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1. Il romanzo storico
1.1. Definizione e nascita del genere
La società angloamericana Historical Novel Society, che si occupa di promuovere e di tutelare il
romanzo storico, ne suggerisce la seguente definizione:
Per essere ritenuto storico, un romanzo deve essere stato scritto almeno cinquanta anni dopo gli eventi
descritti, o deve essere stato scritto da un autore che all'epoca di tali eventi non era ancora nato, e
quindi ha dovuto documentarsi su di essi.
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E considera «storici» anche i romanzi di tipo ucronico (come «Fatherland» di Robert Harris), gli
pseudo-storici (come «L’isola del giorno prima» di Umberto Eco), i fanta-storici (come la trilogia di
re Artù di Bernard Cornwell) e i multi-temporali (come «Le ore» di Michael Cunningham).
Di seguito, invece, riporto la definizione fornita dall’Enciclopedia Britannica in lingua originale:
A historical novel is a novel that has as its setting a period of history and that attempts to convey the
spirit, manners, and social conditions of a past age with realistic detail and fidelity (which is in some
cases only apparent fidelity) to historical fact. The work may deal with actual historical personages, as
does Robert Graves’s I, Claudius (1934), or it may contain a mixture of fictional and historical
characters. It may focus on a single historic event, as does Franz Werfel’s Forty Days of Musa Dagh
(1934), which dramatizes the defense of an Armenian stronghold. More often it attempts to portray a
broader view of a past society in which great events are reflected by their impact on the private lives
of fictional individuals. Since the appearance of the first historical novel, Sir Walter Scott’s Waverley
(1814), this type of fiction has remained popular. Though some historical novels, such as Leo
Tolstoy’s War and Peace (1865-69), are of the highest artistic quality, many of them are written to
mediocre standards. One type of historical novel is the purely escapist costume romance, which,
making no pretense to historicity, uses a setting in the past to lend credence to improbable characters
and adventures.
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In questo caso si pone l’accento sull’aspetto ibrido del romanzo storico, che presenta al contempo
una parte di invenzione e una di realtà, tanto da venire quasi a costituire un «ossimoro letterario», e
si menziona il fatto che, sebbene alcuni esemplari di romanzo storico siano dei veri e propri
capolavori («Waverley» di Walter Scott e «Guerra e pace» di Lev Nikolàevič Tolstòj), la
maggiorparte delle opere ascrivibili al genere è mediocre, poiché utilizza un’ambientazione storica
appena accennata, e non priva di anacronismi, come sfondo di avventure improbabili.
Quando un lettore avvicina un romanzo di questo tipo è pienamente cosciente di non avere a
che fare con un trattato storiografico ma sceglie di fidarsi della voce dell’autore che, dal canto suo,
promette implicitamente di limitare la propria libertà creativa sottomettendola alla verità storica.
È fatto noto che il romanzo storico nacque e si diffuse nell’Ottocento, secolo in cui la
narrativa romantica conquistò una posizione predominante sugli altri generi letterari. Già in
precedenza, però, c’era chi si era servito di ambientazioni storiche, come dimostrano, limitatamente
all’ambito drammaturgico, alcune opere di William Shakespeare che analizzano la crisi del
feudalesimo, e alcuni romanzi pseudo-storici italiani come il «Demetrio Moscovita» di Maiolino
Bisaccioni, pubblicato a Venezia nel 1639.
Nel Settecento inglese, invece, si erano diffusi i romanzi realistici di Daniel Defoe, Henry
Fielding e Samuel Richardson, che si prefiggevano di indagare la società contemporanea e che, di
conseguenza, non avevano interesse ad approfondire le epoche trascorse. Con le dovute differenze,
Jonathan Swift - così come i francesi Voltaire e Diderot - aveva ambientato il suo romanzo satirico
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www.historicalnovelsociety.org
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www.britannica.com/EBchecked/topic/267395/historical-novel
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in un tempo e in un luogo indeterminati, che, però, ricordavano da vicino l’Inghilterra a lui coeva, e,
nel caso degli autori francesi citati, la Francia.
Laddove si trovi un esempio di ambientazione storica in epoca pre-romantica, si tratta sempre
di un elemento statico, di uno sfondo senza alcun ruolo produttivo all’interno della narrazione. Solo
con il romanzo ottocentesco la storia diventa protagonista, costringendo l’autore a documentarsi sui
fatti che intende raccontare, parallelamente all’impegno creativo.
Vi sono diverse ragioni per cui il romanzo storico trovò terreno fertile proprio nell’Ottocento:
innanzitutto, l’affermarsi del metodo scientifico accrebbe anche l’attenzione per gli studi storici e ne
favorì il rinnovamento; in secondo luogo e lungo lo stesso orientamento, nell’ambiente filosofico si
andava affermando l’idea che il susseguirsi degli eventi nel tempo obbedisse a una logica precisa e
non fosse, al contrario, dominato dal caso; le grandi guerre costituirono a loro volta un fattore che
incoraggiò la concezione dell’esistenza umana come qualcosa di fortemente influenzato dagli eventi
storici. Inoltre, il Romanticismo e i sentimenti nazionalisti, facendo leva sulla rievocazione della
grandezza dei popoli, accrebbero il senso storico negli scrittori, che si dedicarono con passione alla
materia. La nuova narrativa, peraltro, procurò ai protagonisti degli avvenimenti storici e politici del
secolo figure esemplari del passato cui ispirarsi.
1.2. Walter Scott
«Waverley» di Walter Scott, pubblicato nel 1814, è considerato il primo romanzo storico; gli fecero
seguito «Rob Roy» nel 1818 e «Ivanhoe» nel 1819. Nel giro di pochi anni le tre opere di Scott
furono tradotte in diverse lingue e influenzarono gli scrittori di molti paesi europei.
Secondo il filosofo György Lukács, Scott fu il primo autore a non considerare la storia come
uno scenario e a descrivere dettagliatamente le condizioni sociali del periodo in cui sono ambientati
i suoi romanzi. Come conseguenza, il lettore ebbe l’impressione di cogliere le tappe evolutive
dell’umanità, anziché quella di trovarsi davanti un calderone di aneddoti del passato. Fino ad allora,
invece, i romanzieri che avevano dotato le proprie opere di un’ambientazione storica, non si erano
cimentati nell’adattare la psicologia e i comportamenti dei personaggi allo sfondo.
L’influenza della Rivoluzione francese, che aveva palesato finalmente l’importanza del
popolo negli avvenimenti epocali, risulta evidente nella scelta del protagonista operata da Scott sia
in «Waverley» sia in «Rob Roy»: in entrambi i casi, infatti, ci troviamo al cospetto di un eroe
«medio», che si colloca, cioè, a metà strada tra diversi gruppi sociali. Questo espediente permise
all’autore di indagare i conflitti di classe del tempo e le trasformazioni nell’assetto sociale che ne
derivarono. Provenendo da un livello sociale «normale», gli eroi di Scott rappresentano la
maggioranza della popolazione, sono gentlemen dotati di dignità morale e saggezza, ma che non
possiedono caratteristiche straordinarie. Questa scelta narrativa concesse all’autore maggiore
libertà: nessuna fonte attestava ciò che fecero uomini come Waverley o come Francis Osbaldistone,
protagonista di «Rob Roy», dal momento che si trattava di personaggi d’invenzione, benché
verosimili.
La mescolanza di realtà e finzione è una caratteristica propria del romanzesco in generale, ma
si riscontra particolarmente nel sottogenere storico, poiché permette agli autori di costruire nessi tra
il piano documentato della «macrostoria» - costituita da eventi noti ai più - e quello credibile, ma
non comprovato da fonti, della «microstoria» - relativa a ciò che avviene o può avvenire nel
quotidiano.
Dopo Scott, quasi tutti gli autori che si cimenteranno con il romanzo storico porranno al
centro della propria opera persone comuni. Basti pensare ad Alessandro Manzoni, che nove anni
dopo la pubblicazione di «Rob Roy» darà alle stampe «I promessi sposi», che espresse il proposito
di raccontare le vicende delle «genti meccaniche, e di piccol affare».
Tra gli aspetti peculiari della produzione narrativa di Scott non va dimenticato l’uso sapiente
dei dialoghi che gli derivava dal lungo esercizio poetico. Tra il 1802 e il 1803, infatti, aveva
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pubblicato una raccolta di canti di menestrelli della frontiera scozzese, «Minstrelsy of the Scottish
Border», che gli aveva procurato una discreta fama; successivamente, aveva consolidato il suo
successo con il poemetto «The Lay of the Last Minstrel» del 1805 e con «Marmion» (1808) e «The
Lady of the Lake» (1810), opere che traevano ispirazione da antiche ballate e che raccontavano la
difficoltà degli abitanti delle Highlands ad adeguarsi alle leggi e allo stile di vita «moderno» delle
Lowlands; che, quindi, anticipavano i romanzi storici di qualche anno dopo.
L’autore fu spinto alla pubblicazione di «Waverley» dalla miseria incombente ma, per timore
di incorrere in aspre critiche - secondo i canoni del tempo, infatti, la prosa era letteratura «bassa» -
si celò dietro l’anonimato. La forma romanzesca, però, gli concesse spazio per la costruzione di
dialoghi realistici di grande forza, talvolta con un surplus di verosimiglianza dato dall’utilizzo dello
«Scots», la lingua parlata all’epoca dei fatti narrati.
1.3. Diffusione in Europa
In Francia, Alexandre Dumas padre fu un grande ammiratore di Scott tanto che, già nel 1822, all’età
di vent’anni, adattò per il teatro un testo intitolato «Ivanhoë», rimasto inedito per oltre un secolo, e,
molti anni anni dopo, nel 1862, pubblicò anche una propria traduzione di «Ivanhoe».
Dumas utilizzò spesso ambientazioni storiche a teatro - «Enrico III e la sua corte» (1829) fu il
primo dei grandi drammi storici romantici - e, successivamente, nel feuilleton: il famoso ciclo dei
moschettieri - costituito da «I tre moschettieri» (1844), «Vent’anni dopo» (1845) e «Il visconte di
Bragelonne» (1848) - è ambientato nel Seicento; il ciclo degli ultimi Valois nel tardo Cinquecento;
quello della Repubblica Partenopea e quello di Maria Antonietta e della Rivoluzione, invece, nel
tardo Settecento.
Un altro autore ottocentesco si avvicinò al genere storico in Francia: si tratta di Victor Hugo
che, nel romanzo gotico-medievale «Nôtre-Dame de Paris», indulse ad alcuni elementi pittoreschi e
a passioni irrazionali; ma che inserì il suo capolavoro, «I miserabili» (1862), in un contesto
temporale non troppo lontano, il periodo post-napoleonico, e fece mostra di seguire l’orientamento
moderno, interessandosi al sociale.
Si può dire, infatti, che la narrativa moderna in Francia nacque proprio dal superamento del
romanzo storico, in massima parte conseguenza del pensiero di Stendhal, al secolo Marie-Henri
Beyle, che criticò alcuni elementi caratteristici del genere, come la tendenza al melodramma.
Stendhal vi oppose il romanzo sociale psicologico, cui giunse scegliendo di rappresentare, in luogo
delle epoche passate, quella a lui contemporanea o una di poco precedente - come in «La Certosa di
Parma» - continuando a prestare, però, la stessa attenzione di Scott al percorso psicologico dei
personaggi e avvalendosi dello stesso grado di realismo. La nuova via tracciata da Stendhal
influenzò soprattutto Honoré de Balzac, cui, secondo Lukács, si deve il passaggio dalla
«rappresentazione della storia passata», su modello di Scott, alla «rappresentazione del presente
come storia». Di lì a poco si avranno l’era del naturalismo e quella del verismo, nel segno di
Gustave Flaubert e poi di Émile Zola.
Anche in Germania, da principio, il diffondersi delle opere di Scott favorì la pubblicazione
massiva di romanzi storici, fin dal 1834, quando Ludwig Rellstab diede alle stampe «1812».
Sono da menzionare anche il romanzo storico-umoristico «Die Hosen des Herrn von Bredow»
(«Le brache del signor von Bredow», 1846) di Willibald Alexis, pseudonimo di Wilhelm Häring e
«Witiko» di Adalbert Stifter, pubblicato in più volumi tra il 1865 e il 1867, in cui si narra della
fondazione del regno di Boemia nel XII secolo.
Un altro autore tedesco di romanzi a soggetto storico e di ballate fu Felix Dahn, attivo nella
seconda metà dell’Ottocento. Tra le sue opere, si ricorda particolarmente «Ein Kampf um Rom»,
che racconta della guerra tra Ostrogoti e Bizantini che ebbe luogo in Italia nel VI secolo.
Michail Nikolaevič Zagoskin fu tra i fondatori del romanzo storico in Russia. La sua opera
principale, «Jurij Miloslavskij o i Russi nel 1612», pubblicata nel 1829, rievoca la lotta tra i Russi e
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i Polacchi nell’epoca dei «torbidi» ed ebbe un successo straordinario, a differenza dei romanzi
successivi - «Roslavlev o i Russi nel 1812», del 1831 e «La tomba di Askol´d», del 1833 - che
furono scarsamente considerati.
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Anche Ivan Ivanovič Lažečnikov fu tra i primi, prolifici, autori russi di romanzi storici alla
maniera di Scott, come «L’ultimo Novik», pubblicato tra il 1831 e il 1833, sul periodo di Pietro il
Grande; «La casa di ghiaccio», del 1835, che narra dell’epoca dell’imperatrice Anna, e «L’eretico»,
del 1838. Nelle sue opere si riscontra uno sforzo continuo verso l’oggettività storica e la
comprensione per le ingiustizie sociali delle epoche descritte.
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Il romanzo di Aleksàndr Sergéevič Puškin «La figlia del capitano», dato alle stampe nel 1836
e ambientato nel Settecento, ai tempi della zarina Caterina II, ha conosciuto un enorme successo,
come dimostrano i numerosi adattamenti cinematografici e televisivi - si pensi all’omonimo film
per il cinema del 1947, diretto da Mario Camerini, e allo sceneggiato televisivo del 1965, dal
medesimo titolo.
1.4. Diffusione in Italia
Fino alla prima pubblicazione delle «Ultime lettere di Jacopo Ortis» di Ugo Foscolo, che avvenne
nel 1801, in Italia non c’era stata ancora una produzione romanzesca di rilievo; perlopiù gli autori si
erano rifatti ai colleghi francesi e inglesi. Lo stesso romanzo epistolare foscoliano - il primo del
genere - non si può dire «storico», nonostante vi sia un collegamento tra le vicende del protagonista
e la caduta della Repubblica di Venezia, per via del punto di vista strettamente soggettivo.
Negli anni della Restaurazione apparvero opere dai caratteri non precisamente definiti, come
la novella storica «Il castello di Binasco», pubblicata nel 1819 dalla scrittrice torinese Diodata
Roero Saluzzo, e ambientata nel Trecento.
Il vero e proprio romanzo storico fece la sua comparsa nella nostra penisola poco dopo, negli
anni venti dell’Ottocento, e la sua stagione fortunata si protrasse fino agli anni quaranta.
La fortuna delle opere di Scott in Italia si deve al traduttore Gaetano Barbieri che, nel 1822,
pubblicò la sua versione di «Ivanhoe ovvero Il ritorno del crociato». Nei vent’anni successivi
esplose il fenomeno: in appendice ai giornali e alle riviste italiane furono pubblicati più di cento
nuovi romanzi storici a puntate. Tra questi si annoverano: «I Lambertazzi e i Geremei o Le fazioni
di Bologna nel secolo XIII: cronaca di un trovatore» di Defendente Sacchi e «Il castello di Trezzo»
di Giambattista Bazzoni, entrambi pubblicati nel 1827; «Sibilla Odaleta: episodio delle guerre
d’Italia alla fine del secolo XV», «La fidanzata ligure ossia Usi, costumanze e caratteri dei popoli
della Riviera ai nostri tempi», «I prigionieri di Pizzighettone», «Folchetto Malaspina», «Preziosa di
Sanluri ossia i Montanari sardi», «Torriani e Visconti o Scene casalinghe, pubbliche e storiche della
vita milanese nel secolo XV», tutti di Carlo Varese; e, soprattutto, «I promessi sposi» di Alessandro
Manzoni.
Il genere storico incontrò fortuna in Italia perché la situazione politica induceva gli scrittori a
mostrare esempi eroici di libertà e di resistenza all’oppressione straniera. Venne spontaneo
recuperare questi modelli dalle vicende susseguitesi nella penisola dal Medioevo al Risorgimento,
da cui la denominazione, tutta italiana, di «romanzo storico risorgimentale». Si trattava di un
espediente in grado di instillare nel lettore sentimenti patriottici senza fare riferimenti espliciti alla
situazione politica di allora, evitando, così, di incappare nella censura.
Inoltre, in Italia, la fortuna del romanzo storico si accompagnava alla mancata diffusione di
altri generi che altrove stavano prendendo piede, come il gotico in Inghilterra o il sociale-
psicologico in Francia.
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www.treccani.it/enciclopedia/michail-nikolaevic-zagoskin
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www.treccani.it/enciclopedia/ivan-ivanovic-lazecnikov
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1.4.1. Alessandro Manzoni
1l 1827 fu un anno fondamentale per il romanzo storico italiano perché Alessandro Manzoni
concluse la prima versione de «I promessi sposi», conosciuta come la «ventisettana». Dietro questa
edizione al pubblico del capolavoro manzoniano, c’era stato un approfondito lavorio di
documentazione, sia per indagare la situazione milanese del Seicento - per cui l’autore fece
particolare riferimento a due opere di Giuseppe Ripamonti: «Historia Ecclesiae mediolanensis» e
«De peste Mediolani quae fuit anno MDCXXX» - sia per scandagliare il nuovo genere letterario in
cui intendeva cimentarsi, di cui considerò dettagliatamente scopi e caratteristiche tanto che, in
seguito, diede alle stampe il saggio «Del romanzo storico, e, in genere de’ componimenti misti di
storia e invenzione», di cui riporto un ampio estratto.
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Il romanzo storico va soggetto a due critiche diverse, anzi direttamente opposte; e siccome esse
riguardano, non già qualcosa d'accessorio, ma l'essenza stessa d'un tal componimento; così l'esporle e
l'esaminarle ci pare una bona, se non la migliore maniera d'entrare, senza preamboli, nel vivo
dell'argomento.
Alcuni dunque si lamentano che, in questo o in quel romanzo storico, in questa o in quella parte d'un
romanzo storico, il vero positivo non sia ben distinto dalle cose inventate, e che venga, per
conseguenza, a mancare uno degli effetti principalissimi d'un tal componimento, come è quello di dare
una rappresentazione vera della storia. Per mettere in chiaro quanta ragione possano avere, bisognerà
dire qualcosa di più di quello che dicono; senza però dir nulla che non sia implicito e sottinteso in
quello che dicono. E noi crediamo di non far altro che svolgere i motivi logici di quel loro lamento,
facendoli parlar così al paziente, voglio dire all'autore:
«L'intento del vostro lavoro era di mettermi davanti agli occhi, in una forma nova e speciale, una storia
più ricca, più varia, più compita di quella che si trova nell'opere a cui si dà questo nome più
comunemente, e come per antonomasia. La storia che aspettiamo da voi non è un racconto cronologico
di soli fatti politici e militari e, per eccezione, di qualche avvenimento straordinario d'altro genere; ma
una rappresentazione più generale dello stato dell'umanità in un tempo, in un luogo, naturalmente più
circoscritto di quello in cui si distendono ordinariamente i lavori di storia, nel senso più usuale del
vocabolo. Corre tra questi e il vostro la stessa differenza, in certo modo, che tra una carta geografica,
dove sono segnate le catene de' monti i fiumi, le città, i borghi, le strade maestre d'una vasta regione, e
una carta topografica, nella quale, e tutto questo è più particolarizzato (dico quel tanto che ne può
entrare in uno spazio molto più ristretto di paese), e ci sono di più segnate anche le alture minori, e le
disuguaglianze ancor meno sensibili del terreno, e i borri, le gore, i villaggi, le case isolate, le viottole.
Costumi, opinioni, sia generali, sia particolari a questa o a quella classe d'uomini; effetti privati degli
avvenimenti pubblici che si chiamano più propriamente storici, e delle leggi, o delle volontà de'
potenti, in qualunque maniera siano manifestate; insomma tutto ciò che ha avuto di più caratteristico,
in tutte le condizioni della vita, e nelle relazioni dell'une con l'altre, una data società, in un dato tempo,
ecco ciò che vi siete proposto di far conoscere, per quanto siete arrivato, con diligenti ricerche, a
conoscerlo voi medesimo. E il diletto che vi siete proposto di produrre, è quello che nasce
naturalmente dall'acquistare una tal cognizione, e dall'acquistarla per mezzo d'una rappresentazione,
dirò così, animata, e in atto. Posto ciò, quando mai il confondere è stato un mezzo di far conoscere?
Conoscere è credere; e per poter credere, quando ciò che mi viene rappresentato so che non è tutto
ugualmente vero, bisogna appunto ch'io possa distinguere. E che? volete farmi conoscere delle realtà,
e non mi date il mezzo di riconoscerle per realtà? Perché mai avete voluto che queste realtà avessero
una parte estesa e principale nel vostro componimento? perché quel titolo di storico, attaccatoci per
distintivo, e insieme per allettamento? Perché sapevate benissimo che, nel conoscere ciò che è stato
davvero, e come è stato davvero, c'è un interesse tanto vivo e potente, come speciale. E dopo aver
diretta e eccitata la mia curiosità verso un tale oggetto, credereste di poterla soddisfare col
presentarmene uno che potrà esser quello, ma potrà anche essere un parto della vostra inventiva? E
notate che, col farvi questa critica, intendo di farvi anche un complimento: intendo di parlar con uno
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Le edizioni cui si fa riferimento sono:
A. MANZONI, Scritti di teoria letteraria, note e traduzioni a cura di A. Sozzi Casanova, introduzione di C. Segre,
Rizzoli, Milano 1981; A. MANZONI, Opere varie, Stabilimento Redaelli dei fratelli Rechiedei, Milano 1870.