INTRODUZIONE
“Un’evoluzione che è venuta alla ribalta piuttosto di recente nel medium, una ‘scuola’
di narrativa a fumetti che occupa di solito poco più che uno scaffale nei comics
bookstores”
1
: il graphic novel. Sebbene, infatti, l’atto di nascita ufficiale di questo
nuovo genere letterario risalga al 1978, anno in cui Will Eisner pubblica per la prima
volta il suo Contratto con Dio, il graphic novel rimane, tuttavia, ancora un’incognita. Il
fatto che gli venga riservato poco spazio nelle librerie è indice di un atteggiamento di
diffidenza nei confronti di questo ‘diverso’, quest’ibrido che si trova a metà tra il genere
fumettistico e il genere del romanzo, a metà tra l’essere un’opera di intrattenimento di
massa e l’essere destinata, invece, ad un pubblico elitario. Umberto Eco, riflettendo
sulla natura del graphic novel, intuisce in quest’ultimo l’intimo legame, all’apparenza
paradossale, tra la sua essenza popolare e allo stesso tempo elevata:
Pensa ai Beatles che – come ha poi intuito Cathy Berberian – potevano essere ricantati
come se fossero la musica di Purcell che in qualche modo li aveva ispirati. Musica di
intrattenimento, ma coltissima. Pensa a Benigni: fa parte della cultura di massa o della
cultura d’élite? Non hai risposta: riesce a fare passare Dante davanti a ventimila persone e
cammina come un clown.
2
Nella sua riflessione, lo studioso continua affermando che, se precedentemente il
fumetto era considerato per bambini, oggi può essere interpretato “solo da gente che
ha letto Joyce”
3
. Trovo particolarmente esplicativo e significativo l’accostamento del
graphic novel al romanzo poliziesco di Camilleri, il quale “fa romanzi accessibili alle
grandi masse, ma mediante una forte sperimentazione linguistica”
4
.
Come dunque considerare il romanzo grafico? Se infatti è pur vera la sua
matrice popolare in quanto si fa uso della forma del fumetto, d’altro canto si tratta
pure di una categoria ‘alta’, che, e questo condivide con il novel, “ama ripercorrere
generi consolidati del repertorio romanzesco”
5
, quali il racconto autobiografico (a cui
1
V. Bavaro e D. Izzo, “Comics, fumetti, graphic novels: dialogo intergenerazionale su un
medium indisciplinato”, in Ácoma 38, Shake, Roma, 2009.
2
Da un’intervista di Valentino Parlato a Umberto Eco per i quarant’anni del manifesto, 28
aprile 2011 [www.matteobartocci.it/2011/04/28/umberto-eco-il-manifesto-un-argine-culturale/].
3
Ibid.
4
Ibid.
5
Si veda V. Bavaro e D. Izzo, op. cit., p. 21.
1
si ascrive Ethel&Ernest di Raymond Briggs), il racconto storico o di guerra, come
per esempio il Maus di Art Spiegelman, il quale descrive la tragedia dell’olocausto,
oppure il Persepolis di Marjane Satrapi, una narrazione allo stesso tempo toccante e
ironica sullo sfondo di un Iran sconvolto dalla dittatura islamica. Il fatto inoltre che
questi due graphic novel, in particolare, abbiano vinto premi prestigiosi come, il
primo, il premio Pulitzer nel 1992 e, il sec ondo, il Premio della giuria a Cannes nel
2007, è indice della rilevanza culturale che questo genere sta acquisendo. Un
interrogativo molto interessante, inoltre, ri guarda il confine interposto tra romanzo a
fumetti e romanzo tradizionale: è vero che, nel primo, il ruolo riservato alle immagini
è di primo piano, mentre, nel secondo, que ste sono presenti quasi esclusivamente nel
caso di letteratura infantile. E ppure, leggendo un classico come Anna Karenina, non
si nota forse una quantità di dettagli talmen te minuziosa (degna di un vero e proprio
sceneggiatore) da rendere quasi spontanea una qualsiasi riproduzione grafica del
ballo tra la protagonista e il conte Vronskij?
È necessario quindi prendere in considerazione questo nuovo stile espressivo
che, come sostiene la giornalista Tobagi, rimpiazzerà il ‘romanzo tradizionale’, nei
confronti del quale, paradossalmente, l’atteggiamento si sta facendo quasi
insofferente, dal momento che esso appare cristallizzato nelle sue forme, incapace di
evolversi e, soprattutto qualitativamente scaduto: oggi il solo requisito per essere uno
scrittore è limitato al possesso di un computer
6
, afferma duramente il critico G. Fofi.
Il presente studio si concentra quindi sulla ricerca di una definizione di
questo genere nato, in un certo senso, dalla ‘costola’ del fumetto. Partendo
dall’analisi che ne fa il critico G. Brunoro, si procede nel tentativo di delineare una
definizione globale del romanzo a fumetti, cercando di individuarne le caratteristiche
che lo contraddistinguono come un genere a sé, sottolineandone le affinità e le
differenze che emergono dal confronto con il fumetto tradizionale.
Nel primo capitolo viene introdotto il graphic novel tramite il suo diretto
inserimento nel vivo dibattito che gravita attorno alla questione dell’appartenenza o
meno di questo genere al dominio della letteratura. Partendo da considerazioni
globali sulla natura del graphic novel e dopo averne citato de i celebri esempi, la
disamina prosegue con la ricostruzione dell a storia del fumetto, dalle sue origini fino
alla nascita e allo sviluppo del genere da me preso in esame, riportandone le
6
G. Fofi, “Lunga vita al romanzo a fumetti”, in il Messaggero, 30 agosto 2007
2
principali tappe, escludendo tuttavia dalla trattazione un approfondimento sui manga
giapponesi, i quali costituiscono una sorta di categoria a sé che non è significativo
porre in relazione al tema centrale de lla mia ricerca (bench é, in ogni caso,
rappresentino un’interessante variante del fumetto occidentale). L’attenzione si
focalizza, quindi, sul “romanzo grafico” in particolare, cercando di estrapolarne le
caratteristiche attraverso il confronto con il fumetto tradizionale. Infatti, il
procedimento seguito è quello secondo il quale si delineano le caratteristiche di uno
partendo da ciò che non ha in comune con l’altro. Il metodo si è rivelato un utile
espediente nel fornire una definizione complessiva del graphic novel e di quelle che
potrebbero essere considerate le sue caratteristiche. Il parallelo tra i due generi mette
infatti in risalto le loro affinità e diverg enze, le une legate al fondamentale rapporto
di interazione tra testo e immagine, le altre relative alle tematiche trattate, che
costituiscono sostanzialmente la capitale differenza tra fumetto tradizionale e graphic
novel. Nel corso del capitolo, vengono riportate alcune considerazioni riguardanti il
valore culturale e artistico del “romanzo a fumetti”, quale forma di espressione
letteraria altamente elaborata ma anche assai versatile, capace di adattarsi ad
esigenze narrative quanto saggistiche o gi ornalistiche, dimost rando di essere un
efficace mezzo di comunicazione. Chiude infine il capitolo una riflessione riguardo il
‘dialetto’ del fumetto, al cui inte rno si distingue l’ ‘idioletto’
7
del graphic novel, che
vengono considerati, in partic olar modo, nell’ottica della traduzi one, ragionando
specialmente sulle problematiche che comporta.
Il secondo capitolo è costituito dalla traduzione di Ethel&Ernest, graphic novel
dell’autore inglese Raymond Briggs, pubblic ato a Londra nel 2008 dalla casa editrice
Jonathan Cape. Si tratta di un racconto biogr afico e autobiografico (l’opera sottotitola
“A true story”) in cui i protagonisti sono i ge nitori dell’autore, dei quali si narrano le
vicende a partire dal loro primo incontro, avve nuto alla fine degli anni Venti, fino alla
loro morte, all’inizio degli anni Settanta. Lo spunto offre l’opport unità di dipingere un
pregevole affresco della vita prima e dopo la seconda guerra mondiale, fino all’avvento
della società del benessere. Sebbene il raccont o si svolga per la ma ggior parte entro le
mura domestiche, ciò non impedisce alla St oria di entrare prepotentemente nel
‘romanzo’, conferendogli anche il valore di documento. Con una tecnica d’eco
cechoviana, Briggs narra l’evol versi di un’era grazie alla pa rticolare attenzione rivolta
agli oggetti del mondo quotidiano, visti tram ite gli occhi di una generazione posta
7
P. Faini, Tradurre, Carocci, Roma, 2008.
3
davanti al fatto compiuto del “progresso scientifico”
8
. La semplicità con cui l’autore
descrive il contatto dei personaggi con la modernità e con ciò che questa comporta, fa
spesso sorridere di tenerezza, ad esempio ne lla scena a pagina 68, in cui Ernest, con
estremo candore, si lava nella cucina, mentre il figlio lo ‘rimprovera’ perché invece
dovrebbe usare il bagno; all’esaltazione provocata dalla lavatrice (altamente
comprensibile se si paragona al modo in uso all’epoca di lavare i panni, raffigurato a
pagina 26) si oppone, viceversa, la perpless ità, quasi il timore, nei confronti del
telefono: “E che faccio se squilla quando non ci sei?”
9
. Inoltre, è interessante,
soprattutto a posteriori, notar e come, in realtà, la novità della “Tele-visione” non abbia
suscitato, inizialmente, l’eccita zione che invece ci si sarebbe aspettati: il cinema tutti i
giorni può andar bene solo per “i ricchi”
10
, afferma con indifferenza la protagonista, che
non esita, successivamente, a guardare con sospetto al frigorifero, oggetto di cui non
vede l’utilità
11
. Un’ultima menzione al mondo degli oggetti non può non riguardare
l’automobile, il segno più evidente dell’avvento della società di massa.
Il tema cardine dell’opera è rappresent ato, principalmente, dal sincero legame
d’amore che ha unito i coniugi Briggs , i quali sognavano di essere una “vera
famiglia”
12
, e le cui speciali ‘affinità elettive’ hanno fatto sì che neanche la morte
riuscisse a separarli per un tempo troppo lungo, benché si stringa il cuore quando, alla
fine, Ethel in ospedale non riconosce più quel che era stato il suo “dear Ernest”.
Un aspetto affascinante dell’opera riguarda la politica. Attraverso la radio ed i
giornali che Ernest legge e commenta insiem e ad Ethel, motivo peraltro di assidue
baruffe tra i due, essendo lei filo-conservatrice e lui simpatizzante della sinistra laburista
(con che ardore Ernest accoglie il “Welfare State!”
13
), è interessante osservare come
venivano trasmessi e recepiti quei ben noti avvenimenti di politica estera che hanno
sconvolto l’Europa tra il 1938 e il 1945 fino alla piena Guerra Fredda: dalla notizia delle
prime leggi razziali naziste
14
agli esperimenti atomici tra le rivali USA e URSS
15
; dalla
guerra di Corea
16
all’uomo sulla Luna
17
, passando per l’urbanizzazione degli anni
8
R. Briggs, Ethel&Ernest, Jonathan Cape, London, 2008, p.69.
9
Ibid., p. 74.
10
Ibid., p. 26.
11
Ibid., p. 64.
12
Ibid., p. 23.
13
Ibid., p. 51.
14
Ibid., p. 25.
15
Ibid., p. 66.
16
Ibid., p. 70.
4
Quaranta
18
e la confusione causata dall’inversi one delle parti (“Ora sono i comunisti i
nemici, vero?”
19
). Meritano particolare considerazione , inoltre, le impressioni suscitate
nei protagonisti dal fenomeno Hitler, e soprattutto colpisce l’ingenuità con cui costui era
visto all’inizio, come è scon certante (per un lettore non espe rto di Storia) l’apprendere
che i profitti del Mein Kampf sarebbero andati alla Croce Rossa
20
(anche se, in fin dei
conti, non così tanto).
Il terzo capitolo, infine, riguarda la tr aduzione e le relative scelte che ho
effettuato. Partendo da una riflessione sulla natura della traduzione, vengono indicati gli
atteggiamenti che è opportuno te nere nei confronti del test o di partenza: adottando le
definizioni di Berman
21
, vengono distinti due possibili approcci, ossia cibliste (cioè
rivolto alla cultura d’arrivo) o sourcière (rivolto alla cultura di partenza). Il
ragionamento continua riportando quelli che pot rebbero essere gli eccessi dell’uno e
dell’altro caso, e conclude con l’esortazione di Benjamin affinché il traduttore accetti
che un intervento personale sul testo è inevitabile
22
. Nella seconda parte di questo
capitolo, quindi, vengono indicati i procedimenti da tenere a mente nell’atto concreto
della traduzione. Dopo aver in dividuato e caratterizzato le diverse tipologie testuali,
segue un’esposizione delle tecniche alle qua li ricorrere in base anche alle funzioni
svolte dal contenuto. Termina infine con la discussione della versione da me proposta di
alcuni significativi pa ssaggi (dal punto di vi sta traduttologico) del graphic novel
Ethel&Ernest.
17
Ibid., p. 88.
18
Ibid., p. 63.
19
Ibid., p. 64.
20
Ibid., p. 20.
21
A. Berman, La traduction et la lettre ou l’auberge du lointain, Éditions du Seuil, Paris, 1999.
22
Ibid.
5
CAPITOLO PRIMO
“Il nuovo romanzo? Forse c’è già. Ma è disegnato.”
1
Così la giornalista
Benedetta Tobagi comincia, nel 2010, un articolo che verrà pubblicato su la Repubblica
intitolato Scrivere disegnando, a proposito del graphic novel, in cui vengono mostrate le
tappe principali che portarono alla formazi one e alla diffusione di questo genere
narrativo, al quale solo di recente sta vene ndo riconosciuto il giusto valore artistico e
culturale. Benché già alla fine dell ’Ottocento risalga uno degli antenati del graphic
novel (Canotiers, datato 1859/61, realizzato da Verdier e Duflot
2
), l’origine del termine
(e del genere vero e proprio come lo conosciamo noi oggi) viene fatta risalire agli anni
’60 o ’70 del Novecento. Lo studioso Ian Chris tie, nella conferenza “Oltre la pagina: il
testo letterario e le sue metamorfosi nell’er a dell’immagine” tenutasi nell’università di
Roma Tre (gennaio 2011), nell’intervento “Come il graphic novel sfida il paradigma di
Gutemberg”, espone un’analisi di questo genere ancora semi-sconosciuto. Egli,
ripercorrendone la storia, ritiene che il primo a parlare di ‘graphic novel ’ e ‘graphic
story’ fu l’editore americano Richard Kyle, nel 1964, nel tentativo di innalzare il
fumetto a livelli culturalmente più alti, e para llelamente al dibattito, che prendeva piede
in quegli anni, sulla questione del cinema co me arte. La coincidenza non deve sembrare
fuori luogo, sovente infatti il cinema e il fu metto sono venuti a contatto, e innumerevoli
sono le riproduzioni cinematografiche di co mics americani della celebre e prolifica
Marvel: I Fantastici Quattro (diretto da Tim Story, 20th Century Fox, 2005), X-Men
(diretto da Bryan Singer, 20th Century Fox, 2000), o Spider-Man, di cui si sono
succedute diverse versioni fin dal 1977 (il primo film è L’Uomo Ragno, diretto da E. W.
Swackhamer, 1977). Tra gli effetti della congiunzione tra cinema e fumetto vi fu, inoltre
e soprattutto, una notevole influenza nelle t ecniche di rappresentazione grafica, come
per esempio la scelta e la modalità delle inquadrature.
D’altra parte, la nascita del graphic novel viene fatta comunemente coincidere
con la pubblicazione di Contratto con Dio, opera del fumettista statunitense Will Eisner
e pubblicata per la prima volta nel 1978. Nella prefazione scritta da llo stesso Eisner
(riportata nell’edizione italiana Fandango de l 2009), l’autore racconta come, “nel vano
1
Benedetta Tobagi, “Scrivere disegnando”, in La Repubblica, 31 luglio 2010.
2
https://fumettologicamente.wordpress.com.
7
tentativo di convincere un grosso editore a pubblicarmi, chiamai il mio esperimento
graphic novel”.
Quel che traspare dalle di scordanti datazioni è che senz’altro, a prescindere
dall’autore della definizione e dal momento esatto della sua comparsa, il graphic novel
esisteva già, seppur ancora sprovvisto di una sorta di ‘codice’ che ne regolasse le forme
e le caratteristiche.
Eisner definisce la sua opera “un espe rimento”, quindi, un prodotto dall’esito
incerto al quale l’autore sentì la necessità di conferire una certa dignità tramite la
definizione di graphic novel, che tuttavia incontrò forti re sistenze da parte degli editori,
i quali guardavano con diffidenza a questo genere nuovo e ‘basso’ (il fumetto era infatti
considerato soltanto come mezzo d’intratte nimento riservato ad un pubblico giovane e
scarsamente istruito). Eppure l’esperimento ebbe successo: basti pensare al Maus di Art
Spiegelman, vincitore nel 1992 di uno Special Award del premio Pulitzer, o al
Persepolis di Marjane Satrapi, da cui è stato tratto un film d’animazione, vincitore nel
2008 di un premio a Cannes.
Ma cos’è davvero un graphic novel? E in cosa si diffe renzia dal classico
fumetto?Innanzitutto, è opportuno tracciare una breve stor ia del fumetto, dalle sue
origini fino alla nascita e allo sviluppo del graphic novel.
1.1 Dal fumetto al graphic novel
Benché fin dall’antichità l’accostamento immagine-testo fosse ricorrente (basti
pensare ai geroglifici egizi o addirittura ai primi dipinti cristi ani, ma anche bizantini, in
cui spesso erano presenti gli antenati degli odierni balloon, vale a dire delle frasi brevi
che ‘uscivano’ direttamente dalla bocca del pe rsonaggio ritratto), la nascita del fumetto
come mass media viene fatta risalire al 1896, anno in cui cominciano a venir pubblicate
le strisce di Yellow Kid, personaggio ideat o dal disegnatore stat unitense Richard F.
Outcalt. Anche in questo caso la datazione è convenzionale, poiché, come spiega
Zanettin, Yellow Kid non è la prima opera ad avere la forma del fumetto, bensì è la
8
prima a rendere il fumetto “un tipo di letteratura popolare di massa”
3
. Infatti, il carattere
di semplice intrattenimento tipico delle prime storie (da qui la definizione comics),
rendeva il genere fumettistico altamente accessi bile ai ceti inferiori, che costituirono da
subito la più alta parte dei lettori del genere. Da questo momento, quindi, la diffusione e
il successo dei comics si tradussero in un incremento della produzione e tra gli anni
Trenta e Quaranta si verifica, negli Stati Uniti, un vero e proprio exploit del fumetto,
tanto che questo periodo viene comunemente definito la sua Golden Age. Inoltre, è in
questi anni che cominciano a ‘nascere’ in Am erica tutti quei supereroi dai quali sarà per
sempre segnato il fumetto statunitense. Fino a prima della fine della seconda guerra
mondiale, l’argomento più amato dai lettor i era costituito infatti dalle mirabolanti
vicende degli ormai celebri supereroi, come il Superman di J. Siegel e J. Shuster o il
Batman di B. Kane.
All’inizio degli anni Cinquanta, però, la situazione cambia. L’attenzione si volge
ora a nuovi soggetti, che spaziano dal western, al poliziesco, all’horror. Il fumetto non è
più così definito: se per il ‘filone supereroistico’ si può ricostruire una certa trama
comune dai cui binari è difficile uscire, con la variazione dei temi si provocò un certo
irrigidimento da parte degli studiosi poiché, sfuggendo ad un possibile incasellamento,
potevano essere prodotti di dubbia levatura morale e corruttori di giovani. Viene dunque
fondato, nel 1954, il Comics Code Authority, un organo di censura alla cui approvazione
erano sottoposti i lavori in attesa di pubblicazione
4
. Una delle conseguenze fu
l’emergere di fumetti alternativi, non c onvenzionali, che determinarono perfino la
nascita di appositi negozi di comix (prima d’allora la vendit a era gestita dalle edicole),
contrapposti ai molto più commerciali comics.
5
È durante gli anni Ottanta che cominciano a comparire opere la cui esigenza era
quella di fornire al fumetto anche un certo spessore morale, tanto che si determinò “lo
sviluppo, in Europa e in America Latina, di tradizioni fumettistiche autoctone”
6
. Negli
anni seguenti nasce infatti il cosiddetto fumetto d’autore: sono numerosi gli esempi di
artisti che, come Hugo Pratt, Guido Crepax , Alberto Breccia, ma anche Altan e Dino
3
F. Zanettin, “I fumetti in traduzione. Approcci e prospettive di ricerca”, in V. Intonti, G.
Todisco, M. Gatto, La traduzione. Lo stato dell’arte/ Translation. The State of the Art, Longo,
Ravenna, 2007, p.138.
4
Si veda V. Bavaro e D. Izzo, op. cit.
5
Ibid.
6
F. Del Bove, Perdersi in un balloon: proposte per la traduzione del fumetto, tesi di laurea
triennale, relatore B. Antonucci, Università degli Studi di Roma Tre, 2011.
9
Buzzati, furono autori di un tipo di fumetto che presenta tutte le caratteristiche di quel
che noi oggi chiamiamo graphic novel, vale a dire racconti autoconclusive in cui
ricorrono Storia, attualità, cronaca, e destinate ad un pubblico adulto e istruito. Ne è un
esempio Una ballata del mare salato di Hugo Pratt (1967), il Colombo di Altan (1977),
o anche il Poema a fumetti di Dino Buzzati (1969). Sarà in fine durante gli anni Settanta
che il fumetto prenderà finalmente la forma autonoma del graphic novel, cui primo,
formale esempio il già citato Contratto con Dio di Will Eisner (1978).
Al giorno d’oggi il graphic novel è certamente un genere ric onosciuto, e in Italia è
stato al centro di un particolare dibattito su una questione st rettamente linguistica
intorno alla natura della definizione “ graphic novel”, cioè se l’oggetto designato sia
maschile o femminile. Il dubbio può certamente venire dall’affinità formale tra la parola
inglese “novel” e quella italia na “novella” e, per esempio, il giornalista Armando
Massarenti parla di “tradizione della graphic novel”
7
; altri, invece, come la già citata
Benedetta Tobagi, considerano l’oggetto al maschile. Dal momento, però, che il
significato letterale di “novel” è “romanzo”, l’articolo da utilizzare è quello maschile
“il”, come è stato anche indica to dall’Accademia della Crusca.
8
Però, argomenta il
semiologo Daniele Barbieri, “l’espressione graphic novel è entrata nell’italiano
attraverso il suo uso al femminile […]. Ci sa rà anche un errore alla base di questo uso,
ma è l’uso che fa la regola, e non viceversa”
9
. Per ovviare a questa banale
incomprensione si può, in ogni caso, rico rrere all’italiano “romanzo a fumetti”, il cui
significato è tutto sommato equivalente al corrispettivo inglese.
1.2 Il “romanzo grafico”
Secondo la definizione fornita da Eddie Campbell
10
nel suo Manifesto del
graphic novel, a questo termine più che un genere co rrisponde una corrente di autori il
cui scopo è di innalzare il fu metto a livelli più ambizioni e profondi, dal momento che
7
A. Massarenti, “Logicomix, geniale intreccio tragi-logico”, in Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2010.
8
http://www.corriere.it/cultura/11_febbraio_21/m ontefiori-disegni-spiegano-parole_2b3830c4-
3da1-11e0-8c41-24e78bec137b.shtml.
9
D. Barbieri, “Del fumetto prima del fumetto”, in Guardareleggere.net, 3 marzo 2010.
10
Creatore delle storie semi-autobiografiche Alec e Bacchus, pubblica il suo primo graphic
novel The Fate of the Artist nel 2006. Il suo ultimo lavoro, The Black Diamond Detective
Agency, è del 2007.
10