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Capitolo primo
IL TRUST DAL COMMON LAW ALLA CONVENZIONE DE
L'AJA: SUA DISCIPLINA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
1.1 La Convenzione de L'Aja e il trust in Italia
Figura negoziale di matrice anglosassone, il trust trae origine dalla
elaborazione giurisprudenziale dei paesi di common law.
Tramite l’istituto del trust un soggetto, chiamato fiduciante o settlor,
attribuisce ad un altro soggetto, il fiduciario o trustee, mediante un
atto inter vivos o una disposizione testamentaria, la proprietà di un
bene perché siano gestiti a beneficio di uno o più terzi oppure per un
fine determinato, come quello di beneficenza. Il patrimonio fiduciario
(trust found) costituisce una massa patrimoniale separata dai beni
personali del trustee e perciò è inattaccabile dai creditori di
quest’ultimo; inoltre i beni che il trustee abbia alienato abusivamente
possono essere recuperati presso i terzi acquirenti che non siano di
buona fede (c.d. tracing).
La diffusione del trust si spiega con la sua estrema semplicità e
flessibilità, che lo rendono un istituto adatto ad un’ampia gamma di
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impieghi, tra cui operazioni finanziarie consistenti nella gestione
fiduciaria di capitali e di partecipazioni sociali. Con un trust una
persona può anche destinare post morte le rendite del suo
patrimonio a favore di familiari, gli uni dopo la morte degli altri e così
di seguito fin tanto che dura il trust, costituendo in tal modo una
specie di fondazione familiare.
L’ingresso del trust nel nostro ordinamento è avvenuto con la ratifica
della Convenzione dell’Aia del 1985 (legge 16 ottobre 1989 n. 364),
accordo internazionale che, sancendo il riconoscimento di tal tipo di
negozio fiduciario nei paesi aderenti, ha contribuito a delinearne i
tratti essenziali trasferendo in norme positive gli elementi portanti di
una prassi giuridico - commerciale che andava progressivamente
diffondendosi.
La Convenzione de L’Aja è un documento alquanto complesso che è
stato riconosciuto presentare, al contempo, più fattispecie normative.
Tale natura multiforme viene evidenziata già dall’art. 1, laddove
espressamente la Convenzione si prefigge non solo di determinare la
legge applicabile ai trust in situazioni di possibile conflitto di leggi,
ma anche di regolare il riconoscimento dell’istituto nell’ambito degli
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Stati aderenti. Inoltre, la convenzione detta determinati requisiti
minimi dell’Istituto che gli Stati aderenti si impegnano a riconoscere
con la ratifica, eventualmente con deroghe e fatti salvi determinati
accorgimenti nella Convenzione stessa.
Secondo quanto correttamente rilevato dalla miglior dottrina, la
Convenzione de L’Aja presenta una “natura auto – referenziale
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” in
quanto non descrive cos’è il trust, ma <<descrive quali rapporti
devono essere riconosciuti dagli Stati aderenti con il nome di trust>>.
L’art. 21 della Convenzione tuttavia attribuisce di contro a ciascuno
Stato contraente il potere di escludere, mediante la formulazione di
apposita riserva, il carattere “universale” della Convenzione,
riservandosi il diritto di applicare le disposizioni del capitolo III (che
riguardano il “riconoscimento”), soltanto ai trust la cui validità è
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“La dottrina internazionalprivatistica italiana e straniera è concorde nel ritenere che l’art. 6 della
Convenzione consenta al disponente di scegliere liberamente la legge che regola il trust; di qui la
prima tessera del mosaico che condurrà alla figura del trust <>interno>>. Infatti, se nel sistema
della Convenzione la scelta della legge regolatrice non è sottoposta ad alcun limite, nulla osta a
che un cittadino italiano istituisca un trust, retto dalla legge che egli scelga opportunamente; in
particolare, non osta il fatto che tutti gli elementi obiettivi del trust siano collegati
all’Italia”.“Espressa o implicita, come l’art. 6 anche consente, la scelta del disponente può per
avventura individuare un ordinamento giuridico che non qualifichi <<trust>> il negozio che egli
ha posto in essere: attenzione, <<trust>> ai sensi della convenzione, non del diritto interno. Le
disposizioni convenzionali, come sappiamo, riguardano il trust amorfo, non il trust del modello
inglese: la natura auto – referenziale della Convenzione, posta in luce poco sopra, comporta che
qualsiasi configurazione normativa locale sia passata al vaglio delle disposizioni convenzionali.
Qui si nascondono numerose sorprese: da un lato, saranno <<trusts>> rapporti giuridici che
nell’ordinamento del foro nessuno ha mia pensato di qualificare trusts, per esempio una vasta
gamma di gestioni fiduciarie o patrimoniali; dall’altro, non saranno <<trusts>> rapporti che nel
foro sono pacificamente qualificati trusts, per esempio i trusts dai quali esula l’obbligo di
rendiconto; infine, saranno colpiti da nullità rapporti che, a leggere la convenzione, rispecchiano
perfettamente il trust convenzionale, per esempio i trusts di scopo non charitable in diritto
inglese”. M.Lupoi, Trust – Aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone,
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regolata dalla legge di uno Stato contraente. Nel caso in cui uno Stato
formuli la riserva prevista dall’art. 21, ne conseguirà il mancato
riconoscimento dei trust, la “validità” dei quali è sottoposta alla legge
di uno Stato non appartenente alla Convenzione.
La mancanza di riconoscimento comporta che un trust costituito
secondo la legge di uno Stato non appartenente alla Convenzione non
sarà riconosciuto come trust nello Stato autore della riserva.
L’art. 2 della Convenzione stabilisce che cosa si debba considerare
come “trust” ai fini della medesima, e indica quali sono le
caratteristiche principali di esso. In particolare, il termine “trust”, si
riferisce, in base all’art. 2 Conv., ai rapporti giuridici creati, per atto
tra vivi o a causa di morte, da un soggetto, il costituente (settlor),
quando dei beni sono stati posti sotto il controllo di un trustee
nell’interesse di un beneficiario o per uno scopo determinato.
Tale definizione pone delle indicazioni sull’istituto:
1. La natura dell’istituto: viene definito quale “rapporto giuridico”
e non altrimenti; questa locuzione, volutamente atecnica,
esclude a priori che un trust possa avere una qualche autonoma
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personalità giuridica, propria e indipendente da quella del
trustee;
2. La poliedricità dell’istituto: il trust è un istituto che, a
prescindere da alcune caratteristiche costanti, per
regolamentazione, contenuti e finalità si presta ad assumere
molteplici ed infinite forme, quasi ad evidenziare, in estremo,
come non vi siano due trust identici fra loro;
3. La forma dell’istituto: per atto tra vivi o mortis causa, ma
sempre e solo tramite un atto;
4. Le figure coinvolte: è necessario che vi debba essere (almeno)
un disponente che, nell’ambito della piena capacità, abbia
manifestato la propria volontà negoziale di porre in essere un
rapporto giuridico per il quale determinati beni siano
assoggettati al controllo di (almeno) un trustee. Ciò a favore di
(almeno) un beneficiario (la cui assenza o eccessiva
indeterminatezza lascia presagire la nullità/inesistenza del trust
stesso) o di un determinato fine. Le figure così individuate
vengono identificate non quali soggetti distinti, ma per le
diverse caratteristiche e funzioni proprie; nulla lascia intendere
che dette funzioni e caratteristiche non possono coincidere con i
medesimi soggetti, con determinate e necessarie limitazioni;
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5. Il controllo del trustee: il fatto che il trustee controlli i beni in
trust, e ciò nell’interesse esclusivo di un beneficiario o di un
fine determinato, implica necessariamente ed espressamente che
il trustee non è un mandatario, né del disponente, né dei
beneficiari;
6. La segregazione patrimoniale: il fondo in trust, seppur del
trustee ed a questi o suoi mandatari per suo conto intestato,
forma una massa distinta dal patrimonio personale del trustee
stesso, con gli effetti segregativi minimi espressamente previsti
ed enunciati dall’art. 11 Conv. L’Aja;
7. (anche) “un fine determinato”: viene espressamente dato
riconoscimento anche ai trust di scopo, praticamente sconosciuti
(salvo per scopi “charitable”), ad esempio, perché nulli o
inefficaci, in diritto inglese, ma non nelle legislazioni off-shore.
I Redattori della Convenzione hanno provveduto essi stessi a svolgere
sul piano normativo quelle operazioni di descrizione o definizione
degli istituti giuridici, solitamente assenti nelle Convenzioni de L’Aja,
lasciate solitamente al lavoro di interpretazione dell’operatore
giuridico. E ciò, ovviamente, in quanto hanno ritenuto che le speciali
caratteristiche dei trust lo rendessero particolarmente opportuno.
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L’art. 4, che prevede espressamente che la Convenzione non si applica
alle questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri
atti giuridici in virtù dei quali dei beni sono trasferiti al trustee, si
riferisce indubbiamente ed esclusivamente agli atti di dotazione del
fondo in trust e non all’atto istitutivo dello stesso, salvo che non
coincidano, nel qual caso, comunque, si riferisce sempre e solo alla
forma dell’aspetto dotativo dell’atto e non alla sostanza di quello
programmatico – dispositivo, istitutivo del trust!
Altre importanti disposizioni promanano dagli artt. 6 e 7 della
Convenzione: il combinato disposto delle due norme fissa, in primis, il
principio della libertà della scelta della legge applicabile al trust e, nel
caso in cui la legge prescelta dal disponente sia inapplicabile
all’operazione effettuata, individua una serie di criteri volti alla
determinazione della legge applicabile, e cioè quella con cui il trust ha
collegamenti più stretti.
L’art. 5 dispone che la Convenzione non si applica qualora la legge
specificata al capitolo II (la legge applicabile) non preveda l’istituto
del trust o la categoria del trust in questione. E’ indubbio che la
locuzione utilizzata in merito alla scelta della legge regolatrice all’art.
6 della Convenzione richiami quasi letteralmente, e comunque
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certamente nei principi, l’art. 3, comma 1 della Convenzione di Roma
del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali.
Ciò, si noti, proprio laddove la Convenzione di Roma espressamente
dichiara di non applicarsi alla “costituzione di trusts”, né ai rapporti
che ne derivano tra i costituenti, i “trustee” e i beneficiari (art.1.
comma 2, lett.g, Conv. Roma), sintomo questo proprio della
connotazione “purista” dell’istituto del trust, ovvero dell’origine non
contrattuale dello stesso.
I trust della Convenzione de L’Aja, istituiti volontariamente e provati
per iscritto, sono quelli che più presentano peculiarità di natura
contrattuale in quanto sono quelli originati a seguito di una
manifestazione di volontà del disponente che possa essere provata per
iscritto.
Entrando nel merito della norma, il tenore letterale della stessa
prevede che il disponente è libero di scegliere la legge regolatrice del
trust e tale libertà è assoluta e, di fatto, prescinde dal richiedere un
carattere qualsiasi di “estraneità” o di internazionalità.
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I criteri alternativi previsti, sono solo residuali e trovano applicazione
esclusivamente per il caso in cui non sia stata scelta espressamente
alcuna legge ovvero la legge scelta sia quella di un ordinamento che
non prevede il trust o la categoria di trust in questione.
Il tenore dell’art. 5 evidenzia come, in definitiva, la Convenzione non
troverà applicazione solo qualora, in assenza di scelta di legge o nella
scelta di una legge che non prevede l’istituto o la categoria di trust in
questione, anche detti criteri non portino all’applicazione della legge
di uno Stato che regolamenta tali fattispecie di trust.
La Convenzione de L’Aja, una volta fornita la definizione dell’istituto
che ai propri effetti intende riconoscere come trust, e la legge
applicabile allo stesso, dall’art. 11 all’art. 14 dispone che un trust
istituito in conformità alla legge così determinata sarà riconosciuto
come trust.
La Convenzione de L’Aja nell’art.11, comma 1 detta dei requisiti
minimi che il riconoscimento comporta e che possiamo così
individuare:
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1. Il primo ed in assoluto il principale elemento minimo è la
segregazione patrimoniale del fondo del trust rispetto al
patrimonio personale del trustee;
2. Il secondo elemento, sempre di ugual importanza è il
riconoscimento della piena capacità del trustee di agire e di
esser convenuto in giudizio nella propria qualità e così di
comparire davanti a notai o ad altre persone che rappresentino
l’autorità pubblica.
A differenza degli elementi minimi dl cui al comma 1, che si
applicano in ogni caso con il riconoscimento, quelli indicati nel
comma 2 vengono riconosciuti nella misura in cui previsti dalla legge
applicabile, demandando per rinvio, quindi, la completa
regolamentazione degli stessi, nello specifico, alla legge che
regolamenta la validità sostanziale del trust. Si tratta di effetti
immediatamente derivanti dalla descrizione dell’istituto data dall’art.
2 della Convenzione.
Il contenuto minimo del riconoscimento viene poi distinto, dall’art.
11, rispetto a ulteriori e determinati effetti: essi ne costituiscono uno
svolgimento, e sono considerati compresi nel riconoscimento (in base
al secondo comma dell’art. 11 Conv.) soltanto nella misura in cui la
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legge applicabile al trust lo richieda o lo preveda. Si tratta
dell’insensibilità dei beni del trust rispetto ad aggressioni da parte dei
creditori personali del trustee, anche in caso di insolvenza e di
fallimento, restando separati anche rispetto al regime matrimoniale ed
alle successioni di questo (art. 11, secondo comma, lett. a – c); e dalla
possibilità che i beni del trust siano oggetto di rivendicazione ove il
trustee, in violazione dei suoi obblighi, abbia confuso i beni del trust
con i suoi o ne abbia disposto (lett.d).
Il successivo art. 12 della Convenzione è direttamente correlato agli
art. 2 e 11, laddove è previsto che i beni in trust sono separati dal
patrimonio del trustee, anche se a questo sono intestati, dal quale
rimangono distinti e sui quali, in forza di tale effetto minimo, i
creditori personali del trustee non possono rivalersi.
L’art. 12 conferisce al trustee la facoltà di rendere pubblica la sua
qualità di fiduciario attraverso la registrazione dei beni oggetto del
trust ovvero mediante qualsiasi altra modalità idonea a rendere nota ai
terzi l’esistenza del trust, salvi i divieti e le incompatibilità della
registrazione con la legislazione dello Stato in cui essa debba
avvenire.