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1.1 Gli antenati dei grattacieli
Oggi ci si domanda se i grattacieli hanno ancora un futuro.
Ma qual è il loro passato?
“Un tempo tutta l’umanità parlava la stessa lingua e usava le stesse parole.
Pensarono di adoperare mattoni al posto delle pietre e bitume invece della calce.
Poi dissero: ‘Forza! Costruiamoci una città! Faremo una torre alta fino al cielo! Così
diventeremo famosi e non saremo dispersi in ogni parte del mondo!’.La città fu chiamata
Babele, cioè Confusione, perché fu lì che il Signore confuse la lingua degli uomini e li
disperse in tutto il mondo.”
La torre di Babele
Così il mito biblico della Torre di Babele, cerca di spiegare la pluralità delle lingue umane
mettendo insieme la somiglianza tra il nome di Babilonia, in realtà Bab-Ili, “Porta di Dio”,
e la parola ebraica balal, che significava “confondere”.
E poi c’è l’uso babilonese di costruire le ziggurat, alte torri destinate all’osservazione del
cielo; e l’idea che i babilonesi, storici nemici del “popolo eletto”, fossero per questo invisi
a Dio, e dunque andassero considerate maledette le loro usanze.
L’idea di “avvicinarsi al cielo” attraverso costruzioni era considerata profana e sacrilega in
tutte le religioni.
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Non solo gli alti palazzi ma un po’ tutte le costruzioni erano considerate dagli antichi
violazioni dell’ordine stabilito nella natura, cui bisognava porre riparo con scongiuri e
sacrifici, di cui resta ancora oggi un retaggio nell’annuale benedizione delle case fatta dalla
Chiesa Cattolica.
La stessa Chiesa Cattolica, d’altra parte, ha alla propria testa il Sommo Pontefice, carica
presa di peso da quella del capo-sacerdote nella gerarchia religiosa della Roma pagana. E
che era il pontifex, se non un “costruttore di ponti”?
Le leggi della fisica infatti esistono, e vanno conosciute a fondo, se si vuole “correre verso
il cielo” con la vetta di un edificio. Un esempio dall’esito “fortunosamente felice”, ma
comunque eloquente di ciò a cui può condurre un progetto velleitario non sorretto da
un’adeguata cultura costruttiva, è rappresentato dalla Torre di Pisa. Divenuta “pendente”
proprio per essere stata costruita su un terreno sbagliato.
Il Tempio di Salomone, le ziqqurat, i menhir e i dolmen delle culture celtiche e pre-
celtiche, le piramidi, i campanili e la cattedrali gotiche del cristianesimo, i minareti del
mondo islamico, i templi induisti, le pagode buddiste: come si vede, malgrado l’eco di
sacrilegio del mito della Torre di Babele, gran parte degli edifici che in passato hanno
sfidato il cielo avevano un interesse e un significato di tipo religioso.
Le guglie delle chiese gotiche concretizzano la spinta dell’umanità verso l’ascesi e il
paradiso.
Altre volte, le alte costruzioni avevano invece un interesse militare. Una torre medioevale
era infatti un effettivo mezzo di difesa, che consentiva ai suoi occupanti di scorgere il
nemico da lontano e, quando si avvicinava, di attaccarlo dall’alto.
Sempre nel Medio Evo, altre volte ancora l’altezza di un edificio aveva funzioni di
prestigio.
Nota è la storia delle famiglie degli Asinelli e dei Garisendi che si sfidarono a chi faceva la
torre più alta nella Bologna medievale.
Poiché gli Asinelli avevano finito per primi la loro slanciata costruzione lanciandola a una
quota difficilmente superabile, i Garisendi tentarono di rivalersi lavorando sulla larghezza.
Ma esagerarono, e la torre gli crollò. Le due torri, quella snella degli Asinelli e quella tozza
e smezzata dei Garisendi, sono rimaste come popolare simbolo cittadino di Bologna. Così
come una città nota per le sue torri è la toscana San Gimignano.
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Le torri degli Asinelli - Bologna
Come sede di abitazioni, invece, nel passato gli edifici alti non erano molto diffusi.
La Roma imperiale, col suo 1.200.000 abitanti, fu la prima metropoli della storia a trovarsi
costretta a risolvere problemi di sovrappopolamento ricorrendo a un’edilizia popolare su
più piani.
Ma le cosiddette insulae, così chiamate perché circondate da quattro strade, non andarono
mai oltre i quattro o cinque livelli.
Tecnicamente, si sarebbe potuto farle anche più alte. Ma poiché gli abitanti potevano poi
muovercisi solo attraverso scale, da un sesto piano in poi sarebbero divenute praticamente
invivibili.
I locali erano infatti angusti, i soffitti bassi, le scale scomode, pessima era in particolare la
situazione igienica, visto che non esistevano latrine nelle case, e che l’acqua doveva essere
prelevata dalle fontanelle pubbliche nella via.
Inoltre, essendo alloggi a basso prezzo le insulae erano pure costruite con mattoni e
materiali di reimpiego, e sono documentati crolli in cui vennero travolte molte persone.
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1.2 La nascita del grattacielo
Gli Stati Uniti d’America sono un paese che, nella fase di sviluppo della sua architettura,
non potendo avvalersi di una tradizione consolidata, subisce la colonizzazione culturale
dell’Europa.
Gli stili architettonici che vengono usati sono quelli importati dal vecchio continente nel
corso del 1700 e durante il 1800, adattandoli al contesto locale : l’Eclettismo e il
Classicismo.
Nel corso del tempo, però, si manifestano segnali di indipendenza culturale, in particolare
con il Movimento per i Parchi Urbani di Olmsted e l’architettura di Henry Robson
Richardson.
Parallelamente si definiscono anche alcuni caratteri tipici dell’edilizia, quale conseguenza
della politica urbanistica basata esclusivamente sulle leggi del profitto.
Se gli edifici di rappresentanza sono ubicati in città ed usano gli stili europei, l’edilizia
residenziale si sviluppa fuori delle città ed è realizzata con prevalente struttura in legno su
un massimo di due piani.
Nel centro città l’edilizia commerciale dà inizio alla storia di un nuovo “tipo”: il
grattacielo.
Il grattacielo si sviluppa nella seconda metà dell’ottocento in tutte le grandi città
americane, ma la prima grande proliferazione, anche per le innovazioni apportate, avviene
a Chicago tra il 1880 e il 1900.
Tutti i grattacieli sono concentrati nel Loop, costituito da nove isolati, che diventa un
elemento tipico delle città americane, caratterizzato da grandi edifici per uffici, alberghi,
grandi magazzini e locali pubblici, e rappresenta il cuore pulsante dell’economia della
città, il centro nevralgico delle politiche economiche del self made men americano.
Le figure più significative presenti nella Chicago del tempo le più significative sono
rappresentate da H.R. Richardson, William Le Baron Jenney, John Wellborn Rooth e
Daniel Burnham, L.Sullivan e D.Adler.
E’ il 1852, data in cui viene inventato quello che, stando alle statistiche, è tutt’ora “il più
sicuro mezzo di trasporto del mondo moderno”. Ovvero, l’ascensore.
Ed è la combinazione tra questo nuovo ritrovato tecnologico e il sovraffollamento delle
grandi città degli Stati Uniti, a partire dal boom industriale del secondo ‘800, a far nascere
il moderno grattacielo.
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La storia del grattacielo è la storia dell’evoluzione di alcuni fattori tecnico-economici:
l’alto prezzo delle aree fabbricabili del centro città che porterà a privilegiare, a
Chicago come a New York, l’altezza dell’edificio rispetto alla sua estensione
orizzontale;
le innovazioni tecnologiche che per le strutture riguardano l’uso della ghisa e del
ferro, nonché del telefono e della posta pneumatica.
A queste innovazioni farà seguito la ricerca di un linguaggio che sia adeguato al nuovo tipo
di edificio ed alla società americana del XIX secolo che lo ha prodotto.
In italiano, “grattacielo” è la traduzione letterale dell’inglese sky-scraper, in cui però resta
sempre come un’eco della maledizione biblica. Non si sfida più il cielo, ma si cerca
comunque di fargli il solletico.
Il primo vero grattacielo moderno fu la torre di dieci piani della Chicago Home Insurance,
ad opera di Le Baron Jenney, costruita nel 1883, e demolita nel 1927.
Fu il primo saggio di quella scuola architettonica ribattezzata appunto “Scuola di Chicago”
e il capostipite di molti altri eretti in città come New York e Dallas, e il cui profilo ha da
allora caratteristicamente contraddistinto l’aspetto delle grandi città degli stati Uniti.
Home Insurance Building - Le Baron Jenney – 1883 - Chicago
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Dal punto di vista strutturale i grattacieli erano realizzati o in muratura portante, con gli
inevitabili grossi spessori delle pareti in pietra o mattoni, o in struttura metallica, con l‘uso
della ghisa e poi del ferro, in particolare per la realizzazione dei pilastri, che consentivano
maggiori aperture vetrate e campate più ampie.
Sotto questo profilo gli indirizzi stilistici possibili erano sostanzialmente due.
Il primo era orientato a mettere in luce, con grande chiarezza e sincerità, la struttura
portante intelaiata che diventava, quindi, l’elemento caratterizzante la forma dell’edificio.
Il secondo era quello di nascondere la struttura metallica sotto una muratura portante in
pietra, dando quindi l’impressione di un edificio in muratura tradizionale e lasciando al
rivestimento esterno il compito di esprimere il “carattere” dell’edificio.
Non si può attribuire a priori carattere di innovazione stilistica alla soluzione più razionale
della messa in luce del telaio metallico, e di perseveranza storicistica a quelli in muratura,
perché si manifesteranno continue interferenze tra i due tipi di intervento strutturale e di
questi con la tradizione decorativa Beaux Arts parigina.
L’espressione della struttura metallica verrà condizionata da una decorazione storicista a
volte esasperata, mentre avremo casi di grande sobrietà formale in edifici in muratura
tradizionale.
Dal punto di vista stilistico l’architettura del grattacielo presenta due linee principali:
l’eclettismo e il funzionalismo, che non sono, però, in diretta relazione con la scelta
strutturale.
I due indirizzi si diversificano per un uso espressivo diverso della struttura portante
dell’edificio, da un lato ancora legato alla tradizione decorativa europea, dall’altro nel
tentativo di liberarsi da questa tradizione.
1.3 Il conflitto sugli edifici alti
Con la nascita del nuovo tipo di costruzione, sorge la diatriba sul concetto di grattacielo,
sul suo inserimento in contesti urbani e sulla sua percezione, nonché sullo stile.
Questo tipo di conflitto si era già presentato nel 1889 quando nella Parigi pronta ad aprire
le porte dell’Esposizione Universale veniva inaugurata la Torre dell’ingegnere Gustave
Eiffel, costruita per commemorare i 100 anni della Rivoluzione Francese.
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Le furiose polemiche, per un'opera che si riteneva di impossibile realizzazione, alta 300
metri, a quei tempi, l'opera umana più alta mai costruita, giunsero da ogni parte della
società e l'esecuzione del progetto si presentò subito niente affatto semplice.
A più riprese, si presentò il rischio di non portare a termine l'opera a causa di problemi sia
economici che tecnici.
Tuttavia, la perizia tecnica e la caparbietà di Gustave Eiffel consentì all’impresa di
compiersi, secondo i piani e i tempi previsti.
Fu costruita con l’ausilio di centinaia di operai costretti a lavorare in condizioni disastrose
(temperature sotto zero, vento battente, piogge torrenziali e caldo torrido), con salari
mediocri e nessuna tutela, la Tour Eiffel venne finalmente completata il 31 marzo 1889.
Il progetto suscitò pareri contrastanti, entusiasmi e polemiche. Il gotha della capitale
francese, tra cui scrittori del calibro di Guy de Maupassant e Alexandre Dumas, accolse
con orrore quella “torre vertiginosamente ridicola che sovrasta Parigi come l’oscura e
gigantesca ciminiera di una fabbrica che tutto schiaccia sotto la sua barbara mole”.
Alla vista dell'opera finita le voci di dissenso furono spazzate via da un coro unanime di
meraviglia. Fascino tecnico ed armonia estetica avevano dato il loro frutto e la Tour Eiffel,
dal 1889, divenne non solo parte dell'architettura parigina, ma, nell'immaginario collettivo,
il maggiore e più immediato simbolo della Francia moderna.
Tour Eiffel – G. Eiffel –fasi della costruzione - 1889 - Parigi
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Caricatura della Tour Eiffel
Il 10 giugno 1922, in occasione del 75° anniversario della sua fondazione, il “Chicago
Tribune” bandisce un concorso internazionale per la costruzione della nuova sede per gli
uffici e l’amministrazione.
Il bando fissa tre obiettivi principali: contribuire all’abbellimento della città; dotare
Chicago del migliore edificio per uffici del mondo; realizzare una costruzione degna del
più grande giornale del mondo.
Due anime si confrontano sul tema del grattacielo nel concorso per il Chicago Tribune :
quella americana e quella europea, il nuovo mondo con il suo eclettismo storicista e il
vecchio mondo con il suo razionalismo.
Il concorso ha una rilevanza culturale enorme e diventerà uno dei più importanti momenti
di verifica nella storia dell’architettura moderna perché in esso si confrontano, per la prima
volta, le tradizioni architettoniche europee con quelle americane. Partecipano trecento
progetti provenienti da tutto il mondo.
Molti progetti americani si rifanno alla storia con colonne, lesene, frontoni, ornamenti e
cupole, scontrandosi con l’incompatibilità di base del grattacielo con gli ordini classici.
I progetti europei sono sobri e mostrano le ultime tendenze delle avanguardie radicali, in
particolare tedesche e olandesi. Queste opere dimostrano un particolare entusiasmo per le
tecnologie dell’acciaio come nel caso di Hilberseimer, Bijovet e Duikero, Gropius.
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In generale i progetti propongono volumi spogli, articolati unicamente dalla struttura a
scacchiera del telaio, che esprimono una rigida visione razionalista.
Caso particolare è quello di Adolf Loos che affronta il tema storico della colonna nel modo
più ambiguo e impressionante.
Nello spazio americano delle “forme senza tempo”, in equilibrio precario tra il Kitch e
l’ironia, propone la sua icona rimarcando così la disperata solitudine dell’oggetto
estraniato, dell’alienazione formale, della disillusione metropolitana a cui Loos fa esplicito
riferimento.
Dal punto di vista formale l’operazione di Loos risolve in modo “logico” e ironico
l’incompatibilità delle dimensioni trasformando l’intero fusto del grattacielo in una
colonna dorica.
Gropius ricorre, come gli altri “Razionalisti”, ad un linguaggio basato su telaio
rettangolare.
Le principali sezioni del progetto erano articolate da piccole variazioni del ritmo e della
distanza tra le campate.
All’interno la pianta era aperta, libera e ben illuminata da tutti i lati. Il progetto mostra una
sensibilità per la precedente Chicago School, utilizzandone la tipica finestra tripartita, ma è
anche concepito come un’astrazione meccanicistica, sulla scia delle ricerche coeve al
Bauhaus.
Hood e Howells sono i vincitori del concorso per il Chicago Tribune. Il loro progetto in
stile neogotico, pur se legato ai caratteri dell’eclettismo, risolve molti dei problemi
fondamentali del sito e della tipologia dell’edificio.
L’edificio era una variazione su uno schema tripartito che, con la sua accentuata verticalità,
rispondeva al teorema di Sullivan per l’edificio alto per uffici.
Mentre il telaio del progetto di Hood era nascosto sotto un rivestimento di pietra, il senso
di una spinta verticale era reso con efficacia dai pilastri gotici delle facciate.
In questo modo Hood risolveva le difficoltà modulari e di scala degli ordini classici in
quanto il pilastro “gotico” poteva essere allungato quasi indefinitamente.
Probabilmente, però, la scelta di Hood di usare lo stile gotico poteva avere anche
implicazioni morali se leggiamo l’edificio come richiamo ad una cattedrale che si ergeva
sui più bassi affari.
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Con quest’opera Hood interpreta brillantemente lo spirito nostalgico e leggermente
romantico dell’ America degli anni venti.
Eliel Saarinen riceve il secondo premio al concorso per il Chicago Tribune.
Lo schema che Saarinen propone con questo progetto sarà più influente, rispetto a quello
degli altri, negli anni tra le due guerre.
Distintosi per uno stile non facilmente classificabile, venne lodato anche da Louis Sullivan
che probabilmente, in esso, vedeva un’astrazione di natura vicina alle sue teorie precedenti.
Egli realizza una struttura “telescopica” che si sviluppa in una continua metamorfosi di
forme che tendono a riportare una concezione organica all’interno della città.
Saarinen, che si era ormai trasferito negli U.S.A., cerca di esportare una concezione del
grattacielo quale elemento organizzativo per l’intero assetto urbano.
I progetti per il Chicago Tribune – da sinistra: Loos, Gropius & Meyer, Hood & Howells, Saarinen
Sulla questione grattacielo così si esprime Peter Behrens, maestro nella scuola del
Bauhaus, in "Stadtbaukunst alter und neuer Zeit"(Antica e moderna architettura urbana), 15
marzo 1922:
“Il problema dei grattacieli non è solo di tipo economico o costruttivo. Questi aspetti,
infatti, sono già stati trattati a sufficienza. Non può più essere messa in dubbio la praticità
di concepire il centro città come città commerciale e dunque realizzarla in modo da
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facilitare il sorgere di esercizi commerciali, avvicinando contemporaneamente i quartieri
residenziali. Chiunque si sia recato almeno una volta per affari a New York si ricorda
sicuramente quanto sia stato semplice spostarsi, poiché tutti i luoghi in cui doveva andare
si trovavano nelle immediate vicinanze, sebbene in piani diversi, spesso ai piani alti. Ma la
costruzione di grattacieli non è solo una questione di urbanistica, bensì di composizione
urbana.
“Stadtbaukunst alter und neuer Zeit", 15 marzo 1922
Anche dal punto di vista artistico si può apprendere molto da New York, soprattutto cosa
non si dovrebbe fare, ma anche come lo si dovrebbe fare. Non solo non sono replicabili le
forme decorative gotiche o classiciste. Queste hanno infatti un ruolo secondario. Si tratta
dell’organizzazione arbitraria dei singoli edifici pensati come corpi isolati senza nessun
rapporto con la fisionomia urbana. Ci sono degli edifici a New York, la maggior parte in
realtà, che sorgono autolimitandosi, senza neanche tener conto del contesto. Tuttavia, in
senso compositivo il singolo edificio non suscita alcun interesse, tutto infatti dipende dalla
relazione che ha con l’intero insieme urbano. Da questo punto di vista le città americane
sono caotiche ed è proprio perché questa caratteristica si manifesta in modo così evidente
anche solo osservando delle fotografie che tali città dovrebbero rappresentare una chiara
lezione. Ma accanto al disordine e all’arbitrarietà emergono, più per caso che per altro,
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delle impressioni opposte. Un po’ come la natura che, senza aver creato nulla con intento
artistico, produce delle forme che ci incantano. Pertanto anche a New York ci si può
trovare per caso di fronte a degli agglomerati tra gli innumerevoli grattacieli, che ci fanno
avere davvero una notevole percezione del principio artistico alla base della composizione
urbana.
Se si pensa che le nostre grandi città tedesche un giorno si potrebbero ingrandire
ulteriormente espandendosi solo orizzontalmente in base alla crescita della popolazione,
dal momento che verrebbe rispettato il limite massimo consentito sinora di 22 m per il
valore del terreno, ci si può quindi immaginare che si verrebbero a creare delle città
infinite, estremamente monotone e prive di qualsiasi profilo. Ora, per garantire più
carattere e varietà all’aspetto di un tale organismo urbano in continua crescita, la cosa
migliore è che dalla monotonia dello sviluppo orizzontale delle superfici sorgano in modo
deciso delle masse verticali. L’architettura è l’organizzazione del corpo. Di conseguenza
anche l’urbanistica non è compito del tecnigrafo del geometra, non si tratta dunque di una
questione geometrica, bensì stereometrica (geometria solida). Evidenziare la terza
dimensione ha un notevole valore dal punto di vista urbanistico-compositivo. Se partiamo
dall’idea che la città non sia un conglomerato di singole unità, né una massa che può essere
lavorata a piacere, bensì un insieme organizzato in modo uniforme ed in cui ogni superficie
ed ogni singola dimensione dipende in modo preciso da tutte le altre parti e dall’intero
corpo cittadino, allora potremo considerare una città come un grande rilievo modellato su
di un piano di base, che come ogni rilievo si compone di vari strati e di livelli che hanno
altezza diversa.
Ora, questo è quello in cui si è trasformata l’esperienza in America, dove il tutto ha dato
vita a dei progressi tecnico-pratici per lo studio; ho infatti trovato dei quartieri cittadini in
cui queste stratificazioni erano chiaramente visibili. Al di sopra del livello stradale e degli
edifici più bassi sono sorti degli effetti volumetrici che non sono vincolati, come invece le
nostre piazze del mercato, ai marciapiedi, bensì mettono in relazione più parti della città
grazie alla loro enorme estensione. Ed è proprio qui che sta la grande forza organizzativa
del grattacielo per l’arte urbanistica, e cioè che al di sopra delle strade e dei mercati la città
può essere davvero percepita come un unico elemento concatenato.
Una casa, ed in particolare una di queste dimensioni, può rovinare in modo grossolano e
senza riguardo l’unità di un intero quartiere cittadino, quando l’innalzarsi di un’energica
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verticale non ha luogo dove invece è necessario dal punto di vista artistico per l’immagine
della città, e anche quando nella sua divisione in piani non si uniforma al vicinato a causa
di aggetti più bassi o così via. Case di questa ampiezza non dovrebbero rappresentare una
figura indipendente, quasi armonica, bensì hanno tutte le ragioni per presentarsi come parte
che serve e collabora all’intero organismo urbano e lo completa, principio che ha acquisito
validità già da tempo nell’ambito della composizione urbana per i campanili.
Da noi vi sono una legge per le linee di fuga e un regolamento edilizio per zone, che sono
inseriti nei piani regolatori di una città. Niente è più necessario che presentare una legge
che imponga di progettare e realizzare gli stessi piani per le linee di fuga e il progressivo
arretramento dei piani per il profilo verticale delle città, prima che si possano iniziare a
costruire i grattacieli in modo arbitrario.
Questi progetti, però, dovrebbero essere il risultato di riflessioni mature di tipo artistico e
pratico, un successo di un modo di plasmare plastico.
Con coraggio e coerenza in tempi di grande necessità riprenderemo e applicheremo un
sistema che riterremo legittimamente riconosciuto.
Ma a cosa servono questa audacia e inflessibilità, se il principio viene colto in modo
sbagliato alle sue basi, se ricominciamo con i primi errori dell’America, mentre questo
paese ha già da tempo riconosciuto e superato nei suoi comitati edili i vecchi errori? La
Germania non può smettere di dare, come ha fatto per centinaia di anni, esempi di una
volontà culturale mal interpretata? Si tratta però di questioni che riguardano il futuro
remoto. Forse i nostri contemporanei più giovani prima o poi vedranno superato il nostro
fardello della guerra e si troveranno di fronte ad una rifioritura del paese, i monumenti in
pietra sorti nel periodo di difficoltà economiche continueranno ad esistere a lungo e
pertanto dovrebbero essere i simboli della levatura spirituale di un'epoca e di un sapere
lungimirante.”
Anche Charles-Edouard Jeanneret-Gris, famoso con lo pseudonimo Le Corbusier
contribuisce al dibattito sull’urbanistica e sugli edifici alti proponendo tre progetti:
“Une ville contemporaine”, di 3 milioni di abitanti, presentato nel 1922 al Salon
d’Automne;
“Plan Voisin” per Parigi presentato nel 1925 al Padiglione dell’Esprit Nouveau
nell’Esposizione internazionale delle arti decorative;
“Ville Radieuse”, apparso fra il ’30 e ’31 nei dieci capitoli sulla rivista Plans.
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Con questi tre episodi è messa a punto tutta la teoria lecorbusieriana sulla “città del futuro”
che, in polemica con la città-giardino, è concepita come grande concentrazione umana ed
attività essenzialmente direzionale, contenuta in una serie limitata di grattacieli capaci di
ospitare ciascuno da 10.000 a 50.000 addetti, ma distanziati ampiamente tra loro nel verde,
e strutturata con una chiara struttura viaria in cui il traffico automobilistico è separato
rigorosamente anche nel livello, dai percorsi pedonali a terra.
“Plan Voisin” per Parigi - Le Corbusier - presentato nel 1925
Frank Lloyd Wright maestro dell’architettura organica vede gli edifici alti come alberi che
si inseriscono nella natura. Nel grattacielo vede il simbolo della civiltà meccanica. Non
condanna seccamente il carattere meccanico della civiltà moderna, ma vuole che sia la
macchina a servire l'uomo nel suo lavoro e non l'inverso.
Nel 1956 realizza la Torre Price a Bartlesville, Oklahoma con struttura in cemento armato
con piani a sbalzo, frangisole e parapetti in rame, vetri riflettenti di colore dorato.
Un albero di 19 livelli, più la sovrastante spirale, che sorge su una collina dell'Oklahoma
orientale. “Un albero che fuggì dalla foresta, cioè dalia metropoli di grattacieli, per
conquistare aria e cielo, libertà.” (Zevi, 1979)
L'atteggiamento di Wright è deciso: il grattacielo non si addice alla città, già congestionata,
ma semmai alla campagna dove può avere la duplice funzione di incentivare
la vita comunitaria e di evitare che il territorio sia massacrato dalle costruzioni.
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Nello stesso anno Wright stupisce il mondo progettando un grattacielo alto un miglio, a
Chicago, Illinois:
“Una città di 528 piani sospesi, in aggetto nel cielo. Pianta a tripode. Altezza. dal livello
terra all'ultimo piano: un miglio, diviso in quattro sezioni. Membrature in vista di alluminio
o acciaio inossidabile. Ascensori speciali. a guida dentata, mossi da energia atomica. Scale
mobili nei primi cinque piani, e in quelli interrali. Un ingresso ad ogni angolo. Parcheggio
per 15000 macchine e terrazze di atterraggio per 150 elicotteri. L'edificio risulta progettato
dall'interno all'esterno, anziché costituire una gabbia metallica di tipo antiquato, concepita
dall'esterno all'interno ... La gabbia imbullonata o saldata, caratteristica dell'Ottocento. è
abbandonata definitivamente. Se il progetto sarà eseguito a regola d'arte, quest'edificio del
ventesimo secolo durerà più delle piramidi.. Una spada, il cui manico abbia la larghezza
stessa della mano, fermamente infissa al suolo. con la lama in alto…” (Wright,1959)
Dagli Stati Uniti lo sky-scraper si è poi diffuso in altre regioni del mondo, caratterizzando
l’immagine della città contemporanea.
Oggi il Burj Khalifa, inaugurato nel 2010 a Dubai, è attualmente il grattacielo più alto al
mondo, considerando sia l'elemento strutturale più elevato, in questo caso le antenne, che
arrivano a 828 m, sia l'altezza del tetto che arriva a 636 metri. La sua costruzione è iniziata
il 21 settembre 2004; la struttura esterna è stata completata il 1º ottobre 2009 ed è stato
ufficialmente aperto al pubblico il 4 gennaio 2010.
Diversi mega-progetti in svariati stati cercheranno di contendersi nei prossimi anni l'ambito
titolo di edificio più alto al mondo.
Nikos Salìngaros, teorico dell'architettura e matematico australiano, conosciuto per il suo
lavoro sulla teoria urbanistica, sulla teoria architettonica, annuncia la fine dell’era dei
grattacieli e, insieme a Christopher Alexander, propone un modo di pensare città e palazzi
in grado di adattare l’ordine insito nella natura alla necessità di ordine cui l’uomo ha
bisogno: un ordine che corre attraverso la fisica dei sensi, a cui la geometria frattale
(oggetto geometrico che si ripete nella sua struttura allo stesso modo su scale diverse)
mutuata dalle forme naturali può dare corpo e sostanza.
Si reagisce infatti agli stimoli visivi dell’ambiente urbano moderno con sintomi fisici che
sono propri dello stato di stress.
Il livello di adrenalina, la pressione sanguigna e la contrazione delle pupille sono
determinati, in maniera non secondaria, anche dall’ambiente in cui viviamo.