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PREMESSA
Prima di inoltrarmi nel spiegare il mio lavoro, sento la necessità di dover
esprimere un mio pensiero scaturito dall’argomento che andrò a trattare.
Una prima riflessione è stata che siamo riusciti a ribaltare, secondo un criterio di
importanza, i settori “radice” della nostra economia. Il nostro settore primario, per
definizione riguarda tutte le attività che vanno incontro ai bisogni primari
dell’individuo e della collettività (attività di coltura, tradizionali e biologiche, boschi
e pascoli), ovvero il settore da dove si ritiene che sia partita l’accumulazione
primitiva . Oggi però tutti lo considerano come il “settore ultimo”, a mio avviso
sbagliando.
L’accumulazione è diventata negli ultimi anni , “terziaria”, ciò vuole significare
che ci siamo riempiti di oggetti terzi, che non sono di primaria necessità, anzi molto
spesso sono inutili. Accumuliamo, rifiutiamo e poi sprechiamo senza un reale
contegno, talvolta magari senza finire di pagare lo stesso oggetto.
Riusciamo a dare persino poco valore al cibo. Possiamo riempire un carrello al
supermercato di mille oggetti e permetterci senza alcun riguardo di gettare tutto ciò
che c’è dentro. Ciò che sprechiamo lasciano tracce evidenti nell’ambiente stesso in
cui viviamo. Sprechiamo una quantità tale di cibo da poter sfamare metà popolazione
mondiale, un paradosso.
Un’epoca, quella attuale, a mio avviso tanto basata su forti disuguaglianze,
quanto ingiusta, fondata sul finto perbenismo e povera di prospettive.
In questo periodo di crisi si sente tanto parlare dei giovani, della riforma del
lavoro, dell’aumento della disoccupazione giovanile e così via. Ma proprio noi
giovani nasciamo già caricati di un debito insostenibile, che non è solo da
considerare dal punto di vista economico.
Il capitalismo, il modello dominante preferito da tutti gli economisti, è in crisi
profonda, e la crescita illimitata che lo sostiene, non funziona più.
L’economia studia il comportamento dei beni e non quello dei consumatori,
dimenticando quali siano gli attori stessi che muovono la produzione, il consumo, i
prezzi e i redditi. Il modello dell’homo oeconomicus è inadatto a studiare la
complessità delle motivazioni di consumo poiché il consumatore non agisce secondo
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schemi di comportamento della psicologia meccanicistica, così come non opera
secondo criteri razionali di utilità e di convenienza.
Non sempre è mosso da oggettivi criteri utilitaristici e razionali, più spesso è
attratto da motivi emozionali; egli è spesso imprevedibile, variabile e sottoposto ad
influenze sociali, le stesse che provengono dal contesto sociale che lo ingloba. Quasi
mai, il consumatore possiede le informazioni necessarie per operare la scelta più
vantaggiosa (ottimizzazione del profitto?). Molteplici sono i fattori che orientano
l’azione dell’individuo.
In questo sistema capitalistico il consumatore è schiavo delle merci, incatenato ad
un sistema di dominio che cancella la creatività individuale, manipolandone i bisogni
reali.
Come esplicita bene Marcuse nel libro “L’uomo a una dimensione” (1968) ed in “
Eros e civiltà”(1955), l’industria del divertimento promuove l’ideologia del
consumismo, generando falsi bisogni.
Nelle nostre società capitalistiche avanzate, la nostra corporeità viene repressa e
piegata verso una specifica finalità. Il corpo è “costruito” come strumento di lavoro
duttile e capace di convergere le energie istintuali e le facoltà biologiche verso la
produzione ed il consumo di merci.
Il “principio di prestazione” (Marcuse, 1955) è la razionalità economica che
piega il corpo ai criteri di utilità del capitalismo organizzato. Fabbricare cose,
fabbricare corpi che fabbricano le cose, sono questi gli obiettivi che acutizzano il
distacco degli essere umani dall’ambiente naturale. Ben oltre la lotta per la
sopravvivenza, la conquista della natura esterna si rileva sempre più caratterizzata da
aggressione e sfruttamento, allo stesso modo anche la natura interna (il corpo
biologico) diviene oggetto di conquista.
Se consideriamo l’apparato produttivo delle nostre società, notiamo che ha
raggiunto dimensioni tali da poter produrre un potenziale miglioramento qualitativo
dei desideri dell’individuo, ma la società crea bisogni artificiali che impediscono la
liberazione degli individui attraverso il soddisfacimento delle pulsioni vitali.
Marcuse afferma che le società che si definiscono democratiche finiscono per
divenire intrinsecamente totalitarie, cioè rendono impossibile qualsiasi forma di
opposizione.
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« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella
civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico ».
Con queste parole Marcuse evidenzia in Eros e civiltà (1955) il suo pessimismo,
il suo arrendersi ad un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni
aspetto della vita dell’individuo e che ingloba anche forze tradizionalmente anti-
sistema come la classe operaia.
In questo modello la vita dell’individuo si riduce al bisogno di produrre e
consumare, senza possibilità di resistenza.
Fondamentalmente le società industriali avanzate possiedono un carattere
repressivo, che appiattiscono l’uomo ad una sola dimensione, quella del
consumatore, euforico ed ottuso, la cui unica libertà è la possibilità di scegliere tra
molti prodotti diversi. Una società che condiziona i veri bisogni umani, sostituendoli
con altri artificiali (una democrazia pseudo-libera).
Una questione che è da ritenersi cruciale, è quella di quali siano i limiti della
capacità di carico della terra rispetto alla popolazione umana, questione questa, che
ci riporta ad una visione ecologica: un’economia sostanzialmente circolare,
caratterizzata dalla riduzione delle risorse naturali ed energetica, dal riciclo dei
materiali, dell’acqua e dell’energia in modo tale che i beni abbiano una vita molto
più lunga e non artificialmente breve come adesso.
La crisi ambientale ed i rischi connessi all’intervento tecnologico sull’ambiente
evidenziano che la relazione tra società e natura non può più essere interpretata in
termini lineari. È indispensabile riflettere sul nostro modo di osservare noi stessi, la
società e l’ambiente che ci circonda. I problemi ambientali sono di fatto problemi
pienamente sociali. Il mutamento ambientale e sociale vanno interpretati secondo una
logica circolare, evidenziandone quindi il feedback.
Prendiamo ad esempio i concetti di buco nell’ozono, effetto serra, elettrosmog,
piogge acide, deforestazione, riduzione della biodiversità, desertificazione, disastro
nucleare, emergenza rifiuti ecc.: tutte espressioni, queste, sconosciute per la maggior
parte delle persone della generazione precedente alla mia, le quali però oggi
vengono continuamente citate, mettendo in discussione la società dei consumi e i
nostri modelli di produzione.
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È necessario, prima di creare strumenti scientifici che mostrino le lacune
ideologiche e scientifiche della nostra società, “riportare in vita” valori ormai morti e
sepolti da anni.
Sarebbe auspicabile, da parte nostra, un maggior “rispetto verso la vita e
l’ambiente”. Ed un consumo consapevole delle risorse naturali a noi disponibili .
Il territorio su cui viviamo è lo “spazio dell’abitare”, dove realizzare il progetto di
vita dei singoli e della società, nodo di relazioni e di flussi a scale geografiche
diverse tra locale e globale. È il punto di riferimento ove ogni idea, norma,
consuetudine, viene negoziata tra i singoli e la comunità, in una dimensione che non
può prescindere da un confronto valoriale ma anche dalla conoscenza e dalla
consapevolezza delle possibilità e dei limiti che il NOSTRO territorio offre, delle
risorse ambientali e umane disponibili, delle criticità da affrontare e delle
opportunità che devono essere colte. Sostanzialmente un processo di co-evoluzione
tra uomo e luoghi che non può prescindere da un’intenzione educativa, da riflessioni
e progettualità su come lo spazio di vita abbia un ruolo fondamentale nella crescita
delle persone e nelle loro azioni come cittadini.
Bisogna educare all’ambiente in primis, qualsiasi strumento d’analisi ambientale
non ha nessun effetto se non seguito da una reale educazione al proprio territorio, alla
cittadinanza, alla sostenibilità, all’intercultura, alla globalizzazione.
Educare al territorio nella direzione delle conoscenza diffusa del suo patrimonio,
dei suoi punti di forza e dei suoi punti deboli, del suo valore come costruzione
identitaria, come spazio inclusivo, come dimensione locale dell’abitare e dell’essere
cittadini del pianeta. Educare al territorio nel senso di progettualità sociale di tutti i
protagonisti del territorio stesso, tra cui famiglie, scuole, i fornitori, gli educatori e
anche gli amministratori, le associazioni e le imprese. Tutto nella consapevolezza di
una costruzione collettiva, partecipata e negoziata di dimensione sociale dell’abitare
nella quale ogni individuo può sviluppare il proprio progetto di vita.
Tale consapevolezza spingerebbe a sviluppare le competenze per la comprensione
delle problematiche globali e locali, dei valori e delle risorse dei luoghi, delle
relazioni che intercorrono tra fenomeni naturali e sociali. Essa porterebbe anche a
fornire adeguati strumenti interpretativi per chi legge il territorio e per chi lo
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osserva, per chi sviluppa dei progetti, chi li governa e chi li insegna, al fine di
superare visioni stereotipate, pregiudiziali o riduttive della realtà.
In ultima istanza, sarebbe importante educare alla capacità di problematizzare i
fenomeni ambientali e sociali, ad osservarli da punti di vista decentrati e connetterli
con altre discipline, non solo economiche ma anche antropologiche e urbanistiche.
Un’ educazione, insomma, multidisciplinare.
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INTRODUZIONE
L’interesse dell’Economia verso le questioni ambientali hanno inizio durante gli
anni settanta sotto la spinta del progressivo imporsi delle tensioni legate al degrado
delle risorse, alla crescente pressione demografica e al dilagare di fenomeni di
inquinamento che interessavano tanto le economie industriali quanto i paesi in via di
sviluppo.
Nell’ultimo decennio infatti si inizia ad adottare sempre più frequentemente nella
letteratura scientifica la formula “Sustainability Science”, sottolineando l’emergere
di una nuova cultura dotata di un proprio statuto scientifico. Tale definizione indica
una convergenza transdisciplinare di riflessioni e ricerche derivanti da discipline
diverse, che cercano di analizzare le interazioni dinamiche tra i sistemi naturali,
sociali ed economici e di comprendere i modi migliori per “gestirle”. Si denota un
cambiamento radicale della visione del mondo che promuovono forme di conoscenza
compatibili con un’irriducibile incertezza da un lato, e dall’altro l’individuazione di
nuovi principi, metodologie e strumenti per intervenire concretamente nei sistemi
complessi senza comprometterne il delicato equilibrio. (Bologna, 2001)
Assistiamo ad una contaminazione disciplinare che si adatta bene al concetto di
sostenibilità,che coinvolge aspetti ambientali, economici e sociali dell’interazione dei
vari sistemi.
Una sostenibilità che valuta i limiti della popolazione, della pressione umana
nell’utilizzo delle risorse e nella produzione di rifiuti rispetto alle capacità
rigenerative e assimilative dei sistemi naturali, al fine di promuovere le migliori
capacità di apprendimento, di adattamento e flessibilità dei nostri sistemi sociali nel
farvi fronte.
A fronte di queste crescenti pressioni,economisti e studiosi dell’ambiente si
spingono alla ricerca di nuovi paradigmi mirati a spiegare le relazioni e le
interdipendenze tra sistema economico e ambiente e tra crescita economica e
gestione dell’ambiente.
L’ambiente è inteso come un insieme di risorse naturali dotate di un’autonoma
capacità di autoregolazione e rigenerazione che può essere compromessa in maniera
irreversibile da uno sfruttamento eccessivo e non razionalizzato. In tal modo la
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ricerca economica sulle questioni ambientali si pone fin dagli inizi al confine tra
diverse discipline delle scienze economiche, sociali e naturali. Una visione
pluralistica, che fa riferimento a contributi critici che si sviluppano all’interno
dell’approccio metodologico neoclassico ma anche a scenari multiformi degli
approcci emergenti all’interno dell’ambientalismo.
La prima parte del presente lavoro è rivolto allo studio delle relazioni che si
instaurano tra economia ed ambiente, sviluppo sostenibile ed economia.
Nello specifico, nel primo capitolo, è illustrato come dalla visione del sistema
economico neoclassico si è giunti al concetto di economia ecologica: la prima
focalizza la propria attenzione sul flusso di beni, su i fattori di produzione (terra,
capitale, lavoro) tra le imprese i lavoratori, mentre la seconda, contrapponendosi
all’economia dell’ambiente, rifiuta il “paradigma ortodosso” affermando l’esigenza
di un nuovo paradigma e di un nuovo metodo di ricerca interdisciplinare capace di
integrare insieme gli aspetti ecologici, economici e sociali.
L’economia ecologica mira a includere all’interno degli oggetti di interesse della
scienza economica le conoscenze derivanti dalle scienze fisiche e biologiche.
Nel secondo capitolo vengono presentati i padri dell’economia ecologica:
Kenneth Boulding, Herman Daly e Nicholas Georgescu-Roegen.
Herman Daly propone di ripensare lo sviluppo economico tenendo conto delle
componenti ambientali e sociali sino a quel momento ignorate dalla teoria economica
tradizionale mentre Nicholas Georgescu-Roegen introduce nell’analisi economica le
conseguenze della teoria delle termodinamica, per giungere alla creazione della
“bioeconomia” che si incentra sul fatto che qualsiasi processo economico che
produce delle merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e
quindi la possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali. Tale principio è
stato definito dallo stesso autore, Quarto principio della termodinamica.
Essa modifica il modo di concepire il processo economico di sviluppo, facendo
emergere una nuova visione dei rapporto tra l’insieme degli esseri viventi e la
biosfera. L’approccio Roegeniano è innervato della piena consapevolezza del
concetto di limite delle risorse, del riconoscimento che, sia i fatti economici che
quelli naturali, si svolgono in un mondo di dimensioni finite.
Per ultimo viene citato Kenneth Boulding, che critica il significato del prodotto
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interno lordo definendolo inappropriato come indice di benessere, poiché non prende
in considerazione gli effetti delle attività antropiche che si generano sull’ ambiente,
e non tiene conto della limitatezze delle risorse naturali, dei danni e costi
dell’inquinamento e del degrado ambientale. Nel terzo capitolo vengono descritti i
tentativi di correzione del PIL in chiave ecosostenibile che cercano di includere nel
conto le spese difensive ambientali, il deprezzamento del capitale naturale ed
artificiale e la stima del degrado ambientale residuo.
La crescente attenzione nei confronti della necessità di perseguire uno sviluppo
sostenibile, ha portato l’UE a sviluppare una serie di strumenti per la sostenibilità e
lo sviluppo. L’imperativo della sostenibilità ha portato l’Unione Europea ad
identificare e sviluppare degli indicatori in grado di monitorare i progressi verso lo
sviluppo sostenibile. La diffusione di metodologie, indicatori e modelli permettono
di sostenere i processi decisionali in materia ambientale.
Nella seconda parte vengono descritti gli strumenti di contabilità ambientale a
seconda delle aree interessate (una contabilità fisica, una monetaria ed una integrata).
La necessità di integrare la contabilità economica con le valutazioni relative
all’ambiente ed alla variabile sociale nasce dall’assunto che i conti “tradizionali” non
rispecchiano in maniera esaustiva il benessere della collettività.
Questi strumenti permettono di descrivere lo stato dell’ambiente e le interazioni
che intercorrono tra attività umana e natura, di quantificare gli impatti ambientali
delle attività umane e monitorare i progressi di politiche e strategie ambientali.
Tali strumenti permettono quindi di migliorare la qualità dell’informazione
ambientale e facilitarne l’integrazione delle considerazioni ambientali nei processi
decisionali, al fine del raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
La contabilità ambientale fornisce ai decision makers le informazioni necessarie
per individuare le criticità ambientali e definire gli obiettivi di miglioramento
ambientale. Ed inoltre di controllare, valutare l’efficacia e l’efficienza delle politiche
attuate.
Nella terza parte viene trattato il tema della decrescita che allude a una riduzione
complessiva delle quantità fisiche prodotte e delle risorse impiegate, ma inteso come
una vera e propria rivoluzione sociale, culturale e politica, che può essere messa in
atto attraverso una trasformazione dell’immaginario collettivo.
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Con il termine decrescita si fa riferimento all’insieme di idee, progetti e pratiche
che hanno come obiettivo comune la costruzione di una società più giusta ed
autonoma, basata su una diversa economia e un diverso approccio tra l’individuo e
l’ambiente.