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|IN PARTENZA
Qualche anno fa, non saprei dire quanti con precisione, m’imbattei casualmente in un
reportage che raccontava la vita a bordo sulle navi mercantili. Credo fosse febbraio e leggevo,
come mio solito l’Internazionale, nota rivista settimanale italiana. Provai un immediato
spaesamento innescato da un repentino cambio di prospettiva. L’appartenenza esclusiva
dell’uomo alla terra mi apparve subito meno chiara: se da un lato la terra rappresenta tutto ciò
che è familiare per l’uomo determinandone l’orizzonte entro cui elaborare la propria
esperienza dello spazio e del movimento, dall’altro il mare, nell’immaginario occidentale, ha
per lungo tempo incarnato il desiderio di libertà, il corrispettivo sentimento dell’infinità
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, la
condizione della solitudine, un gravame che si subisce, una minaccia da esorcizzare. La
letteratura, a tal riguardo, offre numerosi spunti e generosi esempi. Ulisse, spinto lontano dalla
sua isola dal vendicativo Poseidone, percorre il Mediterraneo nel vano intento di interrompere
la maledizione, di sfuggire alla divinità o di conciliarsi con essa più che per raggiungere nuova
virtù e conoscenza. Ma la meta di Ulisse sarà sempre il porto, riposo di navi e di uomini,
mentre la sua angoscia sarà l’errare maledetto. Le coordinate della rappresentazione del mare
sono completamente diverse nell’invenzione letteraria di scrittori marinai come Herman
Melville il quale ci restituisce un’allegoria della battaglia cosmica tra Uomo e Natura. Achab è
in balia di un Oceano che elegge come sua stabile dimora. Scomparsa in lui la nostalgia per gli
affetti, che pure pervade altri marinai, egli è pronto a rischiare la vita in nome di un’idea. La
nave, dunque, rimane l’unica casa capace di accogliere, senza condizioni, colui che è stato
respinto dalla terra. Il polacco Joseph Conrad si imbarcò per la prima volta a diciassette anni e
arrivò al grado di comandante della marina mercantile inglese prima di dedicarsi
completamente alla scrittura. Il suo è il mare dell’avventura romantica. In Jules Verne il mare
diventa luogo privilegiato di esilio volontario, della fuga dal mondo, della ricerca della
solitudine per uomini volitivi e outsider, che intraprendono ardite e personali imprese in
nome della scienza e della conoscenza.
Ora, per aspetti altri, la realtà di chi va per mare appare ancora connotabile con questi
caratteri. Oggi il mare è soprattutto spazio commerciale, distanza da coprire velocemente per il
trasporto delle merci, spazio suddiviso a raggiera per la razionalizzazione delle percorrenze.
Oppure ambiente ideale per croceristi alla ricerca spasmodica di destinazioni ed esperienze
insolite. Infine, quell’altrove in cui migranti e profughi in fuga da guerre e violenze ripongono
speranza. Le vicende legate alla vita di mare salgono raramente alla ribalta dell’opinione
pubblica con sporadiche eccezioni riferite a drammi umani, naufragi o incidenti che diventano
veri e propri casi mediatici. Probabilmente non c’è altro settore così “globale” come quello
dello shipping - in questa sede inteso quale servizio di trasporto merci via mare -; in un mondo
che si dice globalizzato, la vita dei marinai volge una piega immediatamente internazionale.
Dalla lettura del reportage sopra citato scaturirono in me numerose riflessioni. Pensai subito
alla portata dell’intero commercio marittimo mondiale, al continuo complesso movimento di
materie prime, semilavorati, prodotti finiti lungo tutte le rotte dei cinque continenti, da un
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F. Saffioti, Geofilosofia del mare. Tra Oceano e Mediterraneo, cit., pag. 27.
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porto all’altro, da una nave all’altra; pensai ai marinai imbarcati sulle navi da carico, ossia sulle
navi destinate a muovere beni di varia natura
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; pensai a come queste navi, trasportando
contemporaneamente corpi e merci, entrambi sottoposti sempre più ad una legislazione di
tipo commerciale, potessero essere emblema di una geografia della contemporaneità post-
globale nella quale è possibile leggere gli esiti di un epoca “a scala planetaria” e dove è ben
visibile la generalizzazione degli uomini come merce. Gli uni come le altre viaggiano
preferibilmente confusi, le merci sommariamente distinte per tipo d’imballaggi, gli uomini per
gerarchie etniche e linguistiche, le merci povere con marinai precari e malpagati, quelle ricche
con le migliori professionalità.
A marzo 2012 cominciai a buttar giù qualche linea guida provvisoria di quello che sarebbe poi
diventato il mio progetto di ricerca.
Avviai un proficuo confronto con il prof. Matteo Aria, docente a contratto della cattedra di
Antropologia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di
Torino. La sua approfondita conoscenza del mare nonché, i suoi ambiti di ricerca
antropologici legati alla cultura del mare e all’economia, hanno favorito un dialogo dai risvolti
particolarmente interessanti.
Ero decisa a vivere in prima persona l’esperienza della vita in mare. Sguarnita di ogni nozione
e cognizione pregresse degne di nota, decisi di intraprendere contemporaneamente due strade.
La prima, mi vedeva impegnata ad affrontare ricerche sul web: mi feci guidare dalla smania di
inviare email, a compagnie di navigazione nazionali ed internazionali per proporre loro la mia
candidatura come ricercatrice a bordo di navi mercantili a fronte di una lettera di
presentazione che indicava, in modo piuttosto laconico, i miei obiettivi di ricerca, spendibili
per la compagnia soprattutto in termini di analisi delle condizioni lavorative dell’equipaggio.
Se il mio obiettivo era quello di imbarcarmi, tale risolutezza doveva inevitabilmente
confrontarsi con l’assenza di precisi prerequisiti, ovvero specifiche titolarità scolastiche
nautiche piuttosto che precedenti esperienza nel settore, condizioni in assenza delle quali
l’impresa si rivelava fuori portata. Le contingenze mi portarono a valutare due possibilità: o
contare sulla complicità della compagnia con la più grande ambizione che quest’ultima non
solo sposasse la mia causa dandomi l’autorizzazione all’imbarco, ma che fosse anche generosa
esentandomi dalle spese del viaggio, oppure predispormi alla traversata come semplice
passeggera assumendo i costi, piuttosto proibitivi, dell’itinerario a mio carico. Parallelamente,
infatti, mi adoperai nella ricerca di compagnie di navigazione che prevedessero la presenza di
passeggeri a bordo e iniziai a richiedere i primi preventivi. Si tratta di cargo misti, cioè navi
concepite per accogliere merci e passeggeri (il cui numero, generalmente, non supera la
dozzina, limite al di sopra del quale la presenza di un medico a bordo è tassativa). I prezzi per
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Principali tipi di navi commerciali: Bulk carrier (navi porta rinfuse sia solide che liquide generalmente impiegate per il trasporto di
grano, carbone e altri minerali). Gasiere/metaniere/chimichiere (navi da carico specializzate nel trasporto di gas naturale liquido o di
prodotti chimici). General cargo (navi che trasportano merci imballate in modo tradizionale, quali ad esempio legname e prodotti agricoli.
Non si tratta però di merci alla rinfusa come il carbone o i farinacei). Navi frigorifero (navi che trasportano merci congelate). Petroliere
(navi cisterna adibite al trasporto di carichi liquidi, solitamente idrocarburi o olio vegetale). Portacontainer (navi il cui intero carico è
costituito da container. Sono conosciute anche come box boats). Ro-ro (roll-on/ roll-off) (navi in cui possono salire e scendere rotabili ad
esempio autoarticolati) guidati direttamente dal conducente. Le navi ro-ro svolgono spesso la medesima tratta con cadenze regolari,
settimanali o mensili).
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i passeggeri variano a seconda della durata del viaggio, della destinazione e del livello di
comfort scelto.
La seconda strada si calava nella dimensione delle reti di conoscenze dirette: si trattava di
portuali, agenti marittimi o raccomandatari con cui sono riuscita ad entrare in contatto grazie
ai canali suggeritimi sia dal prof. Aria che dal prof. Devi Sacchetto il quale, nella fattispecie, ha
iniziato ad occuparsi dei lavoratori marittimi nel 2000 con ricerche che hanno coniugato
diversi approcci metodologici analizzando, altresì, varie realtà del mondo marittimo. Anche in
questo caso le possibilità valutate si riferivano all’eventualità di un imbarco o come passeggera
o come ricercatrice.
I mesi trascorsero abbastanza velocemente. Affrontai vere e proprie ricognizioni bibliografiche
finalizzate al reperimento di lavori di ricerca affini quantomeno in termini di esperienza. Gli
incontri telefonici con raccomandatari, portuali e presidenti di associazioni marittime
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che
operano su Genova, Livorno e Venezia cominciarono ad intensificarsi: se da un lato emergeva
una forte disillusione rispetto alla realizzazione di quanto auspicavo soprattutto per questioni
legate al genere – la presenza di una ricercatrice a bordo in un mondo desolatamente maschile
come quello delle navi commerciali avrebbe potuto suscitare comprensibili riserve per ipotetici
armatori e comandanti
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-, dall’altro di degna nota sono stati i tentativi messi in opera dagli
stessi al fine di intercettare eventuali soggetti e situazioni potenzialmente consoni a quanto mi
fosse più congeniale.
A fine giugno, la decisione di imbarcarmi come passeggera fu obbligata. Nessuna delle strade
precedentemente aperte si rivelò percorribile. Tra le varie opzioni scelsi una compagnia
italiana a cui mi rivolsi direttamente senza, dunque, far appello all’intermediazione
dell’agenzia
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. Presto acquistai i biglietti di andata e ritorno su due linee differenti (Figura III):
Euro Med, per l’andata, e Adriatica Levante
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, per il rientro. Effettuai, dunque, due viaggi: il
primo di 6 giorni, il secondo di 7. Con l’acquisto dei ticket d’imbarco mi furono rese note le
condizioni generali (Figura II). Accesi una polizza di assicurazione così come stabilito dal
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A tal riguardo vorrei ringraziare Massimo Ghelardi (Agente portuale – Livorno), Bepi Livieri (Raccomandatario marittimo -Venezia),
Andrea Pesce (Associazione Stella Maris Friends Onlus – Venezia), Paolo Vianson (Yachting Club - Genova).
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In quanto presenza femminile esterna all’equipaggio, costituito nella stragrande maggioranza dei casi da soli uomini, il mio imbarco
avrebbe potuto da adito a situazioni imbarazzanti o di difficile gestione. Dal punto di vista della ricerca, è indubbio che le caratteristiche
sociali dei ricercatori- e in particolare il genere - possono rivelarsi decisivi. La mia condizione di donna avrebbe potuto abbassare il livello
di circospezione o avrebbe potuto istigare forme di scherno configurando dinamiche tali da rafforzare già esistenti forme di complicità.
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Cercare un viaggio in cargo è abbastanza semplice: le agenzie dedicate sono numerose, sia in Europa che negli Stati Uniti, ma il
dominio tedesco è incontestabile. Nessun’altra nazione propone così tanti posti ai passeggeri. Svariate agenzie esistono da parecchi anni
in Germania, dove questo modo di viaggiare è molto popolare. Le agenzie tedesche da sole propongono più della metà dei viaggi in cargo
in tutto il mondo, 245 cargo offrono posti a 1200 passeggeri. Al secondo posto si trova la Polonia con circa 35 navi, poi la Gran Bretagna
con una trentina di cargo. La Francia è molto lontana, ma nel 1998 la CGM ha ricominciato ad offrire passaggi ai passeggeri. (Verlomme,
1999, p. 14). La domanda non cessa di crescere. Le agenzie di viaggiatori sperano tutte di far fronte a tale successo. Esperienze recenti
dimostrano che sia i passeggeri che le compagnie possono guadagnarci: la spesa aggiuntiva dovuta alla presenza dei passeggeri è minima,
e il denaro che questi portano costituisce un’entrata non trascurabile per il miglioramento o la manutenzione delle navi. Esistono
numerose riviste specializzate e siti web per seguire da vicino questo movimento perpetuo. L’anno 1977 ha visto la nascita in Inghilterra,
di una rivista specializzata in viaggi in cargo: “Freighter Travel Review” che, fornendo informazioni e testimonianze, segna l’inizio di una
nuova era. Le agenzie si specializzano in viaggi particolari, proponendo combinazioni con il treno o l’aereo, e delle escursioni negli scali.
Negli Anni 90 questo settore era in pieno boom. Certo, le cifre dei passeggeri sui cargo non sono impressionanti, perché si tratta al
massimo di una dozzina di passeggeri per nave, ma la tendenza è di anno in anno in rialzo.
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Non avendo avuto alcuna autorizzazione, ritengo opportuno non fare riferimento ai nomi né della compagnia né dell’armatore né delle
navi che renderebbero immediatamente riconoscibile la Compagnia.
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regolamento. Chi decide di affrontare un viaggio su una nave cargo è soggetto
all’imprevedibilità degli eventi. Tutto può mutare: le date di partenza ed arrivo, gli orari, le
tariffe, e persino la stessa nave. Gli orari possono essere modificati da molti fattori: condizioni
meteorologiche, spazi non disponibili in banchina, operazioni di carico e scarico più lunghe
del previsto, problemi amministrativi portuali, variazioni d’itinerario e quindi degli scali per
ragioni legate al traffico delle merci. Anche gli itinerari previsti nei due miei viaggi, Salerno -
Ashdod (7 – 13 Agosto) e Ashdod – Monfalcone (22 – 30 Agosto), hanno subito variazioni.
Alcuni scali sono stati cancellati verso Ashdod e nel viaggio di ritorno in Italia la nave era
priva di carico. Nessuno scalo sino a Venezia (Figura IV e V).
I cargo stessi possono cambiare diverse volte proprietà durante la propria esistenza. Queste
navi sono vendute, oppure affittate, da una compagnia all’altra.
Le due navi su cui mi sono imbarcata erano della tipologia ro-ro (Figura I). Le “ro-ro”, sono
navi curiose, dividono il loro carico tra veicoli e container e la loro architettura ricorda un
grande monolite. Questi mastodonti d’acciaio, lunghi quasi 200 metri, possono navigare a più
di 20 nodi e dispongono di tecnologie che hanno ridotto i loro equipaggi. Le cabine degli
ufficiali, rimaste vuote e diventate disponibili per i passeggeri, si presentano spaziose e dotate
di bagno privato. I passeggeri hanno diritto a tre pasti al giorno allo stesso orario degli
equipaggi e hanno accesso a tutti i locali del cargo compresi la palestra, la biblioteca, la
lavanderia e il soggiorno con sala video. Per gli armatori le merci sono sovrane a bordo. La
presenza umana non è che una piccola componente in questo meccanismo in cui tutto è
sproporzionato, la taglia delle navi, le distanze, i capitali in gioco.
Figura I: Sagome di navi mercantili. Ricostruzione dell’autrice.