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CAPITOLO I: ECONOMISTI CLASSICI E VALORE DELLE MERCI: A.
SMITH, D. RICARDO E K. MARX
Il concetto di valore, analizzato in termini economici, è stato al centro di numerosi studi
compiuti da illustri rappresentanti del pensiero economico classico, tra cui Adam Smith, David
Ricardo e Karl Marx.
Pare quindi opportuno dedicare parte della presente tesi allo studio di tali approcci,
seguendone l’ordine cronologico.
È quindi utile avviare l’analisi relativa al concetto di valore partendo dal padre della
moderna teoria economica, Adam Smith (1723-1790): egli attribuiva grande importanza al mercato
e, di conseguenza, alle modalità con cui determinare il valore economico di un bene. A tal fine, il
suo primo passo consistette nel tracciare una netta linea di demarcazione tra i concetti di “valore
d’uso” e “valore di scambio”. Secondo la sua concezione, ad essere particolarmente significativo da
un punto di vista economico è il valore di scambio: alcuni beni, quali ad esempio l’acqua e l’aria,
hanno immensa utilità, ma non rientrano nella categoria degli oggetti di scambio; a differenza di
altri che, pur avendo scarsa utilità, richiedono una grande quantità di altri beni in cambio.
Smith svolge la propria ricerca attorno al problema del valore economico suddividendola
in tre fasi successive:
Individuazione della misura “reale” del valore;
Scomposizione di tale valore nelle parti che lo costituiscono;
2
Analisi delle circostanze che possono determinare uno scostamento del “prezzo di mercato”
dal “prezzo naturale”.
Dal procedimento analitico sopra illustrato, si nota con particolare evidenza come egli
ponga delle questioni alquanto diverse da quelle che la maggior parte degli economisti
contemporanei oggi giudica pertinenti. Un economista della metà del XX secolo, cui si chieda di
stabilire il “valore” di un determinato bene, di norma cercherebbe prima di ogni altra cosa di
determinare il prezzo che il mercato è disposto a pagare per esso. Gli economisti della tradizione
classica si preoccupavano, invece, di sottolineare come prezzo e valore non potessero essere
così facilmente assimilabili l’uno all’altro: il “valore” era considerato come indipendente dalle
fluttuazioni del mercato, mantenendosi costante e invariabile; a differenza dei prezzi nominali
(o di mercato), i quali potevano subire oscillazioni
1
.
Smith afferma che “la misura del valore” è il lavoro. Tale affermazione non è però
priva di ambiguità; in realtà sono possibili almeno due diverse interpretazioni del rapporto tra
lavoro e valore. In primo luogo, il valore di un bene può basarsi sulla quantità di lavoro richiesta
per la sua produzione. Smith fa propria questa interpretazione, ma si rende conto della
possibilità di applicarla solo alle condizioni di un ipotetico “primitivo e rozzo stato” della
società, vale a dire, ad uno stadio anteriore all’appropriazione privata dei mezzi di produzione e
all’accumulazione di capitale. In seguito, Smith abbandona questa visione, affermando che il
valore non può più essere misurato semplicemente in termini dell’impiego di quantità di lavoro
diretto. E’ in questa fase che entrano nel processo di produzione anche altri fattori, in particolare
la terra e il capitale, il cui apporto non può tradursi con grande facilità in unità di lavoro.
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A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, 2008
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A questo punto Smith abbandona, pertanto, il concetto di “lavoro impiegato” e afferma
che misura adeguata del valore è il “potere di disporre del lavoro”
2
.
David Ricardo (1772-1823) affronta il problema del valore secondo una linea di ricerca
diversa da quella dei suoi predecessori, e diversa è del pari la soluzione che ci presenta. Smith,
dal canto suo, aveva studiato la questione soprattutto allo scopo di giungere a misurare le
variazioni del prodotto totale a intervalli notevolmente lunghi. Ricardo invece, pur non
sottovalutando l’importanza di tale problema, dubita che il lavoro possa fungere da unità di
misura “stabile” e “invariabile”
3
.
Questa diversa impostazione permise a Ricardo di accostarsi, più da vicino di quanto
Smith non fosse riuscito, a quel nucleo di problemi che sarebbero stati al centro delle
teorizzazioni economiche di un’epoca successiva, in particolare, l’analisi della determinazione
del prezzo.
Veniva a cadere, in definitiva, l’interpretazione del valore strettamente intesa in termini
di lavoro. Ricardo, tuttavia, ribadiva che le possibili differenze erano contenute entro un ridotto
campo di variabilità
4
.
Nella sua opera maggiore, Il Capitale, Karl Marx (1818-1883) avvia la sua analisi dando la
seguente definizione di merce e di valore:
“La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta
come una immane raccolta di merci e la singola merce si presenta come sua forma elementare”.
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2
Enciclopedia Garzanti dell'Economia, Garzanti ed., 2011
3
D. Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta, Utet, 2010
4
Barber, Storia del pensiero economico, Universale Economica Feltrinelli, 1986
5
K. Marx, Il Capitale, Le idee editori riuniti, 1974
4
Nella visione marxista, la merce presenta una duplice caratteristica:
- da un lato ha la proprietà di essere utile ( in quanto soddisfa i bisogni umani): è
pertanto definibile come valore d’uso;
- dall’altro contiene valore di scambio, ossia presenta la proprietà di poter essere scambiata, in
determinate dosi, con altre merci, ed in particolare con la merce considerata equivalente
generale di tutti gli scambi e contenitore del valore: il denaro.
Secondo la concezione di Marx, l'analisi della merce intesa come “valore d’uso” ne fa apprezzare le
qualità che si realizzano nel consumo delle medesime: le caratteristiche strutturali, estetiche, fisico-
chimiche e l’attitudine a soddisfare bisogni umani dipendono dal sacrificio necessario all’uomo per
farle proprie. Diversamente, l'analisi della merce come depositaria del “valore di scambio” è
orientata a prescindere dalle suddette qualità, poiché ciò che interessa sono i rapporti quantitativi
che si instaurano tra questa e le altre merci, e tra questa ed il denaro
6
.
Una merce si può scambiare con tutte le altre ed è equivalente a ciascuna di esse, purché
prese in determinate quantità reciprocamente congrue. I rapporti di scambio della stessa merce con
ciascuna delle altre suggeriscono che il valore di scambio è in generale il modo di espressione di un
contenuto soggettivamente attribuibile: difatti, per taluni la merce può avere valore superiore
rispetto ad altri; ne consegue che la definizione di valore di scambio è meramente soggettiva.
Parliamo inoltre di valore di scambio quando mettiamo in relazione tra loro più merci, mentre ogni
merce possiede una caratteristica peculiare che si manifesta esteriormente nel valore d'uso.
La caratteristica comune a tutte le merci è quella di essere prodotto del lavoro. La “quantità
di lavoro”
7
presente in una merce ne determina il valore. La grandezza di valore di una merce varia
6
I. Rubin, Saggi sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli 1976
7
Intesa come “forza lavoro complessiva della società”.
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direttamente col variare delle quantità e inversamente col variare della forza produttiva del lavoro in
essa realizzatasi
8
.
Analizzando nello specifico il valore di scambio, notiamo come questo si presenti in un
primo momento come il rapporto quantitativo a proporzione della quale i valori d’uso di un tipo
sono scambiati con valori d’uso di un altro tipo: tale rapporto cambia equamente in base a tempi e
luoghi diversi. Perciò si presenta come qualcosa di casuale e puramente relativo, valore intrinseco
della merce.
1.1. Caratteristiche peculiari nelle merci: la visione marxista
Tutto ciò che si produce nella moderna società lo si produce per il mercato. Tanto i
prodotti dell’industria quanto quelli dell’agricoltura sono destinati dai loro produttori al mercato.
Anche in passato i prodotti del lavoro sono stati destinati, entro certi limiti, al mercato. E’ soltanto
con il capitalismo però che tale risultato diventa generale. In linea di massima, tutti i prodotti
assumono forma di merce. L’analisi del modo capitalistico di produzione non può partire se non
dall’esame di quest’ultima entità economica elementare che è la merce.
Analizziamo cosa debba intendersi per merce: nella visione marxista trattasi di qualsiasi
cosa esterna prodotta dal lavoro, utile a soddisfare dei bisogni
9
. Essa possiede delle caratteristiche e
proprietà:
8
K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Manifesto libri, 2012
9
http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_1/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_I_-_01.htm
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appagamento di determinati bisogni umani
scambio con altre merci secondo una certa proporzione
Nella prima accezione la merce è un valore d’uso. Nella seconda è un valore di scambio, o
più semplicemente un valore. Come valori d’uso le merci differiscono l’una dall’altra secondo le
loro diverse qualità: possono cioè avere valore
10
.
Tuttavia, qualità essenziale delle merci è quella di essere un prodotto di lavoro: un prodotto
di lavoro in generale, non individuale bensì sociale. L'oggetto d’uso acquista valore soltanto se
filtrato dal lavoro, se incorpora lavoro umano. Ciononostante, è possibile che una cosa possa essere
valore d’uso senza possedere alcun valore. Ciò avviene quando la sua utilità non è ottenuta
mediante lavoro, come nel caso della luce del sole, dell’aria ecc. ( i c.d. “beni liberi”)
11
.
1.2. Il tempo di lavoro quale forma di grandezza del valore
Il valore di scambio è dunque il rapporto quantitativo con cui una merce si scambia con
un’altra merce. La sostanza comune che rende le merci confrontabili e convertibili reciprocamente
consiste nel fatto che esse sono prodotto di lavoro umano, ossia mere materializzazioni di lavoro. Di
conseguenza, sostanza comune delle merci è il lavoro. Il lavoro è fonte di valore. Il valore di una
merce qualsiasi dipende dal lavoro incorporato in essa. Il lavoro che crea il valore delle merci però,
10
S. Petrucciani, Marx, Carocci edizioni, 2012
11
M. Morishima, Marx’s Economics: A dual theory of value and growth, Cambridge University Press, 1977
7
non è il lavoro individuale impiegato dal singolo produttore, bensì il lavoro medio sociale
occorrente alla loro produzione.
Se il valore di una merce dipende dal lavoro in essa incorporato bisogna capire come se ne
determina la grandezza. La grandezza si determina mediante la quantità della sostanza che dà valore
(il lavoro) da essa contenuta. Quest’ultima a sua volta si misura mediante la durata temporale, ossia
con il tempo di lavoro, calcolato a frazioni di tempo, come ora, giorno, mese ed anno. In definitiva
la misura della grandezza del valore è data dal tempo di lavoro
12
.
Il tempo di lavoro di una merce è quello occorrente alla sua produzione in condizioni
medie sociali. Benché tali condizioni varino di tempo in tempo e di paese in paese, ciononostante,
in un epoca data ed in un paese determinato, questo tempo di lavoro è dato, determinato
13
.
Occorre capire cosa significa specificatamente tempo di lavoro medio sociale. Si intende
che per merci della stessa natura, prodotte nello stesso periodo di tempo, si considera tempo di
lavoro, non quello individuale del singolo produttore, bensì quello medio risultante dalla somma dei
lavori oggettivati in quelle date merci. Il tempo di lavoro è una grandezza variabile. Esso varia con
il cambiamento della forza produttiva del lavoro che si verifica in conseguenza a molteplici fattori:
sviluppo della tecnica, combinazioni sociali di lavoro, particolari situazioni naturali. La grandezza
di valore di una merce varia comunque direttamente con il valore della quantità di lavoro, e
inversamente col variare della forza produttiva. A determinare la grandezza del valore resta quindi
soltanto il tempo di lavoro socialmente necessario a fornire un dato valore d’uso
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.
12
M. Del Pra, Il pensiero filosofico di Marx, Shake editore, 2011
13
K. Marx, op. cit.
14
R. Rosdolsky, Genesi e struttura del capitale di Marx, Laterza 1971