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INTRODUZIONE
Nel periodo tra il 2009 e i primi mesi del 2013 si sono immolati, dandosi
fuoco in segno di protesta contro l'annessione del Tibet alla Cina, ben 118 monaci
buddisti di etnia tibetana. Questi tragici episodi sono solo la punta dell'iceberg di
un conflitto che divide il popolo tibetano da quello cinese, che affonda le sue
radici nella storia e riguarda in primis lo status politico del Tibet nei confronti
della Cina.
Soprattutto nei primi anni del secolo scorso la cosiddetta "questione
tibetana" ha assunto i tratti del nazionalismo, colorando emotivamente il dibattito
intorno a sé. In ultima analisi, infatti, si scontrano il diritto di un popolo, quello
tibetano, ad invocare la propria autodeterminazione, contro il diritto di uno Stato
multietnico, come la RPC (Repubblica Popolare Cinese) a mantenere ciò che
ritiene la sua storica integrità territoriale.
Un simile conflitto intriso di caratteri nazionalistici non può avere delle
risposte facili, per di più, la stessa Carta di San Francisco del 1945, su cui si
fondano le Nazioni Unite, è ambigua e la comunità internazionale non è arrivata
ad un consenso univoco rispetto ai casi nei quali una minoranza etnica può essere
legittimata a far valere il proprio diritto all'autodeterminazione e quando ad uno
stato multietnico apparterrebbe il diritto di preservare la propria integrità
territoriale prevenendo la secessione.
Sebbene il territorio tibetano si trova in una posizione assai remota, la sua
sorte ha catturato l'immaginazione e le simpatie di molti occidentali. Spesso
perciò si è tentati di guardare con ottica occidentale una parte di mondo alla quale
invece tale ottica non si addice e può indurre in errori o malintesi che, nei casi più
gravi, possono agitare le acque nel mare delle relazioni internazionali.
Nelle pagine seguenti si proverà a ripercorrere i tentativi che si sono
intrapresi allo scopo di porre un argine all'emergente carattere nazionale della
"questione tibetana". Saranno quindi analizzati i fatti che condussero alla
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stipulazione della Convenzione di Simila nel 1914 che istituì come compromesso
la suzerainty cinese sul Tibet, e del "17 Point agreement" che nel 1951 diede
legittimazione all'annessione alla RPC del Paese delle nevi. Si analizzeranno
altresì le condizioni sociali e politiche in capo al popolo tibetano nel periodo
precedente la completa occupazione del suo suolo da parte del PLA (People's
Liberation Army). Attraverso lo studio di molte comunicazioni telegrafiche
saranno poi confrontati i reali punti di vista dei principali interessati: Beijing e
Lhasa, non mancando di riportare le reazioni e gli atteggiamenti che assunsero le
potenze straniere quando gli appelli tibetani, che seguirono all' "aggressione"
cinese, giunsero alle neonate Nazioni Unite.
Si è scelto di fermare l'analisi al periodo storico che termina nel 1951 con
l’accoglimento da parte tibetana del "17 Point agreement", senza continuare la
narrazione di vicende che, per il loro forte impatto emotivo, avrebbero potuto
facilmente portare ad assumere le parti di una, piuttosto che dell'altra fazione, cosa
che, non sempre riuscendoci, si è tentato di fare.
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I. IL TERRITORIO ED IL CLIMA
Il Tibet è una regione dell‘Asia centrale, compresa fra l’India e la
Cina. La sua definizione non è univoca ed è necessario distinguere il "Tibet Storico"
le cui dimensioni sono di 2,5 milioni di chilometri quadrati, pari circa ad un quarto
dell'intero territorio cinese, dalla "Regione Autonoma del Tibet" di dimensioni più
contenute, che sono circa la metà ovvero 1,2 milioni di chilometri quadrati.
La popolazione con tratti etnici tibetani, infatti, è distribuita su un area
paragonabile come vastità all'Europa Occidentale e non è presente solo nella
riconosciuta "Regione Autonoma del Tibet" nell'odierna Cina Occidentale, ma
anche nell'estremo nord dell'India, Nepal e Bhutan nonché nelle province cinesi di
Qinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan.
La sua posizione geografica coincidente nella totalità con l'altopiano
himalayano, fa sì che il Tibet racchiuda nei suoi confini le vette più alte al mondo
e presenti un altitudine media di 4.900 metri sul livello del mare; l'aria rarefatta ed
il clima assai rigido e ventoso che ne derivano (in inverno si possono registrare
temperature notturne inferiori ai -30 gradi) hanno da sempre favorito un certo
isolamento del Tibet dal resto del mondo, facendo sì che a quei luoghi venissero
attribuiti nomi quali "Paese delle nevi", "Tetto del mondo" o "Altare degli Dei". Si
potrebbe dire che le cime himalayane abbiano rappresentato un invalicabile
muraglia naturale che, per molti secoli, è bastata a tenere lontane dalla regione
tibetana le mire espansionistiche delle potenze occidentali, alimentando altresì
leggende e storie fantastiche intrise di misticismo, che trovano terreno fertile nel
fascino di quei territori così irraggiungibili.
Per gran parte dell'anno il clima del Tibet è molto secco e ventoso, tra i mesi
di dicembre e febbraio le temperature si fanno ulteriormente rigide mentre le
precipitazioni nevose nella catena himalayana diventano abbondanti. Tra la metà
di giugno e di settembre, i monsoni estivi provenienti da India e Nepal,
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notevolmente ridotti nella loro piovosità dopo aver superato le vette himalayane,
riescono a portare delle leggere piogge in particolare nelle zone tibetane più a sud
e vicine al confine indiano.
La cartina riproduce il territorio tibetano e le rivendicazioni territoriali dell'etnia tibetana.
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Questo clima molto proibitivo si rifletterà nelle vicende storiche che si
narreranno in seguito; si potrà infatti notare come le azioni che richiedevano lo
spostamento umano erano limitate, se non assenti, nei mesi del rigido inverno
himalayano da dicembre a febbraio mentre riprendevano nei mesi successivi.
Dal Tibet nascono molti dei più grandi fiumi asiatici quali il Brahmaputra,
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www.wikipedia.com
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l’Indo, il Mekong, lo Yangtse e il Fiume Giallo, rappresentando il serbatoio idrico
di tutto l'oriente. Nelle vallate solcate dai questi grandi fiumi la vegetazione, che
in tutto l'altopiano è estremamente rada, si infoltisce presentando foreste
millenarie di conifere, querce e betulle tra cui crescono più di 10.000 tipi di
piante, molte delle quali rare specie endemiche. Nello specifico esistono 2.000
varietà di erbe medicinali (tra cui lo zafferano, il rabarbaro di montagna,
l’elleboro, la serratula alpina himalayana e il rododendro) usate non solo in Tibet,
ma anche in India e in Cina, per preparare i medicamenti secondo i sistemi
tradizionali.
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http://www.viaggitibet.it/ambiente-3498-438.htm
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II. L'IMPATTO DEL BUDDISMO
Il Professor Robert Thurman, Direttore del Dipartimento di Studi buddisti
alla Columbia University in un intervista dirà che "non si può scindere la storia
del Tibet dalla storia del Buddismo e da questa filosofia, che da sempre ha
influenzato la vita del popolo tibetano [...] affermando altresì che Budda, "Il
Risvegliato" [...] non fondò una religione ma un movimento educativo; la sua
illuminazione fu che se gli esseri umani si sforzano di capire se stessi, possono
sbarazzarsi dalle tendenze negative e sviluppare quelle positive in misura
illimitata. Fatto ciò potevano diventare genuinamente felici. Quindi il vero ultimo
insegnamento di Budda era questo: la Libertà è possibile. Io l'ho ottenuta. Potete
farlo anche voi."
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La storia tibetana affonda le sue radici nella leggenda, si narra infatti che
dodici secoli fa, il Tibet fosse una terra di re guerrieri e fiere tribù che fondarono
un impero militare così vasto e potente da terrorizzare i popoli di tutta l'Asia
centrale, arrivando addirittura a conquistare parte della Cina e della Mongolia. Fu
con 1'introduzione del Buddismo, nato in India cinque secoli prima di Cristo, che
nella regione tibetana avvenne una vera e propria rivoluzione: quei feroci guerrieri
si trasformarono in protettori della nuova fede, dediti al raggiungimento della pace
interiore. Il caso tibetano è oltretutto di particolare interesse se si pensa che solo in
Tibet e solo nel XVII secolo e dopo 1000 anni di Buddismo, il monastero, luogo
custode del sapere e centro di ricerca e apprendimento, assunse responsabilità di
governo. Il re smantellò l'esercito e divenne un monaco quindi da quel momento,
senza una diretta discendenza, la reincarnazione divenne il mezzo di successione e
il Dalai Lama, il cui titolo significa "Oceano di Saggezza", divenne la guida sia
spirituale che politica della nazione tibetana.
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Estratto dell'intervista a Robert Thurman, dal film documentario "Tibet. The Cry of the Snow
Lion" di Tom Piozet 2007.
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Estratto dal film documentario "Tibet. The Cry of the Snow Lion" di Tom Piozet 2007.
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Per i tibetani, il Dalai Lama è l'incarnazione del principio della
compassione, è un bodhisattva, cioè un particolarissimo individuo che, nonostante
abbia ottenuto l'illuminazione e la liberazione dal samsara (il ciclo delle rinascite)
decide, per sua vocazione, di rinascere sulla terra reincarnandosi in un essere
umano per aiutare e guidare coloro ai quali aveva insegnato nelle vite precedenti.
Il Dalai Lama nello specifico è colui che, dedito al destino del Tibet, per molte
vite si è prodigato a questo scopo altresì occupandosi di custodire la cultura della
sua terra. I tibetani, nonostante fossero molto indipendenti, mostravano la loro
sudditanza credendo fermamente nel loro Dio Re e nella sua "religione".
L'immagine raffigura il samsara, il ciclo delle rinascite.
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Il legame con il buddismo in Tibet divenne così forte da sviluppare una
corrente particolare, nota appunto come buddismo tibetano, che portò a fondare le
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http://www.sourceintegralis.org/