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Introduzione.
Nell'ambito della conclusione del ciclo di studi triennale del Corso di Laurea in Teorie e
Pratiche dell'Antropologia, ho maturato la decisione di trattare come argomento della prova
finale, il tema della festa, concentrandomi su una dimensione festiva a me vicina solo perché
nato nella città che la ospita ma a me lontana perché non socializzato nel contesto proprio
della cultura locale che ne è produttore e agente. La festa è quella della Discesa dei Candelieri
di Sassari più nota come “Faradda di li Candareri” che si celebra ogni anno il 14 di Agosto
alla vigilia della festività cattolica dell'Assunta, a essa legata per motivazioni storiche cui
accenneremo e da cui trarremo gli elementi fondanti il principio che muove una macchina
festiva imponente che vede protagonisti dieci gruppi, chiamati gremi, che rappresentano le
antiche corporazioni di arti e mestieri.
Il tema della festa sarà affrontato a partire dalle prospettive metodologiche e analitico-critiche
di diversi autori antropologi, sociologi, storici e studiosi vari che hanno contribuito col loro
lavoro di ricerca a esplorare i contesti ludici, iconici, simbolici, mitologici, politici delle feste
e da cui attingeremo per inquadrare secondo alcune chiavi di lettura, da tali autori suggerite,
l'ambiente festivo sassarese e tentare di porci alcune domande centrali che possano essere
guida per un’auspicabile ricerca etnografica accurata. Gli autori a cui mi riferisco hanno
trattato il tema della festa di volta in volta seguendo delle precise prospettive interpretative.
Le diverse prospettive a cui si fa riferimento sono portatrici di discorsi sull'uomo, di
antropologie, che hanno come portavoce autori ben distinti nel panorama degli studi.
Tra essi, si pensi a Clara Gallini, collaboratrice di Ernesto De Martino, la cui analisi delle
feste nella Sardegna centrale, applica i concetti fondanti del maestro su una terra di confine
che nel periodo della ricerca viveva ampie trasformazioni socio-economiche, sotto la spinta
dell'industrializzazione, le prime tracce del turismo di massa e le politiche nazionali sempre
più burocratizzanti i rapporti tra istituzioni e comunità. Nonostante ciò le comunità
dell'interno salvavano le proprie forme culturali di esistenza anche grazie alla partecipazione
attiva che si esplicitava durante le feste, mostrando più che una resistenza organizzata una
volontà di promuovere e trasmettere istanze culturali che avevano contraddistinto il proprio
vivere insieme, al di là delle differenze di status o di provenienza. In questo modo esse
riproducevano un sistema culturale complesso secondo ordini e regole che fondavano (e forse
fondano ancora nell'ambito del ricordo mitologizzato) la rete delle comunità che intorno alla
festa concentravano speranze e delusioni, dissensi e accordi, volontà di confronto e scontro in
base alle regole che la cultura locale aveva consolidato. Il libro Il Consumo del sacro, Feste
lunghe di Sardegna ci introduce in questa dimensione festiva altamente articolata e codificata
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e sarà un primo passo verso il tentativo di approccio di analisi della festività sassarese.
Per una visione, è il caso di dirlo, dell'analisi estetica delle feste, in cui è la vista il principale
operatore discente e discernente i fenomeni culturali festivi, ci si propone di attingere dalle
riflessioni di un antropologo contemporaneo che attraverso uno strumento tecnico, la
macchina fotografica, ci permette di approfondire gli elementi che contraddistinguono
esperienze culturali multisensoriali come le feste popolari, a partire dal senso che primo fra
tutti è il primario strumento di conoscenza nella ricerca sul campo. Seguendo un percorso che
ricostruisce l'importanza che la fotografia ha avuto nell'ambito della ricerca antropologica fin
quasi dai suoi esordi, Francesco Faeta nel libro Le ragioni dello sguardo, ci conduce ad
esplorare le modalità attraverso cui si è tentato di conoscere l'alterità culturale o
gramscianamente le culture subalterne. Rielaborando la storia dell'antropologia italiana nelle
“indie di quaggiù”, vale a dire il mezzogiorno italiano, l’autore ci propone una rilettura delle
esperienze demartiniane attraverso l'analisi riflessiva dell'operazione politico-culturale che
investiva quelle ricerche in cui la fotografia ebbe un ruolo non di secondo piano. Inoltre le
indagini condotte dall'autore su alcune feste in Sicilia e in Calabria, ci aiutano a meglio
comprendere come le funzioni simboliche ed estetiche siano mediate anche dalla sua protesi
tecnologica, la macchina fotografica, impegnata a restituire senso (costruendolo nel momento
in cui ne si coglie un frammento) e a decifrare la dimensione emotiva che nel corpo si rende
visibile. Così anche il rapporto degli attori sociali con le immagini di sé come agenti culturali
e nel rapporto con i simboli, immagini potenti, che si prestano alla continua manipolazione e
alla altrettanto preponderante salvaguardia in nome dell'identità del corpo sociale.
Quest’approccio tornerà utile quando analizzeremo le modalità di svolgimento e
partecipazione della festa della “Faradda” a Sassari soprattutto per quanto riguarda il rapporto
con gli strumenti principali della festa, le colonne lignee, trasportate a braccia dai portatori
delle confraternite ma anche nel rapporto corporeo tra protagonisti e spettatori e simboli della
festa.
E' importante rilevare come sia necessario individuare dei ruoli specifici caratterizzanti il
grado di partecipazione alla festa e come nel proprio contesto si palesi la possibilità di
riorganizzare e autorganizzare la comunità che si attiva durante le fasi della cerimonia. Uso
dei concetti che un sociologo italiano Gianliugi Bravo, applica nell'analisi di alcune feste delle
vallate piemontesi su cui indaga per sviscerare le funzioni che tali feste di origine contadina
hanno assunto nella contemporaneità in rapporto alle trasformazioni socio-economiche del
luogo. Nel libro Festa contadina e società complessa, il sociologo propone alcune prospettive
chiave che rimandano ai concetti di “complessità attraverso il rumore” presentati dal biofisico
Atlan in cui lo sviluppo tecno-economico della società e le sue conseguenze sono affrontate
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dalle comunità attraverso i processi di riorganizzazione del tessuto valoriale sociale,
sfruttando come momento contestuale fondamentale il periodo, il luogo, i simboli, i valori
della festa. La festa quindi funziona come risposta della comunità agli stimoli che l'ambiente
(influenzato dai modelli urbani di esistenza) produce, e attiva modelli di comportamento
ritualizzati che hanno la capacità di assorbire, plasmare, ordinare il “rumore”, vale a dire le
differenze culturali e le interferenze socio-comportamentali che potrebbero disturbare la
coesione del sistema di origine, quello contadino artigianale delle vallate.
Un altro modello di analisi correlato al primo che propone Bravo, permette la
categorizzazione degli attori presenti alla festa. Attraverso la divisione della popolazione per
sesso e per età e soprattutto per occupazione lavorativa, l'autore mette in evidenza, mutuando
il concetto dalle analisi socio-economiche di impronta marxista, alcune formazioni sociali che
contraddistinguono il sistema societario su cui si indaga. A queste formazioni, cui corrisponde
un tipico modello di produzione e di rapporti sociali diversificati, appartengono gli attori che
partecipano alla festa, inseriti secondo il loro grado più o meno attivo di presenza agente.
Pertanto si avranno gli spettatori, gli attori e gli organizzatori della festa. Tali
categorizzazioni, tenteremo di verificare, potrebbero essere utilizzate anche nell'analisi della
festa sassarese. Ad essa si potrebbe applicare anche il concetto di “pendolarità” che assume la
diversificazione dei vissuti dei partecipanti che nella società complessa sono inseriti in
svariate formazioni sociali costituite da comportamenti, regole, visioni della vita e del mondo
che possono risultare in contrasto tra loro. Questo può essere uno dei motivi per cui si genera
rumore e la festa è il luogo dove il rumore si trasforma in nuovo ordine armonico, non
trascurando che grazie al ruolo di mediazione della festa, essa stessa nel momento in cui
trasforma, traduce e riordina è a sua volta oggetto di trasformazione. Da qui la necessaria
riorganizzazione del tessuto sociale attraverso il rito.
Una prospettiva affascinante è quella espressa da Berardino Palumbo nel suo libro L'Unesco e
il campanile, dove propone, attraverso una ricerca etnografica nella Sicilia sud-orientale,
l'analisi delle feste di un paese (Catalfaro) in cui sono esplicitate le dinamiche di contesa
politica e di fazione tra i due gruppi rappresentativi del tessuto sociale che si riferiscono alle
due parrocchie del luogo. Queste contese sono descritte alla luce di un più ampio esame
analitico-critico della interpretazione, manipolazione, oggettivazione e gestione dei beni
culturali dell'area, determinata da retoriche classificatorie localistiche, indici di un esercizio
pratico della strumentalità a cui, ciò che viene considerato bene culturale, è assoggettato.
L'analisi del processo di formazione e oggettivazione del bene è colto nella sua dimensione di
oggetto del contendere, simbolo identitario conflittuale e anche motivo di confronto rispetto
alle ideologie ufficiali di un organismo come l'Unesco, volto a valorizzare i beni culturali in
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senso universalistico. Ciò favorisce una ulteriore conferma dell'applicazione di categorie
classificatorie arbitrarie che si mantengono al riparo delle conflittualità che spesso possono
sorgere, invece, in contesti locali già caratterizzati da una forte competizione per le risorse
materiali e immateriali. Il bene culturale diviene quindi oggetto di analisi localistica da parte
dei gruppi di potere che ne intendono sfruttare il potenziale economico allo scopo di acquisire
una identità universalistica che un organismo sovranazionale può riconoscergli. L'antropologo
decostruisce il processo di oggettivazione e assume un ruolo critico-partecipativo al fine di
svelare il non-detto, l'occulto della negoziazione sociale intorno a ciò che rappresenta la
storia, la memoria, la cultura di specifici gruppi umani. L'analisi è condotta con una prudenza
metodologica che non pretende di opporsi alle costruzioni immaginarie dell'identità culturale
ma piuttosto intraprende un percorso conoscitivo a partire proprio da quegli elementi materiali
della cultura oggetto della ricerca (simulacri, documenti, chiese, ecc.) che sono i luoghi fisici
e simbolici in cui si esercitano gli attori sociali nella loro perdurante competizione per
affermare una propria verità, un proprio discorso determinante la realtà e latore di senso. Gli
attori sono gli artefici del micromondo mentale e materiale che s’inserisce nella dimensione
globale della vita contemporanea, sono le voci, i gesti, i motteggi, gli sguardi, i documenti che
permettono al ricercatore di comprendere alcune delle dinamiche di rete che strutturano la
società umana. Queste sono prezioso ausilio per delle ampie connessioni con una realtà ben
più vasta in cui fenomeni fluidi e complessi s’intersecano, si confondono, si contrappongono.
L'analisi del potere è condotta nell'intenzione di cogliere le espressioni dell’ufficialità locale
come di quella nazionale in questa dimensione policroma e multiforme del contesto
contemporaneo investendo l'antropologia di una missione critica che vede essa stessa
implicata nella costruzione del senso fino a diventare oggetto d’indagine non ultimo e sempre
presente, accogliendo così la lezione riflessiva inauguratasi nella seconda metà del '900.
Si tenterà di applicare alcune delle prospettive dell'autore alla festa di Sassari soprattutto per
ciò che riguarda gli aspetti competitivi del rito e della sua specifica fase di espressione
popolare di contatto-scontro simbolico con l'autorità politica ufficiale. Inoltre si proverà ad
accennare alle contese ideologiche che vede protagonisti nell'attualità i gremi cosiddetti
maggiori con quelli definiti minori. Per dare sostanza a tali indagini sarebbe necessaria una
ricerca sul campo di lunga durata ma si proverà a delinearne i motivi e i modi del contendere
attraverso l'analisi delle cronache riferite nel quotidiano più autorevole del nord Sardegna, La
Nuova Sardegna.
Il contributo di Maurizio Del Ninno completerà il quadro teorico di riferimento accogliendo
alcune delle analisi strutturaliste svolte dall'autore circa la celebre festa della Corsa dei Ceri di
Gubbio. Questa festa che vede alcune analogie immediate con quella dei Candelieri di Sassari,
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risulta di grande importanza anche nello sviluppo delle due feste nella dimensione
contemporanea. Infatti, tra le due città c'è stato recentemente un gemellaggio che ha avviato
una rete culturale di connessione e scambio che ha permesso di attivare un progetto di
valorizzazione e patrimonializzazione delle feste, costituendo un consorzio anche in
collaborazione con altri centri che hanno dato luce all'associazione delle città con feste con le
macchine a spalla.
Per quanto riguarda l'analisi di Del Ninno è sicuramente degna di nota la dialettica che
intercorre tra gli aspetti storici e mitologici della festa dei Ceri, caratteri che
contraddistinguono nella loro dimensione fondativa tutte le festività ma che l'analisi
strutturalista col suo metodo riesce a far emergere con puntualità, laddove il senso di alcuni
dettagli o elementi risulta occulto o poco problematizzato.
Nel capitolo successivo si proporrà un'analisi della Festa di Sassari, ricostruendone una breve
storia e soffermandosi su alcuni articoli e pubblicazioni che hanno promosso una lettura della
cerimonia e dei suoi protagonisti storici: i gremi. Diversi autori aiuteranno a definire le
caratteristiche specifiche del rito, la sua origine, i suoi simboli, i suoi attori protagonisti e i
suoi partecipanti. Primi fra tutti i due antropologi dell'università di Sassari che se ne sono
occupati, Mario Atzori e Maria Margherita Satta ma anche gli studiosi e gli eruditi del passato
che hanno contribuito a costruire l'immagine definitoria della festa stessa grazie alle proprie
indagini: Enrico Costa è certamente uno fra i più importanti insieme con Pasquale Tola,
Vittorio Angius e altri. Non trascureremo gli importanti interventi di studiosi contemporanei
come Antonio Costanzo Deliperi, né le suggestioni raccolte negli articoli di Francesco
Alziator nonché Leonardo Sole e Giulio Angioni. Inoltre ci immergeremo nelle suggestive
ipotesi di Antonio Manca e Berto Ventura sui candelieri interpretati come riti falloforici e poi
andremo a curiosare nel libro fotografico di Marcello Saba insieme ai testi di Paolo Cau.
Per ultimo, un accenno a qualche documentario audio visivo sui Candelieri (quello di Renata
Demuru e di Salvatore Sardu).
Il terzo capitolo tratterà di una breve storia del gremio più importante che partecipa alla festa
della Discesa dei Candelieri, quello dei Massai e un accenno storico sulla costituzione
dell'associazione che raggruppa i gremi, l'Intergremio. Per la loro descrizione abbiamo avuto
come fonte principale una tesi di Laurea che affronta specificamente il tema, elaborata
nell'anno accademico 97/98 da Alessandro V ozzo, attualmente riconosciuto come lo storico
ufficiale dell'Intergremio. Inoltre ci siamo proposti di affrontare il riconoscimento UNESCO
della festa dei Candelieri come bene immateriale dell'umanità, in merito alle ultime notizie
che prevedono che tale riconoscimento sarà conferito durante il prossimo anno. In base a tali
notizie, desunte prevalentemente dai quotidiani locali, ci proponiamo di problematizzarne
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l'avvenimento, impegnandoci in una breve discussione.
Infine le riflessioni conclusive completeranno questo elaborato.
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Capitolo I
1.0 Il concetto di Festa
L'argomento centrale di questo elaborato è la Festa. Che cos'è la festa? Quali caratteristiche
distinguono tale momento da altri dell'esistenza dell'uomo e delle società? Aiutiamoci
proponendo delle definizioni del concetto a partire dal Dizionario della lingua Italiana.
Guardo in casa e consulto un dizionario degli anni '70, il Sandron, che nel periodo del liceo è
stato un prezioso compagno di studi e cerco “Festa”. A pagina 742 il dizionario recita così:
“Giorno nel quale si celebra una solennità religiosa [...]”. Un secondo significato invece
descrive la festa come “celebrazione di una ricorrenza familiare[...]”. Un terzo significato di
tipo figurativo propone invece “ grande letizia che si esprime con vivaci manifestazioni[...]”.
Dei tre significati riportati, il primo e l'ultimo sono di grande interesse. Innanzitutto la festa è
vissuta come momento legato all'espressione della religiosità di una società e in secondo
luogo tale momento è caratterizzato da sentimenti di gioia, letizia, vivacità. Religione e gioia
sono due termini chiave che permettono una lettura immediata della festa argomento di questo
scritto: “La Faradda di li Candareri” (La discesa dei Candelieri) di Sassari.
Il dizionario arancione degli anni 70 non ci permette di decostruire con accuratezza il concetto
di festa e ci lascia un po' delusi. Come può l'antropologia aiutarci a definire meglio questo
termine-concetto?
Durante la preparazione di alcuni esami avevo avuto interesse per l'acquisto di un dizionario
antropologico che fosse di aiuto per accedere con celerità ad alcune definizioni teoriche che
gli studi antropologici proponevano riguardo svariate pratiche culturali, correnti
metodologiche e studiosi. Ecco che a tal proposito il Dizionario di Antropologia Zanichelli,
curato da Ugo Fabietti e Francesco Remotti, edito nel 1997 e poi ristampato dal 2006 al 2009,
ci attrae inevitabilmente, alla ricerca di una definizione di Festa che si esplicita secondo una
prospettiva antropologica. Così a pagina 302, alla voce “festa” leggiamo:
“In ogni società lo svolgersi quotidiano e ripetitivo delle attività economiche e sociali ordinarie viene interrotto a
scadenze più o meno regolari da momenti di attività festose e celebrative, solenni e gioiose, in cui il
comportamento degli individui è regolato strettamente da norme cerimoniali oppure lascia libero sfogo a un
entusiasmo e a una licenziosità diffusa che non potrebbe esprimersi in alcun altro momento della vita sociale. Le
celebrazioni festive scandiscono quindi il trascorrere del tempo sociale, dando luogo a cicli, entro cui si
collocano sia fasi di vita individuale, sia attività economiche, sia il succedersi delle stagioni [...]”.
La definizione proposta dal Dizionario di Antropologia Zanichelli, ci aiuta, (c'era da
aspettarselo), nel comprendere più a fondo che cosa significhi “festa”. Prima di tutto si
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definisce la festa come momento di cesura temporale: il tempo del lavoro è interrotto dal
tempo della festa, la quotidianità è trasformata in tempo eccezionale, separato, appunto
festivo. Inoltre si fa riferimento ancora ai sentimenti che accompagnano gli attori sociali che
partecipano a questo momento speciale: è un momento gioioso, dove, però ci sono delle
norme da rispettare oppure delle norme che invertono il regolare ordinamento sociale solo per
il periodo circoscritto del momento festivo (il caso più noto è certamente il carnevale),
comunque caratterizzato da grande entusiasmo e allegria. Il tempo della festa “scandisc[e]
quindi il trascorrere del tempo sociale [...]”, tale tempo è inframezzato dal tempo festivo che
s’inserisce in quello sociale della quotidianità nel suo svolgersi attraverso le fasi della vita
dell'individuo (nascita, matrimonio, ecc.), le attività lavorative e il ciclico tempo naturale delle
stagioni.
Il tempo sociale è quello che viene definito secondo la prospettiva di Lanternari “il tempo
profano”, legato alle attività lavorative in contrapposizione con “il tempo sacro” quello
appunto della festa (La grande Festa, Lanternari, 1954). In questa contrapposizione in realtà si
assume il momento festivo come indispensabile momento ricreativo, momento “liberato”
dalle fatiche del quotidiano agire per produrre la sussistenza, momento quindi separato e per
questo “sacro”. Tale definizione argomentativa ci riporta a considerare l'aspetto religioso che
comprende le caratteristiche concettuali della Festa. Il momento di interruzione è reso sacro
perché la motivazione che spinge l'uomo e le società a celebrarlo è il desiderio di
ringraziamento, sia esso rivolto alla società che si sublima in qualche simbolistica
manifestazione culturale, sia che si rivolga alla divinità da cui ha origine il mondo della natura
da cui l'uomo si sente di provenire e a cui ritiene di appartenere. A essere ringraziato è quindi
l'ente divino per il raccolto, la buona caccia, nei tempi arcaici, la salute, la salvezza, il lavoro,
nei tempi moderni. Questa semplificazione non deve far pensare che oggi la festa sia motivata
da una semplice riproposizione di sistemi valoriali. I sistemi simbolici delle società connesse
con i costrutti valoriali che soggiacciono alle manifestazioni pratiche delle comunità umane
hanno attraversato la storia, in un processo trasformativo che in continue riplasmazioni ha
comunque mantenuto il suo legame con un principio primo a cui si riconduce l'esistenza. Se la
divinità compare quindi come destinatario principale della festa è perché nei secoli le società
hanno voluto esprimere il loro profondo ringraziamento per la vita esternalizzandolo verso
un'entità che si presume sempre presente e che i sistemi religiosi hanno di volta in volta
delineato, descritto, configurato. Ciò ha orientato le popolazioni verso culti il cui obiettivo
principale è spesso stato quello di entrare in contatto col divino per ingraziarsene i favori o
per omaggiare e ringraziare appunto, in virtù di qualche intercessione nelle crisi di esistenza
nel mondo, conclusesi con il ricevimento di una grazia.
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E' questo proprio il caso della Festa dei Candelieri di Sassari, che per un lungo periodo e
ancora oggi vede la città protagonista di una celebrazione imponente in cui si fa omaggio alla
Vergine Dormiente, di dieci colonne lignee decorate, portate a braccia da otto portatori e
seguiti da dieci cortei in cui sono rappresentate le dieci corporazioni di arti e mestieri, alcune
delle quali storicamente più antiche. Esse, nei primi del 1500, decisero insieme alle autorità
municipali di esprimere un voto alla Madonna per far cessare la peste che affliggeva la
comunità sassarese. La processione è la manifestazione visibile della promessa rivolta alla
Vergine, vale a dire quella di offrire la “cera”, materia preziosissima e costosa in quei tempi,
per ringraziarla della grazia ricevuta, la salvazione dalla peste e la rivivificazione del tessuto
sociale. Entreremo nei dettagli in seguito. Per ora basti considerare come tale festa si inserisca
con puntualità nelle cerimonie in cui il tempo profano è interrotto da quello sacro del
momento festivo e come la partecipazione popolare sia elemento caratteristico e fondamentale
della festa in cui si esprime l'entusiasmo e la gioia per lo scampato pericolo e in cui allo stesso
tempo si celebra la comunità nelle sue categorie sociali produttive nonché nel suo apparato
politico. Il sistema sociale produttivo incontra quello amministrativo e insieme sublimano la
comunità attraverso la festa, rinnovando un patto che mantiene unita la popolazione in virtù di
una devozione nei confronti della propria salvatrice che si esprime nel dialogo fisico, visivo e
simbolico con il simulacro della Vergine Dormiente.
La festa è quindi il modo con cui le comunità si esprimono, attraverso un insieme di pratiche
rituali, norme comportamentali, abbigliamenti, per rendere grazie dell'esistenza e celebrarne
la continuità, esortando tutti i membri del gruppo a essere uniti, compartecipare della gioia e
superare insieme le difficoltà dell'esistenza, godere dei prodotti del lavoro, sospendere le
inimicizie, rinnovare le alleanze e le confidenzialità, far maturare nuove progettualità future,
augurarsi il meglio dall'avvenire e propiziarlo grazie agli omaggi che si offrono al proprio
protettore, sia esso il Santo, la Vergine, o il Cristo. A questo proposito è utile fare riferimento
a una ricerca della studiosa Clara Gallini a proposito delle feste sacre, intese come feste con
sfondo e/o motivazione religiosa.