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INTRODUZIONE
In questi ultimi anni si è parlato, e si parla sempre più spesso, di intercettazioni,
un termine che è diventato, oramai, d'uso comune e che è entrato a far parte della
nostra vita quotidiana con una forza tale da presentare aspetti problematici di
acclarato interesse collettivo, sia in termini giuridici che pratici.
Indipendentemente dalla percezione esterna, la questione è diventata di indubbio
interesse collettivo quando l’allora governo italiano, nel giugno 2008, decise di
presentare un disegno di legge che potesse arginare la pubblicazione e la
diffusione incontrollata del contenuto di intercettazioni da parte del mondo
giornalistico, “colpevole” di aver fatto un uso troppo mediatico del materiale
intercettato.
Al di là delle legittime preoccupazioni, che un utilizzo spregiudicato e sistematico
che le nuove tecnologie possono suscitare, va rilevato come lo spazio pubblico è
stato invaso da una miriade di intercettazioni anche a causa dell'uso massiccio che
ne hanno fatto i mezzi di comunicazione di massa: da una parte sono arrivate le
proteste sempre più accese di chi si è sentito leso nel suo legittimo diritto alla
privacy, dall'altra parte, la stampa nazionale ha manifestato il suo oltremodo
legittimo diritto ad informare, obiettando che il diritto alla riservatezza deve
cedere il passo di fronte all'interesse della collettività a ricevere informazioni e
notizie indispensabili per l'informazione e la formazione dell'opinione pubblica.
Il dibattito non poteva non coinvolgere giuristi e parlamentari, non solo perché i
colloqui intercettati e divulgati coinvolgevano proprio quest'ultimi ma perché
sono state diverse le iniziative parlamentari che, in tal senso, hanno cercato di
regolamentare determinati aspetti, prova della delicatezza della materia trattata e
della difficoltà di bilanciare i due opposti interessi: da una parte la tutela della
privacy, dall'altra il diritto all'informazione
È proprio in questo contesto che dobbiamo inserire la parte sperimentale di questo
nostro lavoro di ricerca: la c.d. disciplina de iure condendo che abbiamo
volutamente individuato nel D.D.L. n. 1415 C c.d. D.D.L. "Alfano".
Questo è il nome del provvedimento ispirato a due chiare ratio: 1) proteggere la
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privacy dei cittadini dall’eccessiva diffusione del contenuto di intercettazioni per
mano della stampa nazionale; 2) limitare gli eccessivi costi che l’impiego di tale
strumento investigativo, da parte dei magistrati requirenti, determinava per le
casse dello Stato.
Propositi che, in tal senso, sollevarono e sollevano ancora oggi, forti dubbi sulle
reali intenzioni del provvedimento.
È indiscutibile che, a volte, sia stato pubblicato il contenuto di intercettazioni tra
soggetti terzi estranei ai fatti, come pure che dal contenuto delle stesse, siano
iniziati processi mediatici fuori dalle aule di Tribunale.
Allo stesso modo, non si nega che certi magistrati abbiano di fatto stravolto la
natura investigativa delle intercettazioni abusandone rispetto al loro originario
utilizzo, fuori dalla linea tracciata dal codice di rito e dalla Costituzione.
Tuttavia, si teme che tale disegno di legge, in realtà, voglia, per un verso,
“imbavagliare” la stampa nazionale impedendole di far conoscere all’opinione
pubblica fatti di rilevante interesse sociale che diversamente rimarrebbero ignoti,
per un altro, limitare notevolmente l’uso delle intercettazioni da parte dei
magistrati, “colpevoli” di aver fatto un uso arbitrario ed eccessivo di tale mezzo
investigativo.
Il D.D.L., infatti, prevedendo nuovi limiti di ammissibilità, presupposti e durata,
andrebbe a limitare in peius la funzione requirente svolta dai magistrati
nell’esercizio dell’azione penale; a tutto ciò, va aggiunta la previsione del divieto
assoluto di pubblicare e diffondere il contenuto delle intercettazioni fino
all’udienza filtro, con cui si determinerebbe una grave e notevole limitazione del
diritto di cronaca, tutto a vantaggio del diritto alla privacy.
In tal senso, in questo nostro lavoro di ricerca, vogliamo analizzare in via
sperimentale proprio questo disegno di legge nelle sue diverse contraddizioni,
cercando di dimostrare come, de facto, tale provvedimento rischi di ledere alcuni
diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di cronaca, a vantaggio di altri
diritti, quali il diritto alla privacy, non essendo rinvenibile, ai noi nostri occhi, un
sostanziale miglioramento della tutela offerta ai soggetti coinvolti.
Sosterremo la tesi secondo cui l’attuale disciplina contenuta nel codice di rito,
anche per il ruolo magistrale svolto da parte della Consulta, è in linea con i
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precetti individuati dalla Costituzione all’art. 15., norma a cui abbiamo dedicato
un'attenta e approfondita analisi nelle pagini iniziali di questo lavoro.
Inoltre, esaminando proprio la disciplina de iure condito, abbiamo individuato sia
quei punti che, a nostro dire, meriterebbero un maggiore approfondimento in sede
legislativa, sia quelli che, a nostro parere, devono necessariamente costituire i
capisaldi di ogni possibile riforma.
Anche alla luce della più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo, riteniamo che il lavoro svolto possa costituire un'occasione reale di
crescita culturale attraverso cui si è inteso fornire al lettore un punto di vista
strettamente personale su una questione di interesse nazionale in cui la stretta
simbiosi tra costituzionalismo moderno e diritto processuale penale non può che
costituire lo scudo che deve riparare ogni cittadino dai possibili abusi da parte
degli organi dello Stato.
Augurandoci che questa ricerca possa avere un seguito sotto una veste
metodologica giuridica, riteniamo di aver raggiunto i nostri propositi iniziali.
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CAPITOLO 1
GARANZIE COSTITUZIONALI E INTERCETTAZIONI
SOMMARIO: 1. LO SVILUPPO STORICO-GIURIDICO DELL’ART.15 DELLA COSTITUZIONE: IL
RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO ALLA CORRISPONDENZA COME DIRITTO SOGGETTIVO PUBBLICO E I SUOI
PRECEDENTI STORICI. – 2. IL CONTENUTO DELL’ART. 15 IN ORDINE ALL’OGGETTO: LA LIBERTÀ E LA
SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA E DI OGNI ALTRA FORMA DI COMUNICAZIONE. – 3. L’ART. 15
COST. E L’AUTENTICO SIGNIFICATO DELLA QUALIFICAZIONE ESPRESSA DI INVIOLABILITÀ. – 4. L’ART.
15 NELL’INTERPRETAZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE.
1. Lo sviluppo storico-giuridico dell’art. 15 della Costituzione: il
riconoscimento del diritto alla corrispondenza come diritto
soggettivo pubblico e i suoi precedenti storici.
L’affermazione del diritto alla corrispondenza come diritto soggettivo
pubblico, e la conseguente difesa della sua inviolabilità, sono problemi
essenzialmente moderni: anticamente, infatti, il rapporto di corrispondenza era
riconosciuto parzialmente e soltanto nei rapporti intercorrenti tra privati.
Varie e successive fasi di sviluppo hanno segnato, in tal senso, il suo
riconoscimento, non sempre accompagnato da un’armonica successione di
gradualità: lunghe censure o ritorni a preesistenti situazioni hanno ritardato il
completo sviluppo di tale libertà. Pertanto riteniamo doveroso ricercare, lungo
le linee della storia, le origini giuridiche della libertà e della segretezza della
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
In particolare, occorre prendere le mosse dal diritto romano, dove la tutela
– per ciò che riguarda la soppressione, l’apertura e la diffusione di notizie
contenute in un plico sigillato o in un testamento – è riconducibile all’actio
furti e all’actio iniuriarum
1
.
1
D. XLVII, 2, 14, 17: “Si epistula, quam ego tibi misi, intercepta sit, quis furti actione habeat ? Et
primum quaerendum est, cuius sit epistola, utrum eius qui misit an eius ad quem missi est; et si
quidem dedi servo eius, statim ipsi quaesita est cui misi: si vero procuratori, aeque quia per
liberam personam possessio, quaeri potest ipsius facta est, maxime si eius interfuit team habere.
Quod si ita misi epistulam, ut mihi remittatur, dominium meum manet, quia eius nolui amittere vel
6
Nel diritto intermedio queste distinzioni vennero abbandonate e le
violazioni della corrispondenza furono ricondotte all’unica fattispecie del crimen
falsi; uno statuto dei mercanti di Piacenza del secolo XII
2
e alcuni opinioni
dottrinali
3
ci documentano che “lacere” “comburere” “celare” “aperire” lettere o
ogni altro plico suggellato, è considerato “crimen falsi”.
Nei secoli XVII e XVIII si assiste ad un una evoluzione dei mezzi di
comunicazione con la nascita di veri e propri servizi postali e conseguente
sviluppo di problematiche sino ad allora mai affrontate, quali la nascita del
segreto epistolare
4
: tuttavia, a ben vedere, si ritiene che la segretezza epistolare,
nonostante l’affascinante ipotesi, pur acquistando particolare rilevanza nel
contratto di trasporto, non trovi le sue origini in tale negozio giuridico. Infatti, la
segretezza della corrispondenza nasce con la corrispondenza stessa e non è
determinata dall’esistenza di imprese private di trasporto. Già nell’epoca romana,
quando ancora non esistevano imprese private per il trasporto della
corrispondenza, la segretezza epistolare aveva già acquistato, sotto l’aspetto
dell’iniuria, giuridica rilevanza
5
.
Inoltre, considerato che il servizio postale poteva effettuarsi soltanto dietro
concessione del Principe
6
, in quei secoli cominciò a prendere piede il problema
della tutela della corrispondenza, non tanto dalla violazione della stessa per mano
dei privati, quanto per le violazioni poste in essere dal Principe: infatti, i
transferre dominium. Quis ergo furti aget ? Is cuius interfuit eam non subripuit id est ad cuius
utilitatem pertinebant ea quae scripta sunt”.
D. XLI, I, 65: “Si epistulam tibi misero, non erit tua antequam tibi reddita fuerit Paulus immo
contra: nam si miseris ad me tabellarium tuum et ego rescribendi causas litteras tibi misero,
simultaque tabellario tuo tradidero, tuae fient. Idem accidet in his litteris quas tuae dumtaxat rei
gratia misero, veluti si petieris a me, uti te alicui commendassem, et eas commendatiacias tibi
misero litteras”.
2
PERTILE, Storia del diritto italiano, vol. V, Torino, 1892, pag. 612 : "Si quis breve vel
instrumentum publicum alterius hominis sigillatum fraudelenter aperierit, centum solidos ab eo
pro banno tollam”.
3
ARETINUS, De Maleficiis Vol. VIII, Venezia, 1555; DAMHOUDER, Praxis rerum criminalium,
Vol. I, 1554; MANZINI, Trattato di Diritto penale, Vol. VIII, Torino, 1987, pag. 737
4
DEL BUE, Poste e Telecomunicazioni, Torino, 1965, pag. CLXVIII: “Il segreto epistolare sorse
come patto del contratto di trasporto che l’impresa privata offriva accompagnata ad altre clausole
contrattuali, anch’esse suggerite dall’interesse del vettore di conservare e accrescere la fiducia del
pubblico nella serietà e sicurezza della propria organizzazione in concorrenza con imprese
similari”.
5
ITALIA, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963, pag. 12.
6
BENETTI, Dissertatio de Cursu Publico, Roma, 1778, pag. 74; CLAPMARIUS, De Arcanis Rerum
publicarum, Brema, 1605, pag. 44
7
governanti assoluti del tempo considerarono, a loro avviso, legittimo prendere
cognizione della corrispondenza dei cittadini, esercitando un insidioso potere di
controllo e creando una pratica piuttosto pericolosa: mentre il principe punisce
coloro che, tra privati, hanno distrutto o intercettato o divulgato il contenuto di
lettere, arroga a se il diritto assoluto di poter accertare che in esse non sia
contenuto nulla che possa mettere in pericolo la sicurezza dello stato o della sua
persona
7
.
Tale situazione di incerta e dubbia legalità si protrasse per molto tempo: i
successori di Luigi XI ampliarono questo tipo di controllo dai caratteristici
contorni inquisitori: venne creato un apposito ufficio “Cabinet noir” avente
l’esclusivo compito di indagare e riferire circa il contenuto della corrispondenza
in transito sul suolo di Francia.
Fu soltanto con la rivoluzione francese che la segretezza della
corrispondenza venne considerata un interesse individuale degno di essere tutelato
e protetto anche nei confronti degli organi dello stato, alla quale l’Assemblea
Nazionale nel 1791 riconobbe l’inviolabilità. E fu sull’esempio francese che gli
altri stati, negli anni successivi, fissarono, nelle loro costituzioni o in leggi
ordinarie, il principio dell’inviolabilità della segretezza epistolare
8
.
Infine, per completare questa breve disamina circa i precedenti storici
dell’art. 15 della Costituzione italiana, è indispensabile ricordare che lo Statuto
Albertino ignorò completamente la tutela del rapporto di corrispondenza
9
.
Solo dopo la proclamazione del Regno d’Italia venne riconosciuto il diritto
all’inviolabilità della corrispondenza, non tanto attraverso norme di carattere
costituzionale, quanto attraverso provvedimenti legislativi, quali norme
amministrative, penali e processuali
10
, e dal cui ambito di applicazione e tutela,
7
TERAMO, Diritto post. e delle Telecomunicazioni, Roma, 1959, pag. 69 : “il primo che, sotto una
certa apparenza di legalità, regolò questo controllo sulla corrispondenza, fu Luigi XVI di Francia
in quale, con ordinanza 10 novembre 1454, stabilì che i corrieri e i messaggeri sarebbero stati
visitati dai commessi del Gran Maestro, ai quali avrebbero dovuto mostrare che le loro lettere e i
loro denari non avrebbero arrecato pregiudizio alla sicurezza del Re”.
8
ITALIA, op.cit. pag. 17: “ ad es. Svezia ( 1809), Olanda (1814) e Regno delle Due Sicilie (1848).
9
MARANINI, Le origini dello Statuto Albertino, Firenze, 1926, pag. 191: “ i nostri padri erano così
poco al corrente del governo di polizia che nessuno pensò di annoverare, con la libertà di parola e
di stampa, l’inviolabilità delle lettere”
10
Cfr. Art. 38 del codice postale e delle telecomunicazioni del 1936: “il segreto epistolare è
inviolabile”; Artt. 616 - 620 c.p. ; Artt. 226, 319, 338, 340, 341 c.p.p.
8
come è logico che fosse, furono esentate le autorità statali: infatti, i vari governi
che sino ad allora si erano succeduti, attraverso un’interpretazione elastica delle
norme su codici postali, attuarono quando e come vollero la censura sulla
corrispondenza epistolare e telegrafica; allo stesso modo anche agli organi di
polizia, venne riconosciuto un permanete ed illimitato potere di intercettazione, il
cui esercizio fu sospeso dopo la caduta del fascismo.
Pertanto, alla luce di questi precedenti storici-giuridici, il riconoscimento
costituzionale dell’art. 15 non può che costituire l’epilogo, almeno per quanto
concerne l’ordinamento giuridico italiano, di uno sviluppo storico piuttosto
complesso e tortuoso di cui ancora oggi si discute e di cui cercheremo di
analizzare aspetti e problematiche di vario genere.