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INTRODUZIONE
Ogni giorno Tg e giornali riportano articoli in cui, ancora una volta, una donna è
stata vittima del proprio compagno. Proprio lui, che aveva giurato di “amarla e
onorarla, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, finché morte non
ci separi”. Una frase che sa quasi di lugubre previsione, se rapportata a certi fatti di
cronaca. A questi articoli ne seguiranno molti altri, in cui protagonista sarà la
“follia” di un uomo che spesso, troppo spesso, accamperà mille scuse per
giustificare il suo gesto. Della donna si parlerà poco e niente, a meno che il fatto
non assurga agli onori della cronaca. L’opinione pubblica, spenderà fiumi di parole
intorno ad una semplice domanda: “Cosa è scattato nella mente di quest’uomo?”
C’è un’altra situazione in cui la vittima è menzionata ancor meno. Tutti quei casi in
cui non si arriva alla morte. Vite che si trascinano, giorno dopo giorno, nel più
assordante silenzio. Nella vergogna per quel compagno che, magari da anni,
esercita ogni forma di violenza. Nell’omertà di chi sa, ma non vuole impicciarsi. Se,
per qualsivoglia motivo, una situazione del genere viene alla luce, si potrà assistere
alle più disparate reazioni della collettività. Da chi, in modo più o meno velato,
giustifica certi gesti; a chi proverà il più totale sdegno; a chi dirà anche qui: “Cosa è
scattato nella mente di quest’uomo?”; a chi, quasi con sollievo, dirà: “Beh è stata
fortunata, è ancora viva”; a chi, ancora pochi, si porrà una domanda davvero
difficile: “Cosa scatta nella mente di chi subisce?”.
Non ci si limiterà alla violenza unidirezionale uomo versus donna. La violenza non
ha sesso. Autori e vittime possono essere interscambiabili. Si prenderanno in
considerazione vittime e autori di ambo i sessi all’interno della relazione di coppia,
intesa come due persone unite da un vincolo amoroso.
Sebbene la violenza sulle donne sia diventato un fenomeno allarmante, per il quale
negli ultimi tempi si è coniato il neologismo “femminicidio”, non possiamo non
parlare della violenza delle donne sugli uomini, così come della violenza presente
nelle coppie omosessuali. È giusto e doveroso dar voce anche a queste vittime.
Uomini non violenti ma dipinti come tali, che subiscono soprusi dalle loro
compagne; donne considerate paranoiche se, dopo aver trovato (non senza
difficoltà e resistenze) la forza di denunciare una partner violenta, cercano aiuto;
uomini condannati a nascondersi tre volte: perché omosessuali, perché uomini
vittime di violenze, perché vittime di violenze da parte di un altro uomo.
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La scientificità degli studi condotti sulla violenza domestica è stata messa in
dubbio da più parti. Si fa notare che il fenomeno delle violenze uomo vs donna, più
che aumentare, sta emergendo. Diversi studi hanno definitivamente sfatato il mito
della violenza nelle famiglie disadattate; il più delle volte ci troviamo di fronte a
famiglie insospettabili. Sicuramente le rivoluzioni sociali che hanno investito il 20°
secolo, hanno modificato in modo importante l’assetto delle famiglie; la condizione
sociale delle donne è migliorata tanto; ma la conquista di nuove libertà sociali, non
sembra essere andata di pari passo con la conquista di nuove libertà culturali.
La violenza è poliedrica, camaleontica, si mimetizza, acquista molte volte il sapore
della normalità, spesso non è riconosciuta; né da chi dovrebbe approntare misure
efficaci per contrastarla, né da chi la subisce. Forse risiede in questo la difficoltà
delle istituzioni nell’affrontarla. Sono lodevoli le iniziative a livello locale e
nazionale per combattere quella che è una vera e propria piaga sociale. Importanti
le tutele a livello legale create negli ultimi anni, come ad esempio la L. 154/2001
“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” e la L. 38/2009 “Misure urgenti
in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema
di atti persecutori”, che si aggiungono alle precedenti norme in materia, quali l’art.
572 C.P. “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”; l’art. 609-bis C.P. “Violenza
sessuale”; l’art. 660 C.P. “Molestia o disturbo alle persone”; l’art. 612 C.P. “Minaccia”.
Eppure ancora oggi si fa fatica a distinguere tra violenza domestica e violenza di
genere. Ancora oggi molte donne sono restie a denunciare, così come lo sono (se
non di più) i loro partner o gli omosessuali. Le istituzioni (nonostante i lodevoli
passi avanti) non sono ancora pronte ad affrontare il fenomeno in modo “neutrale”,
pensando che “X” ha agito violenza nei confronti del soggetto “Y”, e che per questo
“X” va punito e “Y” va aiutato nel migliore dei modi, predisponendo per esso non
solo aiuti economici, ma anche e soprattutto sociali. Specialmente nei casi di
violenza psicologica o economica, in cui non sono presenti segni evidenti, le vittime
si ritrovano spesso sole, senza alcuna tutela; le istituzioni sembrano non riuscire a
farsi carico delle loro richieste di aiuto, nella maggior parte dei casi silenziose se
non addirittura autodistruttive.
Questo lavoro parte dal desiderio di dar voce alle vittime di violenza domestica,
dall’intento di analizzare il fenomeno dal loro punto di vista, dalla volontà di capire
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cosa succede a chi subisce violenza da parte di chi affermava o afferma ancora di
amarle.
Nel primo capitolo si esporranno le tipologie di violenza prese in considerazione.
La violenza non è solo fisica, ma anche psicologica/emozionale, economica,
sessuale, sociale. Può essere agita, subita o assistita. In ogni caso, lascerà segni nel
corpo e nell’anima. Farà sentire le sue conseguenze per anni.
Ogni tipologia, sarà osservata da un duplice punto di vista, quello psicologico e
quello giurisprudenziale, per cercare di offrirne un quadro sintetico e allo stesso
tempo esaustivo, che metta in luce come oggi lo Stato italiano affronta la materia.
Nel secondo capitolo, si tracceranno le linee guida della vittimologia. Si
presenteranno le diverse percezioni della vittima nel tempo. Si è passati da una
vittima sacralizzata, il cui sacrificio le attribuiva qualità divine, ad una vittima
valorizzata, vista come soggetto che deve non solo essere tutelato, ma anche
partecipare, in modo attivo, ai vari gradi del processo penale. Si esporranno le
teorie dei padri fondatori della disciplina: Mendelsohn e Von Hentig, e di alcuni
studiosi successivi: Wertham, Wolfgang, Sparks, Fattah, Gargiullo, Damiani, Ponti,
Gulotta, Nivoli. Saranno brevemente illustrate le differenze delle varie branche in
cui si articola la vittimologia: generale (umanistica e criminale) e clinica. Non
poche volte le vittime di violenza domestica vengono abbandonate a se stesse,
subiscono una seconda vittimizzazione, pesante tanto quanto (se non di più) quella
primaria. Si esporranno le differenze tra i due tipi di vittimizzazione e si farà un
breve accenno ai diritti delle vittime, in gran parte misconosciuti, sanciti dalla
“Dichiarazione dei Principi basilari di giustizia per le vittime di reato e di abuso di
potere”; nonché alle iniziative prese a livello europeo e nazionale per il sostegno
delle stesse.
Chi subisce violenza da una persona amata spesso si annienta per non sentire il
dolore, si incammina lungo la strada dell’annichilimento, si lascia “morire” nel
corpo e nell’anima. Troppo spesso ci si convince che bisogna sopportare, perché
“se lo hanno fatto altre/i, posso farlo anch’io”, perché “è sempre stato così”, perché
“è solo un momento, passerà”. E così oltre alle ferite fisiche”, ci si “attrezza” per
curare anche quelle dell’anima.
Nel terzo capitolo si analizzeranno le conseguenze, a livello psichico più che fisico,
che la reiterazione di questi reati comporta per la vittima.
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È frequente l’insorgenza di disturbi ansiosi e/o depressivi, in primis il c.d. Disturbo
post traumatico da stress (DPTS), ma anche la “Sindrome della donna maltrattata”
(Leonor Walker) e la simmetrica “Sindrome del marito maltrattato” (Suzanne
Steinmetz). Nell’affannosa ricerca di strategie per tenere lontano il dolore, capita
spesso che le vittime di violenza si abbandonino all’assunzione di alcool, droghe o
psicofarmaci. Da tempo si riconosce una correlazione tra i disturbi alimentari
(anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da abbuffate compulsive) e l’aver
subito violenze. Lo stato di eccitazione e di emergenza continua in cui viene a
trovarsi il sistema nervoso autonomo del soggetto sottoposto a violenze, comporta
l’insorgenza di risposte vegetative disfunzionali, note come disturbi psicosomatici.
Questi disturbi causano un significativo disagio nel funzionamento personale,
sociale, lavorativo, scolastico, familiare o affettivo delle vittime. Sono onnipresenti
nelle gelide giornate convissute con chi afferma di amarle e invece lentamente le
“uccide”.
Fortunatamente a volte “l’incantesimo” svanisce, le vittime prendono coscienza
che quello non è amore. Chiedono aiuto, per lo più in silenzio, per uscire dal
baratro. Se avranno la fortuna di incontrare qualcuno sul loro cammino, che saprà
cogliere ed ascoltare questo silenzio, potranno sperare in una ri-nascita, in una
nuova vita, così come è accaduto a Beatrice Lilli. Purtroppo a volte, come per
un’inesorabile pena del contrappasso, ri-nasceranno a loro volta carnefici. Come se
la mente umana si ribellasse a tanta violenza, e non trovando miglior sfogo si
sollevasse solo reiterandola, pensando: ”Ora dimmi cosa si prova a subire!”
Ne è un esempio Milena Quaglini.
Nel quarto capitolo si analizzeranno queste due storie, emblematiche di quanto
affermato. Partendo dalle testimonianze delle dirette interessate, si cercherà di
capire quali sono le motivazioni che inducono le vittime a non denunciare, il
pensiero dei diversi studiosi in merito, quali interventi occorre realizzare per
offrire loro il supporto migliore, e infine se si possa ri-nascere dopo tanta violenza
e in che modo questo avvenga. Non sempre si ha una ri-nascita positiva, a volte la
vittima diventa a sua volta carnefice. Si ripercorrano gli studi condotti sulla
delinquenza femminile e sui serial killer, cercando di analizzare il substrato socio-
psicologico su cui si innesta questo cambiamento di status e le successive modalità
operative, differenti da uomo a donna.
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Nel quinto ed ultimo capitolo, si darà voce alle vittime. Si raccoglieranno le loro
testimonianze, i loro dubbi, le loro paure e le loro speranze. Oltre alla trascrizione
di interviste rilasciate a programmi televisivi che si sono occupati del fenomeno
della violenza sulle donne, si riporteranno una serie di articoli, dai quali emerge
come la violenza domestica non abbia sempre come autore l’uomo e vittima la
donna, e come essa non sia un’esclusiva delle coppie eterosessuali.
Non possiamo esimerci dal raccontare queste vicende, perché non possiamo e non
dobbiamo più pensare che “i panni sporchi si lavano in casa”. Ci sono condotte che
devono essere punite. Non bisogna più addurre scusanti di ogni tipo nei confronti
della violenza, in qualunque forma essa sia declinata, e nei confronti di chiunque
sia esercitata.
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1. LA VIOLENZA DOMESTICA
La “banalità del male” è anche
limitatezza, mancanza di fantasia, ripetitività.
Sandra Filippini, Relazioni perverse
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la violenza come “l’uso
intenzionale della forza fisica o del potere, minacciata o attuata, contro se stessi,
un’altra persona, un gruppo o una comunità, che abbia un elevato grado di
probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o
deprivazioni”.
Essa può essere quindi auto-inflitta, si pensi al comportamento suicida o all’auto-
abuso (abuso di sostanze e/o inflizione di ferite e menomazioni al proprio corpo).
Può essere interpersonale, agita da un singolo nei confronti di un familiare o
estraneo; oppure collettiva, quando due gruppi si scontrano per motivi economici,
politici o sociali.
Ogni forma di violenza, a prescindere dalla tipologia cui essa può essere ascritta,
presenta un insieme di elementi che contribuiscono a definirla. Facciamo
riferimento al grado di pericolosità del soggetto che compie l’atto (personalità
antisociale, mentalità delinquenziale, comportamento occasionale);alla
premeditazione (preparazione accurata del proposito di commettere un crimine);
all’intenzionalità; alla preterintenzionalità (la realizzazione di una conseguenza
che va oltre l’intenzione dell’attore); alla scarsa visibilità di alcune sue forme; al
vissuto soggettivo dell’aggressore e della vittima. La violenza non sempre è la
conseguenza di una perdita di controllo da parte dell’aggressore. Essa è spesso
l’espressione di una sua chiara volontà di utilizzare strategicamente l’aggressione, in
una o più delle sue forme, per incutere timore al fine di dominare e controllare
l’altro.
1
Il termine violenza domestica (domestic violence), cui attualmente viene preferito
quello di Intimate Partner Violence (IPV), indica “ogni tipo di danno fisico o psichico
subito da una persona da parte di un familiare che, sfruttando un rapporto di potere,
viene a trovarsi in una posizione strutturalmente più forte” e comprende “minacce o
1
Gargiullo, B. C., & Damiani, R. (2010). Vittime di un amore criminale - La violenza in famiglia:
natura, profili tipologici, casisitica clinica e giudiziaria. Milano: FrancoAngeli. (p.19)
9
atti di violenza fisica, psichica o sessuale agiti all’interno di un rapporto familiare o
di coppia presente o passato”.
2
Non deve esser confusa con la violenza di genere. È violenza di genere (o “contro le
donne”) “qualsiasi atto di violenza che comporta, o è probabile che comporti,
sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla
donna, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie
di privazione della libertà personale sia che si verifichino nel contesto della vita
privata che di quella pubblica”. (Conferenza mondiale delle Nazioni Unite; Vienna
1993). La violenza di genere può costituire una delle manifestazioni di quella
domestica, ma certamente non si identifica né si esaurisce in essa.
3
La violenza domestica è posta in essere da parte di un familiare nei confronti di un
altro familiare. Autore e vittima, può essere non solo il partner, ma anche il figlio, il
fratello/sorella, il genitore, o altro componente, anche della c.d. famiglia allargata
(genero, nuora, cognata/o, figli acquisiti, suoceri). Sono stati rilevati casi in cui essa
è stata indirizzata anche ad estranei, coinvolti nel conflitto domestico. Può
avvenire all’interno di qualsiasi tipo di coppia (sia etero sia omosessuale); ogni
fascia di età; gruppo etnico; classe sociale. Nella maggior parte di casi ci troviamo
di fronte a “famiglie insospettabili”. La violenza domestica è tale a prescindere dal
luogo e dalla forma in cui essa si manifesta.
Sono forme di violenza la:
Negligenza psicologica (per esempio: indifferenza, continue dimenticanze,
promesse non mantenute, freddezza);
Trascuratezza fisica (per esempio: minimizzare o ignorare del tutto i
problemi di salute fisica dell’altro, non preoccuparsi sufficientemente della
sicurezza familiare);
Abuso psicologico/emozionale (per esempio: umiliare, colpevolizzare,
controllare azioni e decisioni, trattenere illecitamente informazioni
personali, sminuire, criticare, isolare, limitare l’autonomia);
Molestia sessuale (per esempio: battute e prese in giro a sfondo sessuale
anche in presenza di estranei, battute volgari, atti osceni, richieste
insistenti e/o ricattatorie di rapporti sessuali; richieste di natura perversa);
2
Ibidem (p.17)
3
Bacciconi, M., & Martucci, P. (2011). Il maschio come vittima - Prime riflessioni su di un aspetto poco
noto della violenza domestica. Cierre. (pp.8-9)
10
Violenza psicologica/emozionale (per esempio: atti di vandalismo, minacce
fisiche, accuse infamanti, maltrattamento di animali domestici, minacce di
abbandono, comportamenti persecutori, ridicolizzazione dei valori e della
fede religiosa, induzione a comportamenti contrari alla morale comune). In
questo tipo di violenza rientra l’ipercuria (cura eccesiva di un minore
rispetto ai suoi reali bisogni fisici ed educativi), la sindrome di Munchausen
(produzione e simulazione di sintomi fisici e/o psichici per attirare su di sé
l’attenzione altrui mediante continue ricerche cliniche e inutili ricoveri
ospedalieri), la sindrome di Munchausen per procura (sottoporre una
persona a periodiche visite specialistiche per sintomi indotti o inventati dal
familiare richiedente) e la sindrome di Ganser (frequente in detenuti in
attesa di giudizio, ma riscontrabile anche in soggetti isteroidi che simulano
una patologia psichiatrica per costringere l’altro, per esempio, a non
chiedere la separazione);
Violenza economica (per esempio: controllo delle entrate finanziarie,
impedire decisioni su acquisti di beni e servizi, costringere ad abbandonare
il lavoro, ostacolare la ricerca di un lavoro fuori casa, indebitare il partner
per far fronte alle proprie inadempienze). Spesso trova la sua
giustificazione nel fatto che da sempre è l’uomo che gestisce le finanze della
propria famiglia;
Violenza fisica (per esempio: schiaffeggiare, graffiare, mordere, soffocare,
colpire con oggetti, tirare per i capelli, prendere a pugni e/o a calci,
ustionare con sigarette e/o con oggetti arroventati, ferire con oggetti o con
l’uso di armi). La gravità delle lesioni può variare da ematomi, escoriazioni,
ossa e denti rotti a lesioni permanenti (invalidità) fino alla morte;
Violenza sessuale (per esempio: aggressioni sessuali, stupro, incesto,
costringere a comportamenti sessuali perversi, incitamento alla
prostituzione, sfruttamento sessuale mediante la prostituzione e/o la
produzione di materiale pornografico);
Stalking (forma di aggressione psicologica, e non di rado anche fisica,
messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva,
indesiderata e distruttiva nella vita privata della vittima con gravi
conseguenze fisiche e psicologiche);
11
Omicidio o tentato omicidio
4
(comportamento violento che può causare,
deliberatamente o meno, la morte di un familiare, del partner o dell’ex
partner).
5
A questo elenco occorre aggiungere la c.d. violenza assistita, costituita da una serie
di atti di violenza fisica, psicologica nonché verbale posta in essere dal suo autore
nei confronti ora del coniuge ora dei figli ed alla quale entrambe le vittime sono
spettatori inerti.
6
Harald Ege
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, inoltre, parla di “violenza sociale” o “violenza ai contatti sociali”. In
questa forma di violenza, i contatti sociali della vittima vengono violati, aggrediti,
vietati o distrutti. L’obiettivo è quello di poter disporre esclusivamente della
vittima. La si isola, per evitare che quest’ultima possa apprendere nuove idee o
opinioni capaci di minacciare l’opinione che l’aggressore ha di se stesso e che vuole
in tutti i modi inculcarle. Si parla di violenza sociale anche quando il partner teme
che la fedeltà del coniuge sia troppo a rischio e per questo cerca di limitarne o di
evitarne i contatti con l’altro sesso.
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1. La violenza fisica
La forma di maltrattamento
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che più spesso si verifica in ambito familiare, in
particolar modo tra partner (utilizzerò questo termine riferendomi non solo a
coniugi e conviventi di coppie eterosessuali, ma anche omosessuali) è sicuramente
4
In questo lavoro non si prenderanno in considerazione i casi che hanno avuto come esito la morte
della vittima.
5
Gargiullo, B. C., & Damiani, R. (2010). Vittime di un amore criminale - La violenza in famiglia:
natura, profili tipologici, casisitica clinica e giudiziaria. Milano: FrancoAngeli. (p.19-21)
6
Questo tipo di violenza non sarà esaminata nel prosieguo del lavoro, consapevoli che esso merita
una ben più ampia trattazione. (F. M. Zanasi, Violenza in famiglia e stalking. Ed Giuffrè 2006; in
Principia Iorio, A. L. (2010). Maltrattamenti in famiglia. Roma: UniversItalia. (p.19)
7
Harald Ege - Psicologo specializzato in psicologia del lavoro e dell’organizzazione; professore a
contratto presso l’Università Politecnica delle Marche; consulente tecnico di vari tribunali; autore di
un originale metodo di valutazione del mobbing a fini giuridici risarcitori.
8
Ege, H. (2010). Al centro della persecuzione - Analisi, conseguenze e valutazioni del comportamento
persecutorio. Milano: FrancoAngeli. (pp. 156-157)
9
Il termine è sinonimo di mortificazione; cioè attività atta a provocare nel soggetto passivo, una
continua situazione di sofferenza “fisica e/o morale, con effetti di prostrazione e avvilimento, allo
scopo di sottolineare la supremazia di un individuo su un altro. In Principia Iorio, A. L. (2010)
Maltrattamenti in famiglia. Roma: UniversItalia. (p.7).