7
che con il suo “Gemeinschaft und Gesellschaft”2, ha fornito una
sistematica riflessione sociologica sugli aspetti della comunità,
facendone il padre indiscusso di quest’argomento. Ed è proprio
sulla figura di questo sociologo tedesco che si snoda la nostra
analisi, non trascurando, tuttavia, in che modo il concetto di
comunità sia stato trattato prima di Tönnies, né ciò che è stato
detto dopo Tönnies, al fine di poter fare un’analisi dei significati
di questo concetto soprattutto nell’ambito dei classici della
sociologia moderna.
Prima di affrontare l’intero studio, è doveroso soffermarsi su
importanti questioni terminologiche e sulle definizioni che
ruotano intorno a questo concetto.
Il termine comunità deriva dal latino communis ed al suo
interno si sovrappongono una quantità di significati diversi, che
in generale possono dare luogo a problemi di specificazione
concettuale e scarsa portata euristica. Tutto questo è facilmente
intuibile per la semplice constatazione di come questo termine
appartenga, oltre che al linguaggio scientifico, anche a quello
corrente (ed anche qui presenta una notevole gamma di accezioni
diverse…). Come se non bastasse, nell’ambito delle scienze, gli
stessi significati tecnici non sono di facile e immediata
2
Tönnies, F., Gemeinschaft un Gesellschaft , Reislad, Leipzig 1887; trad. it. di G.Giordano
Comunità e Società, Ed. Comunità, Milano 1963
8
definizione, in quanto la comunità è uno di quei concetti
fondamentali che appartengono a più discipline
contemporaneamente: pur essendo usato principalmente in
sociologia ed in antropologia, infatti, si presenta più volte anche
nella filosofia, nel diritto e nelle scienze politiche. É, dunque, un
concetto che fa da ponte, oltre che tra il linguaggio corrente e
quello scientifico, anche tra le diverse discipline.
Nell’ambito delle scienze sociali, il termine è principalmente
usato in due significati: da una parte, con comunità si vuole
designare un insieme di particolari relazioni sociali alla base di
unità collettive che coinvolgono l’individuo nella sua totalità;
dall’altra, invece, comunità viene a coincidere con comunità
locale.
Operando una schematizzazione, si può affermare che la
sociologia classica abbia contribuito a determinare il primo
significato, e quella moderna sia invece responsabile della
seconda accezione.
E’ infatti con il pensiero classico del diciannovesimo secolo
che si ha una riscoperta, più che una scoperta, del concetto di
comunità: immagine comunque polivalente, che serve a definire
tanto le piccole comunità di villaggio, quanto la comunità
9
nazionale, che spazia quindi «dalla famiglia a qualsiasi unità
sociale in condizioni di alta integrazione»3.
L’uso limitato, invece, al significato di comunità locale, è
oggi quello più diffuso, oltre che nella sociologia, anche
nell’antropologia. Si coglie soprattutto un riferimento ad unità
locali, caratterizzate in special modo dalle piccole dimensioni e
da una cultura di tipo tradizionale. Quando si passa, infatti, tanto
in sociologia quanto in antropologia, ad entità locali non
tradizionali e dalle dimensioni più ampie, insorgono
immediatamente problemi, per via degli aloni di significato che il
termine porta con sé, rievocando un tipo ben preciso di relazioni
sociali.
Ma non possiamo parlare fino in fondo di comunità, se non
introduciamo un altro concetto chiave, strettamente legato al
primo, ovvero quello di società. Tutto questo risulta chiaro già a
partire dal titolo dell’opera più famosa di Ferdinand Tönnies, la
suddetta “Gemeinschaft und Gesellschaft”. Comunità e Società
sono due categorie fondamentali della sociologia e, come tali,
sono «normalmente connesse ad un loro opposto» (Nisbet): sono
queste dicotomie, Comunità-Società, Sacro-Secolare,
Alienazione-Progresso e molte altre, che, secondo Nisbet,
costituiscono «il tessuto vero e proprio della tradizione
3
Bagnasco, A., Comunità, in “Enciclopedia delle scienze sociali”, 1992
10
sociologica»4. Senza soffermarsi a questo punto sull’esito
dell’incontro-scontro tra comunità e società, si vuole qui
sottolineare la stretta interdipendenza tra i due termini: non è un
caso, infatti, se lo stesso concetto di comunità nasce a partire
dall’esperienza stessa di società. Scrive Raffaello Ciucci: «La
comunità diviene oggetto di osservazione e di tematizzazione
allorché da essa ci si è allontanati. E questo contribuisce a
chiarire perché i due concetti sono stati tanto frequentemente
utilizzati come tappe di un cammino evolutivo nella storia
dell’umanità».5
Appare dunque quantomeno significativo che l’idea stessa di
comunità venga fuori ripetutamente nel pensiero occidentale,
proprio quando è in atto la sua disgregazione, all’interno di una
serie di rapporti sociali che, al posto di modelli di solidarietà e
vicinanza emotiva, propone schemi caratterizzati da arbitrarietà
ed artificialità, controllati da un apparato statale in incessante
sviluppo.
Nel brano di Ciucci viene introdotto un altro concetto chiave,
che sta alla base della trattazione sulla comunità: quello di
evoluzione. Se si analizza con attenzione, si può comprendere
come i maggiori “classici” delle scienze sociali abbiano
4
Nisbet, R.A., La tradizione sociologica, op. cit., pagg. 11-12
5
Ciucci, R., La comunità possibile. Percorsi e contesti in sociologia, 1990, pag. 6
11
impostato i loro studi in un’ottica prettamente evoluzionista:
dalla legge di Comte, passando per Herbert Spencer, fino ad
arrivare alla razionalizzazione di Max Weber ed alle teorie di
Émile Durkheim. L’idea di evoluzione ha segnato gran parte
della sociologia classica, influenzando inevitabilmente anche gli
studiosi successivi.
Naturalmente anche l’opera di Tönnies, o, come si vedrà,
l’interpretazione della stessa, si inquadra in tale prospettiva, a tal
punto da profetizzare una fine della comunità, cui seguirebbe
«un’età della società»6. Ma anche intorno a questo punto, ovvero
sull’esito dello scontro tra comunità e società, è sorta una vivace
discussione scientifica: Tönnies, non senza molti rimpianti,
sarebbe convinto dell’inesorabile fine della prima a vantaggio
della seconda, preconizzando un vero e proprio smantellamento
della Gemeinschaft, luogo della «perfetta unità delle volontà
umane come stato originario o naturale»7, per far posto alla
Gesellschaft, caratterizzata invece dalla separazione di tali
volontà individuali.
Due mondi agli antipodi, si direbbe dunque, ma non è proprio
così: abbiamo infatti più sopra parlato di “interdipendenza” tra i
due concetti, ed è lo stesso Tönnies che non chiude
6
Tönnies, F., Gemeinschaft und Gesellschaft , op.cit., pag. 295
7
ibidem, pag. 51
12
definitivamente la porta alla comunità: c’è una sorta di equilibrio
sociologico, che fa sì che non si arrivi ad alcun vincitore di
questo conflitto. Tönnies arriva infatti a sostenere che la società
ha un presupposto comunitario che non può essere annientato
senza che crolli l’intero edificio.
Dopo il declino della comunità, si apre così una nuova sfida,
che dischiude per le scienze sociali un fecondo campo di
approfondimento teorico, di ricerca, di verifica empirica: come si
presenta la comunità, una volta tramontata la “forma storica”, nel
mondo moderno? Come sopravvive all’interno di una società
sempre più individualista, stazionaria e stabilmente
gerarchizzata?
Queste nuove prospettive, già in qualche modo annunciate da
alcuni grandi sociologi del passato, sono allo studio della
sociologia contemporanea, tesa a “scovare” le nuove forme
comunitarie che si insinuano nel tessuto sociale: ecco così che si
parla di identità, di fiducia, di reciprocità, di reti informali, di
comunità locali.
Ci troveremmo, quindi, di fronte ad un sistema capace di
combinazioni-composizioni variabili di Gemeinschaft e
Gesellschaft, sistema sociale così più complesso, in cui si
riconosce la compresenza di comunità e società, la loro
interdipendenza e soprattutto la differenziazione funzionale.
13
1.2 LA RISCOPERTA DELLA COMUNITÁ NEL XIX
SECOLO
La Sociologia nasce nel XIX secolo sulla base di alcuni
elementi-chiave, che si pongono a fondamento della nuova
disciplina. Sebbene non si possa ancora parlare di comunità in
senso proprio –fu Tönnies infatti a coniare i termini di
Gemeinschaft e Gesellschaft, successivamente entrati
ampiamente nell’uso del linguaggio sociologico-, tuttavia è
possibile rintracciare già a partire dagli albori delle scienze
sociali, alcuni precisi riferimenti a quella che sarà in seguito la
realtà comunitaria.
Molti storici affermano che l’elemento più caratteristico della
nascita della scienza sociale sia proprio l’idea di società.
L’affermazione è indubbiamente vera, ma si può facilmente
riscontrare come non si tratti di un concetto del tutto nuovo nelle
speculazioni filosofiche, e come lo stesso termine contenga una
gran quantità di altri concetti (tra cui anche quello di comunità),
tanto da far sembrare la dichiarazione piuttosto riduttiva.
Basta andare non molto indietro, fermandosi all’Illuminismo,
all’Età della Ragione per incontrare alcune interessanti teorie
della società. Tutta l’epoca è dominata da un rigido
individualismo, cui non può sfuggire nemmeno la nascente
14
teorizzazione di una società razionale: i soggetti sono comunque
liberi, pur avendo razionalmente accolto uno specifico e limitato
modo di associazione. L’uomo rimane l’elemento primario, ma
sullo sfondo cominciano ad apparire (seppur in posizione
secondaria) i suoi rapporti; la società illuminista è una società
razionale, che si basa su alcuni concetti-chiave, come l’atto di
volontà, il consenso e soprattutto il contratto. E’ proprio alla luce
di quest’ultimo fondamento logico, che i philosophes d’allora
descrivevano i rapporti sociali, caratterizzati da una fredda e
razionale logica dello scambio.
Ed è proprio contro questa concezione, quella del primato
dell’individuo e del contratto sociale, che ci si scaglia nel
diciannovesimo secolo, quando il concetto di comunità assumerà
un’importanza fondamentale.
A dire la verità, si potrebbe anche rovesciare la prospettiva e
leggere l’Età della Ragione come una risposta (filosofica e
politica) ai precedenti rapporti, di tipo comunitario, del
feudalesimo.
Questa forte ostilità nei confronti della comunità tradizionale e
del suo spirito, si può spiegare alla luce della notevole spinta data
dalle due rivoluzioni: quella americana e, soprattutto, quella
francese. In entrambi i casi, infatti, ci si trova di fronte ad una
distruzione di gruppi e di associazioni di tipo medievale,
15
osteggiate in modo veemente da forze legislative ed economiche.
Tutto questo veniva spiegato in nome di quel Progresso, tanto
stabilito ed agognato dai filosofi razionalisti.
La forte opposizione alla tradizione comunitaria aveva, come
detto, due matrici fondamentali: quella filosofica e,
conseguentemente, quella politica.
Dal punto di vista filosofico, sono state messe al bando e
considerate non fondate sul diritto naturale tutte quelle
associazioni gemeinschaftlich, quali la corporazione, il
monastero, la comunità paesana, il comune, tutte ritenute agli
antipodi rispetto al tipo di società razionale, che si fonda
sull’uomo naturale, non sul contadino o sull’ecclesiastico. E’
dunque il modello individualista ancora una volta che porta al
rifiuto di tutto ciò che è “tradizionale”, sinonimo di scarso
sviluppo ed arretratezza. Inoltre, la comunità medievale era
accusata di imprigionare l’uomo, di tarpare le ali del suo istinto,
addirittura di creare disuguaglianza. Scrive Rousseau in
proposito: «Dal momento in cui un uomo cominciò ad avere
bisogno dell’aiuto di un altro, dal momento in cui cominciò ad
apparir vantaggioso ad uno l’aver viveri per due, l’uguaglianza
sparì, fu introdotta la proprietà, il lavoro diventò indispensabile e
vaste foreste diventarono campi ridenti, che l’uomo doveva
16
irrigare col sudore della sua fronte e dove si videro schiavitù e
miseria germogliare e crescere insieme con le messi.»8
Da queste poche parole si può facilmente intuire il clima
all’interno del quale si auspicava la fine di un certo tipo di
associazione, in nome del contratto sociale.
Dalle speculazioni filosofiche al campo delle decisioni
politiche il passo è stato breve: la forma comunitaria è stata
infatti vista come l’ostacolo da eliminare per portare avanti lo
sviluppo, tanto quello economico quanto quello amministrativo.
D’altronde, il modello elaborato dai filosofi aderiva
perfettamente agli obiettivi politici del tempo, tesi a smantellare i
rapporti di ordine corporativo e comunitario, di cui soprattutto
una nazione come la Francia era «inflazionata».
Per tutti questi motivi sopra elencati, il diciottesimo secolo in
generale, e l’Illuminismo in particolare, è stato ritenuto da molti
studiosi come il periodo storico più povero per quanto concerne
lo sviluppo di uno spirito comunitario. Spirito comunitario che
non tarderà però a farsi sentire nel periodo immediatamente
successivo, pieno di nuovi fermenti filosofici, destinati a
caratterizzare per lungo tempo il panorama delle scienze
umanistiche.
8
Rousseau, Discorse on the origin of Inequality, pagg. 244, 254; trad. It. Discorso sulle
origini della disuguaglianza , Milano, Feltrinelli, 1972
17
Il XIX secolo è dunque teatro di una impetuosa reazione
intellettuale operata perlopiù dai conservatori, attaccati agli
antichi valori spazzati via dalla Rivoluzione e dall’Età della
Ragione; tra questi antichi valori, che sarebbe forse meglio
chiamare elementi del vecchio regime, uno dei più rilevanti è
proprio quello della comunità tradizionale. Si assiste, quindi, alla
riscoperta della comunità, che arriva a soppiantare il concetto di
contratto.
La comunità teorizzata nel diciannovesimo secolo è vista
come l’immagine della buona società: è il luogo in cui si fondono
sentimento e pensiero, tradizione e dovere, condivisione e
volontà; la comunità si esprime nel sentimento religioso, nel
senso di appartenenza ad una comunità locale, come ad una
nazione, oppure a un semplice ruolo professionale. Il suo
modello esemplare, sia dal punto di vista storico che simbolico, è
incarnato dalla famiglia.
Le dissertazioni del XIX secolo intorno alla comunità nascono
dunque per risposta ad un periodo di chiusura netta, ma ciò non
impedisce la nascita di analisi di fondamentale importanza,
ponendo le basi per quella che in seguito diventerà finalmente la
“Gemeinschaft” tönniesiana.
18
Due personalità molto diverse tra di loro, come Disraeli e
Proudhon, hanno mirabilmente espresso l’importanza sempre
maggiore che venivano assumendo le realtà comunitarie. Disraeli
arriva ad ammonire che, in mancanza di comunità, «gli uomini
possono trovarsi in uno stato di contiguità, ma restano
virtualmente isolati. […] Nelle metropoli gli uomini entrano in
rapporti per desiderio di guadagno. Non si trovano in uno stato di
cooperazione, ma di isolamento […]. Il cristianesimo ci insegna
ad amare il nostro prossimo come noi stessi; la società moderna
non lo riconosce neppure»9.
Sono parole emblematiche, che riescono a far agevolmente
intendere l’intero spirito che pervade il secolo XIX, spirito
particolarmente critico verso la condizione in cui versa
l’individuo, specialmente nelle grandi città.
Anche Proudhon, con la maggior parte degli anarchici che a
lui facevano riferimento, pone in primo piano nel suo pensiero la
figura della comunità. E precisamente si assiste ad una strenua
difesa della famiglia patriarcale, del localismo e del
regionalismo; per di più, si arriva ad affermare che le vere e
proprie molecole del nuovo ordine siano incarnate dalle
cooperative e dalle comunità paesane.
9
cit. In Nisbet, op. cit., pagg. 73-74
19
Questa riscoperta del concetto di comunità nel
diciannovesimo secolo ha investito l’intero tessuto sociale,
trovando spazio persino in molti libretti satirici e opuscoli di
quell’epoca: valori quali la solidarietà, gli stretti rapporti
interpersonali, tipici delle antiche comunità paesane, vengono
decantati e rappresentati come il migliore dei mondi possibile,
ma soprattutto vengono contrapposti con vigore alla realtà del
tempo, dominata dall’ egoismo e dall’avidità.
Oltre che la nascente sociologia, il concetto di comunità ha
influenzato, in questo periodo, molte altre discipline e settori
della vita quotidiana, tra cui la filosofia, la storiografia, la
religione e la politica: alcune di queste, poi, hanno subito una
vera e propria svolta, dando vita a degli studi che rimangono
tutt’ora insuperati.
Nel campo filosofico, l’idea di comunità ha dato vita a
numerose speculazioni, accentuando ancora di più le sue
molteplici sfaccettature. Autori come Hegel, Bradley, Bergson e
Durkheim, ad esempio, ne hanno infatti, di volta in volta,
evidenziato gli aspetti sociali e morali.
Per quanto riguarda Hegel, ad esempio, nella sua Filosofia del
diritto troviamo particolarmente presente l’influsso di un
concetto come quello di comunità: come conservatore, il filosofo
tedesco ha dato sempre molto rilievo all’idea di comunità,
20
contrapponendosi al razionalismo illuminista e a
quell’individualismo basato sul diritto naturale tipico del secolo
dei Lumi; inoltre, idee come quelle del contratto o dell’ Egalité
della Rivoluzione Francese, vengono rifiutate o persino
denunciate dal filosofo. Hegel ha una concezione dello stato
come insieme di comunità, non come un ammasso di individui
separati l’uno dall’altro: la sua società, pertanto, così formata da
circoli associativi sovrapposti l’un l’altro, ma comunque
autonomi, ciascuno dei quali latore di una funzione, di un preciso
compito sociale, si avvicina molto all’idea medievale e,
contemporaneamente, prende le distanze dall’ideale illuminista.
Come nell’Età della Ragione il rifiuto del modello
comunitario ha portato a conseguenze sul piano governativo, così
è inevitabile che un ritorno così forte di questo concetto nel XIX
secolo abbia ripercussioni a livello del pensiero politico. Studiosi
come Otto von Gierke o F.W. Maitland hanno ancora una volta
smontato pezzo per pezzo la teoria illuminista del primato del
contratto e delle volontà individuali, descrivendo uno stato che
poggia le sue fondamenta proprio sulla comunità e sulla
tradizione.