________________________________________________________________________________
5
INTRODUZIONE
IL CARCINOMA EPATOCELLULARE
Il tumore è il risultato di una crescita cellulare incontrollata. Nel cancro, una cellula
dell’organismo non risponde più ai segnali che indicano alle cellule normali di crescere,
smettere di crescere o addirittura di morire. Questi cambiamenti sono spesso il risultato di
modifiche al DNA (mutazioni). Poiché ci sono molte e diverse alterazioni, che sono in grado
di mutare il DNA, ci sono un numero altrettanto grande di cause di cancro
(http://www.cancerquest.org.).
Il carcinoma epatocellulare (HCC, hepatocellular carcinoma) è un tumore primario del
fegato. È il quinto tipo di cancro più comune nell’uomo e la terza maggiore causa di morte
dovuta a tumore nel mondo. Ogni anno nel mondo ci sono più di 600.000 nuovi casi di
HCC, che arrivano a rappresentare il 4% di tutti i nuovi tumori diagnosticati [1]. Anche se la
maggior parte dei casi si registrano in Asia e in Africa, l’incidenza sta aumentando
stabilmente nell’Occidente negli ultimi 20 anni [2]. Il fattore di rischio maggiore per lo
sviluppo dell’HCC è l’infezione cronica con HBV, che avviene per il 52% di tutti i casi di
HCC, seguita dall’infezione cronica da HCV e dall’assunzione di alcool [3]. HBV infetta
approssimativamente 350 milioni di persone nel mondo, con un riscontro maggiore in Asia e
Africa. In Europa, l’HCC dovuta all’epatite B, si verifica principalmente in pazienti con una
cirrosi conclamata, mentre in Asia i portatori di Epatite B senza cirrosi sono a rischio di
sviluppare HCC, indipendentemente dalla stato replicativo[4].
Il processo di sviluppo dell’epatocarcinoma è caratterizzato da diversi step e circa l’80%
degli HCC si sviluppa in fegati cirrotici [5].
Lo stesso rischio di sviluppare l’HCC dopo infezioni virali, è maggiore nei pazienti con
cirrosi [6, 7], mentre l’incidenza cumulativa di 5 anni, in pazienti non cirrotici è inferiore la
5% [8]. L’abuso di alcol è una delle maggiori cause di cirrosi al fegato e di HCC nella
maggior parte dei paesi occidentali [9]. Inoltre, l’associazione di alcol, infezioni virali di
epatiti croniche, e altri fattori di rischio metabolico ha un effetto cancerogeno sinergico [10,
11]. In tutte le eziologie c’è la predominanza del genere maschile ad essere colpito [1].
Questo probabilmente è dovuto all’alto tasso di esposizione a cancerogeni del fegato e
all’infezione dei virus dell’epatite nell’uomo o all’inibizione mediata dall’estrogeno della
________________________________________________________________________________
6
produzione di IL-6 da parte delle cellule di Kupffer nelle donne, che porta ad una riduzione
dei danni al fegato e ad una compensazione della proliferazione [12].
La precoce scoperta, grazie agli esami di controllo è l’unico modo per diagnosticare l’HCC,
quando è in uno stadio nel quale dei trattamenti curativi sono ancora applicabili. Questo
perché i sintomi (danno al fegato, itterizia, deterioramento fisico) riflettono già uno stadio
avanzato della malattia, quando non c’è più un’opzione di cura [13].
La patogenesi dell’HCC è stata ampiamente studiata, e diversi cambiamenti molecolari
durante la trasformazione maligna sono stati identificati. La genesi dell’epatocarcinoma è
considerata un processo multistep che origina dalla cellula staminale epatica o da un
epatocita maturo, ed evolve in un’infiammazione cronica del fegato [14].
Il danno epatico cronico con associato uno stato infiammatorio porta ad un’accelerazione dei
cicli di morte cellulare, rigenerazione e riparazione, portando di conseguenza a una
prematura senescenza epatica. Quando la capacità rigenerativa del fegato si esaurisce, si
instaurano dei processi di riparazione aberranti in un contesto infiammatorio, i quali
risultano nello sviluppo di una rigenerazione nodulare, nell’espansione stromale, nella fibrosi
e nella cirrosi.
Infine l’accumulo di alterazioni genetiche ed epigenetiche porta all’attivazione di oncogeni e
all’inibizione di oncosopressori in un contesto di aumentata instabilità genetica e
disregolazione delle vie segnaletiche relative ai principali promotori dell’epatocarcerogenesi,
cioè disregolazione della proliferazione cellulare e dell’angiogenesi [14, 15]
Sono state identificate numerose variazioni genetiche ed epigenetiche associate alla cirrosi,
inclusi sbilanci allelici in diversi loci genomici, mutazioni di p53, ipermetilazione del
promotore dell’oncosoppressore p16
INK4a
e accorciamenti telomerici con conseguente
senescenza replicativa e instabilità cromosomica. Molecole e pathway importanti coinvolti
nell’epatocarcinogenesi includono proteine regolatorie del ciclo cellulare, come p53, c-Myc
e ciclina D1, molti fattori di crescita ligandi di recettori tirosin chinasici, inclusi EGF
(epidermal growth factor), FGF (fibroblast growth factor), HGF (hepatocyte growth factor)
e VEGF (vascular endothelial growth factor), i quali attivano i pathway della chinasi AKT
[16].
Nell’ultima decina d’anni, il trattamento dell’HCC è cambiato significativamente grazie ad
un miglioramento della capacità diagnostica, allo sviluppo di sistemi di raggruppamento in
________________________________________________________________________________
7
stadi basati sull’evidenza, e alla disponibilità di effettivi trattamenti, grazie alla
comprensione delle alterazioni cellulari e genetiche coinvolte nel processo tumorigenico.
Il punto cruciale del trattamento è quello di aumentare l’aspettativa di vita e per questo la
selezione del trattamento deve essere fatta bilanciando i rischi con i benefici [17].
1. TERAPIE DEL CARCINOMA EPATOCELLULARE
Ad oggi le terapie (resenzione, trapianto, ablazione) possono aumentare la sopravvivenza in
pazienti diagnosticati con HCC ad uno stadio precoce e offrono una potenziale cura a lungo
termine. I pazienti con uno stadio intermedio di HCC beneficiano della
chemioembolizzazione e quelli diagnosticati con uno stadio avanzato beneficiano del
sorafenib, un inibitore multichinasi con effetti anti-angiogenici e antiproliferativi [18].
I trattamenti chirurgici ovvero la resezione chirurgica e il trapianto di fegato (OLT) sono
attualmente le migliori opzioni curative per questo carcinoma; però solo il 5-15% dei
pazienti è idoneo per l’intervento chirurgico, basandosi sulla valutazione della loro
funzionalità epatica e sulla grandezza del tumore. Inoltre nei pazienti che hanno subito
resezione, le ricadute e le metastasi sono comuni e la sopravvivenza post-operatoria a 5 anni
è solo del 30-40%. La resezione è il trattamento di scelta nei pazienti non cirrotici dove più
grandi resezioni sono tollerate; al contrario, il danneggiamento delle funzioni del fegato,
limita l’utilizzo della resezione nei pazienti con cirrosi. Tuttavia grandi resezioni non sono
raccomandate anche in pazienti senza cirrosi in quanto il fegato rimanente potrebbe essere
insufficiente per superare il danno. È inoltre importante notare che il beneficio della
resezione o la sicurezza del margine chirurgico, deriva dalla rimozione delle cellule
circostanti al tumore dove potrebbe verificarsi la diffusione delle cellule maligne attraverso
l’invasione vascolare. La ricomparsa del tumore, infatti, dopo la resezione avviene in oltre
l’80% dei pazienti a 5 anni dal trattamento [19].
Diverse strategie sono state testate per evitare le recidive, come la chemioembolizzazione, la
chemioterapia, la radiazione interiore, l’immunoterapia adottiva, l’uso di retinoidi o di
interferone. La chemioembolizzazione pre-operatoria [20] e la chemioterapia non si sono
mostrate efficaci; le radiazioni interne [21], immunoterapia adottiva [22] o i retinoidi [23]
hanno mostrato un potenziale beneficio, ma hanno ancora bisogno di essere validati. Anche
studi sull’interferone sono a favore sull’utilizzo di questa molecola, ma i dati finora raccolti
sono pochi [24].
Da un punto di vista oncologico, il trapianto di fegato è preferibile alla resezione chirurgica,
in quanto esso può rimuovere tutti i focolai tumorali intraepatici e anche in un fegato
________________________________________________________________________________
8
cirrotico. Il trapianto di fegato non è limitato dal danneggiamento funzionale del fegato o da
pazienti ben selezionati con una massa tumorale limitata. La sopravivenza, in questi pazienti
e simile al trapianto di fegato effettuato in altre condizioni, con un livello di recidive
basso[25-27]. In molti casi, il maggior problema del trapianto di fegato è la scarsità di
donatori che ha portato ad un incremento delle liste d’attesa e conseguentemente ad un
incremento del tempo che intercorre tra la decisione del trapianto e il trapianto stesso sul
paziente. Per cercare di ridurre il rischio che con il passare del tempo il tumore si aggravi e si
dissemini e quindi il trapianto risulti inefficace, si è trattano i pazienti con ablazione
percutanea o chemioembolizzazione trans-arteriale (TACE) [28]. L’ablazione percutanea è
una terapia basata sull’iniezione di sostanze nel tumore (etanolo, acido acetico), o sul
cambiamento di temperatura (RFA, laser, etc). Le più largamente usate, sono e iniezioni
percutanee di etanolo (PEI) e l’RFA (ablazione con radiofrequenza), che hanno mostrato
eccellenti risultati nei tumori di piccole dimensioni. Sebbene un alto numero di complicanze
sono state descritte per l’RFA in confronto al PEI, non c’è una differenza statistica
significativa per quanto riguarda le maggiori complicazioni[29-31]. Nei tumori veramente
precoci, dove la probabilità di disseminazione è veramente bassa e nei quali c’è la
probabilità di una completa risposta con un alto margine di sicurezza, viene preferita
l’ablazione con radiofrequenza (RFA) anche alla resezione essendo terapie simili in termini
di successo. Inoltre se i pazienti di questo stadio non sono dei potenziali candidati per il
trapianto al posto della resezione, la RFA diventa l’opzione di prima linea di trattamento.
Attualmente, pertanto, l’RFA viene considerato come il migliore trattamento ablativo, ma
con alcune limitazioni. Alcuni tumori sono localizzati vicino ad altri organi, come reni,
colon, e quindi non possono essere trattati per evitare i danni causati dal calore; in questi casi
PEI assume un ruolo rilevante. Il tasso di ricomparsa dopo trattamento percutaneo è alta
come per la resezione chirurgica, e si aggira attorno all’80% dopo 5 anni[32].
I trattamenti descritti fino a questo punto, ovvero la resezione, l’ablazione e il trapianto sono
considerati trattamenti curativi; quelli che seguono rientrano invece nell’ambito della
medicina palliativa il cui scopo è non far peggiorare il quadro clinico e dare conforto al
paziente, ma non ne aumentano la sopravvivenza.
In questi trattamenti palliativi rientra la chemioembolizzazione trans-arteriale (TACE),
tecnica che sfrutta l’alta quantità di sangue arterioso che irrora l’epatocarcinoma. L’utilizzo
della chemioterapia seguita dall’occlusione delle arterie che alimentano il tumore, causa la
necrosi e ritarda la progressione del tumore. Diversi studi hanno dimostrato i benefici di
TACE [33, 34]. Diversi agenti chemioterapici sono usati per TACE; doxorubicina e
________________________________________________________________________________
9
cisplatino sono i più comuni. I candidati ottimi per la TACE sono i pazienti con le funzioni
del fegato preservate e senza diffusione extraepatica o invasione vascolare. Con
l’introduzione del farmaco Sorafenib, però, l’uso di TACE è stato rimpiazzato.
La radioembolizzazione è una altro trattamento il loco, ed è basato sulla somministrazione
intra-arteriosa di dispositivi radioattivi. Diversi isotopi sono usati a questo scopo: iodio131,
renio-188 e il più usato ittrio-90, che è un emettitore di radiazioni beta con un’attività a corto
raggio. La sopravvivenza dei pazienti è parallela a quella ottenuta con TACE o con
Sorafenib [35, 36].
I pazienti con HCC avanzato hanno una sopravvivenza media di circa 6-8 mesi. Fino ad ora
non ci sono trattamenti efficaci per questo tipo di pazienti, ne la chemioterapia ne
antiandrogeni, antiestrogeni o interferone danno un beneficio in termini di sopravvivenza
[37]. Il Sorafenib è un inibitore multichinasico con effetti antiangigenesi e antiproliferativi,
che hanno mostrato un aumento della sopravvivenza in questi pazienti, ed è diventato un
metodo di cura standard per l’HCC avanzato[38]. Questo farmaco permette di aumentare la
sopravvivenza in quanto riesce a ritardare la progressione del tumore, ma non rappresenta
una cura per i pazienti con HCC. Da ciò la necessità di sviluppo di nuovi strumenti per la
diagnosi precoce di HCC e per il suo trattamento [2].
Per identificare nuovi approcci terapeutici per il trattamento dei tumori, si sta facendo
sempre più strada l’idea di prendere come bersaglio i geni associati con i pathway molecolari
coinvolti nella tumorigenesi. Ad esempio l’inibizione di MET, il recettore dell’HGF, può
permettere il controllo della migrazione e dell’invasione delle cellule neoplastiche [39].
Variazioni genetiche coinvolte nell’epatocarcerogenesi si traducono in variazione
espressione proteine o microRNA, molecole non codificanti.
La scoperta che i miRNA operano un ruolo di rilievo nell’epatocarcinogenesi, li rende degli
ottimi candidati per lo sviluppo di terapie molecolari.
________________________________________________________________________________
10
I microRNA
I microRNA (miRNA) sono RNA di piccole dimensioni (21-24 nucleotidi) non codificanti,
derivati da una cascata biosintetica costituita da fasi sequenziali di processamento, eseguiti
da ribonucleasi (RNAse) III, Drosha e Dicer [40].
Le prime evidenze sull’esistenza dei microRNA risalgono al 1993, quando in C. Elegans fu
identificato un piccolo RNA non codificante di 22 nucleotidi, chiamato lin-4. Quest’ultimo
risultava essere parzialmente complementare con sette nucleotidi conservati nella regione 3’ non
tradotta (3’UTR) dell’mRNA del gene che codifica per la proteina nucleare LIN-14 [41].
L’evidenza della complementarietà di sequenze fra lin-4 e lin-14, suggerì che lin-4 poteva
regolare la traduzione di lin-14 con un’interazione miRNA:mRNA, giocando così
un’importante ruolo nello sviluppo del timo in C Elegans [42].
Questo risultato e successivi condussero alla definizione dei miRNA come una nuova famiglia di
piccoli endogeni RNA, conservati nell’evoluzione, ma diversi tra di loro per sequenza ed effetti
sull’espressione genica[43] [44].
Altri studi hanno ulteriormente confermato la funzione dei miRNA come meccanismo
completamente nuovo di regolazione genica post-trascrizionale coinvolto nei processi di
sviluppo [45] [46].
Ora sappiamo che i miRNA sono geni presenti nel genoma di molti organismi eucarioti la
cui biogenesi include la trascrizione del miRNA nel nucleo e il loro trasporto al citoplasma
dove avviene il loro sviluppo e la loro maturazione (Figura 1).
La trascrizione dei geni dei miRNA è mediata da una polimerasi (Pol) II e porta alla
formazione di lunghi miRNA primari (pri-miRNAs) con una struttura ripiegata
comprendente una lunga forcina e un segmento di basi protrudenti per indirizzare il miRNA
nella fase successiva. Queste sequenze si trovano alle estremità della forcina e costituiscono
rispettivamente il cappuccio e la coda di poly-A, entrambe rimosse durante le fasi finali di
maturazione dei miRNA. Il processamento avviene ad opera della RNAse nucleare III
Drosha, che agisce unitamente alla proteina DGCR8 (DiGeorge syndrome Critical Region 8)
e in particolare con il suo dominio di legame dell’RNA a doppia elica, in un complesso
conosciuto come il Microprocessore [47]. In questo complesso la struttura a forcina del pri-
miRNA è tagliata da Drosha in un processo conosciuto come cropping (taglio). Il taglio di
Drosha porta alla formazione di miRNA precursori (pre-miRNAs) lunghi circa 60-70 nt e
________________________________________________________________________________
11
con struttura a forcina [48], che vengono trasportati dal nucleo al citoplasma grazie al
trasportatore, Ran-GTP dipendente, Exportin-5 [49]. Exp-5 è un membro della famiglia di
trasportatori nucleocitoplasmatici. Il processo richiede l’idrolisi del Ran-GTP in Ran-GDP
da parte di una GTPase. Il pre-miRNA, trasportato fuori dal nucleo, viene quindi tagliato alla
base della forcina da una seconda RNAse III localizzata nel citoplasma, Dicer la quale
genera una sequenza RNA a doppio filamento imperfetta (miRNA:miRNA*) di circa 21-
24nt.
Dicer è un enzima con multidomini ATP-dipendente ed è coinvolto nel taglio del doppio
filamento dei miRNA. Dicer è stato recentemente mostrato agire insieme con la proteina che
lega la regione transattivante dell’RNA detta TRBP nell’uomo(HIV-1 TAR RNA-binding
protein), con all’interno il complesso di processamento del pre-miRNA.
Dicer è una proteina di circa 200kDa, caratterizzata dalla presenza di diversi domini, tra cui
un dominio PAZ (acronimo delle tre proteine in cui per prime è stato identificato: Piwi,
Argonauta e Zwillie), due domini RNasi III-like, un dominio elicasico e un dominio dsRBD.
I domini dsRBD e RNasi III sono coinvolti nel legame e nel taglio degli RNA a doppio
filamento, il dominio PAZ riconosce l’estremità 3’ protrudente del pre-miR [49].
Al taglio seguono la separazione e selezione di un filamento del microRNA maturo. Le
braccia della struttura a forcina del pre-miRNA sono appaiate in modo imperfetto. Questa
imperfezione è il motivo per cui un filamento del duplex ottenuto dopo il processamento del
pre-miRNA, è meno stabile all’estremità 5’, le cellule si è visto selezionano
preferenzialmente il filamento con minore stabilità e degradano l’altro [50].
Negli ultimi anni, però, analisi più complete hanno rivelato che entrambi i filamenti,
funzionanti, possono venire accumulati in alcuni tessuti, mentre, in altri tessuti, essere
sottoposti a selezione di uno dei due.
Quando i microRNA vengono generati da entrambi i filamenti complementari dello stesso
precursore a forcina, vengono usate le denominazioni -5p o -3p per distinguere i due prodotti
[51].
I miRNA maturi ottenuti sono quindi incorporati, in un complesso ribonucleoproteico
effettore (miRNP), chiamato RISC (RNA induced silencing complex). Il componente
principale del complesso RISC è una proteina Argonauta, la quale contiene due caratteristici
domini: un dominio PAZ e uno Piwi. Il dominio PAZ lega l’estremità 3’ dei corti dsRNA,
mentre il dominio Piwi è responsabile dell’attività endonucleasica del complesso.