2
punto di vista spaziale che temporale, e negli effetti che produsse, nonché la
maestria del saperlo concentrare in sole ventuno scene dalle quali farlo esplodere
nel presente e nel futuro di chi ancora lo legge, fu inevitabilmente forte.
Non è necessario amare la storia per apprezzare i drammi di Caryl
Churchill: l’autrice la lavora come materia molle tra le sue mani, la comprime e la
distende a suo piacimento, ne estrapola forme e contenuti che rimodella con
sapienza rendendoli atti ad esprimere sentimenti postmoderni. La manipolazione
della categoria temporale sottolinea lo status di ‘creatore’ di chi produce opere
scritte. Infrangendo ogni linearità, l’autrice porta in primo piano le sue istanze e,
sottovoce, assolutizza importanti concetti sulla natura dell’uomo.
L’attenzione rivolta alla donna non è quella di chi giudica un individuo in
base al sesso di appartenenza, ma di chi cerca di prescindere dalla fisicità a favore
di un più universale sentimento di ‘umanità’. Caryl Churchill si scaglia contro
ogni tipo di ghettizzazione del ‘diverso’ in nome di una rivendicazione dei diritti
del debole. Nella storia del mondo, l’universo femminile è sempre stato
l’elemento debole per eccellenza: ecco quindi la genesi dell’impegno di una
donna che scrive delle e sulle donne, ma non solo ‘per’ le donne.
3
-CAPITOLO 1-
Femina: fe minus. Femminilità come patologia.
1.1. ‘Misoginia’: una tradizione millenaria
Il teatro di Caryl Churchill è popolato da donne: madri, mogli, figlie,
donne forti e donne deboli, donne che nascono e che muoiono danzando sul
palcoscenico il loro canto del cigno, rinascendo ogniqualvolta si riapre il sipario.
Accanto a queste donne sono presenti anche molti uomini, le cui vite si
intrecciano alle loro nel tentativo di dominarle, reprimerle, interpretarle, capirle,
amarle ed ucciderle. A calcare la scena non mancano inoltre numerosi fantasmi:
sono gli spettri di ideologie millenarie che si aggirano tra gli edifici del ‘nuovo’,
contaminando la linfa vitale della cultura. Sono le fondamenta del sapere, che
impongono un innegabile confronto nel momento in cui la questione della donna
diviene soggetto d’indagine. Non vi ci si può sottrarre, neppure quando la sfera
del femminile penetra l’imperscrutabile ambito della sperimentazione teatrale.
La critica letteraria concede ampio spazio alla questione tra genre e
gender, rivelando un interesse particolare per la scrittura al femminile. La
relazione fra donne e letteratura è sempre stata considerata una materia a sé,
spesso estranea alla trattazione della canonica storia della letteratura, analizzata
come fenomeno eccezionale parallelo alle manifestazioni di cultura ‘regolari’,
ovvero maschili. Le ragioni di questa esclusione sono molteplici e fanno parte di
un sistema complesso in cui si intrecciano motivazioni di natura antropologica,
filosofico-scientifica, storico-culturale e religiosa.
Il mondo occidentale affonda le sue radici culturali in un’antichità molto
remota, ereditando scuole di pensiero sulle quali erano basate gloriose civiltà,
4
assimilandole ed elevandole alla massima potenza per mezzo di una cultura
ecclesiastica estremamente misogina e maschilista. Volendo analizzare con quali
esiti le donne abbiano cercato di avvicinarsi da protagoniste al mondo della
cultura, a quel mondo che ha sempre cercato di tenerle a distanza, ci si rende
conto di quale e quanta influenza le dottrine e gli studi medico-scientifici abbiano
avuto e forse continuano ad avere sulla determinazione di un limite, una
immaginaria linea da tracciare tra uomo e donna, al centro di quell’universo
costituito da due metà assolutamente impari, tra l’uomo e la parte di lui
incompleta e corrotta. Uno studio del rapporto tra le donne e la cultura tende a
dimostrare molteplici e profonde connessioni con quelle forme di pensiero fatte
proprie e promulgate da un mondo in tutta sostanza dominato dall’influenza
cristiana, i cui dettami agiscono da unità di misura per i fenomeni di costume e di
erudizione. Una trattazione della cultura al femminile che risale agli albori della
civiltà risulta essere necessaria persino per opere di sperimentazione teatrale
contemporanea, poiché nessun genere o stile, per quanto originale e
rivoluzionario, può trovare espressione senza dover affrontare il passato.
Nella storia dei popoli, nelle analisi del genere umano, la donna ha sempre
ricoperto un ruolo marginale, stando all’ombra di quegli uomini che, valorosi o
meno, riuscivano a riempire pagine di storia grazie al semplice fatto di esistere. In
qualsiasi tipo di esposizione, sia essa medica o filosofica, le uniche parole spese
per la trattazione della donna in quanto persona fisica indicano la sua funzione
principale1, ovvero la capacità di garantire il mantenimento della specie umana.
Procreazione e ginecologia sembravano essere gli unici ambiti all’interno dei
quali uno studio del femminile poteva aver ragione di esistere. Il corpo femminile,
per le sue caratteristiche peculiari, ha fornito nei secoli quelle che apparivano più
che valide giustificazioni per il suo avvilimento e demonizzazione2. Fin dal
1
Per un’ampia trattazione della storia della donna si veda G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne
in Occidente: il Medioevo (Bari, 1990).
2
Nel Medioevo la questione del ‘corpo’, visto in relazione con l’anima, era al centro di raffinate
disquisizioni. Per una trattazione dell’argomento che ne analizzi i riflessi nella letteratura si veda
P. Boitani, A.Torti, eds., The Body and the Soul in Medieval Literature (Cambridge, 1999).
5
principio esso è trattato in maniera particolare e differenziato da quello maschile.
Durante la creazione avviene ciò che darà poi luogo a lunghe disquisizioni sulla
effettiva appartenenza della donna all’uomo, sia esso il padre od il marito.
L’uomo, come si tramanda, è stato formato ad immagine e somiglianza divina, e
questo già di per sé indica la sua posizione privilegiata, mentre la donna, avendo
origine da un osso estratto dal suo costato, sarà per sempre ritenuta una mera
appendice al suo confronto. Si cristallizza così un assunto che godrà di enorme
fortuna presso le culture di gran parte dei popoli, e cioè la convinzione che la
donna non sia dotata di propria autonomia e che debba essere relegata in una zona
d’ombra della società, lontana dagli organi di controllo e dalla cultura ufficiale. Il
peccato di Eva, quello che condannò il genere umano alla sofferenza, fu il peccato
non solo della prima donna, ma anche di tutte le sue discendenti, per natura dotate
di un corpo e un intelletto talmente infidi da risultare facile preda del demonio.
Il peccato originale impose alla donna un marchio incancellabile, che agli
occhi dell’uomo la confina al ruolo di subdola seduttrice, che opera in combutta
con il demonio, in aperta opposizione alla legge divina. La donna è sensualità,
pura carnalità e, ricordando una definizione di Pitagora, rappresenta ciò che è
oscuro e malvagio, mentre l’uomo, dotato di grande intelletto e saggezza, agisce
con discernimento, rappresenta il bene e riflette la luce divina. Tutti i segnali
inviati dalla donna, e in particolare dal suo corpo, erano ovviamente interpretati
secondo una certa ideologia e associati a qualcosa di negativo, essendo per la
maggior parte sintomi legati alla malattia, alla instabilità psicofisica ed alla
condizione ‘naturale’ di agente riproduttore. Alle caratteristiche del corpo
femminile sono poi imputabili tutti i pregiudizi verso la donna come persona:
vista in funzione delle proprie capacità di procreazione, la donna è percepita come
un essere fondamentalmente dominato dal proprio corpo, dalla propria sensualità.
Totalmente identificata con le sue funzioni che la rendono così unicamente utile,
Affascinante lo studio di P. J. Benson, ‘Gualdrada’s Two Bodies: Female and Civic Virtue in
Medieval Florence’, pp. 1-15: un personaggio femminile forte come un uomo passa alla storia per
un bacio non dato.
6
essa è vista come mero strumento di natura, una sorta di ventre deambulante. La
sua stessa mente subisce un arresto nello sviluppo perché tutte le forze sono
assorbite da gravidanze e parti. Con la teoria degli umori e con la loro rigorosa
suddivisione e ripartizione tra individuo maschile e individuo femminile, si
giunge ad un gradino più alto nella discriminazione tra i sessi. Una testimonianza
concreta di questo tipo di concezioni è dovuta proprio ad una rappresentante del
sesso femminile e sono i Trotula Texts. Trota o Trotula3 era una donna medico
operante nella Salerno medievale, città con una forte specializzazione nel campo
degli studi medici. Dal testo The Knowing of Woman’s Kind in Childing si evince
come i quattro elementi costitutivi di tutta la materia trovassero degli analoghi
corrispondenti nei quattro fluidi o ‘umori’ del corpo umano. La nuova vita era
data da una commistione tra gli umori e dalla combinazione tra una materia calda
e asciutta e una fredda e umida: queste ultime due più vili erano caratteristiche
prettamente femminili, essendo la donna priva del vigore e del calore tutto
maschile.
Per comprendere in quale misura la rappresentazione della donna sia stata
viziata sin dal principio da pregiudizi nei confronti del suo corpo, occorre citare le
Etimologie di Isidoro di Siviglia. In questo testo, una summa del sapere antico,
l’anatomia, e nella fattispecie l’anatomia del corpo femminile, sottostà ad un
principio di finalità che certo non ne favorisce l’obiettività. Bisognerà attendere
secoli e secoli per giungere ad una osservazione pseudo-scientifica. Alla base
degli studi sulla donna la trattazione filosofica si intreccia e si confonde con
quella medica, e ogni aspetto viene spiegato nel tentativo di inserirlo nella
maniera più agevole all’interno di un sistema di pensiero precostituito. Il primo
sistema di fisiologia umana è codificato tra il V e il II secolo a.C. nel Corpus
Hippocraticum4, tuttavia il personaggio che maggiormente impose la propria fama
presso i posteri fu senza alcun dubbio Galeno. Lungo tutto il Medioevo il nome
3
Gli studi del settore tendono a dare per certa l’esistenza di questo personaggio, ma sulla sua
identità non ci sono notizie precise. Per una più completa esposizione si veda A. Barratt, ed.,
Women’s Writing in Middle English (London, 1992), pp. 27-39.
4
Cfr. C. Castellani, Le donne e il diavolo (Milano, 1963), p. 19.
7
del celebre medico di Pergamo è conosciuto a molti, ma solo nella prima metà del
XIV secolo giunge il suo De usu partium5. Le sue idee prendono piede e sono
fatte proprie dalla Chiesa che si cristallizza in una misoginia sprezzante.
Riavvicinandosi ad Aristotele6, che riteneva necessaria l’esistenza di quattro
elementi e l’esatta corrispondenza con il luogo ad essi assegnato, Galeno associa
due qualità primarie a ciascuno di essi: il caldo ed il secco al fuoco, il freddo ed il
secco alla terra, il caldo e l’umido all’aria ed infine il freddo e l’umido all’acqua.
Dalle teorie sulla costituzione di tutta la materia si giunge, tramite un diretto
parallelismo, alla individuazione dei quattro fluidi o ‘umori’ degli esseri viventi:
sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Contemporaneamente il freddo e l’umido
divengono elementi caratterizzanti del corpo femminile, mentre il caldo e
l’asciutto formano il corpo dell’uomo giustificandone robustezza e superiorità.
Questa suddivisione, essendo alla base del principio della vita, è presente “chez
tous les animaux”7 e di conseguenza gli esseri umani non ne sono esenti. Lo
stesso Galeno, esponendo le dottrine platoniche sulle tre anime dell’uomo8,
distingue quella concupiscibile da quella energica tramite caratterizzazione
sessuale, attribuendo alla prima una identità femminile e alla seconda ovviamente
maschile. Il galenismo e l’aristotelismo concordano d’altronde su un concetto che
godrà di enorme fortuna nel corso dei secoli e che si basa su un principio di
somiglianza inversa tra l’uomo e la donna. Come già anticipato, nel grembo
materno la vita si sviluppa grazie alla commistione fra le due materie calda e
asciutta e fredda ed umida, ma talvolta un eccesso di materia apportata dalla
madre può ‘compromettere’ la formazione del feto, impedire uno sviluppo
corretto degli organi e bloccarne la crescita. E’ grazie a questo tipo di ‘incidente’
che si origina il corpo della donna, assumendo una fisionomia talmente insolita da
5
Cfr. G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne, p. 59.
6
Una vasta trattazione della storia della medicina è offerta dal testo di C. Daremberg, La
Médecine: histoire et doctrines (Paris, 1865).
7
Cfr. D. Jacquart, La science médicale occidentale entre deux renaissances (XIIe s.-XVe s.)
(Aldershot, 1997), sezione XVI, p. 81.
8
Cfr. C. Daremberg, La Médecine: histoire et doctrines, pp. 81-85.
8
generare sospetto e dubbi. Che la nascita di una bambina non fosse accolta con la
stessa gioia che salutava l’arrivo di un maschietto è un fatto duraturo nel tempo e
comune a diverse culture. Una ragazza non poteva tramandare il nome della
famiglia e avrebbe sottratto un ingente capitale quale dote nuziale. Inoltre, e
questo purtroppo sua madre lo sapeva bene, avrebbe condiviso con lei quello
stesso infelice destino con le ali tarpate dal suo non essere uomo. Se Madame
Bovary svenne quando seppe di aver dato alla luce una nuova triste Emma, la
Lady Nijo di Top Girls si rammarica per la perdita di sua figlia, benché: “(…)It
was only a girl (…)”9.
L’anatomia degli organi genitali interni della donna, così nascosti e
misteriosi, sembrò confermare una certa complementarietà rispetto al maschio e al
contempo una corrispondenza immediata tra l’individuo e le caratteristiche del
proprio sesso di appartenenza. Nei testi che trattavano l’argomento, come ad
esempio il Canone di Avicenna10, non ci si limita ad una semplice descrizione, ma
ci si lascia anzi andare a commenti che sottolineano le ridotte dimensioni dei
suddetti organi. Seguendo il pensiero di Aristotele le donne non sono altro che dei
maschi imperfetti, i quali si distinguono per essere più belli delle loro compagne
in tutte le parti del corpo, dagli organi di riproduzione al cranio. Certi giudizi di
valore, seppur inconsapevolmente, si fissano prestandosi a facile
stereotipizzazione, ed essendo basati su semplici analogie risultano
profondamente difficili da sradicare. Non c’è voluto infatti molto per legare il
concetto di femminile a qualcosa di inferiore, se non negativo, e questo risulta
inevitabile, quando il corpo dell’uomo è considerato come unico ed ineguagliabile
“point de départ”11.
Ad una analisi comparativa rischiavano tuttavia di sottrarsi gli aspetti
peculiari del corpo femminile, quale ad esempio il ciclo mestruale. Ogni
fenomeno, per poter essere compreso, doveva venir inquadrato in un rigido e
9
Cfr. C. Churchill, Top Girls (London, 1982), p. 16, mio corsivo.
10
Cfr. G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne, p. 60.
11
Si veda D. Jacquart, La science médicale occidentale, sezione XVI, p. 93.
9
precostituito sistema di pensiero, tanto più se si trattava di qualcosa di così
misterioso e ‘altro’ rispetto alla fisiologia maschile. Tutto nella donna sembrava
ricondurre ad una atmosfera di insalubrità e dannosa impurità ed il ciclo
rappresentava l’elemento più palesemente manifesto di una sorta di ‘sordizia’
insita nella natura femminile. Fenomeno di difficile interpretazione, collegato
dall’etimologia ai cicli lunari12 sin dai tempi di Isidoro di Siviglia , possiede la
‘magica’ virtù di rendere la donna impura13. E se sangue significa impurità, come
non guardare con sospetto ad un corpo la cui durata biologica è segnata e scandita
ad intervalli regolari dalla presenza del sangue? Gli studiosi individuano quattro
momenti fondamentali nella vita della donna, che poi vengono a ricoprire l’arco di
tutta la sua esistenza: si tratta dell’età fertile, del concepimento, della gravidanza e
dell’allattamento14. Persino il latte materno non sarebbe infatti nient’altro che
sangue mestruale sbiancato, sottoposto a ‘cottura’ all’interno del corpo. Se il
corpo femminile appare a tal segno condizionato dalla propria identità biologica,
il passo verso quello che gli antropologi chiamano “condizione di inferiorità
perenne”15 è piuttosto breve. L’inferiorità fisica è agevolmente trasposta su un
piano psichico, ed i medici vittoriani avevano ‘capito’ che, come le “razze
inferiori”16, le donne erano dotate di un cranio di dimensioni ridotte, nonché di un
12
I greci utilizzavano il termine mene per indicare la luna. Cfr. G.Duby, M. Perrot, Storia delle
donne, p. 69.
13
Secondo credenze popolari cui tuttora si dà credito nelle società rurali, ad una donna mestruata
non deve essere concesso di avvicinarsi a piante o ad animali, poiché capace di nuocere alla natura
circostante, rendendo inquieto il bestiame e facendo persino impazzire le uova. Nel suo libro La
mela e il serpente (Milano, 1974), l’antropologa Armanda Guiducci fornisce un ampio e
dettagliato panorama di pregiudizi e credenze popolari riguardanti il sangue mestruale. Durante il
ciclo, la ragazza doveva evitare il più possibile il contatto con l’acqua ed in nessun caso
immergervi completamente il proprio corpo. Da evitare erano anche i bagni di sole, che favorivano
l’emorragia. Consigliato invece era un reintegro di sangue ‘nuovo’ per via alimentare. Il rispetto di
queste norme era necessario per almeno i primi tre giorni, poiché il sangue successivo a questo
numero sacro non era considerato altrettanto nocivo. ‘In quei giorni’ la donna non andava toccata e
addirittura allontanata. Questo tipo di superstizioni non è proprio solo del mondo cristianizzato,
ma facilmente ravvisabile in culture tribali tuttora esistenti, come ad esempio nel mondo Masai,
che impone una sorta di ‘esilio’ durante il ciclo.
14
Cfr. D. Jacquart, La science médicale occidentale, sezione XVI, p. 81.
15
Cfr. L. Mair, Introduzione alla antropologia sociale (Milano, 1970), p. 54.
16
Cfr. E. Showalter, Una letteratura tutta per sé. Due secoli di scrittrici inglesi (1800-1900)
(Milano, 1984), p. 56.
10
sistema nervoso incapace di tollerare uno spreco di energia mentale, il quale
avrebbe causato disfunzioni al sistema riproduttivo. Ne consegue una spiccata
inclinazione della ‘femmina’ verso lo stato patologico.
2.1. Malattia e medicina: le ragioni di una demonizzazione
Tra le malattie che, ad ondate successive, flagellarono l’Europa, poche
condividono con la lebbra il suo triste primato, testimoniato, oltre che dal numero
delle vittime, dalla grande risonanza e dai profondi effetti sull’immaginario
collettivo. Il fenomeno è di difficile quantificazione, tuttavia pare che nel XII
secolo il numero dei lebbrosari si aggirasse intorno a duecentoventi solo tra
Scozia e Inghilterra, che in tutto comprendevano circa un milione e mezzo di
abitanti17. Michel Foucault indica la lebbra come diretta antecedente delle malattie
veneree, con le quali condivide tutto il peso della condanna morale che,
prendendone le mosse supera il contesto medico-scientifico. Attorno alla lebbra
c’erano infatti numerose fantasie che la collegavano al vizio ed al peccato, e
soprattutto alla paura di un uomo che non si sentiva al sicuro, in balia degli
appetiti della donna. Il Medioevo possedeva risorse mediche limitate e, per quanto
si conoscessero gli effetti di questa malattia, se ne ignoravano le cause e
soprattutto il periodo di incubazione. Ecco quindi che la ricerca di plausibili
spiegazioni portò ad una ulteriore colpevolizzazione della donna, attribuendo tutte
le responsabilità al concepimento ed alla gestazione. Era opinione diffusa che il
lebbroso fosse stato concepito da una donna mestruata, la quale poteva entrare in
contatto con una persona infetta e risultarne praticamente immune grazie alla
natura fredda del suo corpo, trasmettendo nel contempo il male all’embrione ed al
successivo compagno.
17
Secondo Mathieu Paris dall’ Alto Medioevo in poi si contano circa diciannovemila lebbrosari in
tutto il mondo cristianizzato. Cfr. M. Foucault, Storia della follia nell’età classica (Milano, 1998),
p. 11.
11
La lebbra assume una ulteriore connotazione negativa se si segue il
pensiero di Foucault, che vedeva nella follia, nuova ossessione secolare, la sua
diretta eredità. Assegnando alla follia una derivazione umorale, nel suo
Dictionnaire universel de médecine, James18 stabilisce un contatto diretto con la
tradizione galenica. Per quanto riguarda le donne, si riteneva che le malattie dello
spirito fossero dovute a delle esalazioni uterine. La malattia nervosa ‘loro’ per
eccellenza è l’isteria, fatto evidente anche dal punto di vista etimologico, poiché il
termine deriva da una voce greca indicante l’utero. È stato il vitalismo a porre
l’accento sul ruolo dei fattori psicologici nelle malattie dello spirito, prestando
fede alla teoria secondo la quale queste possono presentarsi anche in assenza di
alterazioni fisiche. Cimentandosi nello studio di questi disturbi, i primi studiosi ne
attribuivano le cause alla circolazione sanguigna e alle sue irregolarità. Questo
tipo di atteggiamento sembra riecheggiare la tesi riportata in un suo studio dal
maestro di Foucault, Georges Canguilhem, secondo il quale i fenomeni patologici
si differenziano dai fenomeni normali unicamente per variazioni quantitative19.
Tra le affezioni del sistema nervoso si ritrova anche quel particolare e assai
femminile stato definito ‘melancolia’, che rimanda, grazie allo stesso termine,
all’atrabile ed i suoi effetti, richiamando alla mente gli eccessi e le imperfezioni
nella mistura fra gli umori. Già questo tipo di terminologia medica basta a
richiamare tutto un filone letterario popolato da fragili eroine che sapevano
svenire con eleganza e consumarsi in un pallido languore capace di esaltare la loro
femminilità. D’altra parte, l’esistenza di un nesso fra le malattie di origine nervosa
ed una discriminazione in base al sesso dei pazienti è dimostrata da studi recenti,
che affiancano motivazioni di origine biologica ad una disamina delle condizioni
di vita della donna moderna20. Analizzando il complesso e terribile fenomeno
dell’internamento dei folli, Foucault lo tratta come un affare di police, mirato al
18
Citato in J. Céard, La folie et le corps (Paris, 1985), pp. 114-129.
19
Cfr. G. Canguilhem, Il normale e il patologico (Torino, 1998), p. 11.
20
Da uno studio effettuato in America è risultato che tra le persone coniugate sofferenti di disturbi
mentali le donne sono in numero maggiore rispetto agli uomini. Cfr. M. Guttentag, S. Salasin, D.
Belle, eds., The Mental Health of Women (New York, 1980).
12
mantenimento dell’ordine sociale. Tra le varie ‘empietà’, è la stregoneria che
svolge un ruolo di primo piano, quale colpa morale meritevole di crudele e
spietata condanna, e che secoli di credenze e speculazioni vogliono giustificare.
Secondo Thomas Sasz il trattamento riservato ai malati di mente era molto simile
nella sua essenza a quello che portò alla lunga catena di omicidi fatti rientrare
nella categoria della persecuzione delle streghe, che lui definisce “sessuocida”, nel
suo The Manufacture of Madness21.
L’anno 1682 segna la fine dei processi di stregoneria per l’Inghilterra,
mentre nei cieli del continente continuano a levarsi i fumi mortali. Quando
finalmente si prova a fare un bilancio, il numero delle vittime sembra aggirarsi
intorno ai due milioni22. La stragrande maggioranza dei condannati sono donne23,
vittime sacrificali preferite dai giudici dell’Inquisizione, molte delle quali neanche
in grado di capire tutti i capi d’accusa, spesso frutto di complesse ed allucinate
elucubrazioni. Proprio lei, padrona di quel corpo così scomodo, rappresenta la
minaccia maggiore, il nemico da sconfiggere, da annientare. È il corpo maschile
che Dio ha scelto per la sua incarnazione, non quello della donna, il quale meglio
si addice alla prostituzione diabolica: questi ed altri sono i precetti esposti nel
Martello delle streghe24, testo guida per una efficace e radicale eliminazione di
tali pericolosi soggetti, presente nelle aule dei tribunali per secoli. Questo testo
seguì di due anni la Bolla Summis desiderantes affectibus del dicembre 148425,
con la quale il papa Innocenzo VIII affida ai due teologi domenicani Heinrich
Institor, noto come Krämer, e Jakob Sprenger il gravoso compito di farsi
promotori e realizzatori della correzione e punizione di coloro che partecipavano
del connubio demoniaco. La prima accusa mossa contro la donna era quella di una
21
Citato in P.Chesler, Le donne e la pazzia (Torino, 1977), pp. 109-110.
22
Cfr. C. Castellani, Le donne e il diavolo, p. 202.
23
Alcuni studi stimano una percentuale dell’85% indicante i giustiziati di sesso femminile. Cfr. B.
Ehrenreich, D. English, Le streghe siamo noi. Il ruolo della medicina nella repressione della
donna (Milano, 1975), p. 10.
24
Cfr. H. Institor (Krämer), J. Sprenger, Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel
transfert degli inquisitori (Venezia, 1997).
25
Per una versione inglese della Bolla papale e per altri utili collegamenti si veda il sito internet
http://www.library.ups.edu/instruct/ricig/vtom/html .
13
unione carnale con il diavolo: era la paura della sessualità femminile, dell’uso
illecito che la donna potesse fare del suo corpo, che in molti casi dava inizio ad un
processo per stregoneria. Le donne erano accusate di partecipare a dei baccanali
orgiastici, i cosiddetti Sabba, durante i quali il demonio si univa a loro, e riti
terribili venivano celebrati con l’impiego di ingredienti disgustosi. Oltre a ciò, le
streghe erano ritenute capaci di creare danni al prossimo, di nuocere ai suoi beni
quando non di attentare alla sua stessa vita. Le streghe avevano il potere di
danneggiare interi raccolti, provocare aborti e indurre l’impotenza. Erano loro che,
grazie alla magia simpatica, nel senso etimologico del termine, fabbricavano
statuine di cera o creta e infliggevano atroci dolori alla persona che avevano
voluto rappresentare. Esse preparavano putridi filtri, capaci di piegare al loro
volere chiunque li avesse ingeriti. Ma chi erano, in realtà, le streghe? Le tesi degli
studiosi, in proposito, sono numerose, ma appare certo che non tutte le
rappresentanti del ‘gentil’ sesso indistintamente rischiavano la vita durante quei
quattro secoli di paura. Le streghe erano per lo più di bassa estrazione sociale,
povere contadine, donne che abitavano in luoghi isolati e che spesso, prima della
loro condanna, avevano conosciuto il demonio solo attraverso le leggende.
Definita pazza o semplicemente isterica da chi cerca, a posteriori, di ricostruirne
una identità, la strega appare fondamentalmente come una donna che “sapeva le
erbe”26, una sorta di fattucchiera erborista che conosceva i principi attivi delle
piante e sapeva sfruttarli. Secondo l’opinione di Barbara Ehrenreich e Deirdre
English, le streghe erano i primi dottori della storia, oltre che i primi anatomisti,
abortisti e farmacisti: esse erano le rappresentanti della scienza medica non
ufficiale, annientate da chi aveva tutto l’interesse di fare posto alla medicina
‘regolare’. Maschile, ovviamente. Eppure lo stesso Paracelso, il ‘padre’ della
medicina moderna, nel 1527 confessava di dovere la sua sapienza alle
fattucchiere, e dava alle fiamme il suo testo di farmacologia27: fatto, questo, che
rimanendo nell’ombra ha lasciato la medicina orfana di madre, al pari di tutti gli
26
Cfr. C. Castellani, Le donne e il diavolo, p.131.
27
Cfr. B. Ehrenreich, D. English, Le streghe siamo noi, p. 15.
14
altri pilastri su cui si basa l’umanità. Queste guaritrici, dunque, medici dei poveri,
sfidavano il potere precostituito e andavano fermate in ogni modo, anche quelle
che usavano la loro scienza in maniera benevola. La stregoneria era l’eresia
peggiore, poiché, come si apprende dal Martello delle streghe, niente minacciava
la Chiesa più delle donne.
Analizzando il fenomeno della caccia alle streghe da una diversa prospettiva, si
osserva che esso avvenne in concomitanza con gli sconvolgimenti che minavano
le basi del feudalesimo. Proprio il passaggio verso una società capitalista ha
probabilmente agito come un’onda lunga, scatenando una serie di reazioni a
catena. È in questa ottica che il fenomeno assume i connotati di una vera e propria
guerra sociale, una guerra fra classi nel corso della quale le donne erano alla testa
di un popolo contadino reclamante i propri diritti: è chiaro che l’ambito religioso
non riesce a contenere da solo le numerose sfaccettature di questa ‘folle
epidemia’, che assume inoltre tutte le caratteristiche di una lotta tra i sessi. La
caccia alle streghe assomma in sé tutti gli elementi di quello che Turner chiamava
‘dramma sociale’, che ha luogo quando la rottura di una norma crea uno stato di
crisi crescente, in cui antagonismi latenti sfociano in aperto conflitto. Secondo
l’antropologo, un simile rituale comporta il ‘sacrificio’, letterale o simbolico,
necessario per compensare il “peccato di violenza”28 del gruppo. Per quanto
esteso nel tempo, questo flagello si sviluppa in fasi. Le più cruente si concentrano
tra il 1480 e il 1520, ma soprattutto tra il 1580 e il 167029. Come già accennato,
non sempre le imputate comprendevano sino in fondo i crimini di cui erano
accusate, ma nonostante ciò i processi erano strutturati in maniera tale da riuscire
nella quasi totalità dei casi a dimostrare la loro colpevolezza. Il rituale da seguire
era studiato nei minimi particolari, ed i giudici dovevano attenersi a delle precise
procedure. Le indiziate provvedevano da sé a fornire ai giudici il ‘corpo del
reato’, e quello stesso corpo andava quindi analizzato e martoriato, andava
28
Cfr. V. Turner, Dal rito al teatro (Bologna, 1986), p. 131.
29
Cfr. J.M. Sallman, Le streghe amanti di Satana (Torino, 1995), p. 36.
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distrutto per poter permettere all’anima di purificarsi, staccandosene, e alla verità
di trionfare, ristabilendo l’ordine. Se Nietzsche fosse stato presente ad uno di quei
processi, si sarebbe individuata la genesi concreta del suo assioma asserente che la
verità è la menzogna più profonda: in un modo o nell’altro i giudici riuscivano a
strappare una sorta di confessione, qualcosa che li autorizzasse formalmente a
procedere con l’esecuzione. Le torture erano spaventose, pianificate in maniera da
amplificarne l’effetto, con delle lunghe pause durante le quali la prigioniera aveva
modo di pensare a ciò che avrebbe subito il giorno seguente. Il lungo elenco degli
strumenti utilizzati poteva da solo indurre alla confessione di crimini non
commessi, e non a caso gli interrogatori si svolgevano in sale da cui le macchine
che frantumavano le ossa e quelle che dilaniavano le carni fossero ben visibili.
Nell’immaginazione popolare la strega è una donna non più giovane,
l’inutile essere il cui ciclo riproduttivo si era ormai concluso, la quale magari
aveva raggiunto una certa autonomia grazie alla sua vedovanza, che pur
impoverendola l’aveva resa in un certo qual modo libera, tuttavia sul rogo
trovavano la morte anche ragazze e bambine, che le madri flagellate finivano col
nominare, nella vana speranza che la tortura cessasse. Al momento dell’arresto il
corpo veniva completamente rasato, per escludere la possibilità che il diavolo si
annidasse tra peli o capelli, per sostenere la strega e impedirle di dire la verità.
Inoltre, la rasatura era utile anche allo scopo di cercare il marchio diabolico, il
punto dal quale il demonio era penetrato, cosa che i giudici riuscivano sempre a
trovare: bastava un neo particolare, una cicatrice, un punto naturalmente
insensibile ad una puntura. La pratica della puntura era un altro infallibile metodo,
e non veniva risparmiato neppure un centimetro di pelle che potesse nascondere il
sigillum diaboli. Un certo avvocato Mathew Hopkins si era costruito un ago con la
punta completamente rientrante nel manico di legno: egli si vantava di aver fatto
giustiziare più di duecento donne grazie a questo stratagemma
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Citato in C. Castellani, Le donne e il diavolo, p. 136.