massimo grado le probabilità di sopravvivenza e
di riabilitazione dei pazienti trapiantati.
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Le aree di intervento psicologico che riguardano il processo di
donazione e trapianto sono essenzialmente due:
1. la valutazione, con riferimento sia al paziente candidato al
trapianto che al potenziale donatore in caso di donazione da
vivente;
2. l’assistenza psicologica rivolta a categorie molto diverse: il
paziente candidato al trapianto, il paziente trapiantato, la
famiglia del paziente candidato al trapianto/trapiantato, il
donatore da vivente e la famiglia del potenziale donatore di
organi/tessuti.
Tuttavia, come specifica Chiesa (1989), nonostante il
superamento positivo della fase sperimentale, i trapianti rimangono
ancora connotati dalla caratteristica di life extending, piuttosto che di
life saving, tipici invece delle modalità terapeutiche considerate
risolutive. La letteratura scientifica degli ultimi anni e, l’esperienza
clinica di molti professionisti in questo settore, hanno evidenziato che
problematiche psichiche e sociali ed eventuali altri aspetti non
considerati possono compromettere pesantemente la qualità di vita,
l’aderenza alle terapie e perfino l’esito del trapianto stesso che può
sfociare in disagio e sofferenza psicologica per il paziente trapiantato
e per i suoi familiari (Jowsey & Schneekloth, 2008; Olbrisch,
Benedict, Ashe & Levenson, 2002 ).
La consapevolezza che un’adeguata presa in carico delle
implicazioni psicologiche, affettive e relazionali durante l’intero
percorso consente di prevenire l’insorgenza di sofferenza emotiva, ci
mette di fronte a iter assistenziali sempre più articolati e personalizzati
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con indubbie ricadute dal punto di vista dei protocolli di cura
(Padovan & Feltrin, 2007).
Il presente lavoro si focalizza su uno specifico campione della
popolazione riguardante la fascia di età pediatrica ed esamina, facendo
riferimento alla letteratura esistente, la complessa costellazione che
attornia l’esperienza del paziente trapiantato, con particolare
riferimento al vissuto corporeo che incide significativamente nel buon
esito dell’intervento. L’organo trapiantato non è psicologicamente
inerte e il trapianto fisico porta con sé sempre un coinvolgimento della
sfera emotiva: ―un trapianto emozionale‖ (Castelnuovo-Tedesco,
1981).
Attraverso il trapianto, infatti, un organo compromesso nelle
sue funzioni viene sostituito con un altro e tale operazione di
―innesto‖ di una porzione di una persona in un’altra ha delle profonde
ripercussione nell’individuo che riceve l’organo, sia sul piano
biologico - e in particolare immunologico - sia, come vedremo più
approfonditamente, sul piano psicologico. La complessità aumenta
quando l’organo non è visto solo come una protesi o un pezzo di
ricambio, ma anche come uno dei luoghi della storia del donatore;
storia che implica pertanto una sua integrazione nella rappresentazione
del corpo di chi lo riceve, assieme a una riorganizzazione dell’identità
personale (Gill & Lowes, 2008; Meissner, 1998).
Il vissuto del paziente trapiantato diviene un frammento
dell’identità, non solo biologica dell’altro, ma portatrice di
caratteristiche sue proprie, che si sostituirà e si aggiungerà alla propria
identità (Grubb, 1998; Wainwright, 1995).
Ne può così conseguire l’esperienza dell’intruso, vale a dire la
sensazione di non essere più se stessi, di sentire dentro sé qualcosa di
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non proprio, di alieno, oppure l’esperienza paradossale di essere
influenzati dal nuovo organo (Nancy, 2000). ―Una volta giunto, se
resta straniero e per tutto il tempo che lo resta, invece di
“naturalizzarsi” semplicemente, la sua venuta non cessa. Continua a
venire e la sua venuta resta in qualche modo un intrusione. Rimane
cioè senza diritto, senza familiarità e senza consuetudine: un fastidio
e un disordine nell’intimità (Nancy, 2000, p. 11).
Il capitolo primo offre una panoramica generale, descrivendo le
principali tipologie di trapianti effettuati in età pediatrica e delineando
due modelli clinici che permettono di dare una lettura esaustiva,
sottolineando quelle che sono le criticità sottese all’intero processo.
Il primo modello è quello della caring niche di Axia (2004) nato
nell’ambito dell’oncologia medica, che cerca di descrivere le possibili
fonti di variabilità presenti nell’esperienza psicologica del bambino e
del paziente adolescente ospedalizzato.
L’altro, quello di Rupolo e De Bertolini (1999), rappresenta il
risultato di un tentativo ben riuscito di cogliere l’estrema complessità
dell’intero iter assistenziale e terapeutico specifico del trapianto
d’organo che racchiude nel suo interno tutte le variabili capaci di
influenzare l’intervento. Nel corso del lavoro ci concentreremo solo
su alcuni punti. L’esperienza della malattia che precede il trapianto, la
centralità del corpo nel processo di costruzione dell’identità, il valore
simbolico legato agli organi ed il lungo processo di adattamento
psicologico associato al trapianto sono le tematiche trattate nel
capitolo secondo.
Per un bambino o adolescente contrarre una malattia
rappresenta un’interruzione del suo ciclo vitale in evoluzione.
Ammalarsi determina la perdita della propria continuità esistenziale,
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la possibilità di condivisione. L’immagine deturpata dalla mancanza
di una crescita armonica e le cicatrici divengono elementi carichi di
una forte stigmatizzazione, visibili a se stessi e agli altri.
Tutti questi elementi riducono la possibilità per il giovane di
accettarsi nella sua fisicità nascente, di relazionarsi con gli altri per
mettersi alla prova e conoscersi; il potersi pensare in un futuro reale
diviene difficile e penoso. Il corpo occupa una posizione centrale nella
costruzione dell’identità, il Sé ricostruito deve includere parti corporee
una volta appartenute ad altri, connotate da forti valenze simboliche
che influenzeranno il processo di adattamento psicologico.
L’integrazione nella propria immagine del nuovo organo è un
processo che richiede tempo e che può essere accompagnato da
difficoltà o sofferenza psicologica; la sua importanza deriva dal fatto
che è possibile ipotizzare una connessione tra il rigetto psicologico e
quello immunologico (che può portare alla morte).
Il terzo ed ultimo capitolo tratta della medicina narrativa come
un intervento volto sia al singolo sia ai legami, considerando la stretta
dipendenza dei pazienti dalle figure genitoriali e curanti. La
narrazione consente all’Io di fare una costruzione dei pezzi di sé, di
ricucire insieme, con ago e filo, eventi, persone, cose, emozioni
vissute, di ricostruire la continuità tra corpo e mente. L’uso di questo
tipo di pensiero retrospettivo nel paziente produce l’esperienza,
collegandosi automaticamente a un’ipotesi di futuro, seppur incerto.
Con la narrazione si può proporre e produrre senso per il futuro.
La narrazione può contribuire inoltre ad acquisire informazioni anche
scientifiche in un contesto dove l’assunzione di farmaci deve essere
scrupolosa, gli effetti collaterali della terapia molto pesanti. Perciò
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diviene ancora più importante l’incontro tra il professionista e il
paziente; l’individuo deve sentirsi al centro della cura.
L’ultimo paragrafo del capitolo rivolge uno sguardo al futuro, è
la testimonianza del fatto che l’esperienza del trapianto incide
pesantemente sulla vita delle persone per lunghissimo tempo, a tal
punti da sentirsi estranei anche quando si è già adulti.
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CAPITOLO 1
IL TRAPIANTO DI ORGANI IN PAZIENTI
PEDIATRICI: UNA VISIONE D’INSIEME
Non c’è nulla di più ignobilmente
inutile e superfluo dell’organo
chiamato cuore, il mezzo più
sporco che gli esseri umani
abbiano potuto inventare per
pompare in me la vita.
A. Artuad, 1994.
1.1 PRINCIPALI TIPOLOGIE DI TRAPIANTO IN ETÀ
PEDIATRICA
Principali tipologie di trapianto in età pediatrica:
Trapianto renale
Rappresenta la terapia di prima scelta per il bambino con insufficienza
renale terminale (Magee, Krishnan, Benfield, Hsu, & Shneider, 2008).
È stato il primo trapianto di organo solido ad avere successo e
continua ancora oggi ad avere una migliore sopravvivenza nel lungo
termine. Il trapianto di reni ha numerosi vantaggi: il primo fra questi è
che si presenta come una valida alternativa alla dialisi.
Un’altra caratteristica riguarda il fatto che i reni sono organi
accoppiati e gli essere umani possono funzionare generalmente con un
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rene solo. Questo ha permesso un’incentivazione del trapianto di rene
da vivente; utilizzando i parenti come donatori si ha una migliore
corrispondenza immunologica quindi una diminuzione del rischio di
rigetto. L’organo donato inoltre diviene disponibile al momento del
bisogno e non solo quando è reperibile. I reni, rispetto ad altri organi
hanno una minore attività immunitaria, anche se la tipizzazione
tissutale (HLA) è comunque di fondamentale importanza (Stuber,
2010).
Trapianto di fegato
È tuttora il solo trattamento efficace per le malattie epatiche in fase
terminale (Guariso, Milanesi, Zacchiello & Zancan, 2001).
Più di recente è stato impiegato con successo per il trattamento
del tumore al fegato in fase iniziale (Spada, Riva, Maggiore, Cintorino
& Gridelli, 2009).
La maggior parte dei trapianti di fegato nei bambini sono fatti
su un’età inferiore ai cinque anni, inoltre un bambino non può ospitare
un fegato adulto per ovvi motivi di allocazione. Il fegato è tuttavia un
organo con lobi individuali e il donatore può sopravvivere anche in
assenza della completa funzione dell’organo.
Porzioni di fegato (lobi) possono essere impiantate con successo
nel paziente e questo dà la possibilità di ricevere l’organo a molti
bambini che avrebbero dovuto attenderlo da un donatore deceduto
(Stuber, 2010). L’introduzione in alcuni centri, del trapianto da
donatore vivente, ha portato ad una significativa diminuzione della
mortalità pre-trapianto pari al 15% nel trapianto da cadavere, contro il
2% nel trapianto da vivente. Tuttavia l’incidenza delle complicanze
biliari è più alta nel gruppo con trapianto da vivente e non risulta