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1.INTRODUZIONE
Le specie forestali d’interesse per la produzione di legname di pregio, definite in letteratura
Valuable Broadleaved Trees (latifoglie di pregio), presentano distribuzione e adattamenti
differenziati nell’ambito del proprio areale di diffusione e diverso è anche, nei loro confronti,
l’interesse a livello locale sia dal punto di vista produttivo che per aspetti di carattere più
prettamente storico e culturale.
Molti autori hanno attribuito questa definizione a gruppi diversi di specie ma in realtà non ne
esiste una univoca in senso proprio (Hein, 2009). Quali specie siano effettivamente “di valore”
(valuable) è una questione molto relativa e strettamente legata ai contesti locali e di mercato.
Si tratta di specie che caratterizzano ambienti ad alto valore ecologico e paesaggistico con
legami più o meno forti con tradizioni e culture locali. L’interesse produttivo è relativamente
recente e legato all’esistenza di condizioni idonee di crescita che rendano possibile
l’ottenimento di caratteristiche essenziali a produrre materiale collocabile nelle fasce alte di
mercato.
Il “valore” è un requisito che acquisisce peso diverso a seconda della collocazione geografica e
può essere legato anche alla rarità di diffusione di un data specie in un contesto ambientale
specifico.
Molte delle latifoglie di pregio infatti sono specie non sociali e quindi presenti con densità
variabili in funzione di fattori ecologici e gestionali, frequentemente la loro diffusione è limitata
e strettamente dipendente dalla concorrenza interspecifica. Le informazioni disponibili
attualmente sulle loro modalità di crescita e di risposta agli interventi selvicolturali sono
relativamente poche e legate a contesti determinati, ambiti territoriali e realtà locali, nei quali
la selvicoltura delle specie a legname pregiato è diventata prassi consolidata nel tempo. Non
sempre uno stesso modello colturale è replicabile in aree molto diverse tra loro, generalmente
non lo è mai dal punto di vista dell’efficacia del trattamento applicato. Vanno prese in
considerazioni variabili come l’adattamento alle condizioni ambientali, le diverse dinamiche di
competizione, l’effetto del trattamento pregresso ma anche le caratteristiche della proprietà e
altre condizioni socio-economiche.
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Attualmente la proporzione (superficie di pertinenza e volume) delle latifoglie di pregio
raramente supera il 5% nelle foreste europee, con diffusioni localizzate maggiori legate ad
ambienti particolari, come ad esempio le foreste planiziali (Makkonen e Spiecker, 2009).
Tenuto conto dell’altissimo potenziale produttivo ad esse collegato e del corteggio di effetti
trasversali positivi legati alla loro presenza, sia dal punto di vista della biodiversità che della
diversificazione strutturale e produttiva dei popolamenti, è di notevole interesse l’ampliamento
delle conoscenze relative alla loro ecologia e sinecologia ed, in particolare, alla risposta
incrementale correlata a interpretazioni, o meglio adattamenti, diversi di modelli colturali
incentrati sulle esigenze di ciascuna specie.
Dal punto di vista della ricerca e della sperimentazione è auspicabile che in quei contesti in cui
le condizioni ambientali e socio-economiche lo rendono praticabile si rappresentino e si
indaghino diversi scenari di gestione, sia in ambito forestale che agro-forestale, mirati a
individuare le modalità di trattamento più idonee ed adeguate alle peculiarità ambientali ed
alle specifiche necessità territoriali presenti in tutta Europa.
Oltre agli aspetti gestionali vanno presi in esame altri strumenti di supporto come la
pianificazione a più livelli, da quello aziendale a quello territoriale, che potrebbe avere un ruolo
decisivo nel regolare il mercato del legno e consentirne una organizzazione di livello più alto,
con possibilità di integrazione anche al di fuori del contesto territoriale di riferimento; metodi
per controllare obiettivamente lo sviluppo della qualità del legno sulle piante in piedi nelle varie
fasi di crescita (la qualità del legno è funzione di aspetti genetici, ambientali ma conseguenza
soprattutto della correttezza degli interventi colturali); studi relativi alla possibilità di creare
sistemi di filiera che non considerino solo il prodotto finale ma anche la risultante degli
interventi colturali, ipotizzandone la valorizzazione energetica a scala locale.
“Valuable broadleaves may help balancing wood and non-wood production, while maintaining
economic attractiveness of forests. The results have to be brought to the target audience in a
adequate form.” H.Spiecker
La scarsa diffusione di molte delle latifoglie di pregio ne determina il carattere di sporadicità,
che in base alla dislocazione all’interno dell’areale di riferimento e alle condizioni ecologiche
locali, può essere più o meno significativa. La sporadicità è di per sé indicativa del valore
intrinseco della presenza della specie che risponde a tale requisito, dal momento che va a
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diversificare il popolamento in cui si inserisce. La diversificazione non è solamente specifica
(numero di specie presenti) ma si declina in tutta una serie di altri aspetti collegati alla
funzionalità degli ecosistemi (diversificazioni strutturali a piccola e a grande scala,
diversificazione di habitat e della disponibilità trofica) da cui scaturisce l’interesse ecologico,
prima che economico e produttivo. Un interesse che si identifica con la più ampia esigenza di
tutela e valorizzazione della biodiversità forestale.
La tutela e la valorizzazione delle specie sporadiche come componente della diversità forestale
possono essere considerate a tutti gli effetti una spinta propulsiva per il settore forestale ma
anche il risultato finale di una serie di azioni, prima conoscitive poi operative, che implicano una
visione più “diversificata”e complessa della foresta e dell’insieme delle sue funzioni,
considerandone ogni componente sia ecologica che potenzialmente produttiva.
Il lavoro descritto in dettaglio nei capitoli successivi si pone come obiettivo quello di aumentare
le conoscenze sulle dinamiche di crescita e le modalità di gestione forestale più adeguate alle
specie forestali a legname pregiato presenti nelle formazioni boschive della Regione Toscana, in
linea con la conclusione del principale compendio in materia fino ad ora pubblicato: “è evidente
che le informazioni sulla crescita delle VBT sono ancora limitate. Aree dimostrative dovrebbero
essere realizzate in diverse località europee sia in ambito forestale che agro-forestale. Le
caratteristiche uniche della regione e del tipo di paesaggio dovrebbero essere prese in
considerazione nel decidere la localizzazione delle aree. Le aree servirebbero a mostrare diverse
opzioni gestionali, gli effetti della spaziatura dovuti ai dètourage sull’architettura delle chiome,
della mescolanza tra le specie, delle potature e del controllo della qualità, dei diradamenti e del
sistema finale di taglio.” H. Spiecker, tratto da Valuable Broadleaved Forest in Europe, EFI 2009.
1.2 IL PROGETTO LIFE PProSpoT
Le indagini di cui si parlerà in dettaglio nei capitoli successivi della tesi sono state realizzate
nell’ambito del progetto LIFE
+
PProSpoT (Policy and Protection of Sporadic tree species in
Tuscany forests) LIFE EN/09/IT/000087, settore Policy and Governance.
Il progetto, presentato in occasione della call 2009 ed approvato per l’anno 2010, ha durata
triennale e prevede il partenariato di realtà pubbliche e private coinvolte nella gestione
forestale del patrimonio forestale pubblico della Regione Toscana.
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L’obiettivo principale consiste nel delineare e applicare strategie di conservazione e tutela della
biodiversità forestale, mediante la valorizzazione della presenza di specie forestali sporadiche
all’interno dei soprassuoli forestali.
L’azione di tutela e valorizzazione implica una necessaria sinergia tra tutti i livelli amministrativi
e operativi coinvolti nella gestione forestale, allo scopo di procedere dalla delineazione della
situazione esistente, attraverso la formulazione di soluzioni operative, fino alla effettiva
realizzazione di interventi con chiara finalità di tutela e conservazione. I partners beneficiari del
progetto sono enti locali coinvolti nei procedimenti amministrativi e autorizzativi quali la
Regione Toscana , le ex Comunità montane (ora Unioni dei Comuni) delle Colline Metallifere e
dell’Appennino pistoiese; uno studio professionale la D.r.e.aM Italia, un ente di ricerca il CRA -
Sel (Centro di ricerca per la selvicoltura di Arezzo) e la Compagnia delle Foreste, soggetto
operante nell’ambito della comunicazione a livello nazionale.
Il progetto è articolato in 17 azioni ciascuna con finalità specifiche e con un diverso
coinvolgimento dei partners in rapporto agli obiettivi e all’ambito di applicazione.
In sintesi il progetto prevede una prima fase conoscitiva, una operativa e, come previsto dalla
programmazione Life+, una importante componente di comunicazione e di divulgazione
finalizzata a diffondere i risultati e a rendere concrete e replicabili le esperienze realizzate in
fase di progetto.
L’attuazione è limitata a due comprensori forestali regionali, situati in contesti ambientali e
vegetazionali diversi e gestiti dagli enti locali partners, per un estensione complessiva di 800 ha
di superficie territoriale interessata.
Le specie di interesse sono quelle tutelate dall’ordinamento forestale regionale all’art. 12 del
Regolamento DPGR n. 48/R del 2003 (Tutela della biodiversità), si tratta di 14 tra specie e
generi a limitata diffusione nei popolamenti forestali, di cui la legge disciplina le limitazioni di
taglio allo scopo di preservarne la presenza nella composizione specifica delle foreste regionali.
La tutela e la valorizzazione di queste specie richiede una conoscenza approfondita degli aspetti
ecologici (autoecologia e sinecologia) di ciascuna di esse per poter stabilire quali tipi di
interventi colturali possano effettivamente garantirne la conservazione. Molte di queste specie
appartengono al novero delle latifoglie a legname pregiato (VBT) che in centro Europa sono
oggetto di attenzioni selvicolturali mirate all’ottenimento di materiale legnoso di pregio da
allocare nelle fasce alte di mercato.
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In fase conoscitiva si è cercato di individuare le zone in cui la loro presenza è significativa e dove
possibile realizzare le azioni di progetto di natura operativa. In generale per entrambi i
comprensori sono state realizzate delle indagini socio-economiche, in particolare sulla filiera
foresta-legno, allo scopo di individuare i portatori di interesse e la tipologia di soggetti rispetto
ai quali è plausibile si riscontrino delle ricadute del progetto (acquisizione di consapevolezza e
sensibilità sulla presenza di specie sporadiche e sul tema della biodiversità in genere, sulla
possibilità di una loro valorizzazione economica); un’azione (Az.3) ha riguardato l’applicazione
dell’art. 12 del regolamento forestale, con lo scopo di valutarne l’efficacia in termini di
protezione effettiva dei soggetti tutelati; altra azione al limite tra il conoscitivo e l’operativo, la
7, è stata finalizzata a definire le opportunità economiche collegate alla tutela e valorizzazione
delle specie sporadiche. Le informazioni acquisite sono state messe a diposizione di un team di
economisti per l’analisi economica. Valutando piano degli investimenti, costi di intervento e
ricavi sono stati messi a confronto il modello colturale di tipo tradizionale (taglio del ceduo) con
i modelli colturali proposti a integrazione di quelli tradizionali.
La parte operativa è ulteriormente scindibile in due fasi: una prima pianificatoria, con
approntamento di due piani di gestione forestale pilota (uno per ciascuno dei due
comprensori), realizzati secondo le linee guida per la pianificazione forestale della Regione
Toscana, integrate con l’introduzione di un registro delle specie sporadiche e le indicazioni
selvicolturali per la loro tutela e valorizzazione, sia a solo scopo di conservazione che di
valorizzazione economica. La parte di pianificazione è stata curata e completata dalla D.r.e.aM
Italia, e ha prodotto i due piani approvati dalla Regione nel 2012 (vedi cap. 5).
La seconda fase, strettamente operativa, ha previsto l’individuazione delle superfici forestali
all’interno dei due comprensori, con presenza rilevante di specie sporadiche, nelle quali
proporre modelli d’intervento innovativi finalizzati alla tutela ed alla valorizzazione delle singole
specie.
Questa parte di progetto è stata curata dall’Istituto Sperimentale di Selvicoltura di Arezzo (CRA
– Sel) e sostanzialmente si pone l’obiettivo di adattare un modello selvicolturale correntemente
adottato nell’Europa centro-settentrionale, quello della selvicoltura d’albero (di cui si tratterà in
dettaglio successivamente), a contesti profondamente diversi, come quello appenninico e anti-
appenninico, cercando di integrarlo alla selvicoltura di tipo tradizionale (sia nei popolamenti
cedui che ad alto fusto). Il modello è ritenuto idoneo alle finalità del progetto in quanto,
trattandosi di una selvicoltura incentrata sui singoli soggetti e quindi sulle specifiche esigenze
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ecologiche, ne garantisce la conservazione e contestualmente, dove sussistono le condizioni,
anche la valorizzazione produttiva. Sono state proposte e successivamente realizzate con
diverse formule, sia in amministrazione diretta e che mediante taglio in appalto, più modalità
d’intervento, allo scopo di testarne l’efficacia e valutare le risposte discriminando per singole
specie trattate.
Tutta la parte di comunicazione e divulgazione è gestita dal gruppo editoriale della Compagnia
delle Foreste che si occuperà di realizzare il materiale divulgativo e un manuale tecnico sulla
selvicoltura delle specie sporadiche nei boschi della regione Toscana, la cui pubblicazione è
prevista a chiusura del progetto. La disseminazione prevede anche attività di formazione e
informazione dei portatori di interesse, nello specifico tecnici forestali e ditte boschive, svolte
nei territori coinvolti.
Una parte importante, essendo l’obiettivo principale quello di delineare un modello di gestione
forestale che consenta la tutela e la valorizzazione delle specie sporadiche senza collidere con le
esigenze di produzione tradizionali, localmente ancora molto forti, consiste nel tradurre
l’esperienza concreta del progetto in una proposta di modifica dell’ordinamento forestale
regionale, che non prevede l’applicazione dell’approccio ad albero e pone delle limitazioni
all’adozione di modalità di intervento in bosco non espressamente regolamentate. A termine
dei tre anni del LIFE+ verrà formulata una proposta di modifica del Regolamento Forestale
Regionale, concertata con tutti i portatori di interesse.
Nel riquadro a fine paragrafo è riportata una sintesi del progetto con un breve dettaglio delle
azioni principali.
I risultati presentati nella tesi derivano dalla attività svolte nell’ambito delle azioni 5, 6 e 8.
• Azione 5: Individuation and realization of dimostrative forest areas (Individuazione e
realizzazione di aree dimostrative in foresta)
• Azione 6: Monitoring and definition of pratical indicators for the control of forest
interventions (Monitoraggio e definizione di indicatori pratici per il controlli degli interventi
forestali)
• Azione 8: Definition of a proposal to modify the efficiency of the regional rules regarding
protection of forest biodiversity (Definizione di una proposta di modifica del regolamento
forestale per migliorarne l’efficacia di tutela)
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Per approfondimenti relativi alle altre azioni di progetto e la consultazione dei prodotti
intermedi e dei report conclusivi di ciascuna azione, si rimanda al sito internet curato dalla
Compagnia delle Foreste ( www.pprospot.com ) e alle pubblicazioni presenti sulla rivista edita
dalla stessa compagnia e sulle riviste della rete di riviste europee del settore forestale
EUFORMAG ( www.euformag.eu ).
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Quadro di sintesi del progetto LIFE+ PProSpoT
Il Progetto LIFE+ PProSpoT (LIFE 09 ENV/IT/000087) si propone l’obiettivo generale di rendere
applicabile un nuovo approccio selvicolturale e gestionale in grado di garantire un maggior livello di
biodiversità forestale grazie a un incremento significativo della specie sporadiche, che in alcuni casi
possono contribuire anche ad un innalzamento del valore economico dei boschi stessi, fornendo
legname di pregio.
In funzione del raggiungimento dell’obiettivo generale,gli obiettivi specifici del progetto PProSpoT
sono:
• fornire modelli selvicolturali e gestionali sostenibili sia sul piano ambientale che su quello
economico e sociale, a scala aziendale, locale ed europea;
• incrementare la consapevolezza sul problema e sulle tecniche gestionali e selvicolturali applicabili
agli operatori di settore e ai vari portatori di interesse;
• fornire indicatori tecnici che consentano una semplice verifica della corretta esecuzione delle
pratiche selvicolturali e che possano favorire un processo di aggiornamento della normativa forestale
vigente.
Principali Azioni
Azione 1: Definizione di aree idonee per la tutela e la valorizzazione delle specie sporadiche
all’interno die territori individuati dal progetto.
Azione 2: seminari per presentare il progetto e prendere contatto con gli stakeholder e produzione
di una relazione interna sul mercato locale del legname derivante da specie sporadiche.
Azione 3: rapporto sull’efficacia delle norme regionali a tutela della biodiversità delle foreste.
Azione 4: realizzazione di 2 piani di assestamento sperimentali, per complessivi 800 ha, che tengano
conto della presenza di specie arboree sporadiche.
Azione 5: realizzazione di interventi colturali dimostrativi, per complessivi 80 ha, in foreste con
piante di specie sporadiche in differenti fasi di sviluppo.
Azione 6: Relazione interna sul monitoraggio degli interventi selvicolturali e report sugli indicatori
per il controllo della correttezza degli interventi selvicolturali.
Azione 7: relazione sulle opportunità economiche connesse alla tutela e al miglioramento delle
specie arboree sporadiche.
Azione 8: proposta per la modifica della governance e del Regolamento Forestale della Toscana
orientata a una miglior tutela e valorizzazione delle specie arboree sporadiche.
Altre azioni: realizzazione sito internet, seminari di presentazione, seminari formativi,
predisposizione di martelloscopi per attività di simulazione selvicolturale, bollettini informativi da
diffondere a scala nazionale, articoli da pubblicare sia a scala nazionale che internazionale tramite la
rete di riviste forestali EUFORMAG (European Forestry Magazines Network www.euformag.ue ),
manuale sulle opportunità economiche, manuale sulle tecniche colturali calato sulle due realtà
territoriali coinvolte nel Progetto, videoclip per il riconoscimento delle specie arboree sporadiche e
per l’attuazione degli interventi colturali che verranno inserite in un DVD, pannelli informativi,
escursioni tecniche nelle aree oggetto di interventi di SdA e convegno conclusivo.
Partner di progetto
Comunità Montana delle Colline Metallifere (capofila)
Comunità Montana dell’Appennino Pistoiese
Regione Toscana
CRA-SEL
DREaM Italia
Compagnia delle Foreste
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1.3 BIODIVERSITA’ E SELVICOLTURA
L’importanza e il ruolo chiave della biodiversità a livello ecosistemico e globale sono
universalmente riconosciuti e oggetto di accordi, politiche e scelte gestionali a tutti i livelli.
Restringendo il campo di un argomento così vasto al settore forestale, esso è considerato sin
dagli accordi UNCED 1992 elemento cardine per la conservazione e la tutela della diversità
biologica. In particolare la conferenza definiva le tre dimensioni della gestione forestale
sostenibile (GFS), facendo un passo ulteriore e mettendo in evidenza che il punto nodale non è
soltanto lo stato e la consistenza di un patrimonio esistente ma il suo utilizzo e le modalità con
cui tale utilizzo si esplica. La gestione forestale è quindi lo strumento principale attraverso cui è
possibile perseguire finalità di tutela e conservazione compatibili con il ruolo economico e
sociale delle foreste. Infatti si riconosce alla GFS la funzione di conservazione delle risorse
boschive, creazione di impatti sociali positivi e mantenimento dell’efficienza economica
nell’organizzazione dei prodotti e dei servizi forestali. La tutela della foreste, e per esteso della
diversità non solo biologica ad esse associate, non può prescindere dal ruolo di fornitrici di
prodotti e servizi su cui si basa l’interazione tra uomo e foreste. Il mutamento importante del
ruolo e delle funzioni attese attribuiti alle foreste non ha modificato il soggetto - il bosco - che è
e rimane un sistema biologico, ma richiede sistemi di gestione diversi (Furner, 2000) .
La strategia forestale europea (Risoluzione del Consiglio d’Europa 1999/C56/01) si basa sul
concetto di GFS derivato dai processi di Helsinki e di Lisbona e, ribadendone il ruolo
fondamentale per la conservazione e valorizzazione della biodiversità, sottolinea che le stesse
finalità di conservazione e valorizzazione sono prerequisiti della sostenibilità della gestione.
Piussi e Farrell (Piussi e Farrell, 2000) mettono in evidenza che una gestione sostenibile della
foresta non può non prescindere dagli aspetti ecologici ma nemmeno dalle esigenze della
Definizione di Gestione Forestale Sostenibile (MCPFE Helsinki 1993): La gestione
corretta e l’uso delle foreste e dei terreni forestali nelle forme e ad un tasso di utilizzo
che consentano di mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di
rinnovazione, utilità ed una potenzialità che assicuri, ora e nel futuro, rilevanti funzioni
ecologiche, economiche e sociali a livello nazionale e globale e non comporti danni ad
altri ecosistemi.
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società, pena l’identificarsi con ideologie astratte, avulse dal contesto socio economico di cui le
foreste fanno invece parte. Le conoscenze ecologiche da sole non bastano a sviluppare modelli
gestionali nuovi che concilino le esigenze di conservazione e quelle tradizionali della
selvicoltura. L’insieme di tutti questi elementi, arricchito dal recupero di aspetti culturali e
conoscenze tradizionali, possono portare ad un fattivo incremento di valore delle foreste delle
aree fortemente antropizzate del globo, rifacendosi in qualche modo al principio dell’agire
localmente pensando globalmente.
Per molto tempo, soprattutto in Italia, le esigenze di tutela e conservazione sono state
interpretate in senso restrittivo, marginalizzando il ruolo economico delle foreste, complici il
minor interesse per i prodotti legnosi, in modo particolare della legna da ardere, per effetto
della concorrenza dei combustibili fossili e la massiccia importazione di materiale da opera
dall’estero. Si sono privilegiati sistemi colturali minimi o l’abbandono colturale, in modo
particolare nelle aree protette, con la conseguente riduzione del campo di applicazione della
selvicoltura, in parte per effetto della marginalità economica ma anche in conseguenza
dell’adozione di norme cautelativo – restrittive che hanno favorito una conservazione passiva
invece di incentivare criteri di gestione dinamica o attiva (Bertini, 2012).
Ritornato in auge l’interesse economico per le foreste e. in particolare, per le biomasse ad uso
energetico, in conseguenza dell’aumento dei costi dei combustibili fossili, ma anche di politiche
energetiche nuove (comprese le misure di incentivazione), si è assistito ad una ripresa delle
utilizzazioni in foresta e quindi al rinnovarsi dell’interesse per la pianificazione e la gestione in
senso lato. I rapporti sullo stato delle foreste in Europa della Conferenza Ministeriale per la
Protezione delle Foreste (MCPFE 2007 e 2011) sottolineano un miglioramento di molti
parametri quantitativo-qualitativi a seguito della ripresa della coltivazione nei Paesi in cui è
praticata in maniera più intensiva.
La gestione, la corretta gestione, quindi, migliora lo stato delle foreste la cui fisionomia attuale
è il risultato di secoli di condizionamento antropico. Tale effetto deriva dal fatto che un modello
gestionale sostenibile è basato su conoscenze ecologiche puntuali relative alle esigenze delle
specie e sul funzionamento degli ecosistemi, ovvero sulla possibilità di intervenire limitando le
forzature delle dinamiche naturali ma utilizzandole invece in modo consapevole agli scopi
prefissi e cercando la soluzione ottimale di combinazione di tutte necessità, sia di natura
produttiva che conservativa.
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Il ruolo della selvicoltura nel mantenimento della biodiversità, attraverso la regolazione delle
mescolanza, la creazione di condizioni idonee all’insediamento di specie diverse, la possibilità di
intervenire sulle strutture, è cruciale per garantire funzioni ecosistemiche stabili e durature
anche quando le condizioni ambientali cambiano per effetto ad esempio dei cambiamenti
climatici, influendo positivamente sulla resilienza dei sistemi forestali. Il che aumenta il valore
aggiunto della gestione, considerata la potenzialità che essa ha di incidere sull’adattabilità delle
formazioni forestali attraverso l’aumento della loro stabilità funzionale. Riguardo a quest’ultimo
punto Bϋrgi e Brang (Bϋrgi e Brang, 2012) sottolineano che la selvicoltura, e in particolare lo
sviluppo di modelli di gestione nuovi che influiscano sulla diversità a tutti i livelli compreso
quello produttivo (flessibilità dei turni e diversificazione degli assortimenti), sono in grado di
rispondere al principio della distribuzione dei rischi. Per tale principio, a fronte di notevole
incertezza sulle condizioni ambientali e di mercato del futuro, puntare a modelli basati sulle
azioni descritte offre maggiori garanzie di rispondere efficacemente a variazioni rispetto alla
situazione attuale (ottimizzazione adattativa).
Con il progetto LIFE+ PProsPoT e attraverso la sperimentazione avviata con questo lavoro, si
intendono gettare le basi conoscitive per adattare un modello gestionale come quello della
selvicoltura d’albero a contesti forestali specifici, favorendone la diffusione e la conoscenza tra
tutti i portatori di interesse, dal livello decisionale (normativa e pianificazione territoriale) a
quello dell’utilizzazione finale (operatori e consumatori). La selvicoltura d’albero (dei cui
principi si discuterà in dettaglio nel capitolo 2) si fonda su basi che rispondono efficacemente
alle esigenze fino a qui brevemente discusse, in modo particolare per l’adattamento di modalità
e intensità di intervento alle esigenze ecologiche delle singole specie. D’altra parte essa risulta
coerente con tutti e sei i principi della GFS (MCPFE, 1998) in particolare con il secondo, il terzo e
il quarto.
Nel riquadro seguente sono riportati i 6 criteri di GFS e per i criteri 3 e 4 il dettaglio di due
indicatori descrittivi di cui si è tenuto conto nella progettazione del LIFE+, relativi al ruolo
fondamentale del contesto legale - normativo (Azioni 3, 4 e 8) e degli strumenti formativi e
informativi a supporto delle politiche di settore.
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Criterio 1: Mantenimento e adeguato miglioramento delle risorse forestali e loro
contributo al ciclo globale del carbonio
Criterio 2: Mantenimento della salute e vitalità degli ecosistemi forestali
Criterio 3: Mantenimento e sviluppo delle funzioni produttive nella gestione forestale
(prodotto legnosi e non legnosi)
(indicatore descrittivo 3.3: presenza di un contesto legale –normativo e sua capacità di
incoraggiare i proprietari forestale verso pratiche forestali valide dal punto di vista
ambientale basati su piani di gestione forestale o linee guida equivalenti)
Criterio 4: Mantenimento, conservazione e adeguato miglioramento della diversità
biologica negli ecosistemi forestali
(tra gli indicatori descrittivi 4.1: presenza di un contesto economico – politico e di
strumenti finanziari per creare nuove risorse e incentivi per migliorare il meccanismo di
previsione dell’impatto antropico sulle foreste e per sviluppare nella foresta valori
economici la cui gestione sia regolata al fine di mantenere la diversità
biologica(..).Presenza di strumenti informativi in grado di supportare le politiche e loro
capacità di sviluppare nuovi inventari e la definizione dell’impatto ecologico sulla
diversità biologica e nuovi strumenti per definire l’effetto della gestione forestale sulla
diversità biologica.)
Criterio 5: Mantenimento e appropriato miglioramento delle funzioni protettive nella
gestione forestale (con specifica attenzione alla difesa del suolo e alla regimazione delle
acque)
Criterio 6: Mantenimento delle altre funzioni e delle condizioni socio-economiche
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2. LA SELVICOLTURA D’ALBERO
G. Bernetti, Trattato sul taglio a saltamacchione modificato 1983: “ … è importante saper
adattare la selvicoltura e la strategia gestionale al bosco reale, in modo da trarre partito da
particolari occasioni di carattere economico”
Con il termine selvicoltura d’albero si fa riferimento ad un modello selvicolturale che considera
le esigenze della singola pianta, generalmente definita pianta o albero obiettivo (target tree) e
che si contrappone dunque al modello tradizionale, definito di popolamento, in cui gli
interventi vengono calibrati a scala dell’intero soprassuolo.
La gestione forestale applicata in Italia risponde al modello della selvicoltura di popolamento,
indipendentemente dalle forme di governo e dalla modalità di trattamento, ed è improntata
nelle sue varie declinazioni alla massimizzazione della produzione di biomassa (sia ad uso
energetico che come assortimenti da falegnameria) ottenibile dalla o dalle specie principali.
L’approccio ad albero nasce in Europa, nelle foreste di Francia e Germania nella prima metà del
XX secolo (Bastien e Wilhelm, 2003) per la produzione di legname di pregio in foresta e
acquisisce rilevanza crescente intorno agli anni cinquanta, in conseguenza del progressivo
aumento del costo del lavoro concomitante alla riduzione dei prezzi della legna da ardere e al
crollo del mercato del legno (Spiecker H., 2006 e Schütz JP., 2006). In un quadro
complessivamente sfavorevole ad un modello selvicolturale ad alto “input energetico”, la
riduzione degli interventi e dei costi basata sulla razionalizzazione dell’intervento selvicolturale
ha consentito di sviluppare modelli gestionali con i quali è stato possibile perseguire obiettivi
produttivi, altrimenti non sostenibili, e rispondere parallelamente alle mutate e crescenti
esigenze di natura ambientale e sociale che andavano delineandosi. Sostanzialmente con la
selvicoltura d’albero si puntava alla concentrazione della produzione di legname di pregio su
pochi soggetti dalle buone caratteristiche tecnologiche e di grandi dimensioni.
L’obiettivo di fondo della selvicoltura d’albero è la produzione di legname di pregio in tempi
ridotti e senza aggravi di costo. La transizione dal modello di popolamento al modello ad albero
(si noti la perifrasi inglese per selvicoltura d’albero “tree oriented silvicolture”, letteralmente
selvicoltura orientata sulla singola pianta) comporta un processo di razionalizzazione del lavoro
forestale, sia inizialmente in fase di programmazione degli interventi, che successivamente in
termini di realizzazione e distribuzione spaziale degli stessi.
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La selvicoltura per definizione è l’insieme delle tecniche/interventi adottati per condizionare
determinati processi naturali e orientarli in direzione degli obiettivi della gestione forestale.
Qualunque modello selvicolturale pertanto simula l’effetto delle dinamiche naturali e di
competizione a scopi diversi che vanno dalla produzione al più generico e articolato, nel suo
complesso, mantenimento della multifunzionalità delle foreste.
La differenza tra l’approccio ad albero e quello di popolamento sta nella scala di applicazione. I
processi decisionali non risultano funzione dell’intero popolamento (oggetto della selvicoltura
applicata è il popolamento, quindi variabile in funzione di composizione e struttura d’insieme)
bensì della presenza e delle esigenze ecologiche delle singole specie presenti. Un modello
colturale di tal genere deve necessariamente essere calibrato in funzione di esigenze ecologiche
differenziate, pertanto non può risultare omogeneo sulla superficie di taglio e va
adeguatamente integrato a modelli preesistenti, laddove si voglia perseguire la strada della
coesistenza dei modelli selvicolturali. Si noti che realizzando interventi rispondenti alle esigenze
delle singole specie, l’approccio ne consente una maggiore “tutela” e diventa di per sé garanzia
della conservazione del singolo soggetto e della presenza della specie d’appartenenza a scala di
popolamento (questione questa che interessa soprattutto le specie definite sporadiche e quindi
d’interesse per rarità di diffusione o rischio di scomparsa).
Con la selvicoltura d’albero si arriva a perfezionare quella che Schütz definisce la
“razionalizzazione biologica nella gestione forestale” (Schütz J.P., 2006 op. cit.) ovvero una
simulazione efficace e razionale dei processi naturali, o il loro condizionamento, per ridurre i
costi di gestione e migliorare la produzione. Occorre sottolineare che per quanto l’impronta
dell’approccio ad albero sia per sua origine di stampo produttivo, i principi e i criteri che lo
caratterizzano consentono il mantenimento e la persistenza di un insieme di funzioni che dal
singolo soggetto all’intero popolamento permettono di conservare, migliorare e garantire la
multifunzionalità delle foreste.
In sintesi i principi della selvicoltura d’albero sono riconducibili a tre punti cardine (Bastien e
Wilhelm, 2003):
• Ridurre gli interventi selvicolturali inutili
• Lasciare agire i processi di regolazione naturale
• Concentrare gli interventi su una frazione limitata del popolamento
Nella pratica l’applicazione di tale approccio gestionale può presentare caratteristiche molto
diverse, non da ultima l’importante potenzialità di integrazione ai modelli selvicolturali a scala
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di popolamento, che è di particolare interesse nel contesto forestale italiano, come si vedrà in
seguito. Restano di base i principi elencati per i quali si interviene e agisce solo limitatamente
agli alberi identificati come obiettivo, ovvero quelli su cui si decide di concentrare la
produzione. L’integrazione dei modelli è l’estremo opposto alla formulazione più comunemente
adottata in Germania, ovvero il solo intervento circoscritto agli alberi obiettivo senza nessun
tipo di azione a carico della restante parte del soprassuolo forestale. In Francia invece è più
comune la realizzazione di interventi di selvicoltura d’albero e il diradamento contestuale del
popolamento accessorio, per aumentare l’economicità dell’intervento ma anche allo scopo di
regolare la mescolanza e creare condizioni locali favorevoli all’insediamento e all’affermazione
della rinnovazione delle specie di interesse.
E’ frequente la descrizione della selvicoltura d’albero in qualità di two phases management
system, sistema di gestione a due fasi (Spieker H. 2006 e 2008, Hein S. 2009, Hein S. e Spieker
H. 2009), corrispondenti ai due processi principali che le caratterizzano:
1. Autopotatura o potatura artificiale: questa fase che va dall’insediamento alla
qualificazione (per il dettaglio delle fasi di sviluppo in selvicoltura d’albero si veda di seguito) è
dominata dalle dinamiche di competizione che condizionano lo sviluppo dei singoli soggetti e
portano alla loro differenziazione sociale. La competizione per effetto dell’ombreggiamento
reciproco influisce sul processo di potatura naturale (auto potatura), più o meno accentuato a
seconda delle specie. In questa fase l’intervento selvicolturale è ridotto al minimo o addirittura
nullo. Per determinate specie con scarsa tendenza all’autopotatura, come il ciliegio, è possibile
eseguire delle potature artificiali, particolarmente agevoli trattandosi di soggetti di piccole
dimensioni e di interventi di formazione su pochi rami di diametro ridotto. Eventualmente
possono essere realizzati degli sfolli per regolare la mescolanza e favorire soggetti di specie con
legname pregiato.
2. Accelerazione dell’incremento diametrico: le fasi successive, dal dimensionamento alla
maturità, richiedono interventi frequenti circoscritti nell’intorno delle piante obiettivo,
finalizzati a ridurre la competizione diretta e favorire l’espansione della chioma, in modo tale da
ottenere un aumento dell’incremento diametrico e il suo mantenimento su valori elevati e
costanti nel tempo. L’effetto si ottiene mediante ripetuti interventi di crown release liberazione
della chioma, noti anche come détourages.