II
INTRODUZIONE
Il tema della procreazione medicalmente assistita ha sempre
suscitato numerose polemiche per via dei problemi di natura
giuridica, etica e religiosa che lo accompagnano.
L’obiettivo della presente trattazione consiste nell’analisi
comparata di due discipline giuridiche, quella italiana e quella
spagnola, in tema di procreazione medicalmente assistita (di
seguito PMA), le quali appartengono a due modelli normativi
distinti.
Il contesto legislativo che delimiterà il campo d’indagine
sarà, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la legge n.
40/2004, “Norme in materia di procreazione assistita”, mentre
per l’ordinamento spagnolo verrà presa in considerazione la
recente riforma introdotta dalla Ley 14/2006, “Sobre Técnicas de
Reproducción Humana Asistida”, la quale ha integralmente
sostituito, abrogandole, le precedenti leggi in materia, le ley
35/1988 e la successiva legge di riforma parziale, la ley
45/2003.
III
Prima dell’emanazione della legge 40/2004, l’Italia era
rimasta pressoché il solo Stato europeo a non disporre di una
normativa specifica in materia di PMA. Circostanza che, da un
lato, aveva portato alla ribalta delle cronache casi eclatanti, in
cui sembravano essere state sovvertite le ordinarie leggi della
natura in materia di paternità, di maternità e di filiazione e,
dall’altro, aveva consentito, in una situazione di vacatio legis, la
liceità di quasi qualunque comportamento
1
. Alla carenza di una
normativa ad hoc ha spesso sopperito la giurisprudenza.
Nella presente dissertazione saranno, pertanto, ripercorse le
principali tappe giurisprudenziali nel periodo antecedente alla
promulgazione della legge, nel quale i giudici sono ricorsi allo
strumento dell’interpretazione analogica, oppure ai principi
generali del diritto o, ancora, all’interpretazione estensiva per
risolvere i casi loro sottoposti.
Per la verità, la problematica della PMA era da tempo
tutt’altro che estranea agli interessi del legislatore domestico,
1 R. VILLANI, La procreazione assistita, , cit. p.2, Giappichelli, 2004.
IV
poiché numerosi erano stati negli anni passati i tentativi di
proporre una disciplina legislativa in materia. Le prime
proposte di legge risalgono alla III legislatura (1958-1963),
quando il fine che il legislatore intendeva perseguire era parso,
in verità, piuttosto quello di introdurre un divieto generale di
accesso alle tecniche di PMA che non di regolarle. Fu a partire
dalla VIII legislatura (1979-1983) che si assistette, in
concomitanza con il progresso della scienza e grazie al mutato
atteggiamento della società nei confronti del problema, ad un
inversione di tendenza, e le proposte via via avanzate si
indirizzarono verso l’ ammissibilità e la regolamentazione del
fenomeno. Il nuovo atteggiamento non portò rapidamente ad
una soluzione: si era però fatta strada una generalizzata
consapevolezza della delicatezza della questione e della
opportunità di trovare una disciplina unitaria della materia,
idonea a portare ordine in un campo altrimenti lasciato alla
libera determinazione dei singoli.
Nella presente trattazione verranno esposte le differenti
V
iniziative legislative che, dopo anni di dibattiti parlamentari,
portarono finalmente alla promulgazione della legge del 2004.
Ancora, verrà effettuata un’analisi accurata della normativa
italiana, tanto attesa quanto contraddittoria, con i singoli aspetti
e tematiche da essa affrontati.
La legge n. 40/2004, in una prospettiva di diritto comparato,
si colloca in una posizione di relativo isolamento. Se alcune
previsioni riferibili all’accesso alla tecniche o al divieto di
clonazione riproduttiva sembrano simili a quelle adottate in
molti altri ordinamenti, i suoi principi generali e gran parte delle
disposizioni in essa contenute faticano a trovare omologhi nella
normativa degli altri paesi a noi culturalmente e giuridicamente
più vicini. I requisiti soggettivi di accesso alle pratiche di PMA,
infatti, sono condizionati in Italia dall’esistenza di una relazione
stabile, diversamente, la Spagna non prevede alcun requisito di
coppia. L’impossibilità per le coppie, che non siano sterili né
infertili, ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili al
nascituro, di accedere alle tecniche di PMA fa sorgere dubbi
VI
anche sulla legittimità del divieto di diagnosi genetica
preimpianto sull’embrione previsto nel nostro ordinamento.
Inizialmente tale divieto non venne ritenuto illegittimo dalla
giurisprudenza, ma nel 2005 il Tribunale di Cagliari decise, in
sede cautelare, di sollevare la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13 co.1 l.40/2004, nella parte in cui
vietava ai soggetti che avevano avuto accesso alle tecniche di
PMA, la diagnosi preimpianto sull’embrione, per l’accertamento
di eventuali patologie. L’incoerenza del sistema legislativo
italiano è di tutta evidenza se si pensa che in tale ipotesi è
possibile effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza.
Tale contraddizione è stata recentemente rilevata dalla Corte
Europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU), la quale in
una pronuncia del 28 agosto 2012 ha affermato che il divieto di
diagnosi genetica preimpianto viola il diritto al rispetto della
vita privata e familiare previsto all’art. 8 della Convenzione dei
diritti dell’uomo.
Nel secondo capitolo verrà analizzata la disciplina spagnola
VII
che si differenzia nettamente da quella italiana allineandosi,
invece, a quelle dei Paesi di common law.
La Spagna è stato uno dei primi paesi in Europa a dotarsi,
con la legge n. 35/1988, di una specifica normativa in materia
di PMA. Si cercherà, innanzitutto di analizzare le tappe che
hanno condotto all’emanazione della l. 14/2006. Si tenterà poi
di individuare e commentare i punti fondamentali della legge
prestando attenzione ai requisiti soggettivi di accesso alle
tecniche di PMA che, diversamente da quanto accade nel
nostro Paese, sono consentite a tutte le donne
indipendentemente dal loro orientamento sessuale e dal loro
stato civile, in virtù del diritto di eguaglianza tra donne
coniugate e non. Inoltre, si procederà ad un’analisi della tecnica
della fecondazione eterologa (consistente nell’utilizzo di
materiale genetico appartenete ad un donatore estraneo alla
coppia) permessa in Spagna.
Infine, si analizzerà la tecnica della maternità surrogata e la
sua incidenza sullo ius filiationis e sullo stato genitoriale, che
VIII
vengono messi in discussione a seguito di tale pratica.
Il paragrafo conclusivo del presente lavoro sarà dedicato ad
un approfondimento delle differenze tra la disciplina italiana in
materia di PMA e quella spagnola.
In materia di fecondazione assistita, dunque, è presente una
diversa tipologia di discipline, che va dal modello più
permissivo, come quello spagnolo, in cui il formante legislativo
tende ad assorbire ed esaurire ogni aspetto, a quello più chiuso
come quello italiano, che in un’ottica comparata si pone
esattamente agli antipodi
2
.
2 Per un’analisi accurata del tema in un’ottica comparatistica tra i paesi europei si rinvia a
C. CASONATO, Legge 40 e principio di non contraddizione: una valutazione d'impatto normativo"
in E. Camassa, C. Casonato (a cura di).
1
CAPITOLO PRIMO
La procreazione medicalmente assistita in
Italia
Sommario: 1. La giurisprudenza antecedente alla promulgazione della legge
40/2004; 2. Le proposte legislative in materia; 3. La legge n. 40/2004; 4. Il
rapporto tra la legge 194/1978 in materia di interruzione volontaria di gravidanza
e la legge 40/2004; 5. Il divieto di sperimentazione sull’embrione e la diagnosi
preimpianto.
2
1. LA GIURISPRUDENZA ANTECEDENTE ALLA
PROMULGAZIONE DELLA LEGGE 40/2004
L’assenza di una normativa ad hoc in tema di procreazione
medicalmente assistita (d’ora in avanti PMA), prima
dell’intervento del legislatore nel 2004, ha comportato la nascita
del cosiddetto far west procreativo o della provetta
3
, e ha
indotto i giuristi italiani ad avvalersi dello strumento
dell’interpretazione (analogica o estensiva), al fine di ricavare
comunque una regola applicabile al caso concreto.
Quando, però, il ragionamento analogico non era
sufficiente a risolvere il caso concreto, il giurista ricorreva ai
principi generali dell’ordinamento dello Stato, ovvero regole di
carattere generale, applicabili anche ad altri casi simili o materie
analoghe, ricavabili dall’insieme delle leggi o formulati in norme
costituzionali. Accadeva non di rado che i giudici formulassero
interpretazioni discordanti della stessa norma, risolvendo in
modo diverso casi dello stesso tipo, così come non era neppure
3 Tale espressione si riferisce alla totale discrezionalità nell’utilizzo della pratica
procreativa in assenza di limitazioni durante il periodo di vuoto legislativo.
3
da escludersi l’evenienza che alla stessa disciplina venissero
attribuite ermeneusi diverse nel corso del tempo. Rilevante è,
poi, che l’interpretazione di una norma poteva mutare a
seconda dei diversi orientamenti culturali, politici ed ideologici
dei giuristi.
Deve, inoltre, segnalarsi che spesso la giurisprudenza non
era aggiornata sui frequenti progressi della medicina e che,
avendo i provvedimenti emanati da un giudice in una
controversia valore vincolante solo per il caso concreto deciso
in quella occasione, gli altri organi giudicanti potevano
attribuire alla stessa norma un’interpretazione diversa. La
risoluzione di controversie simili con provvedimenti diversi tra
loro dava luogo alla violazione del principio di eguaglianza di
tutti i cittadini davanti alla legge e di certezza del diritto, di cui
all’art. 3 della nostra Carta fondamentale. È per tali ragioni che
si avvertiva la necessità di una normativa volta a dettare i limiti
all’utilizzo delle tecniche procreative e a tutelare, innanzitutto,
la sorte del nascituro, frutto di tali pratiche.