I
“la nostalgia, come una goccia di pioggia, bagna ogni momento”
Sollicciano, sez. penale femminile - Dipinto
INTRODUZIONE
Ѐ convinzione diffusa, fra i sociologi come fra i giuristi, ma anche illu-
stri pensatori, che le istituzioni totali
1
rappresentino una sorta di
specchio della società all’interno della quale si manifestano.
Opinioni di questo tipo non sono del tutto convincenti perché una ge-
neralizzazione tale dovrebbe spingere l’osservatore ad escludere in un
sol colpo migliaia di operatori, tecnici, studiosi, volontari, e perché no,
anche tanta gente comune che da quelle istituzioni non si sentono
rappresentati. O quantomeno non ci si sentirebbero se solo ne aves-
sero sufficiente conoscenza.
Si preferisce dunque porre la lente d’osservazione sui fenomeni di in-
formazione (o mancata informazione) e condivisione
2
.
Per questo bisognerebbe spingere verso un’inversione di rotta del filo
conduttore che lega marginalità e carcere. Per questo è sentita la ne-
cessità di aprire quanto più possibile gli istituti di reclusione alla “re-
ciproca contaminazione” con l’esterno.
In quest’ottica, si proporrà uno studio delle possibili evoluzioni “edili-
zie” che potrebbero comportare una maggiore efficacia rieducativa e
una migliore interazione fra società reclusa e “mondo esterno” assu-
mendo a riferimento il tema della specializzazione degli istituti peni-
tenziari.
Questo studio prende le mosse dalla proposta di legge n. 6164, 3
Novembre 2005 presentata dai deputati Boato e altri
3
, che nell’ottica
di una globale riforma dell’Ordinamento penitenziario, dedica ampio
spazio al tema cui si è appena accennato.
1
GOFFMAN E., Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, 2001, pag. 33 e
ss.
2
Cfr. F. MAISTO, «Carceri: è possibile costruire un sistema più umano?», in Vita, 2006, pag. 8
3 Da adesso in poi Riforma Margara, in omaggio al coordinatore del gruppo di lavoro che ha redatto il
testo. Cfr. Camera dei deputati N. 6164, Proposta di legge, 3 novembre 2005, pag. 137.
II
Il testo è stato presentato nelle ultime tre legislature senza riuscire
mai ad essere discusso e fa dunque dubitare su una remota possibili-
tà di approvazione. In ogni caso presenta interessanti spunti di lettu-
ra delle possibili evoluzioni del sistema penitenziario. Inoltre, nel pri-
mo numero del 2008 della Rassegna penitenziaria e criminologica so-
no apparsi due articoli dedicati proprio a questa proposta: uno spicca-
tamente favorevole ed uno critico, che hanno in un certo senso ripor-
tato all’attualità la discussione.
Non verranno infine trascurate quelle esperienze sperimentali che pu-
re hanno avuto modo di realizzarsi grazie alla collaborazione fra am-
ministrazione penitenziaria, enti locali, cooperative sociali e associa-
zioni.
1
Nuove carceri: Una volta il famoso direttore di San Vittore
Luigi Pagano fece affiggere al portone: TUTTO ESAURITO
Adriano Sofri
PARTE PRIMA: CIRCUITI PENITENZIARI NEL SISTEMA DELLA
LEGGE DEL 1975
I.1 - LA SPECIALIZZAZIONE DEGLI ISTITUTI PENITENZIARI
I.1.1 – IL REGOLAMENTO ROCCO
La storia dell’edilizia carceraria, almeno nel senso lato del termine, af-
fonda le proprie radici nel Medioevo
4
. Questo semplice dato di fatto
ha creato non pochi problemi per l’adeguamento delle strutture peni-
tenziarie alle moderne teorie criminologiche che, a partire dai primi
anni del ventesimo secolo, hanno cominciato ad affermarsi nella no-
stra dottrina e che avrebbero sensibilmente modificato le dinamiche
del sistema penitenziario.
Le teorie della Scuola Positivista, e più nello specifico quelle lombro-
siane, partivano dal presupposto scientifico secondo il quale il sistema
penitenziario avrebbe dovuto guarire il soggetto deviante. Per assur-
gere a tali obiettivi, l’organizzazione penitenziaria si sarebbe dovuta
dotare di tutta una serie di strutture atte all’osservazione scientifica
della persona e all’individualizzazione dei trattamenti
5
.
Da questo punto di vista
6
, la nuova politica di edilizia carceraria verrà
fortemente influenzata dal Regolamento per gli istituti di Prevenzione
e di Pena del 1931 – c.d. regolamento Rocco
7
– che, in un clima di
forte rinnovamento, opererà una sorta di mescolanza delle due prin-
cipali teorie penalistiche dell’epoca: quella classica – per cui la pena
4
Basti per tutti rammentare la Casa di Reclusione di Volterra. Per l’origine da un punto di vista sociolo-
gico e filosofico vedi FOUCAULT M, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, 2006, pag 251 e ss.
5
FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, parte generale, 2005, pag XXIV
6
SCARCELLA - DI CROCE, Gli spazi della pena nei modelli architettonici in Italia. Evoluzione storica, carat-
teristiche attuali – prospettive, in Rass. penit. crimin., 2001, pag 351
7
R.D. 18 Giugno 1931 n. 773
2
doveva avere carattere prevalentemente neutralizzatore
8
– e quella
positivistica con forti connotazioni antropologiche e sociologiche
9
. Nel
codice penale venivano inserite, proprio a tal riguardo, le nuove misu-
re di sicurezza personali detentive quali mezzi preventivi – e non re-
pressivi – della criminalità e necessari al riadattamento sociale del
soggetto; il tutto nell’ottica della promozione della rieducazione e del-
la cura, oltre che dell’allontanamento
10
.
Secondo Padovani
11
«il regolamento Rocco si ricollega a modelli otto-
centeschi ispirati al mito ossessivo di un legislatore penitenziario illu-
minatamente capace di tradurre in formule legali i diversi presuppo-
sti, mezzi e modi della finalità rieducativa assegnata all’esecuzione
penale», ed infatti, sia la cassificazione dei detenuti che quella dei re-
lativi istituti, sia la progressione trattamentale, risentono di una scar-
sissima flessibilità.
Scorrendo il Titolo II dell’articolato è possibile individuare con preci-
sione l’assegnazione di ogni singolo ristretto nel rispettivo istituto
12
.
Secondo l’art. 21 gli stabilimenti carcerari si distinguono in stabili-
menti di custodia preventiva, stabilimenti di pena ordinari, stabili-
menti di pena speciali.
Negli stabilimenti di custodia preventiva, divisi in carceri giudiziarie e
carceri mandamentali, venivano destinati gli imputati, i detenuti a di-
sposizione di autorità della P.S. o altra, gli arrestati per ragione di
estradizione, i detenuti in transito e i condannati in attesa di assegna-
zione. Potevano essere eventualmente ospitati anche i condannati alla
reclusione non superiore a due anni e i condannati all’arresto. Nelle
carceri giudiziarie mandamentali avrebbero potuto avere esecuzione
le condanne a pene non superiore ai sei mesi. In questi istituti dove-
vano essere predisposte delle sezioni speciali per ogni singola tipolo-
gia. La vita dei detenuti era organizzata secondo il regime
8
Tipica del vecchio ordinamento “Zanardelli”
9
Si veda, a tal proposito , il progetto e l’evoluzione della “Città penitenziaria dell’Urbe – Rebibbia” . Cfr.
PARENTE A., Architettura e pena. Roma Rebbibia: dalla bonifica umana all’umanizzazione della pena, in
Rass. penit. e crim, 2003, n. 1-2, pag. 135 e ss.
10
A. LOMBROSO, Carcere e società, 1976, pag. 65 e ss.
11
PADOVANI, «Istituti penitenziari», in Noviss. Dig., App., Vol. VI Impr – Mig, Torino, 1983, pag. 463
12
G. TARTAGLIONE, «Istituti di prevenzione e di pena», in Nov. Dig., Vol. IX Inve-L, Torino, 1957, pag. 234
3
dell’isolamento continuo o notturno. Particolare attenzione veniva ri-
servata agli ecclesiastici che beneficiavano di apposite strutture.
Gli stabilimenti di pena ordinari erano suddivisi, a loro volta, in base
al tipo di pena, in ergastoli, case di reclusione e case di arresto. Nelle
case di reclusione potevano essere istituite sezioni speciali per i con-
dannati all’arresto. Sezioni speciali dovevano essere predisposte an-
che per: a) maggiori di diciotto anni ma minori di venticinque; b)
condannati per delitti colposi; c) condannati ai quali venivano conces-
se alcune attenuanti; d) condannati alla multa convertita in reclusio-
ne. Stabilimenti diversi avrebbero accolto le detenute donne con se-
zioni speciali per quelle autorizzate a tener con sé prole di età inferio-
re ai due anni.
Il regolamento prosegue poi con un lungo elenco di stabilimenti di
pena speciali: per minori di diciotto anni; case di lavoro all’aperto;
stabilimenti di riadattamento sociale, dedicati ai condannati buoni
(vedi art. 173) che abbiano scontato parte della pena; case di puni-
zione, per quei detenuti che dopo essere stati puniti perseverano nel-
la “cattiva condotta”; case di rigore, per detenuti ostinatamente ribelli
all’ordine o alla disciplina; case per minorati fisici o psichici; sanatori
giudiziari, per detenuti affetti da Tubercolosi o predisposti alla malat-
tia; ergastoli per delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
case di reclusione per delinquenti abituali, professionali o per tenden-
za; stabilimenti in colonia o altro possedimento oltremare.
Nella ripartizione dei condannati in ogni stabilimento, ordinario o spe-
ciale, si sarebbe tenuto conto della recidiva, dell’indole del reato,
dell’età e del lavoro – obbligatorio – al quale sarebbero stati assegna-
ti. La separazione andava mantenuta praticamente in tutti gli spazi,
anche quelli predisposti all’attività comune
13
.
Per quanto riguarda gli stabilimenti per l’esecuzione delle misure di
sicurezza detentive, queste erano così suddivise: colonie agricole, ca-
se di lavoro, manicomi giudiziari, case di cura e custodia, riformatori
giudiziari ordinari e speciali, sanatori giudiziari e case di rigore, a se-
conda del tipo di misura adottata dal giudice.
13
A. PARENTE, Architettura e pena, Roma-Rebibbia: dalla bonifica umana all’umanizzazione della pena,
in Rass. penit. crimin., 2003, pag. 143 e ss.