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1. INTRODUZIONE
Questa tesi nasce dalla mia intenzione di studiare la metamorfosi delle
convenzioni teatrali delle rappresentazioni shakespeariane, stimolato dalla
Prof.ssa Rosa Maria Colombo a studiare presso la British Library un volume,
curato da Mrs. Inchbald, che raccoglieva e pubblicava alcuni testi di scena del
diciannovesimo secolo. Scoprii che questa era solo una delle raccolte di testi
shakespeariani di una lunga serie di riedizioni ed adattamenti passati alle stampe
as acted nei vari teatri londinesi. Appassionato dalla ricerca, esplorai questo
campo, sorprendendomi di quanto i testi delle molte acting editions, pubblicate con
la prefazione di qualsivoglia autore, fossero lontani dallo Shakespeare “canonico”.
Ricercai le ragioni di questo discrepanza; dapprima dal punto di vista formale,
poi, addentrandomi nella ricerca, anche dal punto di vista politico e culturale in
cui si collocavano queste riedizioni, rappresentazioni, appropriazioni dei testi
shakespeariani.
Il fascino delle acting editions risiede nel fatto che costituiscono la risultante di
pressioni diverse: l’iterazione tra il testo adattato e l“originale” shakespeariano,
nonché lo sviluppo delle convenzioni teatrali, il contesto storico-politico e la
ricezione del pubblico. Il risultato di tale processo avrà connotati diversi a secondo
dell’opera rappresentata e del contesto nella quale si colloca.
Nelle acting editions ci si trova, infatti, davanti a scene tagliate, fuse o
intercambiate tra loro; personaggi scomparsi, diversi, nuovi; rime stravolte,
metafore ridotte ai minimi termini, monologhi, per noi fondamentali, dimenticati e
censurati. Ma proprio osservando il lavoro degli adattatori, si possono riconoscere
i gusti e la sensibilità del pubblico; ricostruire come questo si identificava nelle
vicende e nei personaggi rappresentati e ritrovare, ancora una volta, la potenza
allusiva delle figure shakespeariane, in cui ogni epoca poté rispecchiarsi e
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riconoscere un doppio, censurato, perché troppo scomodo e inquietante o
celebrato perché esaltante e positivo.
Emerse, dunque, anche grazie alla guida di critici – non numerosi- che si erano
inoltrati in questo campo “parallelo” della critica letteraria, che negli adattamenti,
sebbene imperfetti, limitati, parziali per definizione, si scorgevano grandi temi: la
reciproca influenza tra mondo teatrale e politico, la nascita dell’autorialità
shakespeariana. Peraltro, tutto questo convergeva in un'unica grande prospettiva
che trasversalmente pervadeva storia, letteratura e costume: l’affermazione del
modello culturale inglese e britannico.
Quello teatrale era, infatti, solo uno dei campi di incontro-scontro con la cultura
continentale dominante, da cui nacque poi l’energica riscossa culturale Britannica,
che inizierà negli anni trenta del diciottesimo secolo per culminare nella
rivoluzione romantica, come una reazione al successo dei modelli francesi,
imperanti nel mondo della cultura inglese per gran parte del Settecento e poi come
affermazione della propria autonomia ed indipendenza culturale e, naturalmente,
politica.
Il panorama è risultato affascinante, ma immenso. Ed ho deciso di focalizzarmi
su un adattamento non annoverato tra i più celebri, ma in ogni caso emblematico
e caratterizzato da una grande rilevanza politica, per la presenza di temi
particolarmente sentiti nella contingenza della sua rappresentazione, come
incoronazione, esilio, successione, tradimento: The History of King Richard the
Second di Nahum Tate.
Indicativo del particolare rilievo politico del Richard II di Tate è che l’opera fu
oggetto di un pesante decreto di censura, subendo le criticità delle dinamiche
politiche e religiose proprie della Restaurazione ed in particolare della Exclusion
Crisis. La nascitura Gran Bretagna, infatti, era una nazione alla ricerca di
un’identità ed un equilibrio che inizieranno a trovarsi solo dopo gli Acts of Union
del 1706-1707, che sancirono l’unione dei destini di Inghilterra e Scozia,
superando, seppure non definitivamente, lo scontro tra cattolici e protestanti.
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Loretta Innocenti
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, nel suo esteso studio sulla “scena trasformata” coglie il
valore simbolico di questa prassi di riscritture. In particolare, durante la
Restaurazione, riprendere vecchi drammi per riproporne la fortuna, attraverso un
adattamento, sembrava voler sanare la profonda frattura che esisteva tra
l’Inghilterra del periodo pre-Commonwealth e quella di Charles II. La Innocenti
intende, quindi, gli adattamenti come un tentativo di colmare la lacuna culturale
che si era venuta a creare durante i vent’anni di regime puritano.
La stessa Monarchia che si era venuta ad instaurare con Charles II era un
tentativo di ricucire quella brusca spaccatura causata dagli anni del Commonwealth.
La nostalgia per un passato culturale glorioso e recente spingeva all’innovazione.
Adattamento e innovazione furono visti come un “divenire nel permanere”. Così,
l’adattamento neoclassico di Shakespeare assumeva un particolare significato: in
quel contesto “adattare” significava, infatti, make fit ovvero rendere adatta a fattori
estetici di gusto e alle innovazioni scenotecniche l’opera originaria.
Metodologicamente l’approccio ad una tale ricerca è certamente influenzato
dalle teorie del new historicism ovvero dalla convinzione che si possa cogliere il
valore di una determinata opera letteraria non solo dallo studio del testo, ma
contestualizzandola storicamente, ricavando elementi dalla mescolanza di fonti
letterarie e non letterarie e, inoltre, nell’indagare anche le dinamiche economiche
oltre che storico-culturali, perché nessuna opera, e addirittura nessun individuo, si
distacca dal proprio contesto
2
.
Questo approccio metodologico parte dalla grande importanza che si dà al
contesto intorno alla performance artistica, definendo il prodotto culturale come una
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Loretta Innocenti, La scena trasformata: adattamenti neoclassici di Shakespeare (Sansoni,
1985).
2
“But as my work progressed, I perceived that fashioning oneself and being fashioned
by cultural institutions-family, religion, state-were inseparably intertwined. In all my texts
and documents, there were, so far as I could tell, no moments of pure, unfettered
subjectivity; indeed, the human subject itself began to seem remarkably unfree, the
ideological product of the relations of power in a particular society”.Stephen Greenblatt,
Renaissance Self-fashioning: From More to Shakespeare, New edition (University of Chicago
Press, 2005), 256.
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sovrastruttura, risultato delle dinamiche sociali ed economiche di una determinata
epoca e dell’influsso che queste hanno sull’autore
3
.
Stepehn Greenblatt ha coniato il termine new historicism, in contrapposizione
alla corrente del new criticism che, invece, considerava il testo come entità isolata
dal contesto e il cui valore intrinseco è indipendente dalle intenzioni più meno
esplicite dell’autore. Il suo principale convincimento è che nelle opere d’arte non
vi sia nulla di autonomo: partecipano, come tutti i testi, alla circolazione di un
flusso continuo di “energia sociale”. Le opere di Shakespeare, quindi, devono
necessariamente essere contestualizzate, poiché nulla accade senza un contesto:
non ci sono opere autonome e la genialità non può essere considerata la sola
sorgente dell’energia insita in un’opera d’arte. Le opere sono scritte da individui,
ma gli stessi individui sono prodotti di questo continuo scambio collettivo
4
.
Il limite dell’approccio neo-storicista è, tuttavia, delineato dallo stesso
Greenblatt che ha più volte criticato chi ha applicato questo metodo in modo
ideologico ovvero con il fine di dimostrare la coerenza di una visione storica
(spesso marxista), piuttosto che come strumento per ricavare una comprensione
più approfondita dei testi.
Fermo restando l’importanza di contestualizzare storicamente e culturalmente
un’opera, è doveroso dedicarsi all’analisi del testo e, nel caso degli adattamenti,
non sottovalutare due elementi: il primo, che si tratta di un testo teatrale, quindi
fluttuante, effimero perché legato alla performance
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; il secondo, che siamo di
fronte ad un processo di ri-scrittura ed ad appropriazione del testo originale
6
.
3
“[…]Our belief is that a combination of historical context, theoretical method, political
commitment and textual analysis offers the strongest challenge and has already
contributed substantial work.” Jonathan Dollimore e Alan Sinfield, Political Shakespeare:
New Essays in Cultural Materialism (Cornell University Press, 1985), vii.
4
Cfr. Stephen Jay Greenblatt e Stephen Greenblatt, Shakespearean Negotiations: The
Circulation of Social Energy in Renaissance England (University of California Press, 1988).
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“Tutto questo suggerisce che il rapporto testo scritto/testo spettacolare non è un
rapporto di semplice priorità ma un complesso di reciproci vincoli che costituiscono una
poderosa intertestualità. Ogni testo porta le tracce dell’altro: la performance assimila
quegli aspetti della pièce scritta che gli attori scelgono di transcodificare, mentre il testo
drammatico viene “detto” in ogni momento della performance modello – o delle n
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Un ulteriore strumento critico può essere trovato, pertanto, nell’approccio post
strutturalista, al quale è legato lo stesso new historicism, che considera l’uso che
viene fatto di un’opera culturale attraverso la sua riconstestualizzazione o
riscrittura; riscrittura che può, dunque, essere vista anche come un’arma nella lotta
per la supremazia tra diverse ideologie
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. Nel nostro caso, tra le forze conservatrici
e quelle che auspicavano una maggiore partecipazione delle classi emergenti.
Considerati, dunque, i possibili approcci metodologici, si può trovare un
elemento di sintesi nel considerare gli adattamenti come una forma plasmata
dall’adattatore o improver o alteratore che, condizionato a sua volta da fattori
storici, culturali, economici e tecnici, fissa la fruizione dell’opera originale in una
determinata epoca
8
.
Nella letteratura critica, il tema degli adattamenti è stato affrontato in maniera
pragmatica ed enciclopedica da Geroge C. Branam
9
che, sebbene la sua opera sia
datata, è stato un punto di riferimento essenziale.
La critica più recente, che per ragioni anagrafiche ha maggiormente subito
l’influenza delle teorie del new historicism, si è invece addentrata nel fitto tessuto
di rapporti tra prodotti letterari e contesto storico, focalizzandosi in particolare
possibili performances – che lo motivano. Questo rapporto intertestuale è problematico,
piuttosto che automatico o simmetrico. Ogni performance è, solo fino ad un certo punto,
vincolata dalle indicazioni del testo scritto, proprio come quest’ultimo di solito non porta
le tracce di nessuna performance reale. E’ un rapporto che non può essere spiegato in
termini di facile determinismo.” Keir Elam, Semiotica del teatro (Il Mulino, 1988), 218.
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“Countemporary theory often employs a strategic or political understanding of culture.
Works of culture are seen to engage with all the broad political concerns of the world at
large; race, empire, gender, economics an so forth. In this light it is understandable, in the
same terms Andreè Lefebvre applies to rewriting and recontextualization in general:
“works of literature exist to be made use of in one way or another”, and rewriting then, in
all its forms, can be seen as a weapon in the struggle for supremacy between various
ideologies, various poetics. It should be analyzed and studied that way.” Daniel Fischlin e
Mark Fortier, Adaptations of Shakespeare: An Anthology of Plays from the 17th Century to the
Present (Routledge, 2000), 5.
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Per fare un’incursione in un altro campo caratterizzato dalla medesima problematica
di recupero/riscrittura, si è considerate la storia del restauro di opere d’arte, che ha
offerto diversi punti di contatto con il tema degli adattamenti. Si vedano le note 27 e 51 al
primo capitolo.
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George C. Branam, Eighteenth-century Adaptations of Shakespearean Tragedy, by George C.
Branam (University of California press, 1956).