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Introduzione
Il presente elaborato si propone di analizzare le dinamiche
organizzative che si instaurano con riferimento al fenomeno della
maternità in azienda ed alle sue implicazioni gestionali. Il tema verrà
illustrato sul piano teorico e si riferirà di alcune soluzioni manageriali
specifiche, elaborate da centri di consulenza organizzativa, concepite al
fine di supportare l’impresa e garantire il buon andamento della gestione.
Si arriverà alla conclusione che sviluppare un’efficace gestione della
maternità è possibile, ma ciò richiede di gestire e dare sviluppo a forme di
flessibilità organizzativa, manageriale e relazionale.
L’evento maternità rappresenta un’interruzione al regolare
andamento dell’attività lavorativa in azienda, in quanto viene meno il
contributo di una risorsa per un periodo minimo di cinque mesi, fino
all’eventualità del non rientro in azienda della dipendente. Si andrà a
descrivere come l’evento maternità venga spesso percepito in azienda
come un evento particolarmente oneroso, a cui tendenzialmente
l’organizzazione cerca di porre rimedio assumendo poca forza lavoro
femminile o affidando alle proprie dipendenti ruoli in cui si registrano bassi
livelli di responsabilità.
Le donne sono spesso considerate molto capaci e dotate di un
elevato potenziale. Ma queste considerazioni perdono spesso valore nel
momento in cui si considera che un giorno altre priorità entreranno nella
loro vita con la nascita di un figlio, diventando la maternità elemento di
discontinuità rispetto all’impegno richiesto. La prospettiva di un futuro stato
di maternità, dunque, rappresenta per le donne un ostacolo rilevante alla
loro presenza e crescita nel mercato del lavoro. La ragione principale
risiede in una cultura radicata che considera la maternità un momento
esclusivamente personale della vita di una donna, la quale è la diretta
interessata alla cura e alla crescita dei figli. Il ruolo preordinato della
donna nella società la fa portatrice quasi esclusiva dei carichi famigliari,
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anche quando questa ha una occupazione tanto quanto il compagno o
marito. La nostra società è impregnata di stereotipi riguardanti i ruoli
assunti da uomini e donne al suo interno, credenze che si basano su una
ridondanza informativa che propone una visione solo parziale e
precostruita di un fenomeno.
La presente tesi, oltre a descrivere ciò che sedimenta dietro la
costruzione sociale di una percezione della maternità come evento
oneroso per l’azienda, illustra, partendo da un’ottica di Diversity
Management (una filosofia manageriale basata sulla valorizzazione delle
differenze in azienda) soluzioni gestionali innovative, elaborate da studiosi
in materia, appartenenti a centri di consulenza organizzativa, come SDA
Bocconi, che, oltre a permettere una riduzione concreta dei costi e una
minore percezione del loro impatto in azienda, consentirà di sviluppare
una nuova visione della maternità, che la elimina dall’essere motivo
fondamentale per non investire sulla forza lavoro femminile, caratterizzata
da un sempre più alto potenziale professionale ancoro troppo poco
sfruttato dalla realtà organizzativa italiana.
Nel primo capitolo si fornisce una panoramica del contesto sociale e
occupazionale, descrivendo la situazione femminile nella società e, più
specificatamente, nel mercato del lavoro. In primo luogo si pone l’accento
su cosa esattamente si intenda con il termine gender (in italiano genere),
nel modo in cui viene utilizzato dagli anni ’70 in poi su iniziativa dei
movimenti feministi: il loro obiettivo è stato di racchiudere in questo
termine la concettualizzare del fenomeno, sempre esistito, di costruzione
sociale dell’essere “donna” e dell’essere “uomo” a partire dalla natura
sessuale di un individuo. È da questa “pratica sociale” che nascono gli
stereotipi, appunto definiti di genere, che fanno uomini e donne
automaticamente portatori di determinati modi di essere, pensare ed agire.
Gli stereotipi sono alla base della maggioranza degli ostacoli che si
frappongono tra le donne e il loro accesso nel mondo del lavoro. Il capitolo
continua descrivendo la situazione delle donne a livello occupazionale in
un mercato del lavoro contraddistinto dall’essere particolarmente
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influenzato dagli stereotipi di genere. Si fornirà un quadro dell’occupazione
femminile nel nostro Paese, indagando le sue variazioni in base all’età, al
livello di istruzione delle donne e al loro essere o meno madre di uno o più
figli, sottolineandone tutte le problematiche che ne stanno alla base.
L’occupazione femminile in Italia è di tanto inferiore, non solo
dell’occupazione maschile, ma anche in relazione a quella registrata negli
altri paesi dell’Unione Europea, risultando una delle più basse. In
contrasto con i dati occupazionali, si registra un maggior numero di
laureate donne che uomini, di livello qualitativo pure superiore. Si tratta di
potenziale non sfruttato, che arricchisce un bacino talenti italiano non
efficientemente utilizzato. La Banca d’Italia ha stimato pari al 7%
l’aumento del PIL conseguibile con un riequilibrio della presenza di genere
nel mercato del lavoro. Le donne subiscono segregazione occupazionale,
sia a livello di settore che di ruolo occupato all’interno dell’impresa: la
forza lavoro femminile si concentra in determinati settori e in mansioni
gerarchicamente poco rilevanti. La presenza di donne in consigli di
amministrazione, considerata tendenzialmente uno svantaggio, risulta
essere in realtà un valore aggiunto di cui beneficia l’intera impresa. Il
capitolo si conclude con una focalizzazione sulle donne madri e sul loro
ancor più basso tasso di occupazione in Italia, a fronte di un tasso di
fecondità italiano tra i più bassi in Europa. Questa situazione che,
potrebbe essere considerata ambigua (meno figli dovrebbe significare più
lavoro per la donna) invece segue la tendenza che si registra ormai
ovunque secondo cui tasso di fecondità e occupazione femminile sono
direttamente proporzionati. Il capitolo poi tratterà il fenomeno diffuso delle
madri scoraggiate, madri che abbandonano il lavoro per occuparsi dei figli
e della famiglia, le cui cause sono rintracciabili nel basso sostegno della
spesa pubblica, nel mal funzionamento dei congedi e nel poco utilizzo di
schemi di flessibilità oraria nelle imprese, tutti strumenti di sostegno alla
madre di cui si vedranno in sintesi le caratteristiche. Il primo capitolo
perciò è stato inserito per sottolineare come trovare una soluzione al
binomio maternità e lavoro sia un tema non solo di responsabilità
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organizzativa, ma anche di sviluppo della nostra società e delle sue
istituzioni.
Il secondo capitolo si addentra nella questione “gestione della
maternità”, non affrontandola ancora direttamente, ma considerandola da
un punto di vista che ne analizza gli ostacoli, essenzialmente culturali, che
rappresentano contestualmente le principali limitazioni che si oppongono
al raggiungimento di una corretta modalità di approccio in tema di
maternità. In primo luogo si affronta la questione da un punto di vista della
madre. La nascita di un figlio per la donna significa caricarsi di tutta una
serie di nuove responsabilità, le quali, nella loro quasi totalità, ricadono
automaticamente sulla madre, anche quando questa ha un lavoro come la
controparte maschile. Queste responsabilità perciò si sommano a quelle
già presenti a livello lavorativo, tanto maggiori più la donna ha prospettive
di carriera. A questa si contrappone una cultura del tempo tipicamente
presente nelle realtà aziendali, in cui un aumento dell’orario di lavoro è
considerato doveroso se si vuole intraprendere una crescita professionale,
ma praticamente impossibile se la lavoratrice, diventata madre, viene
caricata di tutte le responsabilità che derivano dall’avere un figlio, senza
che ci sia una equa distribuzione a livello genitoriale e se esigui sono gli
strumenti di supporto forniti da Stato e azienda. Tutto questo porta spesso
le stesse donne a porsi ambizioni minori, in prospettiva di una fine
scontata della propria scalata gerarchica, o persino del proprio lavoro, se
dovessero decidere di mettere al mondo un figlio. Il capitolo prosegue
analizzando la percezione che si ha della maternità a livello organizzativo.
La cultura aziendale spesso radicatasi in tema di maternità fa questa
essenzialmente un “rischio” e un “costo” che l’impresa si carica nel
momento in cui assume personale femminile nella propria forza lavoro. La
percezione di rischio è diretta conseguenza dell’assunto tendenzialmente
condiviso che nascita di un figlio significhi necessario punto di arresto
dell’impegno e dell’efficienza dimostrati fino a quel momento dalla
lavoratrice, e quindi necessaria perdita degli investimenti fatti su questa.
La percezione di costo si lega alla convinzione che la maternità richieda
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una riorganizzazione all’interno dell’impresa necessariamente onerosa per
questa. Il capitolo si conclude riportando l’analisi condotta dal centro di
ricerca SDA Bocconi che si è proposta di dare effettiva voce a questi costi
derivanti dalla gestione della maternità, tanto considerati gravosi per
l’impresa. La conclusione che ne deriva è che il costo di gestione della
maternità è un costo quantitativamente irrisorio e la sua percezione di alta
onerosità è ridotta drasticamente se all’interno dell’impresa viene adottata
trasparenza e comunicazione, sia da parte della lavoratrice, che da parte
del capo e dell’organizzazione, in modo da poter pianificare l’evento in
modo anticipato ed efficiente.
Il terzo capitolo si propone di illustrare, in ultimo, le linee guida
elaborate principalmente da Studio DUO (società di consulenza in ambito
organizzativo che offre attività di consulenza individuale in tema di
valorizzazione della differenza di genere nelle organizzazioni) e da SDA
Bocconi, che le realtà organizzative dovrebbero seguire per implementare
al loro interno una strategia propositiva ed efficiente di gestione della
maternità. In prima battuta si illustrano le caratteristiche che
contraddistinguono la filosofia del Diversity Management, approccio su cui
si è basata la ricerca delle soluzioni gestionali in tema di maternità.
Questa ricerca ha portato alla formulazione di due modelli innovativi di
gestione: il modello relazionale e il modello manageriale. Affinché questi
possano essere implementati correttamente in azienda, è necessaria una
ridefinizione della cultura aziendale, la quale oltre a doversi porre in
un’ottica di valorizzazione delle differenze e del capitale umano, deve
sviluppare una visione propositiva della maternità, in modo che questa
venga vista come evento comune e proprio della realtà organizzativa, che
pone la donna in una fase di nuova energia e forza di volontà, con nuovi
obiettivi e prospettive per il futuro, che invece di farla distaccare dal lavoro,
la rendono ancora più partecipe, avendo sviluppato un più maturo senso
di responsabilità. I due modelli propongono l’edificazione di un rapporto
comunicativo e cooperativo tra gli attori interessati all’evento (donna, capo
e organizzazione), un’atmosfera di trasparenza che consente di ridurre i
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costi sia percepiti che realmente sostenuti a livello processuale da parte
dell’impresa. A distinguere il modello manageriale da quello relazionale
sarà essenzialmente l’obiettivo di crescita professionale della lavoratrice,
che nel modello relazionale non viene considerato, e la maggiore
partecipazione al processo gestionale della Direzione del Personale, la
quale interviene in una funziona di monitoraggio e di supporto. La tesi si
conclude riportando il caso concreto di una realtà aziendale, la San
Pellegrino-Nestlé. L’impresa, partendo dal voler dare una soluzione alle
disuguaglianze occupazionali di genere che la contraddistinguevano, si è
attivata nel proporre una nuova strategia di gestione dell’evento maternità,
la quale è stata introdotta con successo nel normale ciclo organizzativo
dell’azienda. La gestione efficiente della maternità diventa perciò realtà e
non più solo teoria.
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I. Capitolo
Il genere e l’occupazionale di genere
Questo primo capitolo si propone di individuare e descrivere il
contesto in cui le dinamiche legate alla maternità nascono e si sviluppano,
in modo da avere una panoramica iniziale di quali sono i fattori che ne
determinano le caratteristiche principali.
In prima battuta, si individua come il termine gender (genere in
italiano) sia stato introdotto solo negli anni ’70 dai movimenti femministi,
con l’intento di concettualizzare quel fenomeno, sempre esistito, secondo
cui l’individuo, in ragione della propria natura sessuale, maschile o
femminile, diviene “uomo” o “donna”, il risultato di una costruzione
culturale e mentale, derivante da pratiche sociali, che ha condotto a creare
i c.d. stereotipi di genere, ovvero quelle associazioni automatiche a uomini
e donne di modi di essere, pensare ed agire preordinati. Gli stereotipi di
genere, di cui si farà un approfondimento, hanno costituito, e costituiscono
tuttora, ostacoli per la donna nel mondo del lavoro, con le note
conseguenze di una bassa occupazione femminile, caratterizzata da
segregazione verticale e segregazione orizzontale.
L’ultima parte si focalizza sulla occupazione delle madri, su quelli che
sono gli strumenti a sostegno dei genitori (spesa pubblica, quadro
istituzionale e strumenti di flessibilità lavorativa) e le loro criticità, che
portano la maternità ad essere tuttora un problema nel nostro paese. Ne
uscirà fuori un quadro dell’Italia per nulla positivo, trovandosi ad essere
sempre nelle posizioni più basse se messa in relazione con gli altri paesi
dell’UE, troppo indietro sotto diversi punti di vista estremamente cruciali in
tema di occupazione femminile e di conciliazione famiglia-lavoro. Questo
connota che migliorie non devono essere fatte solo a livello aziendale, ma
anche a livello istituzionale, e che favorire l’occupazione femminile e delle
madri non è un beneficio per le sole imprese, ma anche per l’intero paese.