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Introduzione generale
Questo lavoro vuole approfondire i progressi svolti dalla Politica di Cooperazione allo
Sviluppo (Pcs) nel panorama internazionale dal secondo dopoguerra ad oggi, ed in
particolare, le modalità e le difficoltà incontrare dalla Cooperazione Internazionale
nella riedificazione di Paesi colpiti dai conflitti, con apparati amministrativi deboli, se
non inesistenti, infrastrutture distrutte e la popolazione vittima inerme di armi, attacchi
e soprusi.
L’intero lavoro prende in esame la nascita e lo sviluppo della Politica di Cooperazione
allo Sviluppo, nata sia per scongiurare altri abomini mondiali, sia perché i Paesi Ricchi
iniziarono ad interessarsi delle condizioni di povertà materiale e culturale e del
malessere dei Paesi poveri del Sud, il cosiddetto Terzo Mondo. Così gli opulenti Paesi
del Nord del Mondo impiegarono la seconda metà del secolo ‘900 a formulare progetti
di sviluppo e far sì che il PIL dei Paesi poveri potesse decollare. La crescente
diseguaglianza tre ricchi e poveri, però, ha portato l’Occidente a formulare proposte
più concrete con gli Obietti del Millennio nel 2000, accordo sviluppato fra paesi ricchi
e poveri per migliorare le condizioni di vita in quest’ultimi.
Il lavoro prosegue, poi, nell’analizzare il lavoro delle forze della Cooperazione
Internazionale nel progettare e sviluppare la riedificazione e riappacificazione dei
Paesi in guerra. Sul tema la bibliografia è chiara e illuminante. Nella pratica la
difficoltà di coordinare le forze multinazionali, gli interessi più o meno mascherati
dell’Occidente e la capacità di comprendere la storia del Paese in questione, creano
non poche difficoltà al progetto di ricostruzione. Un famoso proverbio, sulla bocca di
tutti nei primi anni dalla nascita della Cooperazione allo Sviluppo, recitava così: “Dai
un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per
tutta la vita”. Il problema della Cooperazione sta nell’insegnare a pescare, atto che
richiede pazienza e gratuità, che per quanto venga sbandierata sembra essere poco
presente negli intenti dell’Occidente, come si rileva nella parte finale del lavoro.
Quest’ultima, analizza la Missione Italiana Antica Babilonia presente in Iraq dal 2003
al 2006, sia attraverso documenti e mandati ufficiali, sia guardando all’altra faccia
della medaglia, attraverso la ricerca del docente, e filosofo del diritto italiano e
internazionale, Danilo Zolo e lo studio sul campo del giornalista Andrea Nicastro.
Antica Babilonia si componeva di contingente militare e una squadra di civili, tra cui
funzionari del Ministero degli Affari Esteri per la Cooperazione e lo Sviluppo. Le due
squadre, militare e civili, ebbero il compito di collaborare per salvaguardare la
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popolazione della provincia irachena assegnata all’Italia, il Dhi Qar, e ricostruire
scuole, ospedali, sistema idrico e risollevare l’agricoltura, prima fonte di
sostentamento per quelle terre.
La realtà della Missione Italiana e dell’ingerenza umanitaria provocata da Stati Uniti
in primis e Italia e altri paesi poi, vengono però illuminati da una luce molto diversa da
Zolo e Nicastro, che ne evidenziano gli elementi sottaciuti, le ombre, gli interessi reali
ed economici italiani, ne denunciano i delitti efferati e le testimonianza impedite,
nonché l’uso sconsiderato di armi pericolose e innovative da parte degli Usa, di cui, si
ricordi, l’Italia scese al fianco contro la guerra al terrorismo, nell’intento di
riedificazione sostenuto dalle voci ufficiali Usa.
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Capitolo primo
La cooperazione internazionale allo sviluppo
“Benchè incomparabilmente più ricco di quanto sia mai stato prima,
il nostro mondo è un mondo di tremende privazioni e disuguaglianze sconvolgenti”
Amartya Sen
Introduzione
La Politica di Cooperazione allo Sviluppo (Pcs) è l’insieme di politiche attuate da
un governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le condizioni
necessarie per lo sviluppo economico, sociale, sostenibile e duraturo per un paese,
nonché a far uscire la popolazione delle condizioni di povertà. L’elemento
fondamentale di questa politica è l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps), ovvero un
trasferimento di risorse verso i paesi bisognosi, o meglio, ‘risorse finanziarie
pubbliche, sotto forma di doni o prestiti a tasso agevolato, erogate con la finalità di
supportare lo sviluppo economico del recettore’. (Definizione DAC, Development
Assistance Committee). L’origine della Pcs viene generalmente fatta coincidere con i
piani di ricostruzione post bellica e la creazione del sistema delle Nazioni Unite.
Infatti, molte delle istituzioni e degli strumenti che troviamo oggi nel panorama della
cooperazione internazionale, risalgono agli anni immediatamente successivi alla
seconda guerra mondiale, in particolare la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
Internazionale e l’Organizzazione per la cooperazione economica e europea, poi
divenuta Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
In questo capitolo vengono riportati, in sintesi, la nascita ed il percorso dell'idea di
sviluppo e di cooperazione allo sviluppo, nonché gli eventi che ne hanno plasmato
successivamente il significato. L'analisi si svolge nell'arco di tempo che va dal
secondo dopoguerra agli anni '90; nel secondo paragrafo l'attenzione viene focalizzata
sull'organizzazione delle Nazioni Unite, che più di ogni altro organismo si occupa di
cooperazione allo sviluppo nella aree più povere del pianeta.
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Infine il capitolo si conclude con una panoramica dei grandi squilibri mondiali che, nel
settembre del 2000, hanno portato 191 Capi di Stato e di Governo ha sottoscrivere un
patto globale di impegno congiunto tra paesi ricchi e paesi poveri, definito
Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite e che vede 8 obiettivi cruciali per la
riduzione della povertà, da raggiungere entro il termine del 2015.
1.2 Nascita ed evoluzione dell'idea di sviluppo
Il concetto di sviluppo nasce in Occidente, in seguito ai processi di decolonizzazione
che hanno visto le potenze Europee abbandonare, almeno fisicamente, i paesi del Sud
del mondo. Nel corso del tempo la concezione di “sviluppo” si è arricchita ed ha
assunto diverse sfumature.
Il termine, come lo conosciamo noi oggi, deriva dal noto discorso che Harry S.
Truman tenne alla vigilia della sua presidenza il 20 gennaio 1949. Egli parlava di uno
sviluppo che classificava i paesi sulla base del loro reddito e allo stesso tempo
divideva il mondo in aree sviluppate e sottosviluppate
1
: “Dobbiamo […] rendere i
benefici dei nostri avanzamenti scientifici e del progresso industriale disponibili per il
miglioramento e lo sviluppo delle zone sottosviluppate”. Truman suggellava così il
dovere morale dei Paesi sviluppati, Stati Uniti in testa, di aiutare il decollo economico
dei cosiddetti Paesi sottosviluppati. La realizzazione del Piano Marshall, avviato dagli
Stati Uniti nel 1947 per risollevare l'economia europea, ottenne un grande successo e
fu il primo intervento di cooperazione a carattere bilaterale, ovvero un tipo di
cooperazione concordata tra il paese donatore e il Pvs (Paese in Via di Sviluppo), in
questo caso l'Europa dilaniata dalla guerra. Il presidente Truman aveva in mente
qualcosa di analogo per il resto del mondo, con l'obiettivo implicito di consolidare
l'influenza statunitense in luoghi che, altrimenti, potevano essere infetti dal
comunismo (Black 2004, 18). Con il procedere della decolonizzazione e l’avvento dei
paesi africani nel contesto internazionale, apparve sempre più chiara la divisione del
mondo tra paesi ricchi e paesi poveri, tanto che questi ultimi, nel tentativo di
mantenere la propria indipendenza crearono, con la conferenza di Bandung (Indonesia)
1
L'espressione “paesi sottosviluppati”, venne usata per la prima volta proprio in occasione del discorso di
Truman nel 1949. Venne poi sostituita dalle Nazioni Unite con quella di “Paesi in via di sviluppo”;
durante la guerra fredda il termine per la definizione di tali aree, divenne “Terzo Mondo”, per indicare
la non appartenenza dei Pvs né al blocco occidentale (Primo Mondo) né tanto meno al blocco orientale
(Secondo Mondo).
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del 1955, il movimento dei paesi “non allineati”. Ecco nascere il cosiddetto Terzo
Mondo: un tentativo da parte di questi paesi di affermare la propria identità, in
contrapposizione sia al blocco occidentale, sia al blocco orientale.
Così nacque l'impulso alla cooperazione allo sviluppo. L’Occidente si accorse delle
grandi difficoltà che affliggevano la maggior parte dei paesi, così sentimento
umanitario e fervore ideologico diedero l’avvio, in quegli anni, all’aiuto allo sviluppo;
in realtà nella maggior parte dei casi si nascondevano interessi ben più importanti e
strategici per l’Occidente. La nascita dell'ONU nel 1945, contribuì a conferire un
carattere internazionale alla missione di sviluppo e la crociata ebbe inizio tra gli anni
'50 e gli anni '60, quando si inaugurò il Decennio dello sviluppo ONU, che richiamava
i paesi industrializzati a fare di più per aumentare le risorse verso l’Aiuto Pubblico allo
Sviluppo.
La teoria di sviluppo prevalente in quell'epoca era quella cosiddetta della
modernizzazione, una teoria che sosteneva come lo sviluppo potesse essere realizzato
ripercorrendo gli stessi processi che erano stati praticati dai paesi attualmente
sviluppati. Lo studioso Walter Rostow evidenziò gli stadi che ogni paese avrebbe
dovuto attraversare, dando vita alla famosa teoria degli stadi lineari di sviluppo.
Secondo il modello di Rostow da una società agricola, si sarebbe passati ad una
società in cui le istituzioni, un sistema di commercio, la moneta e le leggi avrebbero
favorito il decollo economico, ed in seguito con l'aumento di investimenti e di
risparmi, si sarebbe avviato il processo di industrializzazione, nel quale alcuni settori
avrebbero assunto un ruolo trainante per lo sviluppo. La concezione meccanicistica
della teoria, prevedeva che l'aumento degli investimenti alimentasse la crescita del
reddito e che questa avrebbe avuto ricadute positive sulla popolazione; la stessa
concezione non prevedeva, inoltre, un possibile differente sviluppo per paesi molto
diversi dall'Occidente. La teoria della modernizzazione assegnava un ruolo chiave
all'istruzione e alla formazione, che avrebbero generato individui moderni, nonché alla
tecnologia, che applicata all'industria avrebbe stimolato lo sviluppo (Montini 2008, 1).
In contrapposizione al paradigma della modernizzazione, nasceva la teoria delle
dipendenza: una teoria sviluppata in America Latina e sostenuta da diversi studiosi, tra
cui Raul Prebish. Essa sosteneva che i paesi si potessero dividere in due macro-
categorie di sviluppo: il centro e la periferia. Mentre il centro coincideva con i Paesi
sviluppati, la periferia con quelli in via di sviluppo. Il rapporto che intercorreva fra
centro e periferia era una rapporto di sfruttamento di quest’ultima che ha permesso che
permise al centro di svilupparsi.