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Introduzione
L’obiettivo che mi sono prefissata in questo elaborato di tesi è stato quello di analizzare
la qualità del doppiaggio italiano della serie televisiva El Internado (Spagna, 2007) in
un confronto con la versione originale spagnola. Il motivo di questa indagine nasce in
primo luogo dalla curiosità di verificare la fedeltà e l’aderenza all’originale; in secondo
luogo dalla consapevolezza che spesso nei processi di traduzione si verificano delle
perdite, e questo accade particolarmente nel caso della traduzione filmica, sottoposta a
specifiche costrizioni di carattere tecnico. In terzo luogo dall’interesse di osservare se
anche in questa serie si potessero riscontrare le caratteristiche della lingua artificiosa del
doppiaggio, il cosiddetto “doppiaggese” e, in caso positivo, se questo fosse un aspetto
preponderante dei dialoghi.
La scelta del testo audiovisivo è ricaduta su El Internado per molteplici ragioni.
Innanzitutto, va osservato che rispetto alla quantità di serie televisive prodotte in
Spagna, quelle che vengono acquistate e trasmesse in Italia sono un numero limitato, dal
momento che la stragrande maggioranza dei prodotti importati nel nostro paese
proviene dagli Stati Uniti. Di conseguenza ho cercato una serie che proponesse
interessanti caratteristiche sia dal punto di vista spagnolo che da quello italiano: per lo
spagnolo un linguaggio colloquiale, ricco di modismi ed incline al turpiloquio; per
l’italiano, incongruenze e differenze rispetto alla versione originale. Per reperire una
serie che avesse queste caratteristiche ho visionato il primo episodio sia in italiano che
in spagnolo di alcuni telefilm finché non ho trovato El Internado, che secondo la mia
opinione rispondeva a tutti quei parametri che mi ero prefissata. Ho quindi deciso di
usare per la mia analisi tutti gli episodi della prima stagione, sei episodi da circa 70
minuti ciascuno, al fine di fornire uno studio quanto più possibile completo del prodotto
tradotto in italiano.
Nella prima parte dell’elaborato ho affrontato la questione della traduzione audiovisiva
da un punto di vista teorico, prendendo in esame le principali scuole di pensiero
sull’applicazione delle tecniche di traduzione filmica. In particolare, nel primo capitolo
ho analizzato il doppiaggio, ho individuato le figure professionali coinvolte e le fasi di
lavoro necessarie. Inoltre ho rivolto l’attenzione alla lingua dei film e a quella del
doppiaggio, che cercano di essere quanto più possibile simili a quella spontanea,
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nonostante in quella del doppiaggio si riscontrino in molti casi calchi semantici e
sintattici rispetto alla lingua di partenza. Nel secondo capitolo ho preso in esame le altre
due principali forme di traduzione audiovisiva: il sottotitolaggio, che negli ultimi anni
ha conosciuto un notevole sviluppo sia a livello professionale che amatoriale, e il voice-
over, metodo utilizzato prevalentemente nei paesi dell’est europeo.
Nella seconda parte della tesi, invece, mi sono proposta l’obiettivo di analizzare la serie
più da vicino. Nel terzo capitolo è stato utile studiare la trama della prima stagione e
tracciare un profilo psicologico dei personaggi protagonisti; nella seconda parte dello
stesso capitolo ho trattato la questione della produzione e realizzazione del telefilm e
della sua ricezione sia a livello nazionale che internazionale.
Il quarto e ultimo capitolo, infine, si è incentrato sull’analisi del doppiaggio vero e
proprio. Dopo una prima panoramica generale ogni paragrafo si è indirizzato su una
precisa tematica linguistica, e in ciascuna sezione ho indagato sulle strategie scelte dai
traduttori. Tale percorso mi ha permesso di esprimere un giudizio personale sull’operato
dei traduttori, offrendo, a tratti, alcune proposte migliorative, a mio avviso più rispettose
del testo di partenza.
1. La traduzione audiovisiva:
il doppiaggio
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1.1. Breve panoramica sulla traduzione audiovisiva
In particolare negli ultimi trent’anni, la traduzione audiovisiva ha conosciuto un grande
sviluppo in Italia, anche grazie alla diffusione di nuove tecnologie che hanno favorito la
disponibilità di prodotti audiovisivi provenienti dall’estero.
Come si evince dal nome stesso, i prodotti audiovisivi sono prodotti ibridi, che
veicolano il messaggio sia attraverso il canale sonoro (non solo tramite i dialoghi, ma
anche attraverso i rumori di sottofondo e la colonna sonora musicale) che mediante
quello visivo (oltre all’azione in sé, con il linguaggio del corpo, le scritte di scena, i
colori).
A fianco di questo imponente sviluppo, si è venuta specializzando la figura del
dialoghista, che ha bisogno di competenze ed esperienza per poter fornire l’adattamento
del dialogo di elevata qualità che viene richiesto dal pubblico. In passato spesso il
traduttore di prodotti audiovisivi era inesperto, con una conoscenza anche sommaria
della lingua di partenza; oggi, al contrario, esistono diversi corsi di formazione, anche a
livello universitario
1
(master, seminari…).
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La traduzione audiovisiva conosce varie forme: le più comuni sono il doppiaggio, la
sottotitolazione e il voice-over. In questo capitolo verrà preso in considerazione
solamente il doppiaggio, mentre la sottotitolazione e il voice-over verranno analizzati in
quello successivo.
Generalmente, la traduzione audiovisiva è target oriented, ovvero mira ad adattare tutti
i riferimenti culturali a favore del destinatario. Con l’addomesticamento si rischia però
di ottenere un effetto di straniamento nello spettatore, che è consapevole del fatto che la
storia è ambientata in un altro paese.
Il doppiaggio è sicuramente la forma di traduzione audiovisiva più diffusa e conosciuta
in Italia. Consiste nella sostituzione della colonna sonora originale con la colonna
sonora tradotta, allo scopo di favorire la diffusione del prodotto in ambito
internazionale. L’adattamento deve prestare particolare attenzione alla sincronizzazione
dei movimenti labiali degli attori con le parole pronunciate dai doppiatori, per dare
l’illusione che siano gli attori in prima persona a parlare nella lingua di destinazione. Il
1
Per un esempio della struttura dei corsi per traduttori audiovisivi, si rimanda a Koloszar-Koo C., The Orality of Film
Dialogue as a Challenge in AVT Training, in Buffagni C., Garzelli B. (ed.), Film translation from East to West: dubbing,
subtitling and didactic practice, Peter Lang, 2013, pp. 155-166.
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Sulla differenza tra traduttore e dialoghista-adattatore si rimanda al paragrafo 1.3.
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testo filmico viene tradotto e poi adattato dal dialoghista-adattatore, e in seguito verrà
registrato in sala di incisione sotto la guida del direttore del doppiaggio (vedi 1.5). Qui
si presta particolare attenzione alla sincronia labiale, che teoricamente dovrebbe già
essere ottimale nel testo tradotto. Tuttavia, può succedere che in sala di registrazione
vengano fatte alcune piccole modifiche al testo per migliorare la sincronizzazione, a
volte causando la perdita di elementi linguistici che erano stati inseriti per una maggiore
aderenza all’originale.
Il doppiaggio si basa su una contraddizione: deve adattare le caratteristiche di una
cultura ad un’altra. Ciò è reso ancora più complicato dalla presenza dell’immagine, dei
gesti e dei movimenti degli attori, che possono naturalmente avere significati diversi da
un contesto culturale all’altro. Si pensi, ad esempio, al movimento in senso verticale
della testa, che in molti paesi, tra cui l’Italia, indica assenso, mentre in Grecia e nei
paesi arabi ha il significato opposto. Oppure al grande uso che si fa dei gesti in Italia, tra
cui la cosiddetta “mano a borsa”, ormai famosissima anche a livello internazionale, ma
tipici proprio della cultura italiana e quindi privi di senso per le altre. Questo
naturalmente complica la vita al traduttore che, non potendo intervenire sull’immagine,
dovrà riuscire a far capire a cosa si riferisce quel gesto tramite stratagemmi traduttivi, ad
esempio esplicitandone il significato.
Il doppiaggio può essere utilizzato anche per dare voce ai cartoni animati o per
migliorare la voce di un attore non particolarmente bella o perfetta dal punto di vista
della dizione, o ancora per applicare la traccia audio ad un film che, per vari motivi, non
può essere registrata in presa diretta.
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1.2. La storia del doppiaggio
Come molti sanno, il doppiaggio in Italia si diffonde nel periodo fascista, in particolare
a causa di una legge del 1929 in cui venne vietata la circolazione delle opere straniere, e
con un’altra dell’anno successivo che addirittura proibiva la presenza di battute in
lingua straniera all’interno di un film “sia pure in misura minima”. Si giunse a queste
3
Castellano A. (a cura di), Il doppiaggio. Profilo, storia e analisi di un'arte negata, AIDAC, Roma, 2002.
4
Ulteriori approfondimenti di traduttologia e traduzione audiovisiva in: Hurtado Albir A., Traducción y
Traductología. Introducción a la traductología, Madrid, Catédra, 2001; Buffagni C., Garzelli B. (ed.), Film translation
from East to West: dubbing, subtitling and didactic practice, Peter Lang, 2013; Díaz Cintas J., Anderman G. (ed.),
Audiovisual Translation: Language Transfer on Screen, Palgrave Macmillan, Londra, 2009; Gambier Y., Gottlieb H.
(ed.), (Multi) Media Translation: Concepts, Practices and Research, John Benjamins, 2001.
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leggi soprattutto per motivi di natura purista nei confronti della lingua italiana, che non
doveva subire influenze da altre lingue, sia per motivi di natura protezionistica, affinché
si sviluppasse una produzione cinematografica a livello nazionale. Inoltre, si può ben
immaginare che il governo volesse evitare la circolazione di idee contrarie all’ideologia
fascista, quindi tali leggi avevano anche funzione di censura.
In seguito all’avvento del sonoro (nel 1927 in “The Jazz Singer”) si pose
immediatamente il problema dell’esportazione dei film. Inizialmente, si privarono
dell’audio e si inserirono delle didascalie tradotte in italiano, ma ciò comportava il
taglio di alcune scene. I dialoghi erano molti e la lettura delle didascalie era difficoltosa
(anche perché c’era un elevato tasso di analfabetismo), quindi il cinema non
rappresentava più una forma di svago, era ormai troppo impegnativo. A questo punto,
per evitare il collasso del mercato cinematografico italiano, alle majors statunitensi
venne l’idea di realizzare lo stesso film in più versioni: sul set si alternavano registi e
gruppi di attori di nazionalità diversa che recitavano le varie scene. Lo stabilimento
preposto alla registrazione di questo tipo di film venne creato dalla Paramount nel 1930
in Francia, a Joinville. Questo però allungava eccessivamente i tempi di registrazione e
provocava un aumento dei costi esponenziale per cui, dopo appena un anno, gli
stabilimenti di Joinville vennero chiusi.
Si giunse alla soluzione del doppiaggio solo nel 1932, quando venne inventato da Jacob
Karol, un fisico austriaco.
In un primo momento il doppiaggio avveniva all’estero, con le voci di italoamericani in
molti casi reduci di Joinville, che però avevano una conoscenza piuttosto sommaria
della lingua italiana, quindi nelle versioni doppiate spesso comparivano calchi, errori e
pronunce sbagliate; forse anche per questi motivi, nel 1933 un’ulteriore legge stabilì che
l’adattamento delle pellicole dovesse essere fatto all’interno dei confini nazionali. Il
primo stabilimento di doppiaggio aprì nel 1932 a Roma, il Cines-Pittaluga. Il
doppiaggio italiano diventò fin dai primi anni un’eccellenza, sebbene almeno nei primi
tempi fosse caratterizzato da un linguaggio molto artificioso, privo di variazioni
diafasiche e diastratiche. Iniziò anche la prassi di doppiare i film italiani, in quanto la
post-sincronizzazione in studio risultava più economica e qualitativamente migliore
rispetto alla registrazione del suono in presa diretta.
Nel 1939 l’America bloccò l’invio dei film in Italia a causa della Legge Alfieri, che
proibiva la distribuzione in Italia ai produttori stranieri, legge che provocò anche un