II
Introduzione
L’attenzione ai profili qualitativi della legislazione è un fenomeno relativamente recente.
La crisi della legge – o meglio, la crisi del diritto – è un argomento che da sempre affascina gli studiosi
della materia, e affonda le sue radici nella normale correlazione che esiste tra un ordinamento giuridico
e la società della quale è espressione.
Un chiaro esempio di questo interesse è dato dalle moltissime metafore – spesso delle vere e proprie
iperboli – con le quali gli “addetti ai lavori” si riferiscono al diritto nel suo complesso: un mare in cui
un navigatore è senza bussola, una giungla dentro alla quale è difficile muoversi, un labirinto da cui è
difficile uscire, una torre di Babele infinita da scalare e via dicendo. Da sottolineare il fatto che si tratta
in tutti i casi di metafore dotate di portata semantica negativa, il cui referente logico rimanda a
vicende, esperienze o immagini visive spiacevoli.
Molto si è detto – e soprattutto scritto – sui difetti che affliggono il sistema normativo italiano, anche
se le riflessioni – sia dei giuristi sia degli esponenti di importanti organismi istituzionali – si sono
concentrate soprattutto su due profili.
Il primo aspetto – che forse si è studiato e approfondito più di tutti – è quello quantitativo, che ha
appassionato nell’ultimo cinquantennio varie personalità e varie commissioni nell’attività di calcolo
del numero delle leggi e degli atti normativi di vario livello presenti all’interno del nostro ordinamento.
Altrettanto impegno è stato profuso nello sviluppo del secondo aspetto, relativo alla rivalutazione del
sistema delle fonti. Espressione di una mentalità giuridica votata al razionalismo, secondo la quale le
fonti di un dato sistema normativo sono precisamente collocabili all’interno di una scala gerarchica, la
perfetta architettura dello stato liberale ha mostrato in questi ultimi decenni evidenti segni di
sgretolamento, attirando l’attenzione della scienza giuridica proprio per operarne una risistemazione
concettuale.
Numero complessivo degli atti normativi e sistemazione delle fonti dell’ordinamento: sono questi i
profili tradizionalmente studiati della crisi della legge, ed entrambi possono ricondursi all’aspetto
quantitativo come minimo comun denominatore.
Rimane un po’ in ombra in questo senso il diverso aspetto della qualità della legislazione. Almeno fino
agli anni Settanta, i temi relativi alla perfetta scrittura delle leggi, alla corretta struttura del testo
III
normativo, all’attenzione all’importanza delle parole scelte dal legislatore ed alla intelligibilità delle
disposizioni normative sono stati spesso considerati minori, di secondo piano, più attinenti alla
linguistica e alla prassi che appartenenti alla scienza giuridica vera e propria.
Probabilmente, questo diverso livello di attenzione è dovuto anche al fatto che gli aspetti quantitativi
sono più facilmente misurabili e determinabili rispetto a quelli qualitativi: indicare il numero
complessivo leggi italiane porta la difficoltà di doverle prima contare anno per anno per poter risalire
al totale, ma si tratta comunque di un dato inequivocabile che ha il pregio di penetrare direttamente
nella coscienza e nel pensiero del destinatario, mentre è tutt’altra attività quella di cercare di
analizzare, e conseguentemente tradurre in termini di immediata evidenza, un concetto astratto come
quello della chiarezza e della qualità normativa.
Soltanto di recente si è registrato un mutamento di indirizzo nel mondo giuridico, che ha saputo
cogliere alcuni spunti provenienti da organismi internazionali come l’OCSE, dai nuovi studi in tema di
informatica di utilizzo in forma telematica delle risorse del diritto nonché da una sempre maggiore
interdisciplinarietà tra l’ambito del diritto, quello economico e quello più propriamente linguistico.
Questa rinnovata consapevolezza ha portato quindi anche all’apertura del mondo accademico e
scientifico agli aspetti qualitativi, apertura che ha avuto immediati riflessi sulla riconsiderazione del
fenomeno della crisi della legge, ridipinto alla stregua di un’entità unitaria nella quale qualità e
quantità, forma e sostanza, chiarezza e numero vanno di pari passo e costituiscono un intreccio
inestricabile.
Questo lavoro cerca di analizzare proprio questo percorso, dividendosi in tre capitoli dedicati
all’inquadramento del fenomeno, all’approfondimento del problema e allo studio dei rimedi che si
sono tentati per risolverlo.
Il primo capitolo tratta in modo generale del fenomeno della crisi della legge: dal momento che
l’espressione racchiude una potenza semantica immensa, è stato necessario provare a delinearne con la
maggiore precisione i confini e i fenomeni che la connotano. Nella stessa parte, si è approfondito
quello che abbiamo chiamato l’aspetto “quantitativo” del fenomeno: numeri, e struttura del sistema
delle fonti.
Il secondo capitolo è invece appositamente rivolto allo studio dell’aspetto qualitativo della crisi della
legge, considerando sia quello che è il piano del “dover essere” – gli ideali di chiarezza normativa, la
struttura della proposizione legislativa ed il lessico – sia quello che è viceversa il piano dell’”essere”,
la realtà attuale della nostra legislazione e gli elementi che deviano dai modelli cui si dovrebbe
costantemente tendere.
IV
Il terzo capitolo è dedicato all’indicazione di quali sono stati i rimedi sperimentati in vario modo dal
legislatore per risolvere il costante deficit di qualità normativa del nostro sistema giuridico,
affrontandone in prospettiva diacronica la nascita e l’affermazione nel nostro ordinamento, mentre in
prospettiva critica ne espone i risultati effettivamente raggiunti sottolineando le criticità e i punti deboli
emersi dalla loro esperienza attuale.
Infine, si è indicato quello che può essere ritenuto un modello di qualità normativa: la Costituzione
della Repubblica Italiana del 1948.
La concezione cui si ispira questo lavoro, in ultima analisi, è quella di considerare la nostra
Costituzione come una grammatica per il diritto.
In fin dei conti, cos’è una grammatica? Una disciplina che fissa determinate regole, relative al corretto
uso di una lingua nel parlato e nello scritto, che se seguite portano alla costruzione di un pensiero o di
una frase corretta sotto il profilo linguistico, sintattico, morfologico e lessicale, nonché dotato di senso
compiuto sotto il profilo semantico.
Metaforicamente parlando, una delle funzioni pratiche della Costituzione è proprio questa, di dettare
prescrizioni cogenti circa tutto il restante panorama delle fonti del nostro ordinamento giuridico.
Finora questa funzione è stata considerata soprattutto sotto due punti di vista: il primo, formalistico,
nel senso che è la Costituzione a dettare il complesso di regole – con l’ausilio di altre fonti, come i
Regolamenti parlamentari ed alcune leggi in tema di procedimenti normativi – che rendono una legge,
un decreto-legge o un decreto-legislativo formalmente perfetto. Il secondo, sostanzialistico, nel senso
che la legittimità di un atto di rango primario si manifesta tramite la sua conformità alla prescrizioni
contenute nella Carta costituzionale, per cui il suo contenuto deve essere omogeneo a quanto da questa
previsto.
Un ultimo profilo manca: quello relativo alla qualità della legislazione.
In questo senso, la Costituzione deve ancora diventare una grammatica vera e propria, dal momento
che allo stato attuale non detta disposizioni dirette e precise in tema, ma soltanto indicazioni
piccolissime.
Semmai, il suo messaggio qualitativo è soltanto implicito e nascosto, come tutte le cose più belle: la
Costituzione è scritta in modo semplice, in modo da poter essere letta ma soprattutto capita da tutti,
parlando direttamente al loro cuore ed alle loro coscienze.
Sicuramente questo messaggio nascosto non è sufficiente a porsi come vincolante nei confronti del
legislatore: è necessario pertanto innalzare il rango delle disposizioni che si pongono a presidio della
chiarezza e della certezza del diritto, inserendole proprio nella Carta costituzionale.
V
Ed allora, modificando quello che si è detto sopra, si arriverebbe ad un punto in cui si potrebbe parlare
non tanto di una Costituzione che si rende grammatica, quanto di una grammatica che si eleva a
Costituzione.
1
Capitolo I: una legge in crisi
SOMMARIO: 1. La crisi della legge: le coordinate del campo d’indagine. – 2. Gli aspetti della crisi
della legge. – 3.1 L’inflazione normativa: l’eccessivo numero delle leggi. – 3.2 Segue. Instabilità e
volatilità delle leggi. – 3.3. Segue. L’inflazione normativa, tra mito e realtà. – 4. L’inquinamento
legislativo: rinvio. – 5.1 L’inflazione tipologica: la moltiplicazione dei tipi degli atti normativi. – 5.2
Segue. Un passo indietro: gli attributi della legge. – 5.3 Segue. Una, cento, mille leggi. – 5.4 Segue. I
limiti alla generale competenza della legge. – 5.5 Segue. Le distorsioni dell’Esecutivo. – 5.6 Segue.
Nuovi mostri e atti in crisi d’identità. – 5.7 Segue. La crisi del sistema delle fonti. – 6. Le cause della
crisi della legge. 7. Gli effetti della crisi della legge.
1. La crisi della legge: le coordinate del campo d’indagine.
Di “crisi della legge” si parla da circa un secolo
1
.
Di “crisi del diritto”
2
si discute invece da molto più di un secolo
3
: può dirsi concretamente che si tratta
di una problematica ciclica della storia giuridica occidentale, che si presenta con determinate scadenze
più di una volta in diversi contesti storici, geografici e socio-politici.
È necessario quindi individuare con la maggior precisione possibile i confini, i fenomeni e le cause che
compongono il variegato scenario che si cela dietro la dizione di “crisi della legge”.
Questa attività definitoria è fondamentale perché, quando un’espressione o un concetto assume il rango
di protagonista della riflessione teorica e dottrinale diventa indispensabile evitare il rischio, tutt’altro
che recondito, che l’uso frequente della nozione si trasformi in generalizzazione, banalizzazione ed
1
Cfr. tra gli altri F. CARNELUTTI, La crisi della legge, in Riv. Dir. Pubbl., 1930; AA. VV., La crisi del diritto, a cura
della Facoltà d giurisprudenza dell’Università Padova, Cedam 1953; F. MODUGNO - D. NOCILLA, Crisi della legge e
sistema delle fonti, in Dir. Soc., 1989.
2
Cfr. ad esempio la tesi radicale espressa dal titolo dell’intervento di F. CARNELUTTI, La morte del diritto, in AA. VV.,
La crisi del diritto, cit.
3
Cfr. per il settore specifico del diritto penale, la famosa opera Dei Delitti e Delle Pene di Cesare Beccaria del 1764; per il
diritto in generale e la giurisprudenza, Dei difetti della giurisprudenza, di Lodovico Antonio Muratori, del1742; per la
legislazione dal punto di vista dell’attività intellettuale, La scienza della legislazione, 1780-1785, di Gaetano Filangieri; più
di recente, cfr. I. BIROCCHI, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica dell’età moderna, Torino, Giappichelli,
2002.
2
abuso, come se ci trovassimo di fronte ad un contenitore in grado di accogliere al suo interno
qualunque significato.
E questo rischio è presente a maggior ragione per sintagmi e locuzioni come “crisi della legge”, dotati
di potenzialità semantiche immense e suscettibili di diverse interpretazioni e considerazioni a seconda
dell’angolo visuale dal quale li si guarda.
Parlare di “crisi della legge” infatti rischia di innescare una serie infinita di ulteriori problemi da
risolvere.
Considerando soltanto l’aspetto letterale della formula, e limitandosi alle due questioni più importanti,
ci si potrebbe ragionevolmente chiedere: che cosa si intende con il termine “legge”? E di conseguenza:
che cosa vuol dire che la legge è – oppure è entrata – in uno stato di crisi?
La risposta ad entrambi è quesiti non è né agevole né sicura, in quanto ci si deve muovere al di fuori
dei confini della certezza, camminando sulla sabbie mobili delle convinzioni e delle argomentazioni, il
che significa ripercorrere all’inverso almeno due secoli di storia giuridica che hanno portato
all’affermarsi di insegnamenti e di schemi concettuali divenuti ormai abituali nella riflessione
giuridica.
Ma vi è di più.
Le soluzioni prospettabili in realtà sono soltanto strade “a scorrimento veloce” che si articolano a loro
volta in strade “urbane”, disseminate di incroci a raso, viottoli, percorsi sterrati e semafori.
Come già detto, diventa indispensabile pertanto individuare le coordinate, i punti di riferimento dai
quali partire.
Ma procediamo con ordine.
La prima domanda che abbiamo tracciato e cui dobbiamo dare risposta è la seguente: cosa si intende
con il termine “legge”
4
?
Volendo essere più sintetici possibile, dato che la sede non permette un adeguato approfondimento
sulla questione – meritevole, di per sé, di ben altra considerazione - possiamo rispondere dicendo che
in sostanza il termine viene solitamente impiegato in due accezioni, una ampia ed una più ristretta.
Nella prima accezione ci si riferisce al vocabolo “legge” identificandolo con il diritto in genere, in
ultima analisi con l’intera fenomenologia giuridica: qualsiasi fonte, qualsiasi norma, qualsiasi vincolo
che possiede il carattere della giuridicità viene fatto rientrare in questo senso.
Ovviamente l’uso del termine in questo caso viene effettuato in modo atecnico, operando la figura
retorica della metonimia: la parte – la legge – diventa lo strumento per indicare il tutto – il diritto nel
4
Cfr. a proposito A. CELOTTO, E. CONTE, La legge: dalle origini alla crisi, in Revista Brasileira de Direito
Constitucional, 2007.
3
suo complesso.
Sarebbe sbagliato tuttavia ritenere che questa accezione sia propria ed esclusiva soltanto del linguaggio
comune, del linguaggio “profano”: a volte è perfino lo stesso legislatore a scegliere questa via,
rivolgendosi in questi termini ai cittadini che compongono il suo pubblico di destinatari.
Più in particolare ciò avviene quando il legislatore sente l’esigenza di dover utilizzare un linguaggio
idoneo a far rapidamente presa nelle fondamenta della coscienza sociale, che si presenti alla comunità
popolare come un valore e che penetri capillarmente nel territorio come un simbolo.
E di esempi di questo utilizzo da parte del legislatore nel nostro ordinamento se ne possono fare molti:
per indicare soltanto i più eclatanti si può pensare all’art. 1372 del Codice Civile, secondo il quale “il
contratto ha forza di legge tra le parti”; ma anche all’art. 3 della Costituzione, che dispone che “tutti i
cittadini […] sono eguali davanti alla legge”.
Ovviamente si tratta in entrambi i casi di una scelta consapevole da parte del legislatore ordinario e di
quello Costituente, che hanno volutamente operato il termine legge per il perseguimento di uno scopo:
rafforzare un determinato messaggio parallelo alla disposizione normativa, rendendolo così fruibile e
comprensibile alla maggior parte dei suoi destinatari
5
.
Nella seconda accezione invece si parla di “legge” avendo in mente l’atto normativo primario per
eccellenza, prodotto dal Parlamento a seguito di un iter specificamente fissato dalla Costituzione e dai
Regolamenti parlamentari che si snoda intorno a determinate tappe e fonte di regole generali ed
astratte
6
.
Come esempi di riferimento al termine “legge” in questo senso si possono citare gli artt. 71-74 della
Costituzione, che disciplinano il procedimento di formazione della legge ordinaria dello Stato.
La seconda domanda che ci eravamo posti e cui dobbiamo ora rispondere è questa: cosa si intende con
l’espressione “crisi della legge”? Oppure, modificando le parole: che cosa vuol dire che la legge è – o
è entrata – in uno stato di crisi?
Anche qui la soluzione non è pacifica: come si è già messo in luce il sintagma utilizzato è polisenso, e
pertanto suscettibile di diverse inquadrature e sfaccettature.
Innanzitutto come punto di partenza si può prendere lo spunto secondo il quale con l’espressione si
5
Per quanto riguarda la disposizione di cui all’art. 1372 del Codice Civile, si tratta di una formula normativa tralatizia: già
il Code Civil napoleonico del 1804 all’art 1134 disponeva che “Les conventions légalement formées tiennent lieu de loi à
ceux qui les ont faites”, testo tradotto integralmente nei Codici Preunitari e ripreso dall’art. 1123 del Codice Civile del
1865, secondo cui “i contratti legalmente formati hanno forza di legge per coloro che li hanno fatti”. Per il testo completo
del Code Civil cfr. il sito www.legifrance.org.
6
Questo in via di principio. Come vedremo infra, paragrafo 5.1, la situazione attuale è ben diversa ed i caratteri di
generalità e astrattezza della legge sono più canoni teorici che elementi concreti della nostra legislazione.
4
intende sottolineare lo stato di crisi di quel che la legge fu in passato
7
: crisi di quell’atto che per
almeno un secolo e mezzo – a partire dalla Rivoluzione Francese – è stato ritenuto di importanza
fondamentale per le sorti di un ordinamento; crisi del grimaldello principale con la quale si è ottenuta
la disgregazione dell’ancient regime e la nascita di di un nuovo tipo di Stato, lo Stato liberale di
matrice borghese; crisi del fondamentale veicolo per l’affermazione dei valori di libertà
8
ed
uguaglianza, resi attuali e perseguibili mediante la legis-positio di regole generali ed astratte.
Del resto nella società borghese di natura omogenea e monoclasse, padrona del secolo XIX ed - in
parte - anche del secolo XX alla legge si attribuivano delle funzioni importantissime: quella di forma
di tutela dei cittadini nei confronti del potere e dei suoi abusi; quella di garanzia per il rispetto delle
libertà individuali dei consociati; quella infine di affermazione di uguaglianza e parità dei diritti –
almeno sul piano formale – che prendevano il posto dei privilegi clericali e nobiliari.
Si trattava in ultima analisi di uno dei cardini su cui poggiavano le teorie illuministiche relative alla
ormai classica divisione e separazione dei poteri all’interno dello Stato nonché alla sovranità
popolare
9
.
Per quanto riguarda il primo profilo la legge, atto normativo fondamentale, era prerogativa esclusiva
del Parlamento e del potere legislativo, che non tollerava ingerenze da parte dell’esecutivo se non in
situazioni strettamente eccezionali e comunque in minima misura, con l’ordine giudiziario chiamato a
far rispettare le regole del gioco.
Per il secondo profilo invece era intimamente connessa alla democrazia nonché al concetto di sovranità
popolare: la legge, come fonte normativa essenziale di uno Stato di diritto ed espressione delle
assemblee rappresentative del popolo, era il miglior veicolo dal punto di vista giuridico per
l’affermazione del potere statale proveniente dal basso.
Ovviamente questo concetto ideale della legge era intimamente connesso con le aspirazioni ed i valori
della società borghese, allo stesso tempo promotrice e scaturigine ultima della ventata rivoluzionaria
7
L’espressione è di F. MODUGNO, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Trasformazioni della funzione legislativa,
vol. II, Milano, Giuffrè, 2000, 1-70, p. 2; nonché ID., Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto
oggettivo, Torino, Giappichelli, 2000.
8
Cfr. ad esempio Montesquieu, che nell’opera De l’esprit des loix sosteneva che “La libertà è il diritto di fare ciò che le
leggi permettono”, mentre John Locke, in A Letter Concerning Toleration, riteneva che “Le leggi non vegliano sulla verità
delle opinioni ma sulla sicurezza e l'integrità di ciascuno e dello Stato”.
9
Cfr. J.J. ROUSSEAU, Du contrat social: ou principes du droit politique, 1762, I, 7, che dichiarava che “Ora, essendo il
Sovrano formato solo dai singoli che lo compongono, non ha né può avere interessi contrari ai loro; di conseguenza il
potere Sovrano non ha alcun bisogno di offrire garanzie ai sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i
suoi membri;..(...). Il Sovrano, per il solo fatto di essere, è sempre tutto ciò che deve essere” nonché ID., III, 18, in cui
sosteneva che” I depositari del potere esecutivo non sono i padroni del popolo, bensì i suoi funzionari [...]; esso può
nominarli o destituirli quando gli piaccia”. Ma cfr. anche John Locke, Two treatites of government, del1690, per un
pensiero simile.