4
spingono il risparmiatore ad investire all’estero, piuttosto che
trattamenti fiscali favorevoli che non permetterebbero certo una
efficiente allocazione dei capitali a livello internazionale. Ecco
allora che trovano giustificazione tutti gli sforzi della Commissione
Europea volti a garantire una armonizzazione in materia fiscale
nell’ambito europeo. Sforzi che andavano di pari passo col processo
di liberalizzazione dei movimenti di capitale, completato nel 1998
con la direttiva del Consiglio n.88/361.
Certo, si è fatto molto in questo senso rispetto alla prima
proposta di direttiva in materia di armonizzazione fiscale del 1989,
(tra l’altro bocciata dal consiglio) ma non abbastanza, soprattutto in
virtù del fatto che la terza fase dell’UEM permette l’eliminazione
dei rischi di cambio all’interno dell’Unione Europea, rimuovendo
quindi una ulteriore barriera alla piena mobilità dei capitali.
D’altra parte non è facile accordare i diversi Stati membri, ai
quali è richiesta una quantomeno “parziale”, rinuncia alla sovranità
in materia fiscale ai fini di una unificazione e parificazione dei
trattamenti fiscali sui capitali in Europa.
Malgrado non riescano ad ottenere l’unanimità all’interno
della Commissione Europea, i singoli Stati membri hanno coscienza
del problema, ed in attesa di una, da tutti auspicata armonizzazione
in materia, si sono adoperati per prendere provvedimenti validi
all’interno dei confini nazionali, formulando norme fiscali che non
rendano la tassazione troppo onerosa se confrontata con quella di
altri Stati membri (ai fini di evitare fughe di capitali).
Anche l'Italia, certo non per prima, si è mossa in questa
direzione giungendo, col decreto legislativo 461/97, ad una vera e
propria riforma fiscale delle attività finanziarie che, ovviamente,
5
interessa anche gli operatori del risparmio gestito. Tale riforma,
infatti, basandosi sulla concentrazione dell’accertamento e del
prelievo presso gli intermediari, intende perseguire l’obiettivo della
semplic ità di gestione, nonché quello della neutralità
dell’imposizione fra i diversi strumenti finanziari.
L’obiettivo è dunque quello di pervenire ad una forma di
tassazione dei redditi di capitale che sia omogenea, neutrale,
organica, competitiva rispetto ai livelli di tassazione prevalenti
negli altri paesi europei, e non soggetta ad elusione o evasione. Ai
fini del raggiungimento dell’obiettivo della neutralità, si è ridotto il
numero di aliquote per le ritenute alla fonte a due (sia sui redditi di
capitale che sulle plusvalenze), rispettivamente del 12.50% e del
27%. Tuttavia, una perfetta neutralità del regime impositivo si
sarebbe potuta raggiungere solo ricorrendo ad un’aliquota
d’imposta unica su tutti i redditi di capitale. Le motivazioni alla
base di tale scelta sono legate a vincoli specifici della realtà italiana:
le attuali condizioni della Finanza pubblica impediscono, da un lato,
un inasprimento del prelievo sui titoli di Stato (vincolo del debito
pubblico) e, dall’altro richiedono una invarianza delle entrate
tributarie (vincolo del gettito).
Quindi, come espresso nella relazione al decreto legislativo
461/97, le modifiche più incisive dovrebbero avvenire nel medio
periodo quando, col miglioramento delle condizioni della finanza
pubblica, sarà possibile compiere il passaggio ad un’aliquota unica
per tutti i redditi finanziari.
In Europa il panorama degli ordinamenti fiscali in materia si
presenta si presenta a dir poco variegato; si riscontrano differenze
nelle aliquote, nel tipo di redditi tassabili e nelle modalità di
6
applicazione delle imposte. Ciò permette di realizzare vantaggi
fiscali per gli investimenti effettuati da risparmiatori in un paese
europeo diverso da quello di residenza, considerando anche il fatto
che per i non residenti1 è previsto un differente, e più favorevole,
regime tributario.
Alla luce di tutto questo, il lavoro prende in considerazione in
primis un inquadramento generale del risparmio gestito, dei suoi
strumenti e della sua evoluzione, poi si passerà all’esposizione della
tassazione in Italia del risparmio gestito con particolare riferimento
alla riforma in materia attuata col d.lgs. 461/97 ed al suo impatto
con i progetti di armonizzazione in sede europea, nonché della sua
rilevanza economica in termini di equità, efficienza e gettito.
In seguito, dopo aver messo in evidenza la rilevanza del
fattore fiscale nella Unione Europea, considerando il processo di
armonizzazione e l’introduzione di un’unica unità di conto, si
illustrerà la disciplina fiscale in materia di risparmio gestito nei
principali paesi europei, anche attraverso un’analisi che si propone
di evidenziare i vantaggi fiscali realizzabili all’interno dell’Unione
Europea.
1
Non residenti esendo i cittadini comunitari di altri Stati membri.
7
Capitolo 1
Il risparmio gestito.
1. Cosa si intende per risparmio gestito.
Il risparmio gestito è la quota di accantonamento personale
affidata dal risparmiatore ad uno o più gestori professionali che,
nell’ambito di un mandato ricevuto, provvedono ad amministrare le
risorse loro conferite2.
Il risparmio gestito è la forma più evoluta di investimento a
disposizione dell’operatore famiglia: consente di soddifare, da un
lato, le necessità finanziarie della famiglia, (previdenza, crescita del
capitale, conseguimento di rendite ecc.), dall’altro quelle del
mercato dei capitali (maggiore efficienza nell’allocazione di risorse
tra coloro che raccolgono capitali per finanziare la propria attività).
L’industria italiana del risparmio gestito, da sempre piuttosto
debole, ha mostrato nel 1996 concreti segni di svolta. Una spinta
considerevole è giunta dal sistema bancario: le banche hanno
constatato che c’è convenienza ad aumentare la distribuzione dei
servizi di gestione del risparmio tramite i loro sportelli. Non è stato
un processo di facile attuazione; gli intermediari creditizi hanno
dovuto subire una drastica riduzione dei profitti, causata dal calo di
redditività della tradizionale attività: l’erogazione di prestiti,
finanziati dalla raccolta di risorse finanziarie tramite depositi.
2
Cfr. “Manuale del risparmio gestito”, F. Metelli, Milano 1998, pag. 37.
8
Nonostante la forte crescita, cui si è assistito negli anni ’90, la
quota del risparmio gestito in Italia è ancora bassa se confrontata
con quella dei principali paesi industrializzati. Una ragione sta nel
fatto che gli strumenti del risparmio gestito, sono stati ammessi nel
nostro sistema finanziario (e regolamentati dal legislatore) in tempi
recenti. I fondi comuni d’investimento, uno dei classici veicoli di
canalizzazione del risparmio, sono stati introdotti nel nostro
ordinamento nel 19833 ed hanno dovuto affrontare alcuni anni di
difficile avviamento. Altre forme, già da tempo esistenti all’estero
con successo, sono state riconosciute solo nei primi anni ’904 ed
altre ancora attendono che il legislatore intervenga5.
Certo, la situazione del mercato finanziario italiano,
totalmente dominata dai titoli di Stato, non ha favorito la domanda
di prodotti alternativi e l’offerta si è guardata bene dall’esplorare un
mercato che, di fatto, non ha mai avuto serie ragioni per decollare. I
bisogni pensionistici sono sempre stati soddisfatti dallo Stato ed il
cittadino non ha mai avvertito la necessità di pensare al proprio
futuro, di accumulare un capitale che gli garantisse la la serenità
economica. La situazione è mutata in poco tempo: il rendimento dei
titoli di Stato è bruscamente sceso e con esso anche il loro
3
Con la Legge del 23 marzo 1983, n.77 “Istituzione e disciplina dei fondi
comuni d’investimento mobiliare”.
4
Come ad esempio le Sicav, con il d. lgs. 24 gennaio 1992, n. 84 “Attuazione
delle direttive n. 85/611/CEE e n. 88/220/CEE, relative agli organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari operanti nella forma di società di
investimento a capitale variabile (SICAV)”; i fondi comuni d’investimento
mobiliare chiusi, con la Legge n. 344, del 14 agosto 1993 “Istituzione e
disciplina dei fondi comuni d’investimento mobiliare chiusi”; i fondi comuni
d’investimento immobiliare chiusi con la Legge 25 gennaio 1994, n. 86
“Istituzione e disciplina dei fondi comuni d’investimento immobiliare chiusi”.
5
Come le gestioni patrimoniali individuali, per le quali non c’è disciplina
specifica ma ci si riferisce alle norme sul mandato.
9
gradimento6, i sistemi pensionistici sono andati in crisi (non solo
nel nostro Paese). Il risparmiatore è chiamato a una gestione più
oculata dei propri risparmi ed il fai-da-te del risparmio
amministrato non è più sufficiente.
Fra gli strumenti del risparmio gestito spiccano, per
diffusione ed importanza, le gestioni patrimoniali individuali, quelle
collettive (fondi comuni e Sicav), i prodotti assicurativi ed i fondi
pensione. Per quanto riguarda le gestioni patrimoniali individuali, il
“contratto di gestione”, non è specificatamente disciplinato dalla
normativa, per cui è necessario riferirsi alle norme che regolano il
mandato.
In sintesi il cliente (mandante) conferisce un incarico
(mandato) ad un soggetto autorizzato (mandatario) in base al quale
lo autorizza a gestire in suo nome e per suo conto una certa massa
di denaro (conferimento)7.
Il risparmiatore, quindi, rinuncia ad effettuare direttamente
decisioni di compravendite ed effettuazione dei relativi ordini, bensì
si affida all’esperienza diun soggetto che compie tale attività in
modo “istituzionale”. Ne consegue che il rapporto fiduciario che
lega cliente ed intermediario è fondamentale; tuttavia esiste una
distinzione tra due tipologie di mandato:
- Gestioni con preventivo accordo: ogni atto deve essere
esplicitamente autorizzato dal cliente prima della sua
6
Il “16° rapporto sul risparmio e sui risparmiatori in Italia”, condotto da
BNL/Centro Einaudi, a tal proposito evidenzia che nel 1990 i possessori di
titoli di Stato risultavano essere il 38,8% del loro campione, poi nel 1997 la
percentuale è scesa al 32,2%, per poi precipitare al 25,4% del campione nel
1998, confermando la tendenza al declino dei titoli di Stato.
7
Cfr. “Manuale del risparmio gestito”, F. Metelli, Milano 1998, pag. 38.
10
esecuzione; in realtàtutto si riduce ad un semplice atto di
custodia;
- Gestioni senza preventivo accordo: il soggetto mandatario
non è tenuto a cercare l’assenso del cliente ad ogni
decisione di investimento o di disinvestimento. E’ questo
l’ambito vero e proprio della gestione, quello in cui si può
(e si deve) manifestare l’intervento del professionista.
C’è da dire che si sono diffuse le clausole, volte ad istituire
specifici limiti all’investimento o a imporre particolari direttive:
così, ad esempio, il cliente potrà impartire istruzioni che sanciscono
limiti massimi d’esposizione (non più di una certa percentuale
dititoli denominati in valuta estera; non meno di una certa
percentuale di titoli azionari italiani ecc.). Siamo nel campo della
gestione senza preventivo accordo: il gestore è tenuto al rispetto dei
vincoli definiti, ma, per il resto, si muove liberamente.
Quando invece, il conferimento effettuato dall’investitore
perde i connotati dell’individualità (cioè non è registrato su un
apposito conto intestato al singolo investitore e non è gestito in
modo personalizzato), significa che esso partecipa a una gestione
collettiva. Questa può essere assimilata ad un “contenitore” che può
assumere forme giuridiche diverse ma che, in ogni caso, funziona
nello stesso modo: il risparmiatore partecipa a un patrimonio
indistinto che fa capo a una collettività di risparmiatori; il gestore
compie atti di compravendita sul totale del patrimonio, senza
riguardo alle specificità dei singoli che non possono, come nel caso
11
precedente, impartire specifiche istruzioni o imporre determinati
limiti operativi8.
Vediamo ora brevemente le varie forme di gestione collettiva
a cui ha accesso il risparmiatore.
La legge 77/19839 sancisce la nascita dei fondi comuni di
investimento mobiliare aperti di diritto italiano; già prima, nel
nostro paese, erano distribuiti fondi comuni, ma si trattava degli enti
di diritto lussemburghese10. Essi sono definiti “aperti” perché il
numero degli investitori, e quindi il capitale impegnato, non sono
fissi ma possono variare ogni giorno in base alle nuove decisioni di
investimento o alle eventuali decisioni di disinvestimento;
semplicemente, il fondo provvede ad emettere le cosiddette “quote”
che sono rappresentative del patrimonio, calcolato valorizzando al
prezzo corrente tutti i valori posseduti.
I soggetti coinvolti sono:
1) I sottoscrittori, che effettuano l’investimento nel fondo;
2) La società di gestione, che gestisce operativamente
l’investimento, ma non ha la disponibilità materiale dei titoli e
della liquidità;
3) La banca depositaria, che ha questa disponibilità, ma non
partecipa alle decisioni d’investimento.
Il patrimonio del fondo è la somma dei patrimoni dei singoli
investitori; la legge11 stabilisce che il patrimonio del fondo sia
8
Cfr. “Manuale del risparmio gestito”, F. Metelli, Milano 1998, pag. 40.
9
Che, grazie all’integrazione del d.lgs. n.83 del 1992, recepisce le direttive Cee
611/85 e 220/88 in materia di organismi di investimento collettivi in valori
mobiliari.
10
I cosiddetti “Lussemburghesi storici”, un gruppo di 30 fondi ancora oggi
commercializzati.
11
Art. 3 comma 2, L. 23 marzo 1993 n. 77.
12
separato da quello della società di gestione e questa è una prima
garanzia di sicurezza per il risparmiatore.
La gestione è svolta “in monte” (in modo unitario per tutti i
conferimenti) e il singolo risparmiatore partecipa ai risultati
attraverso la variazione di valore delle quote che egli possiede12.
Molto importante è il ruolo della banca depositaria, essa deve essere
evidenziata nel regolamento del fondo, cosicchè il sottoscrittore
possa esserne a conoscenza, ed ha il compito di tenere presso di sé
tutti i valori e la liquidità del fondo, nonché quello di effettuare una
serie di controlli formali e di merito che hanno l’obiettivo di
tutelare il risparmiatore13.
Le Società di investimento a capitale variabile (Sicav)
rappresentano una forma di OICVM che è stata istituita nel nostro
paese dal d.lgs. 84/1992, quasi dieci anni dopo la nascita dei fondi
comuni d’investimento aperti italiani.
Le Sicav funzionano in modo analogo ai fondi comuni,
tranne per il fatto che prevedono il diritto di voto per i sottoscrittori
delle quote: si tratta quindi, di una società per azioni che emette
quote (azioni) a semplice richiesta dei nuovi investitori; il costo
delle quote è determinato in base al prezzo corrente dei titoli
detenuti, come per i fondi aperti.
Non a caso il funzionamento delle Sicav è regolato da una
normativa che, di fatto, parifica questi soggetti ai fondi comuni
d’investimento: le Sicav devono esere iscritte all’albo tenuto dalla
12
In effetti ogni giorno, attraverso la rilevazione del valore corrente dei titoli
posseduti, la società di gestione calcola il valore del fondo che, diviso per il
numero delle quote, dà il costo unitario della quota. Il sottoscrittore può
verificare quotidianamente tale dato dalla stampa.
13
Cfr. art. 2 bis L. 23 marzo 1993, n. 77.
13
Banca d’Italia e sono soggette ai controlli di questa e della Consob,
vengono costituite dietro autorizzazione del Ministero del Tesoro,
devono richiedere l’intervento di una banca depositaria, devono
rispettare gli stessi vincoli all’investimento previsti per i fondi
comuni14. L’unica differenza pratica, di rilievo per il risparmiatore,
sta nel fatto che egli diventa azionista della società d’investimento,
con tutto ciò che ne consegue: ha il diritto, derivante dallo status di
socio, di partecipare all’assemblea.
La legge n. 344 del 14 agosto 1993 è intitolata “Istituzione e
disciplina dei fondi comuni d’investimento mobiliare chiusi” ed
amplia la gamma degli strumenti resi disponibili ai risparmiatori. Il
fondo chiuso è un’investitore particolare, rispetto a quello aperto:
ha capitale fisso, determinato in anticipo, non aumentabile o
riducibile se non dopo una modifica del regolamento15. Anche la
durata del fondo è predefinita alla sua costituzione (di solito è pari a
dieci anni), e non sono previsti meccanismi di rimborso delle quote
prima del termine16.
La legge ha previsto, anche per questi soggetti, requisiti
formali che ne garantiscano l’integrità e la correttezza operativa:
capitale sociale minimo, professionalità degli amministratori,
iscrizione nell’apposito albo, sottoposizione alla viglanza da parte
della Banca d’Italia. Di solito il limite minimo d’entrata è assai più
elevato di quanto previsto nei fondi aperti: la caratteristica di bassa
liquidabilità, rendono questo strumento d’investimento un tipico
14
Cfr. d. lgs. 24 gennaio 1992 n. 84, sulla disciplina delle Sicav.
15
Diversamente i fondi comuni e le Sicav hanno capitale variabile.
16
Si devono necessariamente cedere ad una controparte acquirente, se si vuole
il rimborso anticipato.
14
prodotto per il risparmiatore evoluto, e meno diffuso rispetto ai
primi due.
Introducendo ora i prodotti delle compagnie di assicurazione,
c’è da dire che solitamente la stipula di una polizza assicurativa è
giustificata dalla necessità di ricercare una forma di protezione
economica di fronte ad imprevisti. Certo, si potrebbe pensare di far
fronte alle eventuali necessità future con il semplice
accantonamento di risparmio: si investe periodicamente una somma
di denaro al fine di accumulare un capitale che sia utilizzabile a
scopo precauzionale.
La copertura completa è però garantita solamente da chi
(l’assicuratore) ha l’esperienza e la capacità di valutare un evento
aleatorio: l’avvenimento rischioso, contro cui ci si vuole cautelare
non è certo; si tratta di dare un valore ad una probabilità, ciò che fa
appunto l’assicuratore.
Il funzionamento di una polizza vita è standard: la compagnia
si impegna a pagare una somma di denaro (sotto forma di capitale o
rendita) ad una data futura ed al verificarsi di un evento attinente la
vita umana. Questa data può essere:
- Certa, come previsto nelle polizze caso vita; l’assicurato,
previo versamento di uno o più premi, riceve la
prestazione alla data prevista solo se è in vita;
- Incerta, come previsto dalle polizze caso morte; gli eredi
ricevono la prestazione solo in caso di decesso
dell’assicurato.
15
E’ anche possibile la coesistenza dei due casi, come nelle
polizze miste17.
La polizza caso morte è il tipico prodotto assicurativo, la cui
funzione è legata all’esistenza di una famiglia con sussistenza
basata sul reddito del capofamiglia: l’eventuale scomparsa di questi
significherebbe la cessazione del reddito.
La polizza caso vita riflette lo schema delle pensioni: va però
detto che il contratto può prevedere, alla scadenza, una rendita
perpetua oppure un capitale. In quest’ultimo caso la polizza perde i
connotati puramente previdenziali per divenire uno degli strumenti
disponibili per pianificare la crescita del capitale e far fronte a spese
programmate.
Infine, per quanto riguarda i fondi pensione18, essi funzionano
sostanzialmente come una gestione assicurativa: esiste un soggetto
(il fondo) che raccoglie nel tempo una certa quantità di contributi in
denaro da parte degli iscritti ed eroga, agli stessi iscritti, prestazioni
finanziarie da una certa scadenza in poi19.
Siamo nel campo delle gestioni collettive, ma il soggetto in
questione si accolla l’onere di curare le pretazioni pensionistiche:
un ambito che riguarda la sicurezza dell’individuo, particolarmente
importante in quanto il fondo è chiamato ad erogare ricchezza
quando l’individuo non è più in grado di procurarsela col proprio
lavoro. Il tipo di rapporto tra iscritto e fondo è specifico, così come
lo sono le motivazioni che giustificano l’esistenza di un sistema
17
Bisogna dire che oltre a questi prodotti tipici, nel mercato dei prodotti
assicurativi trovano spazio anche prodotti più innovativi, come le polizze di
capitalizzazione o le polizze unit-linked.
18
Istituiti e disciplinati dal d. lgs. n. 124 del 1993.
19
Cfr. “Manuale del risparmio gestito”, F. Metelli, Milano 1998, pag. 45
16
pensionistico obbligatorio: la certezza di poter garantire al cittadino,
anche quando sarà cessata l’attività lavorativa ed i redditi che ne
conseguono, un dignitoso tenore di vita.
Il primo obiettivo del fondo pensione è quello di accumulare
un patrimonio, ciò si ottiene grazie all’adesione, al fondo stesso, di
un certo numero di iscritti che iniziano ad effettuare versamenti
nella misura stabilita, e questi vanno ad isituire in prima istanza il
patrimonio.
Evidentemente, è richiesto che qualcuno intervenga a gestire
tale patrimonio, affichè, tramite scelte ottimali di investimento, esso
possa produrre un rendimento e crescere nel tempo. Al termine20 il
fondo inizia ad erogare il dovuto. Come nel caso delle altre gestioni
collettive già esaminate, l’entità della prestazione finale è diretta
funzione della capacità del gestore di investire proficuamente le
risorse affidategli.
Dal punto di vista temporale l’investimento è facilmente
schematizzabile:
1) L’investitore definisce un piano di versamenti, per una durata
certa
21
;
2) Al termine il fondo eroga la prestazione sotto forma di una
rendita pensionistica.
E’ evidente che, in anticipo, non è possibile sapere:
- Il valore di tale rendita, perché dipende dal valore che il
gestore ha saputo accumulare durante il periodo di
gestione;
20
Cioè quando il sottoscrittore matura il diritto a ricevere la prestazione
pensionistica.
17
- La durata, perché la rendita dura finchè è in vita il
pensionato (salvo il fatto che possono esistere clausole di
reversibilità che assicurano la trasferibilità della rendita a
eredi designati).
2. Evoluzione normativa del risparmio gestito.
Nel 1996 è stata recepita la Direttiva 93/22/Cee sui servizi
d’investimento (la cosiddetta “Direttiva Eurosim”) con il d.lgs. 415
del 23 luglio: si è aperta la strada per una profonda modifica
concernente la base giuridica di funzionamento dei mercati
finanziari italiani ed il controllo sugli stessi.
Il recepimento della direttiva comunitaria ha due
fondamentali implicazioni peril nostro paese:
1) Rappresenta un significativo cambiamento rispetto alla
situazione definita dalla Legge 1/1991 (la cosiddetta
“Legge sulle Sim”) che disciplinava il funzionamento
dell’intermediazione mobiliare;
2) E’ un importante passo avanti nella direzione dell’unione
comunitaria. La direttiva 93/22, infatti, è un fondamentale
strumento di realizzazione del progetto di integrazione fra
i mercati finanziari europei.
21
Di solito alla fine del periodo è possibile prorogare la durata ed effettuare
una ulteriore serie di versamenti.